Le popolazioni germaniche occupavano originariamente la Scandinavia meridionale, lo Jutland danese (che i Romani definivano Chersonesus Cimbricum), le coste baltiche fino all'odierna Polonia centrale e il litorale del Mar del Nord fino alla foce del fiume Schelda. Ad esempio, si pensa che la patria dei Burgundi (originariamente Burgodioni, Nat. Hist., IV, 99), stanziati nel bacino della Vistola, fosse probabilmente l'isola danese di Bornholm, identificabile forse con la Baunonia citata da Plinio (Nat. Hist., IV, 94). All'incirca all'inizio del I millennio a.C. la crescita demografica spinse i popoli di stirpe germanica a cercare nuovi territori da occupare e in breve tempo il vasto dominio di queste genti giunse a coprire l'intera Europa centrale, dalla catena dei Carpazi a est alle Ardenne a ovest e dalle coste del Mar Baltico a nord al bacino del Danubio a sud. Verso la fine del II sec. a.C., tra il 113 e il 100 a.C. ca., alcuni popoli germanici, come i Cimbri, i Teutoni, gli Harudi e gli Ambroni, si spostarono dalle propaggini settentrionali della penisola danese dello Jutland, il Capo Skagen che Plinio (Nat. Hist., IV, 96) definisce Promunturium Cimbrorum, verso la valle del Rodano e giunsero varie volte allo scontro con le truppe romane causando notevole panico nel Senato di Roma. La battaglia di Arausius (odierna Orange, in Provenza) del 105 a.C., in cui furono decimati gli eserciti del console Gneo Manlio Massimo e del proconsole Quinto Servilio Cepione, fu per i Romani una delle più grandi sconfitte della loro storia. Dopo questo scontro le diverse popolazioni germaniche si divisero e ciò favorì la rivincita dei Romani: i Teutoni e gli Ambroni vennero sconfitti dal console Caio Mario nel 101 a.C. presso Aquae Sextiae (Aix-en-Provence), mentre i Cimbri furono sbaragliati nell'estate dell'anno successivo nella battaglia dei Campi Raudii.
Le migrazioni però non si arrestarono e all'incirca nel 70 a.C. un'ondata migratoria formata prevalentemente da Suebi giunse sotto la guida di Ariovisto fino alla Gallia centrale, sconfiggendo i gallici Edui e i Sequani, di cui occupò il territorio; il potente regno fondato in quelle terre da Ariovisto indusse il Senato romano a riconoscere ufficialmente il capo degli Suebi come primo rex Germanorum e come amicus populi Romani. Fu poi Caio Giulio Cesare, in nome di una storica alleanza tra Romani ed Edui, a sconfiggere definitivamente gli Suebi di Ariovisto nel 58 a.C. e a costringerli a tornare nelle terre al di là del Reno.
Il primo romano a definire queste sconosciute tribù come Germani fu proprio Cesare nei suoi Commentarii de bello Gallico: egli ebbe a che fare diverse volte con queste compagini etniche nel corso delle sue campagne galliche, come nel 55 e nel 53 a.C., quando osò addirittura attraversare il Reno per incutere timore ai Germani che desideravano stanziarsi in Gallia. Dopo aver compreso che essi si distinguevano culturalmente dai Galli, Cesare giunse persino a definirli con un certo disprezzo come popoli più rozzi e incivili degli stessi Celti che lui stava combattendo (Caes., Gall., I, 31). Agli occhi dei Romani, i Germani finirono presto per incarnare il prototipo del barbaro bellicoso, indolente e feroce e in virtù di queste caratteristiche nei secoli successivi il limes segnato dal fiume Reno giunse a marcare il confine ideologico tra il mondo civilizzato romano e il mondo barbarico.
Intorno al 5 d.C. il desiderio di approfondire la conoscenza circa i popoli germanici spinse il princeps Augusto a ordinare alla flotta romana stanziata sul Reno di effettuare una ricognizione nel territorio dei Cimbri e degli Harudi, odierno Schleswig, fino al Capo Skagen; l'incursione romana spaventò a tal punto i Germani che venne deciso di inviare nell'Urbe un'ambasceria per donare all'imperatore un vaso sacro e per chiedere l'amicizia di Roma (Str., VII, 2, 1; Res Gestae, 26). Nel 9 d.C. una violenta ribellione contro le truppe romane vide protagonisti i Marcomanni di re Marobod, i Cheruschi, i Marsi e altre tribù, che si coalizzarono sotto la guida dell'ex ufficiale romano Arminio per opporre una feroce resistenza all'avanzata dei Romani in territorio germanico: la battaglia svoltasi presso la Selva di Teutoburgo (vicino all'attuale Osnabrück, nella Bassa Sassonia) si concluse con il completo annientamento di tre legioni romane e sei coorti ausiliarie e portò alla morte di poco più di ventimila soldati romani, tra cui lo stesso generale Publio Quintilio Varo. Augusto, scosso dalle enormi perdite romane, impose un arresto all'espansione dell'impero e prese provvedimenti per incrementare le nascite e ricostituire così l'esercito distrutto (Lex Papia Poppea); secondo una nota tradizione letteraria, inoltre, Augusto avrebbe reagito alla notizia della sconfitta con la celebre frase ''Quintili Vare, legiones redde!'' (Suet., Aug. 23).
