UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAMERINO
Corso di formazione manageriale
per direttori di struttura complessa del SSN
ANNO ACCADEMICO 2018-2019
Diritto costituzionale – Prof. Paolo Bianchi(Unicam)
8 febbraio 2019
Il rapporto medico-paziente: esame di casi giurisprudenziali
Art. 32 Cost.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana
La dimensione europea
Carta di Nizza
Articolo 35
Protezione della salute
Ogni persona ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana.
Trattato di Lisbona
«Articolo 6»
1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati.
I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati.
3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali.
Diritto alla salute e organizzazione sanitaria
Corte cost. sent. n. 383/98
Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l'una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non c'é organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c'é diritto a prestazione che non condizioni l'organizzazione.
Diritto alle cure
il diritto alla salute degli stranieri – L’immigrato extra UE
Sent. n. 252/01Diritto alla salute dello straniero irregolare
Secondo un principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il diritto ai trattamenti sanitari necessari per la tutela della salute è “costituzionalmente condizionato” dalle esigenze di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, salva, comunque, la garanzia di "un nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana, il quale impone di impedire la costituzione di situazioni prive di tutela, che possano appunto pregiudicare l’attuazione di quel diritto” (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 509 del 2000, n. 309 del 1999 e n. 267 del 1998).
Questo “nucleo irriducibile” di tutela della salute quale diritto fondamentale della persona deve perciò essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato, pur potendo il legislatore prevedere diverse modalità di esercizio dello stesso. […]
Lo straniero presente, anche irregolarmente, nello Stato ha diritto di fruire di tutte le prestazioni che risultino indifferibili e urgenti (…) trattandosi di un diritto fondamentale della persona che deve essere garantito, così come disposto, in linea generale, dall'art. 2 dello stesso decreto legislativo n. 286 del 1998.
La valutazione dello stato di salute del soggetto e della indifferibilità ed urgenza delle cure deve essere effettuata caso per caso, secondo il prudente apprezzamento medico; di fronte ad un ricorso avverso un provvedimento di espulsione si dovrà, qualora vengano invocate esigenze di salute dell'interessato, preventivamente valutare tale profilo - tenuto conto dell’intera disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 286 del 1998 - se del caso ricorrendo ai mezzi istruttori che la legge, pur in un procedimento caratterizzato da concentrazione e da esigenze di rapidità, certamente consente di utilizzare.
Qualora risultino fondate le ragioni addotte dal ricorrente in ordine alla tutela del suo diritto costituzionale alla salute, si dovrà provvedere di conseguenza, non potendosi eseguire l'espulsione nei confronti di un soggetto che potrebbe subire, per via dell'immediata esecuzione del provvedimento, un irreparabile pregiudizio a tale diritto.
Diritto alle cure e obbligo del medico
Caso Englaro
CASSAZIONE sez. I civ. - SENTENZA N° 21748/07
[…] non è attribuibile al medico un generale "diritto di curare", a fronte del quale non avrebbe alcun rilievo la volontà dell'ammalato che si troverebbe in una posizione di 'soggezione' su cui il medico potrebbe ad libitum intervenire, con il solo limite della propria coscienza; appare, invece, aderente ai principi dell'ordinamento riconoscere al medico la facoltà o la potestà di curare, situazioni soggettive, queste, derivanti dall'abilitazione all'esercizio della professione sanitaria, le quali, tuttavia, per potersi estrinsecare abbisognano, di regola, del consenso della persona che al trattamento sanitario deve sottoporsi".
6.1. - II consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale.
Ciò è conforme al principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé, vieta ogni strumentalizzazione della medesima per alcun fine eteronomo ed assorbente, concepisce l'intervento solidaristico e sociale in funzione della persona e del suo sviluppo e non viceversa, e guarda al limite del "rispetto della persona umana" in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive.
Ed è altresì coerente con la nuova dimensione che ha assunto la salute, non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza.
Deve escludersi che il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita.
Benché sia stato talora prospettato un obbligo per l'individuo di attivarsi a vantaggio della propria salute o un divieto di rifiutare trattamenti o di omettere comportamenti ritenuti vantaggiosi o addirittura necessari per il mantenimento o il ristabilimento di essa, il Collegio ritiene che la salute dell'individuo non possa essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, c'è spazio - nel quadro dell'"alleanza terapeutica" che tiene uniti il malato ed il medico nella ricerca, insieme, di ciò che è bene rispettando i percorsi culturali di ciascuno - per una strategia della persuasione, perché il compito dell'ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c'è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale. Ma allorché il rifiuto abbia tali connotati non e'o possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico.
Cons. Stato, sez III, sent. n. 04460/2014
40. Ancora, sviluppando un diverso ordine di argomentazioni, la Regione appellante sostiene che, pur ammettendo che l’idratazione e l’alimentazione costituiscano “cure mediche”, il richiamo, decisivo, ai principi desumibili dall’art. 32 Cost. si rivelerebbe del tutto improprio.
40.1. La disposizione costituzionale fissa due principi fondamentali: quello di ricevere cure adeguate e quello di non essere assoggettati a prestazione sanitarie non volute, se non nei casi espressamente
previsti dalla legge.
