Prof. Fabrizio Lorenzotti
PARTE I
LA FORMAZIONE MANAGERIALE DEI DIRIGENTI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
1. Premessa. – Da diversi anni, parecchie figure dirigenziali delle strutture del Servizio sanitario nazionale sono obbligate a conseguire una formazione manageriale, frequentando appositi corsi.
L’obbligo interessa i direttori generali, i direttori sanitari, i dirigenti sanitari delle strutture complesse e può essere esteso, dalle Regioni ai direttori amministrativi (come è avvenuto, da diversi anni, nella Regione Marche).
Sotto l’aspetto quantitativo, la categoria che presenta il maggior numero di soggetti, che devono frequentare i corsi, è quella interessata alla direzione delle strutture sanitarie complesse, cioè coloro che svolgono le professioni di medici, odontoiatri, veterinari, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi.
Di seguito vengono ricostruite le vicende normative che hanno condotto alla nascita e alla dilatazione della formazione manageriale e dei relativi corsi, allo scopo di comprenderne le ragioni e di illustrare i contenuti, le modalità organizzative e i termini.
2. La formazione del personale del Servizio sanitario nazionale in base alla legge n. 833/1978. - La legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, non prevedeva una formazione manageriale dei dirigenti; anche perché, all’epoca, non esisteva una caratterizzazione aziendale delle Unità sanitarie locali.
Infatti, le Unità sanitarie locali erano definite (dall’art. 15 della legge n. 833 del 1978) come strutture operative dei Comuni, singoli o associati, e delle Comunità montane; tanto è vero che gli organi di governo delle Unità sanitarie locali (l’assemblea generale, il comitato di gestione e il suo presidente) erano composti esclusivamente da personale politico locale.
Tale essendo la situazione, la questione della formazione manageriale non era particolarmente avvertita.
Invece, sul più generale tema di una formazione diversa da quella manageriale, la legge n. 833 del 1978 dedicava attenzione:
1) alla formazione professionale e permanente nonché all'aggiornamento scientifico culturale del personale(art. 2, comma 1, n. 8).In particolate, il piano sanitario nazionale doveva indicare, tra gli altri obiettivi, quelli di formazione e aggiornamento del personale(art. 53, comma 10, lettera h);
2) a specifiche iniziative di formazione e di aggiornamento degli operatori dei servizi di prevenzione delle Unità sanitarie locali(art. 23);
3) ad appositi corsi, anche obbligatori, di formazione antinfortunistica e di prevenzione in materia di sicurezza negli ambienti di lavoro(art. 24, comma 2, n. 3).
3. La formazione del personale del Servizio sanitario nazionale in base alla originaria versione del decreto legislativo n. 502/1992. - Ugualmente, l’originaria formulazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria) non si occupava della formazione manageriale.
Quel testo conteneva significative novità in tema di qualificazione delle Unità sanitarie locali, che venivano definite (art. 3) aziende che si configurano come enti strumentali della Regione, dotati di personalità giuridica pubblica, autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica.
Unitamente alla qualificazione aziendale, venivano introdotte (sempre con l’art. 3) le figure del direttore generale(con tutti i poteri di gestione e di rappresentanza dell’Unità sanitaria locale), del direttore amministrativo e del direttore sanitario.
Tuttavia, il tema della formazione manageriale dei dirigenti non veniva neppure sfiorato, ma - in relazione alla più ampia questione della formazione del personale - quel testo dettava disposizioni sulla:
1) formazione di base del personale, secondo gli indirizzi contenuti nel piano sanitario nazionale(art. 1, comma 4, lettera e);
2) formazione degli specializzandi(art. 6, comma 2);
3) formazione per l'accesso ai ruoli dirigenziali del Servizio sanitario nazionale, da realizzare mediante specifici protocolli di intesa tra Università, Regioni, Aziende ospedaliere, Unità sanitarie locali e Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico (art. 6, comma 2). Si trattava di una formazione generica, non caratterizzata da particolari aggettivi, tantomeno da aspetti manageriali;
4) formazione specialistica nelle scuole di specializzazioneattivate presso le strutture sanitarie e istituzione di corsi di specializzazione presso i presidi ospedalieridelle USL(sempre l’art. 6, comma 2, e anche l’art. 16);
5) formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, da svolgere in sede ospedaliera(art. 6, comma 3);
6) formazione e aggiornamento, ad iniziativa di Regioni, Unità sanitarie locali e Aziende ospedaliere, del personale a contatto con il pubblico, sui temi inerenti la tutela dei diritti dei cittadini (art. 14, comma 8);
7) formazione medica (art. 16).
Si può, comunque, affermare che, rispetto alle iniziali previsioni della legge n. 833/1978, con il successivo decreto legislativo n. 502 del 1992, si è verificato un notevole incremento delle esigenze di formazione del personale, destinato a svilupparsi ulteriormente negli anni successivi.
4. La disciplina della formazione manageriale inizia con il D.P.R. n. 484/1997. - La formazione manageriale viene prevista, per la prima volta, a livello normativo, dal D.P.R. 10 dicembre 1997, n. 484: “Regolamento recante la determinazione dei requisiti per l'accesso alla direzione sanitaria aziendale e dei requisiti e dei criteri per l'accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale”, entrato in vigore il 31 gennaio 1998.
(Per maggiore precisione, si può dire che la formazione manageriale fa la sua prima comparsa nell’art. 11 di un altro D.P.R., anche esso del 10 dicembre 1997, ma con il n. 483, ed avente ad oggetto: “Regolamento recante la disciplina concorsualeper il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale”. Però, l’art. 11 contiene soltanto un fugace accenno all’attestato di formazione manageriale, rinviando per la effettiva disciplina al D.P.R. n. 484/1997).
Il D.P.R. n. 484/1997 è tuttora vigente, però alcune sue disposizioni risultano superate per incompatibilità dalla normativa successiva; pertanto, adesso, conviene dare un rapido sguardoai punti essenziali della formazione manageriale nel momento della sua prima apparizione, rinviando per il resto alla esposizione successiva, quando sarà svolto un esame più dettagliato delle disposizioni da ritenere ancora oggi valide ed efficaci.
Disciplinando la formazione manageriale, il D.P.R. n. 484 del 1997, si rivolge a due tipologie di personale dei ruoli sanitari:
a) i medici che possono ottenere l'incarico di direzione sanitaria aziendale(art. 1);
b) gli appartenenti ai ruoli sanitari, cioè i componenti di otto categorie professionali sanitarie (indicate dall’art. 3: medici, odontoiatri, veterinari, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi) che possono accedere al secondo livello dirigenziale(art. 5).
Le strutture interessate sono quelle delle Unità sanitarie locali, delle Aziende ospedaliere, degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, degli Istituti ed Enti di cui all'art. 4, commi 12 e 13, del decreto legislativo n. 502/1992 (ad esempio: l'ospedale Galliera di Genova, l'Ordine Mauriziano, l'ospedale Bambino Gesù)e degli Istituti zooprofilattici sperimentali.
Le suddette due tipologie di personale, per ottenere gli incarichi dirigenziali (rispettivamente di direzione sanitaria aziendale e di secondo livello dirigenziale), non solo debbono soddisfare specifici requisiti (secondo quanto stabilito dagli artt. 1 e 3), ma devono anche conseguire un attestato di formazione manageriale, frequentando e superando appositi corsi, i cui contenuti didattici sono costituiti principalmente da quattro aree tematiche: 1) organizzazione e gestione dei servizi sanitari, 2) indicatori di qualità dei servizi e delle prestazioni, 3) gestione delle risorse umane e organizzazione del lavoro, 4) criteri di finanziamento e bilanci.
Le quattro aree tematiche sono tuttora ritenute fondamentali sia per la formazione manageriale dei dirigenti sopra indicati, sia (come vedremo) per i direttori generali.
5. La legge delega n. 419/1998, il decreto legislativo n. 229/1999 e la formazione manageriale dei direttori generali. – Invece, la formazione manageriale dei direttori generali delle Aziende unità sanitarie locali e delle Aziende ospedaliereviene prevista dalla legge 30 novembre 1998, n. 419,che delega il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi, contenenti disposizioni modificative e integrative del decreto legislativo n. 502/1992.
In particolare, l’art. 2, comma 1, lettera u), indica, tra i principi ed i criteri direttivi, cui deve attenersi il Governo nell’esercizio della delega, la ridefinizione dei requisiti per l'accesso all'incarico di direttore generale delle Aziende USL e delle Aziende ospedaliere, prevedendo anche la certificazione della frequenza di un corso regionale di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria, di durata non superiore a sei mesi, secondo modalità dettate dal Ministro della sanità (ora Ministro della salute), previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (d’ora in poi abbreviata in “Conferenza Stato Regioni”).
In attuazione della legge delega viene emanato il decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, che modifica radicalmente il decreto legislativo n. 502/1992 e contiene, tra l’altro, fondamentali disposizioni sulla formazione manageriale, riguardanti non soltanto i direttori generali e i direttori sanitari, ma tutti i dirigenti sanitari delle strutture sanitarie; inoltre, le Regioni possono estendere l’obbligo di siffatta formazione ai direttori amministrativi.
Dopo il decreto legislativo n. 229/1999, altri decreti legislativi hanno continuato a modificare il decreto n. 502/1992, senza toccare però la formazione manageriale. Sull’argomento sono invece intervenuti, con disposizioni molto dettagliate, il decreto del Ministro della Sanità 1 agosto 2000, per quanto riguarda i direttori generali, e l’accordo della Conferenza Stato Regioni del 10 luglio 2003, per quanto riguarda i dirigenti sanitari delle strutture complesse.
6. Tipologie di formazione del personale del Servizio sanitario nazionale secondo il testo vigente del decreto legislativo n. 502/1992. –Sulla formazione in generale del personale del Servizio sanitario nazionale, il testo attualmente vigente del decreto legislativo n. 502/1992 contiene parecchie disposizioni; tralasciando quelle del tutto marginali, vanno segnalate le seguenti:
a) il Piano sanitario nazionale indica, tra gli obiettivi, le esigenze relative alla formazione di base e gli indirizzi relativi alla formazione continua del personale, nonché al fabbisogno e alla valorizzazione delle risorse umane (art. 1, comma 10, lettera g);
b) corsi di diploma universitario per la formazione interdisciplinare di figure professionali di livello non dirigenziale operanti nell'area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria (art. 3, comma 4);
c) corsi a cura delle Regioni per le figure professionali operanti nell'area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria (art. 3, comma 5);
d) formazione degli specializzandi (art. 6, comma 2);
e) formazione per l'accesso ai ruoli dirigenziali del Servizio sanitario nazionale, da realizzare mediante specifici protocolli di intesa tra Università, Regioni, Aziende ospedaliere, Unità sanitarie locali e Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico (art. 6, comma 2);
f) formazione specialistica nelle scuole di specializzazione attivate presso le strutture sanitarie e istituzione di corsi di specializzazione presso i presidi ospedalieri delle Unità sanitarie locali (sempre l’art. 6, comma 2, e anche l’art. 16);
g) formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, da svolgere in sede ospedaliera (art. 6, comma 3);
h) programmi di formazione per la collaborazione dei farmacisti alle iniziative finalizzate a garantire il corretto utilizzo dei medicinali prescritti e il relativo monitoraggio, nonché a favorire l'aderenza dei malati alle terapie mediche (art. 8, comma 2, lettera b-bis, n. 2);
i) programmi per promuovere la formazione e l'aggiornamento degli operatori addetti alla gestione della documentazione clinica e alle attività di controllo (art. 8-octies, comma 3, lettera d);
l) formazione e aggiornamento, ad iniziativa di Regioni, Unità sanitarie locali e Aziende ospedaliere, del personale a contatto con il pubblico, sui temi inerenti la tutela dei diritti dei cittadini (art. 14, comma 8);
m) formazione medica (art. 16);
n) formazione continua (art. 16-bis), che comprende l'aggiornamento professionale e la formazione permanente.
7. La formazione manageriale dei direttori generali e dei direttori amministrativi del Servizio sanitario nazionale secondo la disciplina attualmente vigente. – Per i direttori generali, la disposizione fondamentale era contenuta nell’art. 3-bis, comma 4, del decreto legislativo n. 502/1992 e i direttori generali dovevano produrre, entro diciotto mesi dalla nomina, il certificato di frequenza di uno dei corsi di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria.
Adesso, la disciplina è notevolmente mutata per effetto del decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 171.
Questa normativa ha istituito, presso il Ministero della salute, l'elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generaledelle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale, che verrà aggiornato ogni due anni.
L'iscrizione nell'elenco è valida, di regola per quattro anni e l’elenco è pubblicato sul sito internet del Ministero della salute.
Per la formazione dell'elenco, è nominata ogni due anni, con decreto del Ministro della salute, una commissione composta da cinque membri, di cui uno designato dal Ministro della salute con funzioni di presidente (scelto tra i giudici ordinari, amministrativi, contabili e tra gli avvocati dello Stato) e quattro esperti, di comprovata competenza ed esperienza, in particolare in materia di organizzazione sanitaria o di gestione aziendale, di cui uno designato dal Ministro della salute, uno designato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), e due designati dalla Conferenza permanente per i rapporti Stato - regioni.
I componenti della commissione possono essere nominati una sola volta e restano in carica per il tempo necessario alla formazione dell'elenco e per le attività connesse e conseguenziali.
La commissione procede alla formazione dell'elenco nazionale, entro centoventi giorni dalla data di insediamento, previa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e sul sito internet del Ministero della salute di un avviso pubblico di selezione per titoli (l’avviso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 3 ottobre 2017).
Alla selezione sono ammessi i candidati, che non abbiano compiuto sessantacinque anni di età, in possesso di:
a) diploma di laurea di cui all'ordinamento universitario previgente oppure laurea specialistica o magistrale in base all’ordinamento vigente;
b) comprovata esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, nel settore sanitario o settennale in altri settori, con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche e finanziarie, maturata nel settore pubblico o nel settore privato;
c) attestato rilasciato all'esito del corso regionale di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria, organizzato e attivato in collaborazione con le università o altri soggetti pubblici o privati accreditati, operanti nel campo della formazione manageriale.
Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 171 del 2016 (cioè a partire dal 18 settembre 2016), con Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti Stato - regioni, sono definiti i contenuti, la metodologia delle attività didattiche tali da assicurare un più elevato livello della formazione, la durata dei corsi e il termine per l'attivazione degli stessi, nonché le modalità di conseguimento della certificazione.
Sono fatti salvi gli attestati di formazione conseguiti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 171 del 2016, nonché gli attestati in corso di conseguimento, anche se conseguiti in data posteriore all'entrata in vigore del suddetto decreto, purché i corsi siano iniziati in data antecedente alla data di stipula dell'Accordo Stato - regioni.
I requisiti di ammissione sopra indicati devono essere posseduti alla data di scadenza del termine stabilito per la presentazione della domanda di ammissione. Alle domande dovranno essere allegati il curriculum formativo e professionale e l'elenco dei titoli valutabili.
La partecipazione alla procedura di selezione è subordinata al versamento ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato di un contributo pari ad euro 30, non rimborsabile.
La commissione procede alla valutazione dei titoli formativi e professionali e della comprovata esperienza dirigenziale assegnando un punteggio secondo i parametri che indicheremo tra breve e criteri specifici predefiniti nell'avviso pubblico di selezione, considerando:
a) relativamente alla comprovata esperienza dirigenziale, la tipologia e dimensione delle strutture nelle quali è stata maturata, anche in termini di risorse umane e finanziarie gestite, la posizione di coordinamento e responsabilità di strutture con incarichi di durata non inferiore a un anno, nonché eventuali provvedimenti di decadenza, o provvedimenti assimilabili;
b) relativamente ai titoli formativi e professionali che devono comunque avere attinenza con le materie del management e della direzione aziendale, l'attività di docenza svolta in corsi universitari e post universitari presso istituzioni pubbliche e private di riconosciuta rilevanza, delle pubblicazioni e delle produzioni scientifiche degli ultimi cinque anni, il possesso di diplomi di specializzazione, dottorati di ricerca, master, corsi di perfezionamento universitari di durata almeno annuale, abilitazioni professionali, ulteriori corsi di formazione di ambito manageriale e organizzativo svolti presso istituzioni pubbliche e private di riconosciuta rilevanza della durata di almeno 50 ore, con esclusione dei corsi già valutati quali requisito d'accesso.