Nei secoli successivi le truppe romane attestate sul limes reno-danubiano ebbero sempre un ruolo militare importante nel contenere le minacce esterne, nel reprimere le rivolte germaniche (sono famose quelle di Giulio Vindice nel marzo del 68 e quella di Giulio Civile nel 70 d.C.) e nell'appoggiare i diversi pretendenti al trono imperiale che si confrontavano nel corso di feroci guerre civili, come ad esempio quella combattuta nel 68-69 d.C. e vinta infine da Vespasiano. In età flavia furono create le due province di Germania Inferior, che si estendeva a nord sulla sponda occidentale del Reno (la capitale era Colonia), e di Germania Superior, che comprendeva l'attuale Svizzera, la Borgogna e la Franca Contea (capitale Mogontiacum, oggi Magonza). L'interesse etnografico suscitato nel mondo romano dai popoli germanici indusse lo storico Publio Cornelio Tacito a scrivere nel 98 d.C. l'opera De origine et situ Germanorum, o più semplicemente Germania, un resoconto sui territori, sulla distribuzione etnica, sui costumi e sull'organizzazione politica e sociale di quei popoli che da secoli impegnavano aspramente Roma in dure guerre. La data di composizione dell'opera non è casuale, dal momento che in quell'anno l'imperatore Traiano si trovava impegnato sul confine renano in qualità di legato della Germania Superiore e si apprestava a riprendere la guerra in quelle terre al fine di consolidare le frontiere sul Reno e sull'Alto Danubio.
I conflitti ripresero sotto Marco Aurelio (161-180 d.C.), quando l'imperatore, volendo collegare il limes reno-danubiano con quello dacico tramite l'eliminazione del corridoio che attraversava il territorio dei Sarmati Iazigi, condusse due imponenti offensive contro i Quadi e i Marcomanni, in seguito alle quali venne insignito del titolo di Germanicus nel 172 e, dopo aver celebrato il trionfo nel 176, di quello di Germanicus Maximus (179 d.C.). La pace con i Quadi e i Marcomanni venne poi stipulata nel 180 d.C. dal figlio e successore di Marco Aurelio, Commodo (180-192). Continue campagne impegnarono gli imperatori romani in Germania nei secoli successivi, cosicché gli eserciti stanziati lungo il Danubio acquisirono sempre più potere sino al punto da poter destituire l'imperatore e da nominarne uno di loro gradimento: è ciò che accade, ad esempio, nel 235 d.C. con l'uccisione di Severo Alessandro a Magonza e la nomina a imperatore dell'ufficiale trace Massimino. Questa tendenza si intensificò ulteriormente nell'epoca dell'anarchia militare (235-284), quando fenomeni di usurpazione del titolo imperiale si verificarono con sempre maggiore frequenza. A partire dal III sec., inoltre, cominciarono a formarsi potenti leghe di popoli germanici residenti oltre il confine reno-danubiano, come gli Alamanni e i Franchi, e nel contempo bellicose popolazioni (per esempio i Goti, che Plinio definisce Gutoni, Nat. Hist., IV, 99) iniziavano a premere sui Germani da est. La pericolosità di queste genti per la stabilità dell'impero romano divenne evidente sin dall'inizio ed ebbe il suo culmine in alcuni grandi scontri militari. Nel giugno del 251 d.C. un esercito di Goti sconfisse i Romani nei pressi di Abrittus, città della Mesia, provocando la morte in battaglia degli imperatori Decio ed Erennio Etrusco. Analogamente, nel 378 d.C. i Goti occidentali (Visigoti) sconfissero ad Adrianopoli, in Tracia, l'esercito dell'imperatore Valente, che morì nello scontro.
Nell'ultimo ventennio del IV sec. d.C. si verificò una nuova crisi militare sul confine reno-danubiano, culminata il 31 dicembre del 406 d.C. con l'attraversamento del Reno effettuato da Vandali (i Vandili ricordati da Plinio, Nat. Hist., IV, 99), Alani e Svevi e con il sacco di Roma operato il 24 agosto del 410 d.C. dai Visigoti di re Alarico. Gli invasori, che non incontrarono un'efficace resistenza, si stanziarono definitivamente all'interno dei confini dell'impero occupando Gallia, Spagna e Africa. L'enorme potere militare detenuto nel IV e nel V sec. d.C. dai capi di queste popolazioni germaniche fece sì che sempre più frequentemente essi venissero scelti dagli imperatori per ricoprire importanti incarichi di governo e missioni militari per conto di Roma, come si verificò con il governo del vandalo Stilicone, che de facto resse la parte occidentale dell'impero dal 395 al 408 in qualità di tutore del giovane imperatore Onorio, e all'epoca del potente alano Aspar, che nel 457 riuscì a far eleggere il suo protetto Leone a imperatore di Bisanzio. I Germani ebbero un ruolo decisivo anche nel disfacimento delle istituzioni imperiali, poiché l'elezione dello sciro Odoacre come re dell'esercito federato italico, che era costituito prevalentemente da Germani, e la definitiva deposizione dell'ultimo imperatore, Romolo Augustolo, segnarono la fine dell'impero romano d'Occidente.
Sommario tratto da AA. VV., Le Garzantine. Antichità classica, Milano 2000, s.v. Germani; Le Glay, Marcel - Voisin, Jean-Louis - Le Bohec, Yann, Storia romana, Bologna 2002; Wolfram, Herwig, I germani, Bologna 2005; Zehnacker, Hubert, L’Europe du Nord dans l’Histoire Naturelle de Pline l’Ancien (N.H. IV, 88-104), «REL», LXXXII 2004, pp. 167-186.