40.2. Nel caso in esame, invece, il tutore non avrebbe richiesto per la figlia alcuna cura né avrebbe chiesto alla pubblica amministrazione di prestare cure non volute, alle quali conseguirebbe il vincolo del consenso informato, e neppure avrebbe richiesto di interrompere cure inutili – o ritenute tali – che avrebbero sostanziato un accanimento terapeutico.
40.3. -OMISSIS-, al contrario, avrebbe richiesto al Servizio Sanitario Regionale di effettuare una prestazione – distacco del sondino naso-gastrico accompagnato da ulteriori misure quali la sedazione – che, come hanno dimostrato i fatti successivi, avrebbero condotto fatalmente-OMISSIS- alla morte.
40.4. La difesa regionale assume che il T.A.R. lombardo, nella propria decisione, abbia omesso di considerare che la condizione in cui versava-OMISSIS- non potesse in alcun modo comportare
l’accoglimento della richiesta di un ricovero ai fini indicati nel decreto della Corte d’Appello di Milano e dalla richiesta di - OMISSIS-.
40.5. L’obbligo del ricovero, da parte del Sistema Sanitario Regionale, sussisterebbe infatti, secondo tale assunto, solo nei casi in cui si debba (e si possa) curare una determinata patologia.
40.6. Ma lo stato vegetativo permanente in cui versava la ragazza non poteva essere oggetto di una specifica prestazione, quale quella richiesta, in una struttura del Servizio Sanitario Regionale.
40.7. Presso una struttura di tale Servizio-OMISSIS-, sostiene la Regione, avrebbe potuto semmai essere assistita e accudita, in conformità al suo stato persistente.
40.8. Ne sarebbe conferma il fatto che una prestazione, come quella richiesta da -OMISSIS-, non solo non è prevista tra i LEA (livelli essenziali di assistenza) o da qualsiasi altra norma, ma al contrario
risulta vietata in quanto contraria ai principi di accudimento e di sostegno vitali sopra ricordati.
41. In assenza di una disposizione di legge, che preveda unadeterminata prestazione a carico del Servizio Sanitario Regionale, il T.A.R. non avrebbe quindi potuto imporre tale prestazione in capo
alla Regione Lombardia.
[…]
42. La tesi della Regione non può essere condivisa.
42.1. La complessa questione posta dal motivo di censura, nell’assenza di una specifica regolamentazione legislativa della materia, attiene al fondamentale diritto di autodeterminazione terapeutica del paziente e al suo delicato rapporto con le strutture del servizio pubblico deputate all’assistenza sanitaria.
42.2. La Regione muove da un presupposto di principio e, cioè, che sotteso al concetto di “cura”, di cui l’amministrazione deve farsi carico, vi sia un fondamentale principio di beneficialità, alla stregua del quale le strutture del Servizio Sanitario Nazionale devono garantire la vita e assicurare la salute del malato, sicché l’obbligo del ricovero, da parte di questo, sussisterebbe solo nei casi in cui si debba (e si possa) curare una determinata patologia.
42.3. Quando il malato decide e richiede, invece, di interrompere un trattamento sanitario, come quello di cui si discute, e di non ricevere più l’alimentazione e l’idratazione artificiale, l’Amministrazione non sarebbe tenuta in alcun modo a soddisfare tale richiesta, poiché compito di questa è, in sostanza, solo quello di garantire che il malato sia mantenuto in vita, accudito e “curato”, nel senso appena precisato, e non certo quello di assecondarne la volontà di interrompere la prestazione sanitaria, mediante il distacco del sondino naso-gastrico, e di accompagnarlo ad una “serena morte”.
42.4. Ciò configurerebbe, secondo tale tesi, un “diritto a morire” che non trova spazio nel nostro ordinamento e, soprattutto, non è contemplato dalla complessa disciplina di settore, che regolamenta il Servizio Sanitario Nazionale, e tra i LEA, i livelli essenziali di assistenza sanitaria.
42.5. La Regione trascura in questo modo di considerare, però, che a base del proprio rifiuto di ricoverare l’assistito essa ha inteso porre e imporre d’imperio una visione assolutizzante, autoritativa, della “cura”, in termini di necessario beneficio per il paziente, che si è illegittimamente sostituita alla volontà del paziente, al suo specifico bisogno di cura e, in ultima analisi, al suo fondamentale e incomprimibile diritto di autodeterminazione terapeutica, quale massima espressione della sua personalità.
43. La Suprema Corte di Cassazione, proprio nel caso di-OMISSIS-, ha affermato il fondamentale principio che il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale.
43.1. Ciò è conforme al principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé; vieta ogni strumentalizzazione della medesima per alcun fine eteronomo ed assorbente; concepisce l’intervento solidaristico e sociale in funzione della persona e del suo sviluppo e non viceversa, e guarda al limite del “rispetto della persona umana” in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive.
43.2. Ed è altresì coerente, ha soggiunto la Cassazione, con la nuova dimensione che ha assunto la salute, non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza.
43.3. Deve escludersi, ha stabilito ancora la Suprema Corte, che il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita.
43.4. Benché sia stato talora prospettato un obbligo per l’individuo di attivarsi a vantaggio della propria salute o un divieto di rifiutare trattamenti o di omettere comportamenti ritenuti vantaggiosi o addirittura necessari per il mantenimento o il ristabilimento di essa, la Suprema Corte ha ritenuto che la salute dell’individuo non possa essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva.