Il punteggio massimo complessivamente attribuibile dalla commissione a ciascun candidato è di 100 puntie possono essere inseriti nell'elenco nazionale i candidati che abbiano conseguito un punteggio minimo non inferiore a 70 punti.
Il punteggio è assegnato ai fini dell'inserimento del candidato nell'elenco nazionale, che è pubblicato secondo l'ordine alfabetico dei candidati senza l'indicazione del punteggio conseguito nella selezione.
Ai fini della valutazione dell'esperienza dirigenziale maturata nel settore sanitario, pubblico o privato, la Commissione fa riferimento all'esperienza acquisita nelle strutture autorizzate all'esercizio di attività sanitaria, del settore farmaceutico e dei dispositivi medici, nonché negli enti a carattere regolatorio e di ricerca in ambito sanitario.
L'esperienza dirigenziale valutabile dalla Commissione è esclusivamente l'attività di direzione dell'ente, dell'azienda, della struttura o dell'organismo ovvero di una delle sue articolazioni comunque contraddistinte, svolta, a seguito di formale conferimento di incarico, con autonomia organizzativa e gestionale, nonché diretta responsabilità di risorse umane, tecniche o finanziarie, maturata nel settore pubblico e privato.
Non si considera esperienza dirigenziale valutabile l'attività svolta a seguito di incarico comportante funzioni di mero studio, consulenza e ricerca.
La Commissione valuta esclusivamente le esperienze dirigenziali maturate dal candidato negli ultimi sette anni, attribuendo un punteggio complessivo massimo non superiore a 60 punti, tenendo conto di una serie di elementi (il decreto legislativo n. 171 del 2016 indica nel dettaglio le modalità delle valutazioni, che qui omettiamo).
La Commissione valuta i titoli formativi e professionali posseduti dal candidato attribuendo un punteggio, complessivo massimo non superiore a 40 punti.
Non possono essere reinseriti nell'elenco nazionale coloro che siano stati dichiarati decaduti dal precedente incarico di direttore generale per violazione degli obblighi di trasparenza di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, come modificato dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97.
Le regioni nominano direttori generali esclusivamente gli iscritti all'elenco nazionale dei direttori generali. A tale fine, ciascuna regione rende noto, con apposito avviso pubblico, pubblicato sul proprio sito internet istituzionale, l'incarico che intende attribuire, ai fini della manifestazione di interesse da parte dei soggetti iscritti nell'elenco nazionale.
La valutazione dei candidati per titoli e colloquio è effettuata da una commissione regionale, nominata dal Presidente della Regione, secondo modalità e criteri definiti dalle Regioni, anche tenendo conto di eventuali provvedimenti di accertamento della violazione degli obblighi in materia di trasparenza.
La commissione, composta da esperti, indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d'interessi, di cui uno designato dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, e uno dalla regione, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, propone al presidente della regione una rosa di candidati, nell'ambito dei quali viene scelto quello che presenta requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell'incarico da attribuire.
Nella rosa proposta non possono essere inseriti coloro che abbiano ricoperto l'incarico di direttore generale, per due volte consecutive, presso la medesima azienda sanitaria locale, la medesima azienda ospedaliera o il medesimo ente del Servizio sanitario nazionale.
Il provvedimento di nomina, di conferma o di revoca del direttore generale è motivato e pubblicato sul sito internet istituzionale della regione e delle aziende o degli enti interessati, unitamente al curriculum del nominato, nonché ai curricula degli altri candidati inclusi nella rosa.
All'atto della nomina di ciascun direttore generale, le regioni definiscono e assegnano, aggiornandoli periodicamente, gli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi con riferimento alle relative risorse, gli obiettivi di trasparenza, finalizzati a rendere i dati pubblicati di immediata comprensione e consultazione per il cittadino, con particolare riferimento ai dati di bilancio sulle spese e ai costi del personale, da indicare sia in modo aggregato che analitico, e ferma restando la piena autonomia gestionale dei direttori stessi.
La durata dell'incarico di direttore generale non può essere inferiore a tre anni e superiore a cinque anni.Alla scadenza dell'incarico, ovvero, nelle ipotesi di decadenza e di mancata conferma dell'incarico, le regioni procedono alla nuova nomina, previo espletamento delle procedure sopra descritte.
In caso di commissariamento delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale, il commissario è scelto tra i soggetti inseriti nell'elenco nazionale.
Trascorsi ventiquattro mesi dalla nomina di ciascun direttore generale, la regione, entro novanta giorni, sentito il parere del sindaco o della Conferenza dei sindaciovvero, per le aziende ospedaliere, della Conferenza di cui all'art. 2, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 502/1992, verifica i risultati aziendali conseguiti e il raggiungimento degli obiettivi stabiliti, e in caso di esito negativo dichiara, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, la decadenza immediata dall'incarico con risoluzione del relativo contratto, in caso di valutazione positiva la Regione procede alla conferma con provvedimento motivato.
Il decreto legislativo n. 171 del 2016 contiene anche disposizioni per il conferimento dell'incarico di direttore sanitario, direttore amministrativo e, se previsto dalle leggi regionali, di direttore dei servizi socio-sanitari.
Il direttore generale, nel rispetto dei principi di trasparenza, nomina il direttore amministrativo, il direttore sanitario e, dove previsto dalle leggi regionali, il direttore dei servizi socio sanitari, attingendo obbligatoriamente agli elenchi regionali di idonei, anche di altre regioni, appositamente costituiti, previo avviso pubblico e selezione per titoli e colloquio, effettuati da una commissione nominata dalla regione, composta da esperti di qualificate istituzioni scientifiche indipendenti che non si trovino in situazioni di conflitto d'interessi, di comprovata professionalità e competenza nelle materie oggetto degli incarichi, di cui uno designato dalla regione.
La commissione valuta i titoli formativi e professionali, scientifici e di carriera presentati dai candidati, secondo specifici criteri indicati nell'avviso pubblico, definiti, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti Stato - regioni, fermi restando i requisiti previsti per il direttore amministrativo e il direttore sanitario dall'art. 3, comma 7, e dall'art. 3-bis, comma 9, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.
L'elenco regionale è aggiornato con cadenza biennale. L'incarico di direttore amministrativo, di direttore sanitario e, ove previsto dalle leggi regionali, di direttore dei servizi socio sanitari, non può avere durata inferiore a tre anni e superiore a cinque anni.
8. La disciplina dei corsi di formazione per i direttori generali (eventualmente estesi dalle Regioni ai direttori amministrativi), concernente i contenuti, la metodologia didattica, la durata, le modalità di conseguimento della certificazione, in attesa della nuova organizzazione promessa dal decreto 171/2016, è rintracciabile nel decreto del Ministro della Sanità 1 agosto 2000“Disciplina dei corsi di formazione dei direttori generali delle aziende sanitarie (Il decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 300 del 27 dicembre 2000).
Le aree tematiche fondamentali sono: la sanità pubblica, l’organizzazione e gestione dei servizi sanitari, la gestione economico-finanziaria, le risorse umane e organizzazione del lavoro, articolate principalmente secondo le indicazioni contenute nell’allegato al decreto stesso.
Le Regioni possono organizzare i corsi, prevedendo ulteriori contenuti di tipo teorico, pratico od operativo, ritenuti necessari in rapporto alle particolari situazioni sanitarie, sociali ed ambientali locali.
Occorre notare che le aree tematiche fondamentalisono pressoché identiche a quelle per direttori sanitari e dirigenti delle strutture complesse.
Al termine del periodo di formazione, viene rilasciata ai corsisti che abbiano seguito il numero totale delle ore previste (presa alla lettera questa indicazione comporta che i corsisti dovrebbero frequentare il cento per cento delle ore previste, il che è ovviamente assurdo, anche considerando che si tratta di persone che hanno notevoli impegni lavorativi. Probabilmente, come previsto per la formazione manageriale dei dirigenti di struttura complessa, è necessaria una frequenza dell’ottanta per cento delle ore complessive del corso) una certificazione di frequenza, comprovante il grado di acquisizione degli strumenti e delle tecniche propri del processo manageriale (per comprovare il grado di acquisizione, evidentemente, sono necessari degli esami, oltre al colloquio finaledi cui si dirà tra breve).
La certificazione di frequenza è rilasciata dalla Regione sulla base delle attestazioni dei responsabili degli enti e delle strutture che hanno tenuto i corsi. I legali rappresentanti di questi enti e strutture, immediatamente dopo lo svolgimento del colloquio finale, trasmettono, per ciascun candidato, alla Regione, l'attestazione del grado di proficua acquisizione degli strumenti e delle tecniche del processo manageriale e una dichiarazione sui giorni di effettiva frequenza.
9. La formazione manageriale dei direttori sanitari e dei dirigenti sanitari delle strutture complesse secondo la disciplina attualmente vigente. – Le ragioniin base alle quali i dirigenti sanitari delle strutture complesse debbono frequentare e superare i corsi di formazione manageriale. La spiegazione sta in più disposizioni dell’art. 15 del decreto 502/1992: questi dirigenti devono attuare programmi di attività promossi, valutati e verificati a livello dipartimentale ed aziendale, finalizzati all'efficace utilizzo delle risorse e all'erogazione di prestazioni appropriate e di qualità (comma 3); gli strumenti per la verifica annuale del loro operato rilevano la quantità e la qualità delle prestazioni sanitarie erogate in relazione agli obiettivi assistenziali assegnati, concordati preventivamente in sede di discussione del budget, in base alle risorse professionali, tecnologiche e finanziarie messe a disposizione, registrano gli indici di soddisfazione degli utenti e provvedono alla valutazione delle strategie adottate per il contenimento dei costi tramite l'uso appropriato delle risorse (comma 5); i dirigenti in esame svolgono funzioni di direzione e organizzazione delle strutture complesse e adottano le decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio, sono responsabili dell'efficace ed efficiente gestione delle risorse attribuite (comma 6).
In sintesi, come ricordato dalla parte introduttiva dell’accordo Stato Regioni del 10 luglio 2003, i dirigenti sanitari delle strutture complesse, per l'esercizio delle funzioni di direzione di un servizio pubblico essenziale, come quello sanitario, sono chiamati a possedere adeguate conoscenze e competenze non soltanto di natura professionale ma anche organizzativa e gestionale in un contesto di risorse finite.Essi devono farsi carico del così detto "governo clinico" del servizio sanitario, inteso come sintesi di autonomia professionale e responsabilità gestionale, ovvero come sintonia tra il piano della gestione operativa di settore e quello della gestione strategica aziendale.
Chiariti i suddetti aspetti, si può ora esaminare la formazione manageriale dei direttori sanitari e dei dirigenti sanitari delle strutture complesse, disciplinata - come già anticipato - dal testo vigente del decreto n. 502/1992, dall’accordo Stato Regioni del 10 luglio 2003, nonché dal D.P.R. n. 484/1997 nelle parti di esso che possono attualmente ritenersi ancora valide ed efficaci.
Ovviamente le principali disposizioni al riguardo sono contenute nell’art. 16-quinquies del decreto legislativo n. 502/1992: la formazione manageriale costituisce un requisito necessario per lo svolgimento degli incarichi di direttori sanitari e per la direzione delle strutture complesse da parte delle categorie dei medici, odontoiatri, veterinari, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi.
Essa si consegue, dopo l'assunzione dell'incarico (su questo punto la disposizione normativa è chiara ma non soddisfacente: non si capisce perché la formazione manageriale non potrebbe essere conseguita prima dell’assunzione dell’incarico. Anche sotto il profilo dell’effettiva preparazione edell’idoneità, risulta di gran lunga preferibile ed auspicabile una formazione conseguita prima del conferimento dell’incarico).
Il mancato superamento del primo corso, attivato dalla Regione successivamente al conferimento dell'incarico, determina la decadenza dall'incarico stesso.
Devono frequentare e superare i corsi i dirigenti sanitari delle strutture complesse delle Unità sanitarie locali, delle Aziende ospedaliere, degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, degli Istituti zooprofilattici sperimentali, degli Istituti ed Enti di cui all'art. 4, commi 12 e 13, del decreto legislativo n. 502/1992 (ad esempio: l'ospedale Galliera di Genova, l'Ordine Mauriziano, l'ospedale Bambino Gesù), nonché il personale degli enti e strutture pubbliche indicate all'art. 11 del D.P.R. n. 484/1997, al quale sia stata estesa la disciplina sugli incarichi dirigenziali di struttura complessa di cui al decreto legislativo n. 502/1992.
Per conseguire la formazione manageriale è necessario frequentare e superare, con le relative spese a carico dei partecipanti, appositi corsi organizzati ed attivati dalle Regioni, anche a livello interregionale. A tal fine le Regioni possono avvalersi delle Università e di soggetti pubblici e privati accreditati.
Il comma 2 dell’art. 16-quinquies stabilisce che le Regioni, previo accordo con il Ministero della sanità in sede di Conferenza Stato Regioni, organizzano ed attivano i corsi e, in questo modo, apre la strada all’accordo sulla formazione manageriale raggiunto nella Conferenza Stato Regioni del 10 luglio 2003.
L’accordo definisce le linee che permettono il riconoscimento reciproco delle attestazioni dei corsi manageriali seguiti dal personale sanitario e individua le condizioni che devono essere garantite affinché l'attestato sia riconosciuto valido.
Nei corsi deve essere riservata precedenza di iscrizione ai dirigenti sanitari in servizio presso le strutture sanitarie delle singole realtà.
Le Regioni organizzano, parallelamente ai suddetti corsi, iniziative di formazione continua su tematiche attinenti alla formazione manageriale, riservate ai dirigenti sanitari in possesso del certificato di formazione.
La durata dei corsi non deve essere inferiore a 100 ore di frequenza certificata. Le Regioni programmano corsi di durata superiore al fine di concedere un massimo di assenze fino al venti per cento delle attività globalmente programmate.
Una percentuale maggiore di assenze comporta l’esclusione dal colloquio finale. Nei casi di gravidanza, puerperio o malattia, il periodo di formazione può essere sospeso, fermo restando che l’intera sua durata non potrà essere ridotta e che il periodo di assenza dovrà essere recuperato nell’ambito di un altro corso.
I corsi sono riferiti prioritariamente a quattro aree tematiche: I) organizzazione e gestione dei servizi sanitari, II) indicatori di qualità dei servizi – sanità pubblica, III) gestione delle risorse umane, IV) criteri di finanziamento ed elementi di bilancio e controllo. L’allegato A al testo dell’accordo specifica i possibili contenuti delle quattro aree tematiche.
La metodologia didattica è di tipo prevalentemente attivo; le lezioni tradizionali (lezioni frontali) sono affiancate da strumenti quali analisi e discussione di casi didattici, incident, role playing, simulazioni e griglie di analisi, finalizzati a favorire, tramite la discussione in piccoli gruppi di lavoro, l’apprendimento dei contenuti oggetto del corso. le discussioni guidate, gli incidente, più in generale, tutti gli strumenti didattici sono focalizzati specificamente sulle tematiche inerenti la gestione dell’ambito socio - sanitario.
Proprio allo scopo di garantire l’effettiva utilizzazione delle metodologie didattiche attive, viene fissato un limite al numero di partecipanti che non potrà essere superiore a 30 unità per ogni singola classe del corso.
Il corso si conclude con un colloquio finale, tramite anche la presentazione e discussione di un elaborato, davanti ad una apposita commissione costituita secondo modalità disciplinate dalla Regione, della stessa dovranno comunque far parte docenti del corso.
Il superamento dell’esame finale comporta il rilascio, in copia unica, da parte della Regione del certificato di formazione (secondo il modello definito nell’allegato B all’accordo Stato Regioni).
Ciascuna Regione deve provvedere a costituire e mantenere un apposito albo pubblico, dove vengono iscritti i dirigenti sanitari cui è stato rilasciato il certificato di formazione manageriale.
I dirigenti sanitari che conseguono il certificato di formazione manageriale sono esclusi dall’obbligo di conseguire i crediti formativi dell’ECM di cui all’art. 16-quater del decreto legislativo n. 502/1992 nell’anno nel quale si conclude l’attività formativa.
L’accordo Stato Regioni prevede infine che la validità del certificato di formazione manageriale, una volta conseguito, resta ferma, ma il dirigente sanitario è comunque tenuto a partecipare con esito positivo ai corsi di formazione continua organizzati dalle Regioni nei trienni successivi alla data di conseguimento del certificato medesimo.
In questo modo è da ritenere abrogata per incompatibilità una disposizione poco assennata contenuta nel comma 1 dell’art. 7 del D.P.R. n. 484/1997, secondo cui l’attestato di formazione aveva un periodo di validità di sette anni dalla data del suo rilascio. Non era facile comprendere perché i dirigenti sanitari avrebbero dovuto tornare a svolgere un altro iter formativo dopo sette anni, quando il precedente corso aveva già fornito loro le necessarie conoscenze ed attitudini, arricchite e sviluppate in sette anni di esperienza pratica.
PARTE II
STRUTTURE SEMPLICI, STRUTTURE COMPLESSE, STRUTTURE SEMPLICI A VALENZA DIPARTIMENTALE
1. La legge 833 del 1978 non prevedeva le strutture semplici e complesse. - La legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 1978, n. 833) ha utilizzato moltissimo il termine “struttura”, però in senso ampio, generico, per riferirsi alle strutture sanitarie, pubbliche o private, complessivamente considerate o per indicarne singole parti, oppure in relazione alle strutture ospedaliere (Ad esempio, secondo l’art. 17 della legge n. 833 del 1978, gli stabilimenti ospedalieri sono strutture delle unità sanitarie locali. o alle loro articolazioni).
Un impiego più specifico della nozione di “struttura” può rinvenirsi nell’art. 10, che ha previsto l’organizzazione delle unità sanitarie locali in distretti sanitari di base, intesi come strutture tecnico-funzionali per l’erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento.
Tuttavia, la legge n. 833 del 1978 non si è occupata in alcun modo delle strutture semplici e delle strutture complesse, mentre già delineava abbastanza chiaramente l’organizzazione dipartimentale.
Prima di questa legge, anticipazioni sull’organizzazione dipartimentale erano contenute nell’art. 10 del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, sull’ordinamento interno dei servizi ospedalieri, in base al quale le amministrazioni ospedaliere, nell'ambito di ciascun ospedale, potevano realizzare strutture organizzative di tipo dipartimentale tra divisioni, sezioni e servizi affini e complementari, al fine della migliore efficienza operativa, dell'economia di gestione e del progresso tecnico e scientifico. Poi, l’art. 55 della legge 18 aprile 1975, n. 148, aveva stabilito che, nell'ambito del piano regionale ospedaliero, le Regioni promuovessero l'attuazione presso gli ospedali, aventi i requisiti, delle strutture organizzative di tipo dipartimentale previste dall'art. 10 del D.P.R. n. 128 del 1969, includendovi divisioni, sezioni e servizi affini e complementari e in collegamento con altre istituzioni sanitarie della zona servita dall'ospedale. In materia era anche intervenuto il D.M. (Sanità) 8 novembre 1976 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 313 del 24 novembre 1976),riguardante gli orientamenti per l’attuazione delle strutture dipartimentali, che richiedeva alle Regioni di promuovere, procedendo con gradualità, l’istituzione dei dipartimenti, comprendenti divisioni, sezioni e servizi affini e complementari degli ospedali anche in collegamento con istituzioni e strutture socio-sanitarie del territorio.
Ai sensi dell’art. 17, comma 2, le Regioni, nell'ambito della programmazione sanitaria, disciplinano con legge l'organizzazione dell'ordinamento degli ospedali in dipartimenti, in base al principio dell'interazione tra le divisioni, sezioni e servizi affini e complementari, e al principio del collegamento tra servizi ospedalieri ed extra ospedalieri in rapporto alle esigenze di definiti ambiti territoriali, nonché al principio della gestione dei dipartimenti stessi sulla base dell’integrazione delle competenze in modo da valorizzare anche il lavoro di gruppo.
Inoltre, in base all’art. 34, comma 1, sempre della legge n. 833 del 1978, le Regioni con legge disciplinano, nell'ambito dell’unità sanitaria locale e nel complesso dei servizi generali per la tutela della salute, l'istituzione di servizi a struttura dipartimentale che svolgono funzioni preventive, curative e riabilitative relative alla salute mentale.
2. Anche la versione originaria del decreto legislativo n. 502 del 1992 non si occupava delle strutture semplici e complesse. - Ugualmente, la versione originaria del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, di riordino della disciplina in materia sanitaria, adoperava moltissimo il termine “struttura”, ma lo impiegava, allo stesso modo della legge n. 833 del 1978, in senso ampio, generico, per riferirsi alle strutture sanitarie, pubbliche o private, o alle loro singole parti, oppure alle strutture ospedaliere e alle relative articolazioni, però mancava qualsiasi accenno al tema delle strutture semplici e delle strutture complesse.
Similmente alle aperture già contenute nella legge n. 833 del 1978, anche la versione originaria del decreto legislativo n. 502 del 1992 riservava spazi ai dipartimenti con disposizioni mantenute e ampliate dalle modificazioni normative intervenute negli anni successivi (v. paragrafo 6).
Da un lato, dettava un’indicazione organizzativa generale: le Regioni debbono provvedere a riorganizzare tutti i presidi ospedalieri in dipartimenti (art. 4, comma 10); dall’altro lato, due indicazioni specifiche prevedevano l’istituzione dei dipartimenti di emergenza (art. 4, comma 4) e dei dipartimenti di prevenzione (art. 7).
3. La dirigenza del ruolo sanitario secondo la versione originaria del decreto legislativo n. 502 del 1992. - Bisogna introdurre a questo punto (perché la normativa successiva instaurerà uno strettissimo collegamento con il tema delle strutture semplici e complesse) qualche elemento sulla disciplina della dirigenza del ruolo sanitario secondo la versione originaria dell’art. 15 del decreto legislativo n. 502 del 1992.
La dirigenza del ruolo sanitario (comprendente i dirigenti medici e quelli delle altre professioni sanitarie: odontoiatri, veterinari, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi) era suddivisa in due livelli, con i dirigenti di grado più elevato collocati al secondo livello e gli altri al primo.
Alla dirigenza di primo livello si accedeva mediante concorso pubblico, cui poteva partecipare soltanto chi soddisfaceva tre requisiti: a) la laurea nel corrispondente profilo professionale; b) l’iscrizione all'albo del rispettivo ordine professionale; c) il diploma di specializzazione nella disciplina interessata dal concorso.
Invece, la dirigenza di secondo livello era conferita, quale incarico, a chi possedeva l’idoneità nazionale all'esercizio delle funzioni di direzione (L’idoneità nazionale era disciplinata dall'art. 17 della versione originaria del decreto legislativo n. 502 del 1992).
L'attribuzione dell'incarico dirigenziale di secondo livello era disposta dal direttore della struttura sanitaria, in seguito alla pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale e alla formazione di una graduatoria da parte di un’apposita commissione di esperti, che a tanto provvedeva basandosi su un colloquio con gli interessati e sulla valutazione dei curricula professionali.
L’incarico dirigenziale di secondo livello aveva una durata, rinnovabile, di cinque anni.
Ai dirigenti medici e ai dirigenti delle altre professioni sanitarie del secondo livello erano attribuite le funzioni di direzione e organizzazione delle strutture sanitarie. A tal fine essi emanavano direttive, rivolte a tutto il personale operante nella struttura di appartenenza, e adottavano le decisioni e i provvedimenti necessari per il corretto espletamento del servizio.
In particolare, il dirigente medico di secondo livello poteva adottare gli indirizzi e, in caso di necessità, le decisioni sulle scelte riguardanti gli interventi preventivi, clinici, diagnostici e terapeutici.
Invece, ai dirigenti medici e ai dirigenti delle altre professioni sanitarie del primo livello erano attribuite funzioni di supporto, di collaborazione e corresponsabilità; inoltre, erano riconosciuti determinati ambiti di autonomia professionale nella struttura di appartenenza, da attuarsi nel rispetto delle direttive del responsabile della struttura stessa.
4. Il decreto legislativo n. 229 del 1999 introduce le strutture semplici e complesse. -La legge 30 novembre 1998, n. 419, aveva delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi di modificazione del decreto legislativo n. 502 del 1992, per attuare, tra gli altri, i seguenti principi e criteri direttivi (segnaliamo soltanto quelli che interessano il nostro argomento): verificare e completare il processo di aziendalizzazione delle strutture del Servizio sanitario nazionale; razionalizzare le strutture e le attività connesse alla prestazione di servizi sanitari, al fine di eliminare sprechi e disfunzioni; prevedere l'estensione del regime di diritto privato del rapporto di lavoro alla dirigenza sanitaria, determinando altresì criteri generali sulla cui base disciplinare, in sede di contrattazione collettiva nazionale, l'organizzazione del lavoro, con particolare riferimento al modello dipartimentale; precisare i criteri distintivi e gli elementi caratterizzanti per l'individuazione delle aziende unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, con particolare riguardo alle caratteristiche organizzative minime delle stesse ed al rilievo nazionale o interregionale delle aziende ospedaliere.
In attuazione della delega, viene emanato il decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229.
Il decreto, da un lato, usa moltissimo il termine “struttura” in senso ampio, generico, ancora più diffusamente di quanto avveniva con la legge n. 833 del 1978 e con la versione originaria del decreto legislativo n. 502 del 1992; dall’altro lato, introduce le strutture semplici e le strutture complesse.
Tutto ciò è possibile perché il decreto legislativo n. 229 ha creato un adeguato contesto nell’ambito del quale le suddette strutture possono operare: il completamento del processo di aziendalizzazione delle unità sanitarie locali (v. paragrafo 5), una maggiore incisività dell’organizzazione dipartimentale (v. paragrafo 6), la riforma della dirigenza sanitaria (v. paragrafo 7).
Successive normative hanno apportato ulteriori sviluppi e modificazioni, ma indubbiamente gli elementi di base, per una prima comprensione delle strutture semplici e complesse, la loro organizzazione secondo il modello dipartimentale, le reazioni degli anni recenti, sono contenuti nel decreto legislativo n. 229 del 1999.
5. L’istituzione delle strutture semplici e complesse è strettamente collegata al processo di trasformazione delle unità sanitarie locali in aziende. -L’art. 3 del decreto legislativo n. 229 del 1999 modifica l’articolo con lo stesso numero del decreto n. 502 del 1992 e ha un rilievo sistematico, perché costituisce le unità sanitarie locali in aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale, organizzate e funzionanti sulla base di un atto aziendale di diritto privato.
L'aziendalizzazione ha interessato anche gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, le aziende ospedaliere universitarie e le aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale, che sono state costituite o confermate in aziende, secondo il modello previsto per le unità sanitarie locali (V. in tal senso l’art. 4 del decreto legislativo n. 229 del 1999 che ha sostituito il comma 1 dell’art. 4 del decreto legislativo n. 502 del 1992).
Come è noto, in base alla legge istitutiva del Servizio sanitario, la legge n. 833 del 1978 (art. 15), le unità sanitarie locali erano configurate come strutture operative dei Comuni, singoli o associati, e delle Comunità montane. In sostanza, gli organi delle unità sanitarie locali erano espressione della politica locale (In particolare gli organi delle unità sanitarie locali erano costituiti: 1) dall'assemblea generale, formata dai rappresentanti dei Comuni associati, eletti con criteri di proporzionalità. Il loro numero era stabilito con legge regionale; 2) dal comitato di gestione, eletto dall’assemblea generale dei rappresentanti dei Comuni; 3) dal presidente, nominato dal comitato di gestione; 4) dal collegio dei revisori, composto di tre membri, uno dei quali designato dal Ministro del tesoro e uno dalla Regione).
Quattordici anni dopo, con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 502 del 1992, le unità sanitarie locali erano definite (art. 3) aziende, qualificabili come enti strumentali della Regione, dotate di personalità giuridica pubblica, autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica.
Unitamente alla qualificazione aziendale, venivano introdotte (sempre dall’art. 3) le figure del direttore generale (con tutti i poteri di gestione e di rappresentanza dell’unità sanitaria locale), del direttore amministrativo e del direttore sanitario.
Appena un anno dopo, l'art. 4 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, confermava la qualificazione delle unità sanitarie locali come aziende, però non più come enti strumentali della Regione.
Infine, il decreto legislativo n. 229 del 1999, come abbiamo accennato in precedenza, ha completato il processo di aziendalizzazione, qualificandole unità sanitarie locali come aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale.
Uno strumento di grande rilevanza, per l’aziendalizzazione e per dare concretezza all’autonomia imprenditoriale delle aziende sanitarie USL e ospedaliere, nonché fondamentale per l’individuazione delle strutture complesse e semplici, è rappresentato dall’atto aziendale di diritto privato, adottato dal direttore generale.
In questo senso depongono più articoli del decreto legislativo n. 502 del 1992, dopo le modificazioni inserite dal decreto legislativo n. 229 del 1999. In particolare, l’atto aziendale:
disciplina l’organizzazione e il funzionamento delle unità sanitarie locali (art. 3, comma 1-bis, prima parte);
individua le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico-professionale, soggette a rendicontazione analitica (art. 3, comma 1-bis, ultima parte);
disciplina l'attribuzione al direttore amministrativo, al direttore sanitario, nonché ai direttori di presidio, di distretto, di dipartimento e ai dirigenti responsabili di struttura, dei compiti, comprese, per i dirigenti di strutture complesse, le decisioni che impegnano l'azienda verso l'esterno e l'attuazione degli obiettivi definiti nel piano programmatico e finanziario aziendale (art. 15-bis, comma 1);
stabilisce i criteri e le modalità per affidare gli incarichi di direzione delle strutture e degli uffici (art. 15-bis, comma 2). E’ evidente che, prima di stabilire detti criteri e modalità, l’atto aziendale deve avere individuato le strutture semplici e quelle complesse;
stabilisce il numero degli incarichi di direzione di strutture semplici attribuibili ai dirigenti che abbiano svolto cinque anni di attività con valutazione positiva (art. 15-ter, comma 1). Anche, in questo caso, è evidente che, prima di decidere quali e quante strutture semplici possono essere dirette dai giovani dirigenti, l’atto aziendale ha individuato, quanto meno, le strutture semplici;
individua le articolazioni organizzative, cioè le strutture, che comportano responsabilità di gestione di risorse umane, tecniche o finanziarie (art. 15-quinquies, comma 5).
6. L’organizzazione dipartimentale delle attività delle aziende sanitarie. - Per quanto riguarda l’organizzazione dei servizi sanitari secondo il modello dipartimentale, vanno tenute in considerazione più disposizioni del decreto legislativo n. 229 del 1999.
La norma fondamentale è senz’altro rappresentata dall’art. 15, che inserisce, nel decreto legislativo n. 502 del 1992, l’art. 17-bis, intitolato ai dipartimenti, con l’affermazione dei seguenti principi: l'organizzazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle aziende sanitarie; il direttore di dipartimento è nominato dal direttore generale fra i dirigenti con incarico di direzione delle strutture complesse aggregate nel dipartimento; il direttore di dipartimento rimane titolare della struttura complessa cui è preposto; la preposizione ai dipartimenti strutturali, sia ospedalieri che territoriali e di prevenzione, comporta l'attribuzione, non soltanto di responsabilità professionali in materia clinico-organizzativa e della prevenzione, ma anche di responsabilità di tipo gestionale in ordine alla razionale e corretta programmazione e gestione della risorse assegnate per la realizzazione degli obiettivi attribuiti; per le finalità gestionali, il direttore di dipartimento predispone annualmente il piano delle attività e dell'utilizzazione delle risorse disponibili, negoziato con la direzione generale nell'ambito della programmazione aziendale; la programmazione delle attività dipartimentali, la loro realizzazione e le funzioni di monitoraggio e di verifica sono assicurate con la partecipazione attiva degli altri dirigenti e degli operatori assegnati al dipartimento.
Il principio di maggior rilevanza è il primo, quello che ravvisa nell'organizzazione dipartimentale il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle aziende sanitarie.
La legge n. 833 del 1978 e la versione originaria del decreto legislativo n. 502 del 1992 avevano segnalato l’importanza dell’organizzazione dipartimentale, ma – a differenza del decreto n. 229 del 1999 - non l’avevano estesa alla gestione operativa di tutte le aziende sanitarie USL e ospedaliere.