43.5. Di fronte al rifiuto della cura da parte del diretto interessato, ha chiarito ancora la Cassazione, c’è spazio – nel quadro della c.d. “alleanza terapeutica”, che tiene uniti il malato ed il medico nella ricerca, insieme, di ciò che è bene rispettando i percorsi culturali di ciascuno – per una strategia della persuasione, perché il compito dell’ordinamento è anche quello di offrire il supporto della massima solidarietà concreta nelle situazioni di debolezza e di sofferenza; e c’è, prima ancora, il dovere di verificare che quel rifiuto sia informato, autentico ed attuale.
43.6. Ma, allorché il rifiuto abbia tali connotati, non c’è possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi come principio di ordine pubblico.
43.7. Lo si ricava dallo stesso testo dell’art. 32 Cost., per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge, sempre che il provvedimento che li impone sia volto ad impedire che la salute del singolo possa arrecare danno alla salute degli altri e che l’intervento previsto non danneggi, ma sia anzi utile alla salute di chi vi è sottoposto (Corte cost., sentenze n. 258 del 1994 e n. 118 del 1996).
43.8. Soltanto in questi limiti è costituzionalmente corretto ammettere limitazioni al diritto del singolo alla salute, il quale, come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di lasciarsi morire.
44. Ora è evidente che la pronuncia della Suprema Corte, le cui argomentazioni salienti sono state sin qui richiamate e riassunte, segna un momento decisivo nell’affermazione dell’autodeterminazione terapeutica del paziente e, nel contempo, manifesta l’intervenuta acquisizione della consapevolezza della centralità del paziente nel percorso di cura.
44.1. Dall’antico paternalismo medico, che vedeva informazione e consenso del paziente rimessi integralmente all’apprezzamento del medico, unico sostanzialmente a sapere e decidere cosa fosse “bene”, in termini curativi, per il paziente, anche la nostra giurisprudenza, dopo un lungo e travagliato percorso, è pervenuta così all’affermazione del moderno principio dell’alleanza terapeutica, snodo decisivo sul piano culturale prima ancor che giuridico, poiché riporta il singolo paziente, la sua volontà, il suo consenso informato e, quindi, il singolo paziente quale soggetto e non oggetto di cura al centro del percorso sanitario, nel quale medico e paziente concorrono nella scelta della strategia terapeutica più rispondente alla visione della vita e della salute propria della persona che si sottopone alla cura.
44.2. La “cura” non è più quindi più un principio autoritativo, un’entità astratta,oggettivata, misteriosa o sacra, calata o imposta dall’alto o dall’esterno, che ciò avvenga ad opera del medico, dotato di un elevato e inaccessibile sapere specialistico, o della struttura sanitaria nel suo complesso, che accoglie e “ingloba” nei suoi impenetrabili ingranaggi l’ignaro e anonimo paziente, ma si declina e si struttura, secondo un fondamentale principium individuationis che è espressione del valore personalistico tutelato dalla Costituzione, in base ai bisogni, alle richieste, alle aspettative, alla concezione stessa che della vita ha il paziente.
44.3. La decisione terapeutica ha nel consenso informato e nell’autodeterminazione del paziente il suo principio e la sua fine, poiché è il paziente, il singolo paziente, e non un astratto concetto di cura, di bene, di “beneficialità”, il valore primo ed ultimo che l’intervento medico deve salvaguardare.
44.4. Nessuna visione della malattia e della salute, nessuna concezione della sofferenza e, correlativamente, della cura, per quanto moralmente elevata o scientificamente accettata, può essere contrapposta o, addirittura, sovrapposta e comunque legittimamente opposta dallo Stato o dall’amministrazione sanitaria o da qualsivoglia altro soggetto pubblico o privato, in un ordinamento che ha nel principio personalistico il suo fondamento, alla cognizione che della propria sofferenza e, correlativamente, della propria cura ha il singolo malato.
44.5. Ciò non deve naturalmente comportare un pericoloso soggettivismo curativo o un relativismo terapeutico nel quale è “cura” tutto ciò che il singolo malato vuole o crede, perché nell’alleanza terapeutica è e resta fondamentale l’insostituibile ruolo del medico nel selezionare e nell’attuare le opzioni curative scientificamente valide e necessarie al caso, ma solo ribadire che la nozione statica e “medicale” di salute, legata cioè ad una dimensione oggettiva e fissa del benessere psicofisico della persona, deve cedere il passo ad una concezione soggettiva e dinamica del concreto contenuto del diritto alla salute, che si costruisce nella continua e rinnovata dialettica medico-paziente, di modo che tale contenuto, dal suo formarsi, al suo manifestarsi sino al suo svolgersi, corrisponda effettivamente all’idea che di sé e della propria dignità, attraverso il perseguimento del proprio benessere, ha il singolo paziente per realizzare pienamente la sua personalità, anzitutto e soprattutto nelle scelte, come quelle di accettare o rifiutare le cure, che possono segnarne il destino.