Altre disposizioni del decreto legislativo n. 502 del 1992, dopo le modificazioni inserite dal decreto n. 229 del 1999, che fanno espresso riferimento al modello organizzativo dipartimentale sono l’art. 3-quinquies, comma 1, lettera b); l’art. 4, comma 1-bis; l’art. 17, comma 1.
Inoltre, disposizioni più dettagliate, per il dipartimento di emergenza, sono contenute nell’art. 4, comma 1-bis, lettera d); per il dipartimento di prevenzione, negli artt. 7-bis, 7-ter, 7-quater, 7-octies.
L’art. 7-quater stabilisce, tra l’altro, che le Regioni disciplinino l'articolazione delle aree dipartimentali di sanità pubblica, della tutela della salute negli ambienti di lavoro e della sanità pubblica veterinaria, prevedendo strutture organizzative specificamente dedicate alla: a) igiene e sanità pubblica; b) igiene degli alimenti e della nutrizione; c) prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro; d) sanità animale; e) igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati; f) igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche (L’art. 7-quater è stato successivamente modificato dall’art. 1, comma 582, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2015), secondo cui l'articolazione delle aree dipartimentali nelle suddette strutture organizzative – che sono possibilmente individuate quali strutture complesse - rappresenta il livello di organizzazione che le Regioni assicurano per garantire l'esercizio delle funzioni comprese nei livelli essenziali di assistenza, nonché l'osservanza degli obblighi previsti dall'ordinamento dell'Unione europea).
Nell’ottobre del 2007, il Ministero della salute (Il Ministero della sanità era stato istituito con la legge 13 marzo 1958, n. 296; con la legge 3 agosto 2001, n. 317, il Ministero è stato ridenominato “Ministero della Salute")divulga il rapporto sull’indagine nazionale “I dipartimenti ospedalieri nel Servizio sanitario nazionale”.
Il capitolo I pone subito in evidenza che “l’organizzazione dipartimentale rappresenta il modello ordinario di gestione operativa delle attività a cui fare riferimento in ogni ambito del Servizio sanitario nazionale (SSN) con la finalità di assicurare la buona gestione amministrativa e finanziaria e dare concreta attuazione alle politiche di governo clinico. Il dipartimento è un’organizzazione integrata di unità operative omogenee, affini o complementari, ciascuna con obiettivi specifici, ma che concorrono al perseguimento di comuni obiettivi di salute. Esso, con il supporto di un sistema informativo adeguato alla valutazione della produttività e degli esiti in salute, rappresenta il modello organizzativo favorente l’introduzione e l’attuazione delle politiche di governo clinico quale approccio moderno e trasparente di gestione dei servizi sanitari; costituisce il contesto nel quale valorizzare le competenze professionali che, ponendosi quale fattore critico per il conseguimento degli obiettivi del dipartimento, rappresentano la principale risorsa dell’organizzazione”. I
l rapporto ministeriale delinea anche le possibili articolazioni del dipartimento (segnaliamo le più importanti, con le specificazioni fornite dal rapporto stesso):s
trutturale, caratterizzato dall’omogeneità, sotto il profilo delle attività o delle risorse umane e tecnologiche impiegate, delle unità organizzative di appartenenza (criterio centrato sulla produzione sanitaria); il termine strutturale viene inteso come aggregazione funzionale e fisica coinvolgendo unità collocate nella stessa area ospedaliera; ciò favorisce la gestione comune delle risorse umane, degli spazi, delle risorse tecnico-strumentali ed economiche assegnate;fun
zionale,aggrega unità operative non omogenee, interdisciplinari semplici e/o complesse, appartenenti contemporaneamente anche a dipartimenti diversi, al fine di realizzare obiettivi interdipartimentali e/o programmi di rilevanza strategica (criterio centrato su obiettivi comuni da realizzare); gest
ionale, dove si realizza la gestione integrata di attività assistenziali appartenenti ad aziende sanitarie diverse;azie
ndale, costituito da unità operative della stessa azienda; inter
aziendale, derivato dall’aggregazione di unità appartenenti ad aziende sanitarie diverse. Ildipa
rtimento aziendale può essere: ospedaliero, costituito esclusivamente da unità operative appartenenti all’ospedale; transmurale, costituito da unità intra ed extra ospedaliere facenti parte della stessa azienda; ad attività integrata o mista, costituito da unità ospedaliere ed universitarie. 7.Il de
cr
eto legislativo n. 229 del 1999 e la riforma della dirigenza del ruolo sanitario. - L’art. 13 del decreto legislativo n. 229 del 1999 sostituisce interamente anche l’art. 15 del decreto legislativo n. 502 del 1992 con un nutrito gruppo di disposizioni, che vanno dal nuovo art. 15 fino all’art. 15-undecies, dedicate prevalentemente alla dirigenza del ruolo sanitario(Si tratta, come abbiamo osservato nella parte iniziale del paragrafo 3, dei dirigenti medici e dei dirigenti delle altre professioni sanitarie: odontoiatri, veterinari, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi).Una dirig
enza che non è più suddivisa in due livelli, ma è collocata in un unico ruolo, distinto per profili professionali, e in un unico livello, articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e gestionali. Stando al
comma 2 dell’art. 15, il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (poi sostituito dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) dovrebbe contenere la disciplina generale della dirigenza sanitaria, salvo quanto previsto dal decreto n. 502 del 1992; in realtà, è vero esattamente l’opposto: la disciplina generale della dirigenza sanitaria è contenuta nel decreto legislativo n. 502 e, per quanto dal medesimo non previsto, bisogna fare riferimento al decreto n. 165 del 2001.Con la nu
ova normativa perde ogni fondamento la precedente distinzione tra dirigenti di primo e secondo livello e, come dispone l’art. 15-ter, ai dirigenti va affidata la direzione di strutture semplici o di strutture complesse, oppure lo svolgimento di funzioni di natura professionale, anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca, ispettive, di verifica e di controllo (Sulletip
ologie di incarichi conferibili, merita attenzione l’art. 27, comma 1, del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) dell’area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale, parte normativa quadriennio 1998 - 2001 e parte economica biennio 1998 – 1999: “Le tipologie di incarichi conferibili ai dirigenti medici e veterinari (adesso dirigenti sanitari) sono le seguenti: a) incari
chi di direzione di struttura complessa. Tra essi sono ricompresi l'incarico di direttore di dipartimento, di distretto sanitario o di presidio ospedaliero di cui al decreto legislativo n. 502 del 1992; b) incari
chi di direzione di struttura semplice; c) incari
chi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo; d) incari
chi di natura professionale conferibili ai dirigenti con meno di cinque anni di attività”. Bisogna a
ggiungere che, in base all’art. 15 del decreto legislativo n. 502 del 1992 (nella parte riguardante il dirigente sanitario alla prima assunzione): All'atto della prima assunzione, al dirigente sanitario sono affidati compiti professionali con precisi ambiti di autonomia da esercitare nel rispetto degli indirizzi del dirigente responsabile della struttura e sono attribuite funzioni di collaborazione e corresponsabilità nella gestione delle attività. A tali fi
ni il dirigente responsabile della struttura predispone e assegna al dirigente di prima assunzione un programma di attività finalizzato al raggiungimento degli obiettivi prefissati ed al perfezionamento delle competenze tecnico professionali e gestionali riferite alla struttura di appartenenza, tenuto conto della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, delle attitudini e capacità professionali del singolo dirigente.Invece, p
er il dirigente con 5 anni di attività che ha conseguito una valutazione positiva, sempre l’art. 15 in esame stabilisce che “sono attribuite funzioni di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca, ispettive, di verifica e di controllo, nonché possono essere attribuiti incarichi di direzione di strutture semplici”. L’art. 27
, comma 2, del sopra citato CCNL sottolinea l’assenza di sovra ordinazione tra incarichi di struttura semplice e incarichi di natura professionale: la definizione della tipologia degli incarichi di cui alle lettere b) – struttura semplice e c) – di natura professionale è una mera elencazione che non configura rapporti di sovra o sotto ordinazione degli incarichi, la quale discende esclusivamente dall'assetto organizzativo aziendale e dalla graduazione delle funzioni. I commi 8
e 9 del medesimo articolo del CCNL fissano la seguente distinzione nell’ambito degli incarichi professionali:per incarichi professionali si intendono quelli che hanno rilevanza all'interno della struttura di assegnazione e si caratterizzano per lo sviluppo di attività omogenee che richiedono una competenza specialistico - funzionale di base nella disciplina di appartenenza (comma 9). Per incar
ichi professionali di alta specializzazione si intendono articolazioni funzionali della struttura connesse alla presenza di elevate competenze tecnico professionali che producono prestazioni quali - quantitative complesse riferite alla disciplina ed organizzazione interna della struttura di riferimento (comma 8).8. Precar
ie definizioni e indicazioni per le strutture semplici e complesse. - Per individuare le strutture semplici e complesse, i commi 5 e 6 dell’art. 15-quinquies del decreto legislativo n. 502 del 1992 (come modificato dal decreto n. 229 del 1999) forniscono alcune definizioni e indicazioni. Ci limitiamo a riferirle con l’aggiunta di qualche considerazione, ma senza particolari approfondimenti, perché, fatta eccezione per la definizione di mera struttura, saranno tutte fortemente depotenziate dalla legislazione successiva (v. paragrafo 10). Di scarso
conforto è la constatazione che le definizioni e indicazioni, comunque, hanno avuto una durata di circa 13 anni (che non sarebbero pochi, alla luce delle continue e tormentate modificazioni della legislazione italiana), ma per varie ragioni, come vedremo alla fine del presente paragrafo, esse sono state spesso disattese.Iniziamo
dalle definizioni: la definizione basilare è quella riguardante la struttura, senza ulteriori aggettivi, intesa come l'articolazione organizzativa per la quale l'atto aziendale prevede la responsabilità di gestione di risorse umane, tecniche o finanziarie (art. 15-quinquies, comma 5).Non viene
definita, invece, la struttura semplice: si potrebbe pensare che la definizione del comma 5 abbia inteso descrivere le strutture semplici, perché sul piano concettuale non è facile concepire una struttura “più semplice” della struttura semplice. Tuttavia, la legislazione successiva imporrà proprio un’effrazione del genere alla logica e ci saranno strutture complesse, strutture semplici e strutture tout court.Anche la
contrattazione collettiva, in particolare il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) dell’area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale, parte normativa quadriennio 1998 - 2001 e parte economica biennio 1998 – 1999, ha provato a confrontarsi con il tema delle definizioni.Il princi
pale riferimento è costituito dall’art. 27 di quel contratto che, al comma 3, fornisce l’identica definizione di struttura fissata dal comma 5 dell’art. 15-quinquies.Più inter
essante risulta il comma 7 del medesimo art. 27 che offre maggiori elementi (rispetto all’art. 15-quinquies) per la definizione della struttura semplice: per la quale si intendono sia le articolazioni interne della struttura complessa sia quelle a valenza dipartimentale o distrettuale.In coeren
za con quanto sopra, il comma 6 del CCNL citato nel testo definisce in questo modo i distretti: “sono le strutture individuate dall’azienda, ai sensi dell’art. 3-quater del decreto legislativo n. 502 del 1992, per assicurare i servizi di assistenza primaria relativa alle attività sanitarie e di integrazione socio sanitaria. Ad essi sono assegnate le risorse di cui al comma 3, necessarie all’assolvimento delle funzioni attribuite con contabilità separata all’interno del bilancio aziendale”.] dotate della responsabilità e dell’autonomia relative alla gestione di risorse umane, tecniche o finanziarie.La defini
zione del CCNL presenta anche il pregio della suddivisione delle strutture semplici in due grandi tipologie: da un lato le articolazioni interne delle strutture complesse, dall’altro lato le strutture a valenza dipartimentale o distrettuale.In sostan
za, i dirigenti delle strutture semplici, ricadenti nella prima tipologia, hanno, come direttore sovraordinato, prima di tutti, il dirigente della struttura complessa e, poi, il dirigente della struttura dipartimentale o distrettuale; i dirigenti delle strutture a valenza dipartimentale o distrettuale hanno, come direttore sovraordinato, soltanto il direttore di dipartimento oppure quello di distretto [Questo a
spetto è colto dal contratto collettivo nazionale di lavoro dell'area della dirigenza sanitaria, professionale, tecnica e amministrativa del servizio sanitario nazionale, contratto integrativo del CCNL del 17 ottobre 2008, stipulato il 6 maggio 2010 (contratto integrativo non firmato da CGIL e UIL, ma firmato da altre sigle sindacali), dal quale risulta una dichiarazione congiunta n.1 del seguente tenore: “Per consentire alle aziende sanitarie ed ospedaliere di dare omogenea attuazione all’art. 4 (Disposizioni in materia di funzioni dirigenziali), le parti, ad integrazione di quanto già previsto nell’art. 27, comma 7, del CCNL dell’8 giugno 2000, ritengono di precisare che la struttura semplice si configura come un’articolazione interna di una struttura complessa aziendale, mentre la struttura semplice dipartimentale afferisce al dipartimento e non è incardinata all’interno di una struttura complessa”].Per quant
o riguarda le strutture complesse, il comma 6 dell’art. 15-quinquies stabilisce che si considerano tali i dipartimenti e le unità operative individuate secondo i criteri di cui all'atto di indirizzo e coordinamento previsto dall'art. 8-quater, comma 3 (un atto su cui torneremo tra breve). Anche il
comma 4 dell’art. 27 del sopra citato CCNL fornisce una definizione sostanzialmente analoga della struttura complessa, alla quale aggiunge le seguenti precisazioni nel comma successivo: “tra le strutture complesse, per dipartimento si intendono quelle strutture individuate dall'azienda per l'attuazione di processi organizzativi integrati. I dipartimenti aziendali, comunque siano definiti (strutturali, integrati, funzionali, transmurali etc), rappresentando il modello operativo delle aziende, svolgono attività professionali e gestionali. Ad essi sono assegnate le risorse di cui al comma 3 (umane, tecniche, finanziarie), necessarie all'assolvimento delle funzioni attribuite. I dipartimenti sono articolati al loro interno in strutture complesse e strutture semplici a valenza dipartimentale”.Bisogna a
nche notare che la contrattazione collettiva ha posto l’attenzione, tra le strutture, a quelle semplici con valenza dipartimentale, che hanno ottenuto parecchi e buoni risultati nella pratica attuazione. Dalle def
inizioni, possiamo passare ora alle indicazioni operative contenute nell’art. 15-quinquies, cioè all’individuazione del deus ex machinache effettivamente determinerà le strutture complesse.Il comma
6 (prima indicazione) dispone che si considerano strutture complesse – come abbiamo già accennato in precedenza – i dipartimenti e le unità operative individuate secondo i criteri di cuiall’atto governativo di indirizzo e coordinamento previsto dall’art. 8-quater, comma 3, del medesimo decreto(Più precisamente: l’art. 8 del decreto legislativo n. 229 del 1999, tra le varie modifiche, ha inserito l’art. 8-quater nel decreto n. 502 del 1992, secondo cui (comma 3, lettera p) un atto di indirizzo e coordinamento deliberato dal Consiglio dei ministri provvederà all’individuazione dell'organizzazione dipartimentale minima, delle unità operative e delle altre strutture complesse delle aziende USL e ospedaliere, in base alla consistenza delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie, al grado di autonomia finanziaria e alla complessità dell'organizzazione interna). L’atto no
n è mai stato deliberato dal Consiglio dei ministri e al suo posto la legislazione successiva ha fatto scendere in campo un diverso procedimento di individuazione (v. paragrafo 10).Il comma
6 (seconda indicazione) ha stabilito che, fino all'emanazione del predetto atto, si considerano strutture complesse tutte le strutture già riservate dalla pregressa normativa ai dirigenti di secondo livello dirigenziale. Non è sta
ta questa una buona indicazione per più motivi: in primo luogo, ha neutralizzato le definizioni (sia pure imperfette) delle strutture semplici e complesse; in secondo luogo, nella pratica attuazione, ha favorito una proliferazione delle strutture complesse agganciandole alla preesistente dirigenza di secondo livello; in terzo luogo, ha provocato la reazione degli anni successivi con la drastica riduzione delle strutture complesse e di quelle semplici.E’ esisti
ta infine ed ha operato una terza indicazione, fondata su più norme del decreto legislativo n. 502 del 1992, come modificato dal decreto n. 229 del 1999 (disposizioni che abbiamo indicato nella parte finale del paragrafo 5), ed ha consentito agli atti aziendali di diritto privato di individuare, nelle singole aziende, nuove strutture complesse in assenza dell’atto governativo di indirizzo e coordinamento. 9. Muta
me
nti nominalistici in attesa di più incisivi provvedimenti. - Il decreto legislativo 28 luglio 2000, n. 254, contenente disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo n. 229 del 1999, ha inserito nel decreto n. 502 del 1992 l’art. 15-terdecies, recante una strampalata precisazione (a che pro?), secondo cui i dirigenti del ruolo sanitario assumono le seguenti denominazioni, in relazione alla categoria professionale di appartenenza, all'attività svolta e alla struttura di appartenenza: a) responsabile di struttura complessa: direttore; b) dirigente responsabile di struttura semplice: responsabile. 10. Gli
s
tandard per l’individuazione delle strutture semplici e complesse. - La gravissima crisi economica iniziata nel 2007 e il crescente disavanzo provocato dalle spese pubbliche hanno indotto la legislazione a rivedere drasticamente, all’insegna della rideterminazione (più esattamente ancora, della riduzione) dei finanziamenti statali, molti settori dell’intervento pubblico e in particolare quello sanitario.Le misure
approvate conducono, tra l’altro, ad un sensibile diradamento delle strutture semplici e complesse.L’art. 79
, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha subordinato, per gli anni 2010 e 2011, l'accesso al finanziamento integrativo statale, rispetto al livello di finanziamento previsto per l'anno 2009, alla stipula di una specifica intesa fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, che preveda, tra gli altri, l’obbiettivo della riduzione delle spese per il personale degli enti dei Servizi sanitari regionali, da raggiungere anche con la fissazione di parametri standard per l'individuazione delle strutture semplici e complesse, nonché delle posizioni organizzative e di coordinamento rispettivamente delle aree della dirigenza e del personale.[L’art. 7
9, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’art. 22, comma 1, della legge 3 agosto 2009, n. 102, ha subordinato, per gli anni 2010 e 2011, l'accesso al finanziamento integrativo a carico dello Stato, rispetto al livello di finanziamento previsto per l'anno 2009, alla stipula di una specifica intesa fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, che, ad integrazione dei precedenti accordi e intese Stato-Regioni (8 agosto 2001, 23 marzo 2005, Patto per la salute del 5 ottobre 2006), contempli ai fini dell’efficienza del sistema e del conseguente contenimento della dinamica dei costi, nonché di non determinare tensioni nei bilanci regionali extra-sanitari e di non dover ricorrere necessariamente all'attivazione della leva fiscale regionale, preveda una serie di misure (riduzione dello standard dei posti letto, diretto a promuovere il passaggio dal ricovero ospedaliero ordinario al ricovero diurno e dal ricovero diurno all'assistenza in regime ambulatoriale; riduzione delle spese di personale degli enti del Servizio sanitario nazionale; l'impegno delle Regioni, nel caso in cui si profili uno squilibrio di bilancio del settore sanitario, ad attivare anche forme di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie da parte dei cittadini, ivi compresi i cittadini a qualsiasi titolo esenti ai sensi della vigente normativa, prevedendo altresì forme di attivazione automatica in corso d'anno in caso di superamento di soglie predefinite di scostamento dall'andamento programmatico della spesa). L’obbiettivo della riduzione delle spese per il personale deve essere raggiunto anche attraverso la fissazione di parametri standard per l'individuazione delle strutture semplici e complesse, nonché delle posizioni organizzative e di coordinamento rispettivamente delle aree della dirigenza e del personale del comparto del Servizio sanitario nazionale].L’intesa
è stata raggiunta, in data 3 dicembre 2009, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome, che hanno concordato il Patto per la salute per gli anni 2010 – 2012, prevedendo (art. 12): misure per la fissazione di parametri standard per l'individuazione delle strutture semplici e complesse e l’adozione da parte del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (d’ora in poi Comitato LEA) di uno standard di riferimento per la verifica della coerenza dei parametri adottati dalle singole Regioni e Province autonome.L’istituz
ione, presso il Ministero della salute, del Comitato LEA è stata prevista dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, in data 23 marzo 2005. Il Comitato è stato istituito con decreto del Ministro della salute del 21 novembre 2005.In data 2
6 marzo 2012, il Comitato LEA ha adottato gli standard per l’individuazione delle strutture semplici e complesse del Servizio sanitario nazionale, mentre ha rinviato ad un periodo successivo l’individuazione di quelli riguardanti le funzioni di coordinamento e le posizioni organizzative.[Come bas
e informativa per la definizione degli standard, il Comitato ha utilizzato il numero di strutture complesse e di strutture semplici previste, fornito dalle Regioni e Province autonome, però ha escluso dalla metodologia di individuazione degli standard il valore rilevato nelle Regioni in piano di rientro dai disavanzi sanitari (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia ) in quanto soggette alla revisione della propria offerta sanitaria, in particolare ospedaliera, nonché al recupero dell’inappropriatezza. Sono stati impiegati i seguenti indicatori: per le strutture complesse ospedaliere, il numero di posti letto pubblici per struttura complessa ospedaliera prevista; per le strutture complesse non ospedaliere, il numero di abitanti residenti per struttura complessa non ospedaliera prevista; per le strutture semplici, il rapporto tra strutture semplici previste e strutture complesse previste. Lo standard definito per le strutture complesse non ospedaliere è stato distinto in funzione del numero di abitanti residenti nella Regione, a seconda di una popolazione superiore o inferiore a 2 milioni e 500 mila abitanti.] I paramet
ri standard per l’individuazione delle strutture semplici e complesse sono i seguenti:per la st
ruttura complessa ospedaliera prevista, lo standard è di 17,5 posti letto;per la st
ruttura complessa non ospedaliera prevista, lo standard, riferito a Regioni con popolazione inferiore a 2 milioni e 500 mila abitanti, è di 9.158 residenti;per la st
ruttura complessa non ospedaliera prevista, lo standard, riferito a Regioni con popolazione superiore a 2 milioni e 500 mila abitanti, è di 13.515 residenti;per le st
rutture semplici previste, lo standard è di 1,31 strutture semplici per struttura complessa.Come elem
ento aggiuntivo in applicazione degli standard, le Regioni e le Province autonome che soddisfano gli standard individuati, non aumentano il numero di incarichi di struttura complessa e semplice. Le Region
i sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari sono tenute ad emanare, entro il 31 dicembre 2012, apposite direttive affinché le aziende approvino specifici provvedimenti di riorganizzazione aziendale diretti al contenimento del numero delle strutture semplici e complesse entro i limiti previsti dai predetti standard, fermi restando comunque i vincoli finanziari ed organizzativi previsti per il personale dai rispettivi piani di rientro e/o programmi operativi.Le Region
i non sottoposte ai piani di rientro devono presentare relazioni in merito alle iniziative adottate per l’adeguamento graduale ai predetti standard, ai fini della verifica degli adempimenti, a partire dal 2012. 11. La
Sp
ending review bis: riduzione dei posti letto ospedalieri e delle strutture complesse. - L’art. 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95:Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, conosciuto sotto il nome di “Spending review bis”, e convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (Il primo provvedimento sulla spending reviewera stato quello contenuto nel decreto-legge 7 maggio 2012, n. 52, convertito, con modificazioni dalla legge 6 luglio 2012, n. 94.), ha disposto che le Regioni adottinoprovvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, fissando specifici livelli di riduzione e che la riduzione dei posti letto a carico dei presidi ospedalieri pubblici debba essere conseguita esclusivamente attraverso la soppressione di unità operative complesse.[Il testo
dell’art. 15, comma 13, lettera c), è il seguente: “sulla base e nel rispetto degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera fissati, entro il 31 ottobre 2012, con regolamento approvato ai sensi dell'art. 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, previa intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nonché tenendo conto della mobilità interregionale, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adottano, nel rispetto della riorganizzazione di servizi distrettuali e delle cure primarie finalizzate all'assistenza 24 ore su 24 sul territorio adeguandoli agli standard europei, entro il 31 dicembre 2012, provvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie, adeguando coerentemente le dotazioni organiche dei presidi ospedalieri pubblici ed assumendo come riferimento un tasso di ospedalizzazione pari a 160 per mille abitanti di cui il 25 per cento riferito a ricoveri diurni. La riduzione dei posti letto è a carico dei presidi ospedalieri pubblici per una quota non inferiore al 50 per cento del totale dei posti letto da ridurre ed è conseguita esclusivamente attraverso la soppressione di unità operative complesse. Nelle singole Regioni e Province autonome, fino ad avvenuta realizzazione del processo di riduzione dei posti letto e delle corrispondenti unità operative complesse, è sospeso il conferimento o il rinnovo di incarichi ai sensi dell'art. 15-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni. Nell'ambito del processo di riduzione, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano operano una verifica, sotto il profilo assistenziale e gestionale, della funzionalità delle piccole strutture ospedaliere pubbliche, anche se funzionalmente e amministrativamente facenti parte di presidi ospedalieri articolati in più sedi, e promuovono l'ulteriore passaggio dal ricovero ordinario al ricovero diurno e dal ricovero diurno all'assistenza in regime ambulatoriale, favorendo l'assistenza residenziale e domiciliare”.] 12. Le
st
rutture complesse nel Patto per la salute 2014-2016. La Confer
enza Stato-Regioni del 10 luglio 2014 ha sancito l’intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, concernente il Patto per la salute per gli anni 2014 – 2016.Per quant
o riguarda le strutture complesse, il Patto, all’art. 19, commi 2 e seguenti, stabilisce che le Regioni ritengono di dover adottare tutte le iniziative necessarie a rendere i sistemi regionali di sanità pubblica veterinaria e di sicurezza alimentare sempre più efficaci ed efficienti nelle attività di prevenzione, vigilanza e controllo, con l'obiettivo di migliorare: a) il livello di tutela della salute dei cittadini/consumatori; b) il livello di garanzia e di qualificazione igienico-sanitaria e nutrizionale degli alimenti destinati al consumo umano; c) il benessere animale d) la qualità igienico-sanitaria degli alimenti destinati al consumo animale; e) la tracciabilità di filiera.A tal fin
e le Regioni si impegnano a garantire che le aziende sanitarie locali, per quel che concerne la sicurezza alimentare e la sanità pubblica veterinaria, rispettino l'articolazione organizzativa prevista dai commi 2 e 4 dell'art. 7-quater del decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni, riconoscendo l'opportunità che le unità operative deputate alle funzioni specifiche sopra richiamate siano possibilmente configurate come unità operative complesse e siano dotate di personale adeguato. Sembrereb
be una manovra in controtendenza capace di creare qualche nuova struttura complessa, ma viene precisato che l'applicazione, in materia di personale, deve avvenire nel rispetto dei vincoli di spesa previsti dalla legislazione vigente e, per le Regioni sottoposte a piani di rientro, anche nel rispetto di quelli fissati da detti piani nonché dei parametri standard per la definizione delle strutture complesse e semplici adottati dal Comitato LEA in data 26 marzo 2012. 13. L’u
lt
eriore diradamento delle strutture semplici e complesse: il decreto n. 70 del 2015. Il decret
o 2 aprile 2015, n. 70, adottato dal Ministro della salute di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, contiene il regolamento sulla definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera. Il decret
o trova la propria fonte legittimante nell’art. 1,comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, secondo cui, con regolamento adottato ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono fissati gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito, e quantitativi di cui ai livelli essenziali di assistenza.L’art. 1
del regolamento individua, nell’allegato 1, gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi delle strutture dedicate all'assistenza ospedaliera, demandando alle Regioni, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento stesso, l’adozione di provvedimenti generali di programmazione e dei relativi provvedimenti attuativi per la riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri, accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti (Comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie.), in modo che, entro il triennio di attuazione del Patto per la salute 2014-2016, sia conseguito il progressivo adeguamento agli standard.Il comma
3 dell’art. 1 fissa i criteri che ciascuna Regione deve rispettare per il calcolo della dotazione dei posti letto.L’allegat
o 1 al regolamento, nella parte finale del punto 1.3, stabilisce: per quanto attiene alle strutture sanitarie pubbliche si richiamano gli standard sulle unità operative semplici e complesse, approvati nella seduta del 26 marzo 2012 dal Comitato LEA.Le strutt
ure ospedaliere, che erogano prestazioni in regime di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo e diurno per acuti, sono organizzate secondo tre livelli di complessità crescente: i presidi
ospedalieri di base, con bacino di utenza compreso, di regola, tra 80.000 e 150.000 abitanti; Sono strutture dotate di sede di Pronto Soccorso con la presenza di un numero limitato di specialità ad ampia diffusione territoriale: Medicina interna, Chirurgia generale, Ortopedia, Anestesia e servizi di supporto in rete di guardia attiva e/o in regime di pronta disponibilità sulle 24 ore di Radiologia, Laboratorio, Emoteca. Devono essere dotati, inoltre, di letti di "Osservazione Breve Intensiva". i presidi
ospedalieri di I livello, con bacino di utenza compreso tra 150.000 e 300.000 abitanti Sono strutture sede di Dipartimento di emergenza accettazione (DEA) di I livello, dotate delle seguenti specialità: Medicina interna, Chirurgia generale, Anestesia e Rianimazione, Ortopedia e Traumatologia, Ostetricia e Ginecologia (se prevista per numero di parti/anno), Pediatria, Cardiologia con unità di terapia intensiva cardiologica (U.T.I.C.), Neurologia, Psichiatria, Oncologia, Oculistica, Otorinolaringoiatria, Urologia, con servizio medico di guardia attiva e/o di reperibilità oppure in rete per le patologie che la prevedono. Devono essere presenti o disponibili in rete sulle 24 ore i Servizi di Radiologia almeno con Tomografia assiale computerizzata (T.A.C.) ed Ecografia, Laboratorio, Servizio immunotrasfusionale. Per le patologie complesse (quali i traumi, quelle cardiovascolari, lo stroke) devono essere previste forme di consultazione, di trasferimento delle immagini e protocolli concordati di trasferimento dei pazienti presso i centri di II livello. Devono essere dotati, inoltre, di letti di "Osservazione breve intensiva" e di letti per la Terapia subintensiva (anche a carattere multidisciplinare).;i presidi