[…]
46.1. A fronte del diritto, inviolabile, che il paziente ha, e – nel caso di specie – si è visto dal giudice ordinario definitivamente riconosciuto, di rifiutare le cure, interrompendo il trattamento sanitario non (più) voluto, sta correlativamente l’obbligo, da parte dell’amministrazione sanitaria, di attivarsi e di attrezzarsi perché tale diritto possa essere concretamente esercitato, non potendo essa contrapporre a tale diritto una propria nozione di prestazione sanitaria né subordinare il ricovero del malato alla sola accettazione delle cure.
46.2. “Cura” non è infatti ciò che l’Amministrazione ritiene di proporre o imporre al paziente, in una visione autoritativa di salute che coincida solo con il principio di beneficialità – poiché è la cura a dover adattarsi, nei limiti in cui ciò sia scientificamente possibile, ai bisogni del singolo malato e non il singolo malato ad un astratto e monolitico concetto di cura – ma il contenuto, concreto e dinamico, dell’itinerario umano, prima ancor che curativo, che il malato ha deciso di costruire, nell’alleanza terapeutica con il medico e secondo scienza e coscienza di questo, per il proprio benessere psico-fisico, anche se tale benessere, finale e transeunte, dovesse preludere alla morte.
46.3. Opzione curativa, strategia terapeutica e cura è anche, in questo senso, il diritto e la possibilità di interrompere il trattamento sanitario, già intrapreso e non più voluto o tollerato; la decisione di vivere sul proprio corpo la propria malattia al di là o al di fuori di un pregresso o anche di un qualsivoglia percorso terapeutico; la scelta consapevole e informata, per quanto tragica, di accettare serenamente, anche sol lenendo l’acuirsi della sofferenza, la progressione inarrestabile del male fisico sino alla morte; l’applicazione delle fondamentali cure palliative, ora disciplinate dalla l. 15 marzo 2010, n. 38, e non a caso collocate dall’art. 1 di tale legge, con una previsione che ha un indubbio valore sistematico, nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza, e la c.d. terapia del dolore, l’accompagnamento del paziente nella fase terminale della malattia.
46.4. Non è giuridicamente accettabile né scientificamente corretto, prima ancor che contrario ad ogni senso e principio dell’umanità, che esso sia di stampo personalistico o solidaristico, affermare o anche implicitamente ritenere che, anche dopo il rifiuto di un trattamento sanitario da parte del paziente, il tratto terminale della vita, che lo separa dall’interruzione della cura alla più che probabile morte, non possa e non debba anch’esso essere bisognoso e, quindi, meritevole di cura e di presa in carico da parte del Servizio Sanitario Nazionale, seppur nella declinazione di un concetto di “cura” diverso, nel mutato intendimento del paziente, da quello seguito sino a quel momento.
46.5. Non può dunque l’Amministrazione sanitaria sottrarsi al suo obbligo di curare il malato e di accettarne il ricovero, anche di quello che rifiuti un determinato trattamento sanitario nella consapevolezza della certa conseguente morte, adducendo una propria ed autoritativa visione della cura o della prestazione sanitaria che, in termini di necessaria beneficialità, contempli e consenta solo la prosecuzione della vita e non, invece, l’accettazione della morte da parte del paziente.
Diritto a rifiutare le cure
Caso Welby
PREMESSO
- che, in conseguenza della notizia della morte del signor Piergiorgio Welby, per cessazione della pratica di ventilazione meccanica posta in essere dal dott. Mario Riccio, medico chirurgo iscritto a questo Ordine Provinciale di Cremona, è stata aperta un’istruttoria preliminare volta a verificare la sussistenza, o meno, dei presupposti per l’apertura di un procedimento disciplinare;
- che nell’ambito di tale istruttoria si è provveduto:
§ […]
- che dall’istruttoria sopra richiamata si evince che:
§ il dott. Mario Riccio non ha somministrato farmaci o altre sostanze atte a determinare la morte;
§ la sedazione terminale praticata dal dott. Riccio risulta, per posologia di farmaci, modalità e tempi di somministrazione, in linea con i normali protocolli;
§ il signor Welby non era sottoposto a terapie atte ad impedire, curare o ritardare la malattia, distrofia muscolare fascio-scapolo-omerale;
§ il signor Welby non era in grado di respirare autonomamente e che dall’anno 2002 respirava esclusivamente per mezzo artificiale;
§ il signor Welby non era in grado di evacuare spontaneamente ma solo per svuotamento;
§ il signor Welby era perfettamente in grado di intendere e di volere e di esprimersi;
§ il signor Welby ha espresso in modo chiaro, deciso e non equivocabile la volontà di interrompere la pratica assistenziale di respirazione artificiale che era stata iniziata nel 1997;
§ che il signor Welby risulta essere stato pienamente consapevole della conseguenza del sopraggiungere della morte che la negazione del consenso a mantenere la pratica di respirazione artificiale avrebbe inevitabilmente determinato e che tale conseguenza ha accettato.
Dopo ampia ed approfondita discussione nelle sedute tenutesi il 26/01/2007 e 31/01/2007
Visti: - l’art. 35 Codice di Deontologia medica (“Acquisizione del consenso”): “Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona…”;
- l’art. 20 Codice di Deontologia medica (Rispetto dei diritti della persona): “Il medico deve improntare la propria attività professionale al rispetto dei diritti fondamentali della persona”.