ospedalieri di II livello, con bacino di utenza compreso tra 600.000 e 1.200.000 abitanti Sono strutture dotate di DEA di II livello. Sono presidi istituzionalmente riferibili alle Aziende ospedaliere, alle Aziende ospedaliero universitarie, a taluni Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) e a presidi di grandi dimensioni della Azienda sanitaria locale. Tali presidi sono dotati di tutte le strutture previste per l'ospedale di I Livello, nonché di strutture che attengono alle discipline più complesse non previste nell'ospedale di I livello, quali a titolo indicativo: Cardiologia con emodinamica interventistica nelle 24 ore, Neurochirurgia, Cardiochirurgia e Rianimazione cardiochirurgica, Chirurgia vascolare, Chirurgia toracica, Chirurgia maxillo-facciale, Chirurgia plastica, Endoscopia digestiva ad elevata complessità, Broncoscopia interventistica, Radiologia interventistica, Rianimazione pediatrica e neonatale, Medicina nucleare e altre eventuali discipline di alta specialità; devono essere presenti nelle 24 ore i Servizi di Radiologia con almeno T.A.C. ed Ecografia (con presenza medica), Laboratorio, Servizio immunotrasfusionale..L’allegat
o I al regolamento esprime anche l’opinione che il numero di strutture complesse ospedaliere risultanti sia anche perfettamente compatibile con l'orientamento del Ministero della salute (17,5 posti letto per struttura complessa previsto dal Comitato LEA) e riferibile ad ogni singola disciplina. E’ un’opi
nione esageratamente ottimistica, perché poco dopo l’allegato I riconosce che l'introduzione di soglie di volume minime comporterà un'ulteriore riduzione di posti letto, in particolare per le strutture complesse delle discipline chirurgiche, che nelle Regioni in piano di rientro si aggira sul 25% mentre nelle restanti Regioni è di circa il 10%. Per l'area medica la riduzione è minore, ma comunque significativa per la rete Cardiologica.Per quant
o concerne le strutture complesse senza posti letto (laboratorio analisi, radiologia, anatomia patologica, centro trasfusionale, direzione sanitaria, farmacia ospedaliera, ecc.) è stato identificato, sulla base delle prestazioni attese, nonché della necessità della presenza di tali discipline nei Dea di I livello, un bacino di utenza tra 150.000/300.000 abitanti. Le soglie
di volume minime fissate dall’allegato I si applicano a tutti i soggetti pubblici e privati accreditati. Nelle more delle definizioni anche di tipo qualitativo, sono definite valide determinate soglie minime di volume di attività: per fare degli esempi, per gli interventi chirurgici per frattura di femore, sono necessari 75 interventi annui per la struttura complessa; 200 interventi annui di by passaorto-coronarico isolato per la struttura complessa; 100 casi annui di infarti miocardici in fase acuta di primo ricovero per ospedale. 14. La
Co
nferenza Stato-Regioni del 2 luglio 2015 e l’intesa sulle misure per la razionalizzazione e l’efficienza della spesa per il Servizio sanitario nazionale. Il 2 lugl
io 2015, nel corso della Conferenza Stato-Regioni, è stata sancita l’intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano sulle misure di razionalizzazione e di efficienza della spesa del Servizio sanitario nazionale.In partic
olare, per quanto riguarda l’applicazione del decreto ministeriale n. 70 del 2015, il punto C.3 dell’intesa stabilisce che la riorganizzazione della rete ospedaliera comporterà in molte Regioni una riduzione di strutture semplici e complesse. Di conseguenza, gli atti aziendali dovranno prevedere una rideterminazione degli incarichi di struttura semplice e complessa cui sono associate specifiche voci retributive che, in base alla normativa vigente, confluirebbero nei fondi della contrattazione integrativa. Le risorse così liberate sono portate permanentemente in riduzione dell'ammontare complessivo dei fondi destinati annualmente al trattamento accessorio. 15. Uno
s
guardo d’insieme.Oggi, dop
o le vicende accennate negli ultimi paragrafi, le definizioni contenute nell’art. 15-quinquies del decreto legislativo n. 502 del 1992, possono valere, al massimo, come un primo approccio alla comprensione di che cosa intendere per strutture semplici e complesse. L’unica definizione che sopravvive è quella di mera struttura.Infatti,
rispetto a quelle definizioni, è indispensabile tenere conto: a) degli
standard per l’individuazione delle strutture complesse e semplici fissati dal Comitato LEA e basati sul numero, che deve sensibilmente diminuire, dei posti letto (per le strutture complesse ospedaliere); dello stabile rapporto quantitativo da rispettare tra il numero delle strutture semplici ospedaliere e il numero delle strutture complesse; su un prestabilito numero di residenti nelle Regioni (per le strutture complesse non ospedaliere);b) dell’i
ntroduzione di soglie di volume minime di interventi per le strutture complesse ospedaliere di parecchie discipline;c) dei vi
ncoli di spesa previsti dalla legislazione in materia sanitaria e, per le Regioni sottoposte a piani di rientro, anche dei vincoli fissati da detti piani.Tutto ciò
sta determinando la trasformazione di parecchie strutture complesse in strutture semplici o in strutture semplici a valenza dipartimentale e la trasformazione di strutture semplici in mere strutture.Perdura,
invece, l’organizzazione dipartimentale, anche se impoverita nel numero delle strutture complesse e semplici. Tar Ca
la
b
ria – Sezione II - Sentenza n. 892 del 5.6.2017: La normativa contrattuale "esclude che possano esservi rapporti di subordinazione tra una struttura semplice dipartimentale e una struttura complessa che afferisce allo stesso dipartimento. I rapporti tra il responsabile di una struttura semplice dipartimentale e i responsabili delle strutture complesse che afferiscono allo stesso dipartimento sono paritetici per quanto concerne gli ambiti di autonomia e responsabilità, che devono essere puntualmente e specificamente definiti dal contratto integrativo aziendale, dal regolamento aziendale di organizzazione e devono trovare riscontro nei singoli contratti individuali. Il responsabile di una struttura semplice dipartimentale risponde solo al responsabile del dipartimento cui la struttura afferisce. L'autonomia del responsabile di una struttura semplice dipartimentale è in termini generali quella stabilita dal comma 3 dell'articolo 27 del CCNL 1998-2001, che a questo riguardo precisa: «Per “struttura" si intende l'articolazione interna dell'azienda alla quale è attribuita con l'atto aziendale la responsabilità di gestione di risorse umane, tecniche o finanziarie".Consigli
o
di Stato – Sezione III - Sentenza n. 2511 del 26 maggio 2017: Ridefinizione di una Unità operativa complessa in semplice di Azienda Ospedaliera Universitaria: la giurisdizione appartiene al Giudice Ordinario. Il "Servizio Autonomo di radiologia ad indirizzo senologico" da "struttura complessa" è stato trasformato in "struttura semplice". L'orientamento prevalente della giurisprudenza della Cassazione è condiviso dal Consiglio di Stato, per cui, nello speciale ambito del servizio sanitario nazionale, attiene comunque alla sfera propria dell'A.G.O. l'impugnativa della decisione del direttore generale di un'azienda sanitaria locale di modificare una struttura operativa complessa in struttura semplice trasferendola dal servizio sanitario all'ambito universitario. Diversamente da quanto previsto per le amministrazioni pubbliche in genere, la giurisdizione a conoscere dell'impugnazione di un atto di macro organizzazione, ancorché finalizzato al raggiungimento del fine pubblico dell'azienda spetta al giudice ordinario in quanto provvedimento esplicitamente "disciplinato dal diritto privato", ex art. 3 del d.lgs. n. 502 del 1992 (come modificato dall'art. 3 del d.lgs. n. 229 del 1999) in coerenza con il suo carattere imprenditoriale, strumentale. Cassazi
on
e Lavoro – Sentenza n. 9879/2017: La recente sentenza della Cassazione n. 9879 del 19 aprile 2017, ha affermato il principio secondo cui al dirigente medico che svolge funzione di sostituzione del responsabile di struttura complessa non spetta il trattamento economico accessorio complessivamente previsto per il titolare di struttura, ma esclusivamente l’indennità sostitutiva stabilita dal contratto - anche se la sostituzione si protrae oltre i limiti fissati dalla contrattazione collettiva (massimo 12 mesi di durata nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali – art. 18, co. 4, Ccnl 8.6.2000) – poiché la suddetta funzione non rappresenta svolgimento di mansioni superiori ma avviene nell'ambito del ruolo e del livello unico della dirigenza sanitaria. Tale pronuncia, si pone in contrasto l’opposto orientamento espresso dalla sentenza della Cassazione 6 luglio 2015, n. 13809, la quale ha invece affermato che “la sostituzione nell'incarico di dirigente medico del servizio sanitario nazionale, a norma dell'art. 18 del c.c.n.l. della dirigenza medica e veterinaria del 8 giugno 2000, è finalizzata a consentire l'espletamento della procedura per la copertura del posto resosi vacante, sicché è destinata ad operare per un periodo massimo di sei mesi, prorogabili a dodici, nei quali spetta, a partire dal terzo mese, l'indennità ivi prevista. Quando, peraltro, detto ambito temporale sia superato, l'assegnazione delle mansioni dirigenziali in sostituzione cessa di rientrare tra le prestazioni normalmente esigibili e si configura come espletamento di mansioni superiori, con diritto alla corrispondente retribuzione, in ossequio al principio di cui all'art. 36 Cost.”.Tar Piemo
nte Torino – Sezione II – Sentenza n. 201/2017: La ricorrente rivendica che l'Azienda avrebbe dovuto riservare la selezione per la nuova struttura complessa ai dirigenti coinvolti nel processo di riorganizzazione, destinati a perdere l'incarico, anziché pubblicare un bando aperto alla partecipazione di professionisti esterni. Il Tar afferma che non può essere reclamata la diretta assegnazione della direzione della nuova struttura complessa, perché l'Azienda è tenuta a percorrere la procedura di selezione disciplinata dal comma 7-bis dell'art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992, aperta a candidati esterni in possesso dei titoli di qualificazione prescritti dall'avviso pubblico. Né può darsi rilevanza all'asserita coincidenza delle competenze proprie della struttura (ormai soppressa) fin qui diretta dalla ricorrente e di quella nuova, messa a concorso. Infatti l'art. 9, comma 32, del D.L. n. 78 del 2010 consente all'Azienda Ospedaliera, in dipendenza del processo di riorganizzazione in atto, di non confermare l'incarico già conferito al proprio dirigente, in esplicita disapplicazione di tutte le disposizioni normative e contrattuali più favorevoli. PARTE I
II
L’ORGANIZ
ZAZIONE DELLE STRUTTURE SANITARIE. Per esa
mi
nare l’argomento teniamo principalmente in considerazione il d. lgs. (decreto legislativo) 30 dicembre 1992, n. 502, sul riordino della disciplina in materia sanitaria e la L.R. (legge regionale) Marche 20 giugno 2003, n. 13. sulla riorganizzazione del Servizio sanitario regionale.Quando ci
riferiamo al d. lgs. 502/1992 e alla L.R. 13/2003, che hanno subito negli anni parecchi cambiamenti, intendiamo anche le successive modificazioni, cioè i testi attualmente vigenti. Avvertiremo, invece, quando ci riferiamo a previgenti disposizioni di quei testi normativi. Definiz
io
ni del Servizio sanitario nazionale e regionaleIl Serviz
io sanitario nazionale (SSN) è il complesso delle funzioni e delle attività dei Servizi sanitari regionali (SSR) e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti ed istituzioni di rilievo nazionale, nonché delle funzioni conservate allo Stato dal d. lgs. n. 502/1992 (art. 1 d.lgs. 502/1992).Analogame
nte, in base all’art. 1 della L.R. 13/2003, il servizio sanitario regionale è costituito dall'insieme delle funzioni e delle attività espletate dalle strutture direttamente gestite da ASUR, aziende ospedaliere e INRCA, nonché dalle strutture e dai professionisti che, sulla base della normativa vigente, hanno titolo ad operare per conto degli stessi enti. Le comp
et
enze legislative e amministrative delle Regioni in materia di tutela della salute.Occorre p
remettere che, in base all’art. 117, comma 3, della Costituzione, esiste una competenza legislativa concorrente Stato - Regioniin 20 materie, tra le quali viene indicata la tutela della salute.Nelle mat
erie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione statale.Pertanto,
la legislazione concorrente Stato-Regioni si basa su questa ripartizione: le leggi statali stabiliscono i principi fondamentali validi su tutto il territorio nazionale, mentre le leggi regionali dettano le disposizioni che applicano detti principi nel territorio di ogni singola Regione.Per esser
e più chiari, possiamo affermare che il rispetto del rapporto tra leggi statali di principio e leggi regionali di attuazione si verifica quando la legislazione statale stabilisce i criteri e gli obiettivi generali, mentre la legislazione regionale individua gli strumenti concreti da utilizzare per soddisfare quei criteri e per raggiungere quegli obiettivi (così la sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2006).In propos
ito, la Corte costituzionale ha anche affermato che la specificità delle prescrizioni a volte contenute nelle leggi statali, di per sé, neppure può escludere il carattere di principio di una norma, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sentenza n. 430 del 2007).In materi
a di tutela della salute, la maggior parte dei principi (criteri ed obiettivi) è contenuta nel d. lgs. n. 502/1992, mentre alcuni altri principi sono contenuti in singole leggi statali, di cui parleremo quando se ne presenterà l’occasione.Tanto pre
messo, l’art. 2 del d.lgs. 502/1992, dedicato alle competenze delle Regioni, stabilisce:spettano
alle Regioni, nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi nazionali, le funzioni legislative ed amministrativein materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera.Spettano
in particolare alle Regioni: la determinazione dei principi sull'organizzazione dei servizi e sull'attività destinata alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, le attività di indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle predette unità sanitarie locali ed aziende, anche in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie.Inoltre,
tra i più importanti compiti delle Regioni, l’art. 2 del d.lgs. 502/1992 (al comma 2-sexies), indica:a) l'arti
colazione del territorio regionale in unità sanitarie locali, le quali assicurano attraverso servizi direttamente gestiti l'assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, l'assistenza distrettuale e l'assistenza ospedaliera, salvo quanto previsto dal d.lgs. 502/1992 per quanto attiene alle aziende ospedaliere di rilievo nazionale e interregionale e alle altre strutture pubbliche e private accreditate;b) i prin
cipi e criteri per l'adozione dell'atto aziendale (di cui diremo meglio tra poco);c) la def
inizione dei criteri per l'articolazione delle unità sanitarie locali in distretti, da parte dell'atto aziendale, tenendo conto delle peculiarità delle zone montane e a bassa densità di popolazione;d) il fin
anziamento delle unità sanitarie locali;e) le mod
alità di vigilanza e di controllo sulle unità sanitarie locali, nonché di valutazione dei loro risultati.Inoltre (
art. 3 del d.lgs. 502/1992), le Regioni disciplinano forme e modalità per la direzione e il coordinamento delle attività sociosanitarie a elevata integrazione sanitaria . LE STRU
TT
URE DEI SERVIZI SANITARI STATALE E REGIONALIVicende d
elle unità sanitarie localiInizialme
nte, in base alla legge istitutiva del Servizio sanitario, legge 23 dicembre 1978, n. 833 (art. 15), le unità sanitaria locali erano configurate come strutture operative dei Comuni, singoli o associati, e delle Comunità montane.Gli organ
i della unità sanitarie locali erano espressione della politica locale ed erano costituiti:1) dall'a
ssemblea generale, formata dai rappresentanti dei Comuni associati, eletti con criteri di proporzionalità. Il loro numero era stabilito con legge regionale;2) dal co
mitato di gestione, eletto dall’assemblea generale dei rappresentanti dei Comuni;3) dal pr
esidente, nominato dal comitato di gestione;4) dal co
llegio dei revisori, composto di tre membri, uno dei quali designato dal Ministro del tesoro e uno dalla Regione.L'ambito
territoriale di ciascuna unità sanitaria locale era delimitato in base a gruppi di popolazione, di regola compresi tra 50.000 e 200.000 abitanti. Nel caso di aree a popolazione particolarmente concentrata o sparsa, erano consentiti limiti di popolazione più elevati o più ristretti (art. 14 della legge 833/1978).Quattordi
ci anni dopo entra in vigore il decreto legislativo 502/1992 che, già nella versione originaria, conteneva parecchie novità rispetto alla legge 833/1978, anche sulla configurazione delle unità sanitarie locali, che venivano definite (art. 3) aziende, qualificabili come enti strumentali della Regione, dotate di personalità giuridica pubblica, autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica.Unitament
e alla qualificazione aziendale, venivano introdotte (sempre con l’art. 3) le figure del direttore generale (con tutti i poteri di gestione e di rappresentanza dell’unità sanitaria locale), del direttore amministrativo e del direttore sanitario.Appena un
anno dopo, l'art. 4 del d. lgs. 7 dicembre 1993, n. 517 confermava la qualificazione delle unità sanitarie locali come "aziende", però non più come enti strumentali della Regione.Poi, con
la legge 30 novembre 1998, n. 419, il Governo venne delegato ad emanare uno o più decreti legislativi di modificazione del d. lgs. 502/1992, per attuare – tra gli altri – i seguenti principi e criteri direttivi (ancora oggi validi):verificar
e e completare il processo di aziendalizzazionedelle strutture del Servizio sanitario nazionale;pervenire
ad una effettiva integrazione a livello distrettuale dei servizi sanitari con quelli sociali,con la partecipazione dei comuni alle spese connesse alle prestazioni sociali;prevedere
forme di coordinamento tra le attività di prevenzione effettuate dai distretti e dai dipartimentidelle aziende unità sanitarie locali;prevedere
l'organizzazione del lavoro, con particolare riferimento al modello dipartimentale;definire
le modalità del coordinamento tra i dipartimenti di prevenzione e le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente;estendere
il regime di diritto privato del rapporto di lavoro alla dirigenza sanitaria;rafforzar
e le competenze del consiglio dei sanitari..La delega
venne attuata con il d. lgs. 19 giugno 1999, n. 229, di modifica del d. lgs. 502/1992.Attualmen
te (testo vigente dell’art. 3 d.lgs. 502/1992), le unità sanitarie locali sono costituite come aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale. Sull’au
to
nomia imprenditoriale: TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 11 settembre 2015, n. 2217: con il d.lgs. n. 229 del 1999, l'aziendalizzazione delle unità sanitarie locali ha vissuto un ulteriore sviluppo, poiché l'art. 3 ha aggiunto alla già riconosciuta personalità giuridica pubblica l’autonomia imprenditoriale.Come megl
io sarà chiarito, questa comporta l’adozione di un atto aziendale di diritto privato,che ne disciplina l'organizzazione ed il funzionamento (art. 3, comma 1-bis, d.lgs. 502/1992), la capacità di disporre del proprio patrimonio secondo il regime della proprietà privata (art. 5, d.lgs. 502/1992), il dovere di informare la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità, il dovere di rispettare il vincolo di bilancio, attraverso l'equilibrio di costi e ricavi, compresi i trasferimenti di risorse finanziarie, nonché la capacità di agire di regola mediante atti di diritto privato.Ne conseg
ue che nel perseguire i propri fini, le stesse agiscono utilizzando gli strumenti di un imprenditore privato.Ciò posto
, quello che oltremodo rileva nel caso di specie è che l'aziendalizzazione ha interessato anche le aziende ospedaliere che, infatti, vanno costituite o confermate in aziende, secondo il modello fissato per le aziende sanitarie locali. Aziende
o
spedaliere Art. 4 d. lgs. 502/1992Per speci
fiche esigenze assistenziali, di ricerca scientifica, nonché di didattica del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto dei criteri, modalità e requisiti fissati dallo stesso art. 4, sono stati costituiti o confermati in aziende gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico; le aziende ospedaliere di rilievo nazionale o interregionale, alle quali si applicano, di regola (cioè, salvo che sia diversamente previsto dalla normativa), le disposizioni del d. lgs. 502/1992 relative alle unità sanitarie locali.Possono e
ssere individuati come ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione quelli che dispongono di tutte le caratteristiche indicate nello stesso art. 4 del d.lgs. 502/1992.Sono ospe
dali a rilievo nazionale e di alta specializzazione i policlinici universitari, che devono essere inseriti nel sistema di emergenza sanitaria di cui al D.P.R. 27 marzo 1992, che, infatti, contiene l’Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza. Distret
ti
L’art. 3-quater del decreto legislativo n. 502 del 1992, nei commi 1 e 2, dà le seguenti indicazioni a proposito dei distretti:“1. La legge regionale disciplina l'articolazione in distretti dell'unità sanitaria locale. Il distretto è individuato, sulla base dei criteri di cui all'art. 2, comma 2-sexies, lettera c), dall'atto aziendale di cui all'art. 3, comma 1-bis, garantendo una popolazione minima di almeno sessantamila abitanti, salvo che la Regione, in considerazione delle caratteristiche geomorfologiche del territorio o della bassa densità della popolazione residente, disponga diversamente. 2. Il distretto assicura i servizi di assistenza primaria relativi alle attività sanitarie e sociosanitarie di cui all'art. 3-quinquies, nonché il coordinamento delle proprie attività con quella dei dipartimenti e dei servizi aziendali, inclusi i presidi ospedalieri, inserendole organicamente nel Programma delle attività territoriali. Al distretto sono attribuite risorse definite in rapporto agli obiettivi di salute della popolazione di riferimento. Nell'ambito delle risorse assegnate, il distretto è dotato di autonomia tecnico-gestionale ed economico-finanziaria, con contabilità separata all'interno del bilancio della unità sanitaria locale”. Distre
tt
iArt. 13 L.R. 13/2003I distret
ti costituiscono il livello territoriale di base in cui si realizza in ogni area vasta la gestione integrata tra servizi sanitari, socio-sanitari e sociali. (Dirett
or
e di distretto) Art. 14 Il dirett
ore di distretto è nominato dal direttore di area vasta tra soggetti in possesso dei requisiti di cui all' articolo 20, comma 6, della l.r. 17 luglio 1996, n. 26 (Riordino del servizio sanitario regionale) ed è responsabile del raggiungimento degli obiettivi e dell'uso razionale del complesso delle risorse assegnate al distretto in sede di negoziazione del budget con il direttore di area vasta. Il dirett
ore di distretto esercita le proprie funzioni in collaborazione con il coordinatore di ambito sociale; entrambi sono corresponsabili dell'integrazione operativa in conformità agli indirizzi programmatici e nei limiti delle risorse disponibili. Presidi
o
spedalieri. Art. 4, comma 9, d. lgs. 502/1992Gli osped
ali che non sono costituiti in azienda ospedaliera conservano la natura di presidi dell'unità sanitaria locale. Sui presidi ospedalieri delle AUSL torneremo in seguito. (Presi
di
o ospedaliero) Art. 15 L.R. 13/2003Il presid
io ospedaliero è l'articolazione organizzativa ospedaliera del distretto dotata di autonomia gestionale che aggrega funzionalmente tutti gli stabilimenti ospedalieri aventi sede nel medesimo distretto, con esclusione di quelli facenti parte delle Aziende ospedaliere Le funzio
ni del presidio sono esercitate tramite i dipartimenti, che aggregano le unità operative presenti e assicurano l'integrazione della gestione tra più stabilimenti. Art. 16
(Direttor
e di presidio ospedaliero) 1. Il dir
ettore del presidio ospedaliero è nominato dal direttore di area vasta tra gli specialisti in igiene e medicina preventiva con almeno cinque anni di attività come direttore sanitario aziendale, direttore di area vasta o dirigente medico di direzione sanitaria ospedaliera ed è responsabile del raggiungimento degli obiettivi igienico-organizzativi e dell'uso razionale delle risorse assegnate al presidio in sede di negoziazione del budget con il direttore di area vasta. L’atto
az
iendale di diritto privato.L’organiz
zazione e il funzionamento delle unità sanitarie locali (ma anche delle aziende ospedaliere) sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, nel rispetto dei principi e criteri previsti da disposizioni regionali (art. 3, comma 1, d.lgs. 502/1992).L'atto az
iendale individua, tra l’altro, le strutture operative dotate di autonomia gestionale o tecnico - professionale. Organiz
za
zione aziendale della sanità nella Regione Marche.In base a
ll’art. 2 della L.R. 13/2003, per enti del servizio sanitario regionale si intendono quattro aziende:a) l’Azie
nda sanitaria unica regionale (ASUR), con sede in Ancona;b) due Az
iende ospedaliere: l’Azienda ospedaliero universitaria“Ospedali Riuniti Umberto I - G.M. Lancisi – G. Salesi” con sede in Ancona e l’Azienda ospedaliera “Ospedali Riuniti Marche Nord” con sede a Pesaro.c) l’Isti
tuto di ricovero e cura a carattere scientifico per anziani (INRCA) di Ancona, disciplinato dalla L.R. 21 dicembre 2006, n. 21.L’ASUR, l
e due aziende ospedaliere e l’INRCA sono dotati di personalità giuridica pubblica e di autonomia imprenditoriale.L’ASUR è
articolata in aree vaste territoriali e in distretti. Organi
d
elle Aziende del Servizio sanitario regionale Art. 4 L.R. 13/2003 Sono orga
ni dell’ASUR il direttore generale e il collegio sindacale. 2. Il Dir
ettore generale, nominato con le modalità di cui al decreto legislativo n. 171 del 2016 ha la rappresentanza legale dell'Azienda, è responsabile della gestione aziendale ed è coadiuvato nell'esercizio delle sue funzioni dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario, nonché dal responsabile dei servizi di integrazione socio-sanitaria. Questi ul
timi, ciascuno per le tematiche di propria competenza, formulano proposte e pareri al Direttore generale in ordine alla pianificazione, al coordinamento, al monitoraggio e alla verifica dei percorsi e dei processi relativi alle materie ricomprese nelle aree di rispettiva competenza. La Giunta
regionale, sentita la Commissione consiliare competente, determina i requisiti di idoneità del responsabile dei servizi di integrazione socio-sanitaria. Il dirett
ore generale convoca periodicamente i direttori di area vasta, in particolare per:a) l’indi
viduazione delle innovazioni di prodotto per soddisfare le necessità e le preferenze degli utilizzatori dei servizi, nell’ambito dei piani di attività dell’ASUR; b) la def
inizione dei programmi di sviluppo delle risorse umane e delle azioni organizzative necessarie per l’attuazione delle strategie aziendali, inclusi i processi di mobilità del personale conseguenti alla riorganizzazione, nonché la consistenza e le variazioni delle dotazioni organiche delle strutture operanti nei diversi ambiti; c) la pro
mozione dell’integrazione dei servizi dell’ASUR anche con quelli svolti dai soggetti esterni, inclusa la definizione, il monitoraggio e la verifica degli accordi contrattuali con gli altri enti del servizio sanitario regionale e con erogatori privati, nonché con gli enti locali, sia nell’ambito di programmi intersettoriali di prevenzione sia per le attività socio-assistenziali; d) la val
utazione del raggiungimento degli obiettivi aziendali; e) la def
inizione dei contenuti dell’atto aziendale; f) l’elab
orazione di proposte ed istruzioni finalizzate ad assicurare comportamenti uniformi da parte delle strutture decentrate. Il compen
so del Direttore generale dell'ASUR, dei direttori generali delle Aziende ospedaliere e dei dirigenti sanitari apicali, articolato per fasce omogenee in relazione ai posti letto, alla popolazione servita e all'entità del budget assegnato, è stabilito dalla Giunta regionale entro i limiti fissati dalla normativa statale, previo parere della commissione assembleare competente. Entro il
mese di marzo di ciascun anno, il Direttore generale dell'ASUR verifica i risultati conseguiti dai direttori di area vasta ai fini della conferma o meno degli stessi. Il Direttore generale dell'ASUR, qualora ricorrano le circostanze di cui all'articolo 3 bis del d.lgs. 502/1992, propone alla Giunta regionale la risoluzione del contratto con i direttori di area vasta. L’atto
az
iendale Art. 5 L.R. 13/2003L'organiz
zazione e il funzionamento dell'ASUR, nonché delle aziende ospedaliere sono disciplinati dall'atto aziendale di diritto privato (L’INRCA è disciplinata da un regolamento di organizzazione avente valenza di atto aziendale).L’atto az
iendale o le sue modificazioni sono adottati dal Direttore generale, sulla base degli indirizzi e criteri determinati dalla Giunta regionale sentita la competente commissione assembleare. Le modifiche dell’atto aziendale dell’ASUR sono adottate sentiti i direttori di area vasta.L'atto az
iendale definisce in particolare l'assetto organizzativo dell'ASUR e delle aziende ospedaliere in modo da assicurare l'esercizio unitario delle funzioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, nonché il coordinamento e l'integrazione dell'attività dei servizi territoriali presenti nelle singole aree vaste con quella dei presidi ospedalieri e degli altri soggetti erogatori pubblici e privati.L’atto az
iendale disciplina, in particolare: a) l'organizzazione delle funzioni secondo il modello dipartimentale; b) i compiti e le responsabilità dei dirigenti. Consoli
da
to orientamento dei giudici sull’atto aziendale: Cons. Stato, Sez. III, 31 dicembre 2015, n. 5883Di regola
, la cognizione degli atti di macro - organizzazione delle pubbliche amministrazioni rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo (in quanto nell'emanazione di atti organizzativi di carattere generale viene esercitato un potere di natura autoritativa e non gestionale, cosicché non trova applicazione la riserva di giurisdizione del giudice ordinario di cui all'art. 68, del d.lgs. 29/1993, poi trasfuso nell'art. 63, del d.lgs. 165/2001), diversa è la disciplina dell'attività organizzativa del S.S.N. Ai sensi dell'art. 3, del d.lgs. 502/1992, come modificato dal d.lgs 229/1999, le USL (cui sono succedute con analoga disciplina le aziende sanitarie) si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale; la loro organizzazione e il loro funzionamento sono disciplinati con atto aziendale di diritto privato, agiscono mediante atti di diritto privato; il direttore generale adotta l'atto aziendale di organizzazione, è responsabile della gestione complessiva e nomina i responsabili delle strutture operative dell'azienda. Pertanto, diversamente dalle amministrazioni pubbliche in genere, gli atti di macro-organizzazione delle aziende sanitarie sono adottati con atto di diritto privato in coerenza con il carattere imprenditoriale strumentale, con conseguente devoluzione della cognizione degli stessi alla giurisdizione del giudice ordinario (cfr. Cass. civ. Sezioni unite, n. 2031/2008; n. 17461/2006-ord.; in senso conforme, Tar Puglia, Bari, I, n. 1694/2012; Lecce, II, 1591/2013; Tar Campania, Napoli, V, n. 2266/2014 e n. 1202/2013; Tar Lazio, Roma, III, n. 821/2012; TAR Emilia Romagna, I, n. 8401/2010)” (così, testualmente, Consiglio di Stato, sez. III, 03/08/2015, n. 3815). Forte p
re
senza della politica regionale in materia sanitaria. Art. 3 L.R. 13/2003 in sintesiLa Giunta
regionale, nel rispetto del piano socio-sanitario regionale, esercita le funzioni di indirizzo e controllo in materia di sanità e di integrazione socio-sanitaria. In particolare:a) adotta
gli atti di indirizzo interpretativi e applicativi della normativa;b) defini
sce gli obiettivi specifici per gli enti del servizio sanitario regionale;c) impart
isce direttive vincolanti per i Direttori generali;d) delimi
ta i distretti su proposta del Direttore generale dell'ASUR e previo parere della competente commissione assembleare;e) assegn
a agli enti del servizio sanitario regionale e all’Agenzia regionale sanitaria (ARS) le risorse destinate al finanziamento del servizio sanitario regionale e stabilisce la quota riservata alla Regione per l’esercizio delle attività di competenza delle strutture regionali;f) approv
a gli atti aziendali e le modifiche degli stessi;g) effett
ua il controllo della spesa e vigila sull’imparzialità e il buon andamento dell’attività e sulla qualità dell’assistenza, anche mediante l’esercizio dell’attività ispettiva;i) approv
a il piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare, che individua i termini e le modalità per le alienazioni e i criteri per la destinazione del ricavato;n) determ
ina i criteri e le modalità per l’autorizzazione, la vigilanza e l’accreditamento delle strutture pubbliche e private;o) defini
sce, gli accordi quadro con le organizzazioni di categoria relativi alla conclusione dei contratti con le strutture pubbliche e private;p) nomina
e revoca i direttori generali degli enti del servizio sanitario regionale e, su proposta del Direttore generale dell'ASUR, i direttori di area vasta e designa i membri del Collegio sindacale di competenza regionale dell’ASUR e delle Aziende ospedaliere;p bis) ve
rifica i risultati conseguiti dai direttori generali degli enti del servizio sanitario regionale;s) eserci
ta, in caso di inerzia da parte degli enti del servizio sanitario regionale e previa diffida, i necessari poteri sostitutivi;t) adotta
gli atti necessari ad assicurare l’integrazione socio-sanitaria;t bis) de
finisce i criteri per l’organizzazione e la costituzione delle Case della salute nel rispetto della normativa vigente. Art. 4
L.