Considerato che le norme deontologiche sopra richiamate costituiscono attuazione dei principi di cui agli articoli 13 Cost. secondo cui “la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di … restrizione della libertà personale se non per atto volontario dell’autorità giudiziaria ….“ e 32 Cost. a mente del quale “.. Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Ritenuto che, ai fini del rispetto della volontà della persona umana, il consenso deve essere ritenuto identicamente necessario sia per intraprendere il trattamento terapeutico che per mantenere lo stesso, in caso di trattamento terapeutico di durata;
Considerato:che la richiesta di distacco del respiratore artificiale, richiesto dal Signor Piergiorgio Welby, costituisce la negazione del consenso ad un trattamento terapeutico da parte di un paziente capace di intendere e di volere e pienamente consapevole delle conseguenze che l’interruzione del trattamento avrebbe determinato;
che la conseguenza di lasciarsi morire risulta, agli atti, consapevole, accettata e voluta dal parte del signor Piergiorgio Welby;
tutto ciò premesso
decreta con parere unanime
di non aprire procedimento disciplinare nei confronti del Dott. Mario Riccio e dispone l’archiviazione del caso.
IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE MEDICA
Cremona, 1 febbraio 2007 ore 0,30 (Dott. Andrea Bianchi)
LEGGE 22 dicembre 2017, n. 219,Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento.
Art. 1. Consenso informato
1. La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignita' e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario puo' essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.
2. E' promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medicoche si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilita' del medico. Contribuiscono alla relazione di cura, in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l'equipe sanitaria. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell'unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo.
3. Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonche' riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Puo' rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l'eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
4. Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
5. Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l'accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
6. Il medico e' tenuto a rispettare la volonta' espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimoe, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non puo' esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali.
7. Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell'equipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla.
8. Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura.
9. Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l'informazione necessaria ai pazienti e l'adeguata formazione del personale.
10. La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del dolore e di cure palliative.
11. È fatta salva l'applicazione delle norme speciali che disciplinano l'acquisizione del consenso informato per determinati atti o trattamenti sanitari.
Art. 2. Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignita' nella fase finale della vita
1. Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un'appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l'erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.
2. Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico puo' ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.
3. Il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua o il rifiuto della stessa sono motivati e sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
Art. 3. Minori e incapaci
1. La persona minore di età o incapace ha diritto alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione, nel rispetto dei diritti di cui all'articolo 1, comma 1. Deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacita' per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volonta'.
2. Il consenso informato al trattamento sanitario del minore e' espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità.
3. Il consenso informato della persona interdetta ai sensi dell'articolo 414 del codice civile e' espresso o rifiutato dal tutore, sentito l'interdetto ove possibile, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita della persona nel pieno rispetto della sua dignità.
4. Il consenso informato della persona inabilitata e' espresso dalla medesima persona inabilitata. Nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato e' espresso o rifiutato anche dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere.
5. Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta o inabilitata oppure l'amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all'articolo 4, o il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione e' rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti di cui agli articoli 406 e seguenti del codice civile o del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria.
Art. 4. Disposizioni anticipate di trattamento
1. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un'eventuale futura incapacita' di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, puo', attraverso le DAT, esprimere le proprie volonta' in materia di trattamenti sanitari, nonche' il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresi' una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
2. Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. L'accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che e' allegato alle DAT. Al fiduciario e' rilasciata una copia delle DAT. Il fiduciario puo' rinunciare alla nomina con atto scritto, che e' comunicato al disponente.
3. L'incarico del fiduciario puo' essere revocato dal disponente in qualsiasi momento, con le stesse modalita' previste per la nomina e senza obbligo di motivazione.
4. Nel caso in cui le DAT non contengano l'indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle volonta' del disponente. In caso di necessita', il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del codice civile.
5. Fermo restando quanto previsto dal comma 6 dell'articolo 1, il medico e' tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all'atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilita' di miglioramento delle condizioni di vita. Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, si procede ai sensi del comma 5, dell'articolo 3.
6. Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l'ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all'annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 7. Sono esenti dall'obbligo di registrazione, dall'imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilita' di comunicare. Con le medesime forme esse sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento. Nei casi in cui ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla revoca delle DAT con le forme previste dai periodi precedenti, queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l'assistenza di due testimoni.
7. Le regioni che adottano modalita' telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalita' informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia delle DAT, compresa l'indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la liberta' di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili.
8. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero della salute, le regioni e le aziende sanitarie provvedono a informare della possibilita' di redigere le DAT in base alla presente legge, anche attraverso i rispettivi siti internet.
Art. 5. Pianificazione condivisa delle cure
1. Nella relazione tra paziente e medico di cui all'articolo 1, comma 2, rispetto all'evolversi delle conseguenze di una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, puo' essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico, alla quale il medico e l'equipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacita'.
2. Il paziente e, con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell'unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia sono adeguatamente informati, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, in particolare sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente puo' realisticamente attendersi in termini di qualita' della vita, sulle possibilita' cliniche di intervenire e sulle cure palliative.
3. Il paziente esprime il proprio consenso rispetto a quanto proposto dal medico ai sensi del comma 2 e i propri intendimenti per il futuro, compresa l'eventuale indicazione di un fiduciario. 4. Il consenso del paziente e l'eventuale indicazione di un fiduciario, di cui al comma 3, sono espressi in forma scritta ovvero, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso video-registrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilita' di comunicare, e sono inseriti nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico. La pianificazione delle cure puo' essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia, su richiesta del paziente o su suggerimento del medico. 5. Per quanto riguarda gli aspetti non espressamente disciplinati dal presente articolo si applicano le disposizioni dell'articolo 4.
Art. 6. Norma transitoria
1. Ai documenti atti ad esprimere le volonta' del disponente in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il comune di residenza o presso un notaio prima della data di entrata in vigore della presente legge, si applicano le disposizioni della medesima legge.
La questione ancora aperta: suicidio assistito, eutanasia, o assistenza al malato terminale?
Art. 580.
Istigazione o aiuto al suicidio.
Chiunquedetermina altrui al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
[…]
Corte cost., ord. N. 207/18, caso Cappato
[…] 9.– La legislazione oggi in vigore non consente […] al medico che ne sia richiesto di mettere a disposizione del paziente che versa nelle condizioni sopra descritte trattamenti diretti, non già ad eliminare le sue sofferenze, ma a determinarne la morte.
In tal modo, si costringe il paziente a subire un processo più lento, in ipotesi meno corrispondente alla propria visione della dignità nel morire e più carico di sofferenze per le persone che gli sono care.
Secondo quanto ampiamente dedotto dalla parte costituita, nel caso oggetto del giudizio a quo l’interessato richiese l’assistenza al suicidio, scartando la soluzione dell’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale con contestuale sottoposizione a sedazione profonda (soluzione che pure gli era stata prospettata), proprio perché quest’ultima non gli avrebbe assicurato una morte rapida. Non essendo egli, infatti, totalmente dipendente dal respiratore artificiale, la morte sarebbe sopravvenuta solo dopo un periodo di apprezzabile durata, quantificabile in alcuni giorni: modalità di porre fine alla propria esistenza che egli reputava non dignitosa e che i propri cari avrebbero dovuto condividere sul piano emotivo.
Nelle ipotesi in esame vengono messe in discussione, d’altronde, le esigenze di tutela che negli altri casi giustificano la repressione penale dell’aiuto al suicidio.
Se, infatti, il cardinale rilievo del valore della vita non esclude l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza tramite l’interruzione dei trattamenti sanitari – anche quando ciò richieda una condotta attiva, almeno sul piano naturalistico, da parte di terzi (quale il distacco o lo spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda continua e di una terapia del dolore) – non vi è ragione per la quale il medesimo valore debba tradursi in un ostacolo assoluto, penalmente presidiato, all’accoglimento della richiesta del malato di un aiuto che valga a sottrarlo al decorso più lento – apprezzato come contrario alla propria idea di morte dignitosa – conseguente all’anzidetta interruzione dei presidi di sostegno vitale.
Quanto, poi, all’esigenza di proteggere le persone più vulnerabili, è ben vero che i malati irreversibili esposti a gravi sofferenze sono solitamente ascrivibili a tale categoria di soggetti. Ma è anche agevole osservare che, se chi è mantenuto in vita da un trattamento di sostegno artificiale è considerato dall’ordinamento in grado, a certe condizioni, di prendere la decisione di porre termine alla propria esistenza tramite l’interruzione di tale trattamento, non si vede perché il medesimo soggetto debba essere ritenuto viceversa bisognoso di una ferrea e indiscriminata protezione contro la propria volontà quando si discuta della decisione di concludere la propria esistenza con l’aiuto di altri, quale alternativa reputata maggiormente dignitosa alla predetta interruzione.
Entro lo specifico ambito considerato, il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce, quindi, per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., imponendogli in ultima analisi un’unica modalità per congedarsi dalla vita, senza che tale limitazione possa ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile, con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive (art. 3 Cost.: parametro, quest’ultimo, peraltro non evocato dal giudice a quo in rapporto alla questione principale, ma comunque sia rilevante quale fondamento della tutela della dignità umana).
10.– Al riscontrato vulnus ai principi sopra indicati, questa Corte ritiene, peraltro, di non poter porre rimedio, almeno allo stato, a traverso la mera estromissione dall’ambito applicativo della disposizione penale delle ipotesi in cui l’aiuto venga prestato nei confronti di soggetti che versino nelle condizioni appena descritte.
Una simile soluzione lascerebbe, infatti, del tutto priva di disciplina legale la prestazione di aiuto materiale ai pazienti in tali condizioni, in un ambito ad altissima sensibilità etico-sociale e rispetto al quale vanno con fermezza preclusi tutti i possibili abusi.
In assenza di una specifica disciplina della materia, più in particolare, qualsiasi soggetto – anche non esercente una professione sanitaria – potrebbe lecitamente offrire, a casa propria o a domicilio, per spirito filantropico o a pagamento, assistenza al suicidio a pazienti che lo desiderino, senza alcun controllo ex ante sull’effettiva sussistenza, ad esempio, della loro capacità di autodeterminarsi, del carattere libero e informato della scelta da essi espressa e dell’irreversibilità della patologia da cui sono affetti.
Di tali possibili conseguenze della propria decisione questa Corte non può non farsi carico, anche allorché sia chiamata, come nel presente caso, a vagliare la incompatibilità con la Costituzione esclusivamente di una disposizione di carattere penale.