R. 13/2003: la Giunta regionale stabilisce anche i compensi del Direttore generale dell'ASUR, dei direttori generali delle Aziende ospedaliere e dei dirigenti sanitari apicali. Servizi
o
sanità e servizio politiche sociali della Regione MarcheArt. 3 bis L.R. 13/2003Sono isti
tuiti, nell’ambito delle strutture organizzative della Giunta regionale, il servizio sanità e il servizio politiche sociali, con competenza rispettivamente in materia di sanità e di servizi sociali.Il serviz
io sanità assicura l’esercizio organico e integrato delle funzioni degli enti del servizio sanitario regionale.Presso il
servizio sanità è costituito il coordinamento degli enti del servizio sanitario regionale, denominato “coordinamento”.Il coordi
namento è composto dal dirigente del servizio sanità, dal dirigente del servizio politiche sociali e dai direttori generali degli enti del servizio sanitario regionale o da loro delegati.La Giunta
regionale definisce le funzioni del coordinamento, le modalità di individuazione del Presidente e le procedure di adozione dei relativi atti.Il dirige
nte del servizio sanità ed il dirigente del servizio politiche sociali si avvalgono, per le attività di competenza, delle strutture della Giunta regionale e delle strutture dell’ARS. Funzion
i
dell’ASUR Art. 8 bis L.R. 13/2003L’ASUR, s
ulla base degli obiettivi e delle direttive stabiliti dalla Giunta regionale, esercita a livello centralizzato le funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo dell’attività aziendale e di area vasta, nonché le seguenti principali funzioni:a) la con
tabilità e il bilancio;b) il con
trollo di gestione;c) la tes
oreria unica;d) i sist
emi informativi aziendali;e) il con
tenzioso e la consulenza legale;f) la ges
tione del patrimonio immobiliare relativamente agli atti di alienazione, permuta e costituzione di diritti reali;g) l’esec
uzione di opere e lavori e l’acquisizione di beni e servizi;h) la ges
tione dei magazzini e della logistica;i) l’ammi
nistrazione del personale della direzione centrale e delle aree vaste, comprese le procedure di reclutamento e la valutazione dei dirigenti;l) l’auto
rizzazione alla stipula dei contratti di lavoro a tempo determinato, indeterminato e al conferimento di incarichi di natura occasionale o coordinata e continuativa a carattere amministrativo e contabile. Il Dirett
ore generale dell’ASUR: a) adotta
l’atto aziendale, il piano strategico, il bilancio preventivo economico annuale e pluriennale, il bilancio di esercizio, la dotazione organica, che definisce la consistenza qualitativa e quantitativa del personale, e la programmazione del fabbisogno; a bis) no
mina la delegazione trattante di parte pubblica; b) approv
a i regolamenti attuativi, i budget di area vasta e l’articolazione di area vasta della dotazione organica e la programmazione del fabbisogno di personale di area vasta, tenuto conto del confronto effettuato con le delegazioni di parte sindacale di ciascuna area vasta ai fini della contrattazione collettiva; c) impart
isce direttive per l’approvazione dei piani di area vasta; d) propon
e alla Giunta regionale la nomina dei direttori di area vasta e, qualora ricorrano le circostanze di cui all'articolo 3 bis del d.lgs. 502/1992, la risoluzione del relativo contratto. L’atto az
iendale, il piano strategico, il bilancio preventivo economico annuale e pluriennale, il bilancio di esercizio ed i budget di area vasta sono sottoposti al previo confronto con le organizzazioni sindacali. La dotazione organica, la programmazione del fabbisogno di personale, l’articolazione di area vasta della dotazione organica e della programmazione del fabbisogno di personale sono sottoposti ad informazione, concertazione e contrattazione, nel rispetto delle disposizioni del contratto nazionale di lavoro. Per l’acq
uisizione di beni, la prestazione di servizi, ad eccezione di quelli di natura intellettuale, e la realizzazione di lavori di manutenzione non programmabili, l’ASUR valuta, in via prioritaria, la possibilità di concludere accordi quadro di cui al Codice degli contratti pubblici, anche articolati in lotti in ragione della competenza di ciascuna zona territoriale, prevedendo nel bando di gara il divieto di aggiudicazione di più lotti a favore del medesimo operatore economico. Il Dirett
ore generale può delegare alle aree vaste le funzioni concernenti l’esecuzione di opere e lavori, l’acquisizione di beni e servizi, la gestione dei magazzini e della logistica. Su richie
sta degli altri enti del servizio sanitario regionale, l’ASUR può operare come centrale di committenza per conto degli stessi, ai sensi delle disposizioni statali vigenti, per l’acquisizione di forniture o servizi, per l’aggiudicazione di appalti o la conclusione di accordi quadro di lavori, forniture o servizi. L’ASUR, s
econdo quanto indicato dal piano socio-sanitario regionale, promuove intese con l’INRCA per la riqualificazione della rete ospedaliera al fine di assicurare l’integrazione funzionale delle prestazioni e il coordinamento operativo relativo alla prevenzione secondaria delle patologie cronico-degenerative degli anziani. Organiz
za
zione di area vasta dell'ASUR Art. 2 e 9 L.R. 13/2003L’ASUR è
articolata in aree vaste territoriali e in distretti.Le aree v
aste sono articolazioni dell'ASUR, i cui ambiti territoriali sono definiti nell'allegato A alla L.R. 13/2003 (Area vasta 1: Pesaro – Urbino – Fano; Area vasta 2: Senigallia – Jesi– Fabriano - Ancona; Area vasta 3: Civitanova Marche – Macerata – Camerino; Area vasta 4: Fermo; Area vasta 5: San Benedetto del Tronto – Ascoli Piceno). Ogni area vasta territoriale, relativamente alle attività e alle funzioni stabilite dall'atto aziendale di cui all'art. 5: a) è dota
ta di autonomia gestionale e tecnico-professionale; b) è sogg
etta a rendicontazione analitica; c) dà cor
so alle procedure e agli atti finalizzati all'instaurazione con terzi di rapporti giuridici aventi valenza nel relativo territorio; d) provve
de alla gestione diretta dei relativi rapporti procedendo all'utilizzazione autonoma dei fattori produttivi e delle risorse assegnate. Le Aree v
aste sono unità amministrative autonome ai fini della contrattazione collettiva. I contratti decentrati integrativi sottoscritti a livello di area vasta sono definitivi.Le Aree v
aste hanno il compito di assicurare alla popolazione residente le prestazioni incluse nei LEA e l'equo accesso ai servizi e alle funzioni di tipo sanitario, sociale e di elevata integrazione sanitaria, organizzate nel territorio.Sono eser
citate a livello di area vasta: a) le funzioni concernenti l'assistenza sanitaria e socio-sanitaria individuate nell'atto aziendale; b) le funzioni concernenti il supporto al controllo di gestione e il rischio clinico; c) le funzioni concernenti l'acquisizione di beni e servizi, l'esecuzione di opere e lavori, nonché la gestione dei magazzini e della logistica, delegate dal Direttore generale e le funzioni concernenti la gestione del patrimonio immobiliare con riferimento agli atti di disposizione diversi da quelli concernenti l'alienazione, la permuta e la costituzione di diritti reali. Piano a
nn
uale di area vasta Art. 19 L.R. 13/2003Il piano
annuale definisce, nel rispetto del piano socio-sanitario regionale gli obiettivi dell'attività e l'organizzazione dei servizi sanitari e socio-sanitari. È approvato dal direttore di area vasta, previo parere della Conferenza di area vasta di cui all'art. 20 bis. (Diret
to
re di area vasta) Art. 10 L.R. 13/20031. Il dir
ettore di area vasta è responsabile della gestione complessiva del relativo ambito territoriale e in particolare: a) della programmazione, in coerenza con la pianificazione aziendale, attraverso la definizione degli obiettivi di salute e l'elaborazione del piano di area vasta; b) del coordinamento tra le attività ospedaliere, i servizi distrettuali e le attività di prevenzione; c) dei rapporti di informazione e collaborazione con la Conferenza di area vasta di cui all'articolo 20 bis; d) dell'accesso ai servizi locali e aziendali attraverso un sistema integrato e finalizzato al controllo e al rispetto dei tempi d'attesa definiti a livello aziendale; e) della gestione del budget di area vasta e della relativa negoziazione con i responsabili delle articolazioni organizzative dell'area vasta in termini di obiettivi, di attività e di risorse; f) della valutazione epidemiologica della domanda e del suo grado di soddisfazione attraverso l'offerta di servizi; g) dell'istituzione di un sistema organizzato per il governo clinico anche attraverso la piena utilizzazione del collegio di direzione di area vasta; h) della nomina dei direttori di dipartimento di area vasta. 2. Il dir
ettore di area vasta: a) approva il piano di area vasta, in conformità con le direttive del Direttore generale dell’ASUR; b) è componente della delegazione trattante di parte pubblica di cui alla lettera a bis) del comma 2 dell’articolo 8 bis; c) assicura l’attuazione dei contratti decentrati; d) è responsabile dell’organizzazione del personale assegnato e delle relative relazioni sindacali. 3. Il dir
ettore di area vasta è nominato dalla Giunta regionale tra gli iscritti nell'elenco di cui all'articolo 4, comma 6, che non versino in nessuna delle situazioni di incompatibilità di cui all'articolo 3 del d.lgs. 502/1992 . Ai pubblici dipendenti si applica il disposto dell'articolo 15 septies, comma 4, del d.lgs. 502/1992. 4. Nell'e
sercizio delle proprie funzioni, il direttore di area vasta è coadiuvato dal collegio di direzione di area vasta, nonché dai coordinatori degli ambiti di cui all'articolo 8, comma 3, lettera a), della legge 328/2000. Colleg
io
di direzione di area vastaArt. 7 L.R. 13/2003In ogni a
rea vasta è istituito il collegio di direzione di area vasta del quale il direttore di area vasta si avvale per l'espletamento delle funzioni e dei compiti previsti dall'articolo 17 del d.lgs. 502/1992. [Il collegio di direzione, in particolare, concorre al governo delle attività cliniche, partecipa alla pianificazione delle attività, incluse la ricerca, la didattica, i programmi di formazione e le soluzioni organizzative per l'attuazione dell'attività libero-professionale intramuraria. Nelle aziende ospedaliero universitarie il collegio di direzione partecipa alla pianificazione delle attività di ricerca e didattica nell'ambito di quanto definito dall'università; concorre inoltre allo sviluppo organizzativo e gestionale delle aziende, con particolare riferimento all'individuazione di indicatori di risultato clinico-assistenziale e di efficienza, nonché dei requisiti di appropriatezza e di qualità delle prestazioni. Partecipa altresì alla valutazione interna dei risultati conseguiti in relazione agli obiettivi prefissati ed è consultato obbligatoriamente dal direttore generale su tutte le questioni attinenti al governo delle attività cliniche].L'atto az
iendale, in conformità agli indirizzi espressi in materia dalla Regione, disciplina la composizione e le funzioni del Collegio di direzione, prevedendo, al fine di favorire l'integrazione delle attività territoriali ospedaliere e di prevenzione, la partecipazione dei direttori di distretto, di dipartimento e di presidio, nonché dei coordinatori degli ambiti sociali. I Dipar
ti
menti nella legge 833/1978La legge
833/1978 già si occupava dei dipartimenti:a) second
o l’art. 17, comma 2: le Regioni nell'ambito della programmazione sanitaria disciplinano con legge l'articolazione dell'ordinamento degli ospedali in dipartimenti, in base sia al principio dell'interazione tra le divisioni, sezioni e servizi affini e complementari, sia al principio del collegamento tra servizi ospedalieri ed extra ospedalieri in rapporto alle esigenze di definiti ambiti territoriali, nonché al principio della gestione dei dipartimenti stessi in relazione alla integrazione delle competenze in modo da valorizzare anche il lavoro di gruppo;b) second
o l’art. 34, comma 1: la legge regionale, nell'ambito dell’unità sanitaria locale e nel complesso dei servizi generali per la tutela della salute, disciplina l'istituzione di servizi a struttura dipartimentale che svolgono funzioni preventive, curative e riabilitative relative alla salute mentale.I Diparti
menti nella versione originaria del d. lgs. 502/1992L’art. 4,
comma 4, si occupa dei dipartimenti di emergenza.In base a
ll’art. 4, comma 10: le Regioni debbono provvedere a riorganizzare tutti i presidi ospedalieri in dipartimenti..L’art. 7
si occupa dei dipartimenti di prevenzione.I Diparti
menti nel vigente Art. 17-bis d. lgs. 502/1992L'organiz
zazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività delle Aziende sanitarie.Dipartime
nti Art. 6 L.R. 13/2003L'organiz
zazione dipartimentale è il modello ordinario di gestione operativa di tutte le attività dell'ASUR e delle aziende ospedaliere.L'atto az
iendale dell'ASUR delimita la competenza territoriale dei dipartimenti distinguendoli in dipartimenti aziendali e dipartimenti di area vasta.L'organiz
zazione dipartimentale riguarda, in particolare, le funzioni ospedaliere, di emergenza-urgenza, di prevenzione, di integrazione socio-sanitaria e amministrativa.I diparti
menti di prevenzione, quelli di salute mentale, quelli per le dipendenze patologiche e quelli ospedalieri, hanno competenza di area vasta.I primi t
re hanno un'articolazione interna che garantisce lo svolgimento delle funzioni operative sia a livello di area vasta che distrettuale.I diparti
menti per le dipendenze patologiche garantiscono l'integrazione socio - sanitaria con i soggetti ausiliari accreditati (di cui alla L.R. 16 marzo 2000, n. 20, sugli accreditamenti), con gli ambiti territoriali sociali e con le organizzazioni qualificate del terzo settore. Diparti
me
nto di prevenzione. Art. 7-bis d. lgs. 502/1992Le region
i disciplinano l'istituzione e l'organizzazione del dipartimento della prevenzione secondo i principi contenuti nelle disposizioni degli artt. 7-bis, 7-ter e 7-quater. Il dipartimento di prevenzione è struttura operativa dell'unità sanitaria locale che garantisce la tutela della salute collettiva, perseguendo obiettivi di promozione della salute, prevenzione delle malattie e delle disabilità, miglioramento della qualità della vita.Dipartime
nti di prevenzioneArt. 11 L.R. 13/2003Il dipart
imento di prevenzione è la struttura preposta all'organizzazione ed alla promozione della tutela e della salute della popolazione, attraverso azioni tendenti a conoscere, prevedere e prevenire gli infortuni e le cause di malattia.In partic
olare il dipartimento di prevenzione:a) assicu
ra in modo unitario la gestione dei sistemi informativi pertinenti lo stato di salute della popolazione umana ed animale, nell'ambito della rete epidemiologica regionale;b) assicu
ra, in integrazione con le altre macro-strutture, l'informazione finalizzata alla prevenzione dei rischi per la salute ai cittadini, ai lavoratori, alle associazioni di rappresentanza, alle strutture del servizio sanitario regionale e agli enti locali;c) svilup
pa e coordina lo svolgimento, in integrazione con le altre macrostrutture, di programmi di promozione della salute e della sicurezza della popolazione;d) garant
isce l'istruttoria tecnico-sanitaria per le funzioni amministrative di competenza della Regione e degli enti locali;e) garant
isce la programmazione e l'esecuzione delle attività di prevenzione, controllo e vigilanza nei settori di competenza.Nella Dir
ezione generale dell'ASUR è istituita la Direzione tecnica per la prevenzione collettiva, con l'obiettivo di creare e rendere efficiente un sistema a rete dei dipartimenti di prevenzione, attraverso atti di programmazione generale, indirizzo e coordinamento delle strutture operative. Diparti
me
nti delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetricaArt. 8 L.R. 13/2003Sono isti
tuiti, in conformità alla legge 10 agosto 2000, n. 251 (Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica), il dipartimento aziendale e, per quanto riguarda l’ASUR i dipartimenti di area vasta delle professioni infermieristiche-ostetriche, tecniche, della prevenzione e della riabilitazione.I diretto
ri dei dipartimenti di area vasta e dei dipartimenti delle Aziende ospedaliere, individuati tra i dirigenti delle professioni sanitarie afferenti alle singole aree, infermieristico-ostetrica, tecnica, della riabilitazione e della prevenzione, sono nominati rispettivamente dal Direttore generale dell’ASUR e dai Direttori generali delle Aziende ospedaliere. Nelle Azi
ende ospedaliere per ogni area infermieristico-ostetrica, tecnica, della riabilitazione e della prevenzione, viene nominato un dirigente. 4 bis. I
dipartimenti di area vasta sono costituiti da almeno un dirigente infermieristico per ogni area vasta e da almeno un dirigente per area tecnica, della riabilitazione e della prevenzione nel complesso dell'ASUR. Il numero dei dirigenti infermieristici è definito nell'atto aziendale. In ciascuna area vasta le aree non coperte dal dirigente sono rappresentate da posizioni organizzative. Il Dirett
ore generale individua tra i dirigenti di area vasta un dirigente per ciascuna area professionale cui assegnare funzioni di indirizzo e coordinamento. Tali funzioni sono esercitate a livello centrale a supporto della direzione generale. 5. Il dir
ettore del dipartimento di area vasta delle professioni infermieristico-ostetriche, tecniche, della prevenzione e della riabilitazione è individuato dal Direttore generale tra i dirigenti indicati al comma 4 bis.L’atto az
iendale può prevedere l’istituzione di un’area sociale professionale secondo gli indirizzi dettati dalla Giunta regionale. Diparti
me
nto di medicina trasfusionaleArt. 25 L.R. 13/2003La Giunta
regionale istituisce il dipartimento regionale di medicina trasfusionale al fine di garantire la gestione complessiva delle attività di medicina trasfusionale nella regione, secondo le previsioni del piano nazionale sangue e plasma 1999/2001.