Una regolazione della materia, intesa ad evitare simili scenari, gravidi di pericoli per la vita di persone in situazione di vulnerabilità, è suscettibile peraltro di investire plurimi profili, ciascuno dei quali, a sua volta, variamente declinabile sulla base di scelte discrezionali: come, ad esempio, le modalità di verifica medica della sussistenza dei presupposti in presenza dei quali una persona possa richiedere l’aiuto, la disciplina del relativo “processo medicalizzato”, l’eventuale riserva esclusiva di somministrazione di tali trattamenti al servizio sanitario nazionale, la possibilità di una obiezione di coscienza del personale sanitario coinvolto nella procedura.
D’altra parte, una disciplina delle condizioni di attuazione della decisione di taluni pazienti di liberarsi delle proprie sofferenze non solo attraverso una sedazione profonda continua e correlativo rifiuto dei trattamenti di sostegno vitale, ma anche a traverso la somministrazione di un farmaco atto a provocare rapidamente la morte, potrebbe essere introdotta, anziché mediante una mera modifica della disposizione penale di cui all’art. 580 cod. pen., in questa sede censurata, inserendo la disciplina stessa nel contesto della legge n. 219 del 2017 e del suo spirito, in modo da inscrivere anche questa opzione nel quadro della «relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico», opportunamente valorizzata dall’art. 1 della legge medesima.
Peraltro, l’eventuale collegamento della non punibilità al rispetto di una determinata procedura potrebbe far sorgere l’esigenza di introdurre una disciplina ad hoc per le vicende pregresse (come quella oggetto del giudizio a quo), che di tale non punibilità non potrebbero altrimenti beneficiare: anche qui con una varietà di soluzioni possibili.
Dovrebbe essere valutata, infine, l’esigenza di adottare opportune cautele affinché – anche nell’applicazione pratica della futura disciplina – l’opzione della somministrazione di farmaci in grado di provocare entro un breve lasso di tempo la morte del paziente non comporti il rischio di alcuna prematura rinuncia, da parte delle strutture sanitarie, a offrire sempre al paziente medesimo concrete possibilità di accedere a cure palliative diverse dalla sedazione profonda continua, ove idonee a eliminare la sua sofferenza – in accordo con l’impegno assunto dallo Stato con la citata legge n. 38 del 2010 – sì da porlo in condizione di vivere con intensità e in modo dignitoso la parte restante della propria esistenza. Il coinvolgimento in un percorso di cure palliative dovrebbe costituire, infatti, un pre-requisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente.
I delicati bilanciamenti ora indicati restano affidati, in linea di principio, al Parlamento, il compito naturale di questa Corte essendo quello di verificare la compatibilità di scelte già compiute dal legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità politica, con i limiti dettati dalle esigenze di rispetto dei principi costituzionali e dei diritti fondamentali delle persone coinvolti.
[…]
Obiezione di coscienza del singolo e non della struttura
Cons. Stato, sez III, sent. n. 04460/2014
Altro e più complesso problema, naturalmente, è quello della c.d. obiezione di coscienza e dell’eventuale rifiuto, da parte del singolo medico, di effettuare una prestazione, ritenuta in scienza e coscienza contraria alle sue più profonde convinzioni etiche e/o ai suoi doveri professionali, come quella di interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale, provocando la morte del paziente.
55.3. È questo indubbiamente un punto critico e uno snodo fondamentale del rapporto tra autodeterminazione del paziente e autonomia professionale del medico, nel quale tali fondamentali principi, che devono essere entrambi preservati in un ragionevole punto di equilibrio, possono venire a conflitto.
55.4. La ricerca di tale punto di equilibrio rende tanto più indispensabile ed urgente un intervento legislativo che, eventualmente, preveda l’obiezione di coscienza del personale sanitario, a tutela della sua incomprimibile sfera di autonomia professionale e del suo foro “interno”, predisponendo nel contempo le misure atte a garantire che l’interruzione del trattamento medico sia comunque garantita al paziente che ne faccia legittima richiesta dal Servizio Sanitario Nazionale, nel suo complesso, e dalle strutture e dal personale all’uopo designati.
55.5. Non spetta comunque alla Regione sollevare un’obiezione di coscienza della
struttura sanitaria nel suo complesso, attenendo l’obiezione di coscienza, per sua
stessa natura, al foro interno del singolo e non certo all’istituzione pubblica nel suo
complesso, che al contrario deve attrezzarsi, nonostante il rifiuto del singolo
sanitario dovuto a ragioni di autonomia professionale e morale, per garantire
l’effettuazione di una prestazione doverosa.
55.6. Bene è stato osservato in dottrina, al riguardo, che a chi avanza motivi di
coscienza si può e si deve obiettare che solo gli individui hanno una “coscienza”,
mentre la “coscienza” delle istituzioni è costituita dalle leggi che le regolano.
55.7. La risoluzione del potenziale conflitto tra libertà del paziente e coscienza del
medico, anche prescindendo dal ruolo della “coscienza” di cui la Regione intende
impropriamente farsi portavoce, non può del resto trovare il proprio punto di
equilibrio nella totale compressione della prima, come assume la Regione, assegnando una aprioristica prevalenza alla seconda e determinando, perciò,
l’illegittimo rifiuto della struttura sanitaria o dell’intero Servizio Sanitario
Regionale, nella sua totalità, a ricoverare il paziente che ne faccia richiesta.
Chi decide quali terapie possono essere somministrate?
Cass. Sez. III civ., sent. N. 9180/18
Condanna al risarcimento dei sanitari e della struttura per avere, in seguito ad intervento chirurgico d’urgenza (appendicectomia) somministrato un farmaco a paziente minorenne senza tenere in adeguata considerazione le informazioni fornite dai genitori sulle sue possibili reazioni allergiche.
4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, il “vizio di motivazione del capo di sentenza che ha affermato la responsabilità della struttura per imprudente somministrazione del farmaco”.
Dalla consulenza tecnico legale esperita in sede penale si ricaverebbe che la sindrome extrapiramidale cui è ricollegabile il decesso del bambino non ha nulla a che vedere con una reazione allergica, che la segnalazione delle allergie, correttamente registrata nella cartella clinica, non avrebbe potuto determinare i medici ad una conclusione diversa da quella dell’insussistenza di controindicazioni alla somministrazione del farmaco; che comunque il farmaco fu prudenzialmente somministrato in dosaggio più basso rispetto al peso del bambino e diluito.
Di conseguenza, non sussisterebbe nesso di causalità, dato che la condotta che la Corte di Appello afferma essere stata omessa non avrebbe comunque impedito l’evento, qualificabile perciò come caso fortuito.
Il motivo è infondato.
Con riferimento alla condotta consistente nella somministrazione del Plasil, la sentenza impugnata afferma che la differenza tra allergia e reazione extrapiramidale sarebbe irrilevante e che l’informazione della madre circa le allergie (ad altri farmaci) sofferte dal figlio sarebbe stata sufficiente a determinare un “approfondimento delle conoscenze della terapia farmacologica opportuna, attraverso la rigorosa lettura delle Indicazioni, Controindicazioni, Avvertenze ed Effetti Indesiderati o collaterali”. Conclude quindi che detta condotta non sarebbe stata conforme a prudenza.
La Corte di Appello non ha affatto trascurato di esaminare ed argomentare in ordine alle ulteriori circostanze dedotte dall’odierna ricorrente, emergenti dalla consulenza tecnica espletata in sede penale al fine dell’accertamento della responsabilità, ovvero sia sulla circostanza che, all’epoca dei fatti, non esistevano particolari controindicazioni mediche all’assunzione del Plasil da parte di soggetti nella situazione di (OMISSIS), sia sulla circostanza che, comunque, presumibilmente in considerazione dell’età e dello stato del bambino, erano state prese particolari cautele, procedendo alla somministrazione in dose inferiore rispetto a quella raccomandata per il peso del paziente.
Semplicemente, le ha ritenute irrilevanti. La Corte d’Appello ha difatti ritenuto che le informazioni della madre circa la tendenza allergica del figlio avrebbero dovuto imporre, nel comportamento dei sanitari, una attenzione particolare di valutazione e di prevedibilità verso eventuali reazioni avverso la somministrazione di qualsiasi farmaco, che, anche se non di tipo allergico, potevano essere dannose per il bambino. E quindi i medici avrebbero dovuto tenere una condotta assai più diligente, consistente nel leggere con attenzione il bugiardino di tutti i farmaci somministrati e seguire attentamente le reazioni del bambino.
La motivazione, scevra da vizi logico-giuridici, non può che essere confermata.
Dati relativi alla salute – Regolamento UE n. 2016/679 (GDPR) del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016
I dati relativi alla salute, sono quelli "attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute" (art. 4 GDPR).
GDPR - Regolamento generale sulla protezione dei dati (UE/2016/679)
Articolo 4
Definizioni
Ai fini del presente regolamento s'intende per:
1) «dato personale»: qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all'ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale;
2) «trattamento»: qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l'ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l'adattamento o la modifica, l'estrazione, la consultazione, l'uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l'interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione;
3) «limitazione di trattamento»: il contrassegno dei dati personali conservati con l'obiettivo di limitarne il trattamento in futuro;
4) «profilazione»: qualsiasi forma di trattamento automatizzato di dati personali consistente nell'utilizzo di tali dati personali per valutare determinati aspetti personali relativi a una persona fisica, in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti il rendimento professionale, la situazione economica, la salute, le preferenze personali, gli interessi, l'affidabilità, il comportamento, l'ubicazione o gli spostamenti di detta persona fisica;
[…]
6) «archivio»: qualsiasi insieme strutturato di dati personali accessibili secondo criteri determinati, indipendentemente dal fatto che tale insieme sia centralizzato, decentralizzato o ripartito in modo funzionale o geografico;
7) «titolare del trattamento»: la persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali; quando le finalità e i mezzi di tale trattamento sono determinati dal diritto dell'Unione o degli Stati membri, il titolare del trattamento o i criteri specifici applicabili alla sua designazione possono essere stabiliti dal diritto dell'Unione o degli Stati membri;
8) «responsabile del trattamento»: la persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento;
9) «destinatario»: la persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o un altro organismo che riceve comunicazione di dati personali, che si tratti o meno di terzi. Tuttavia, le autorità pubbliche che possono ricevere comunicazione di dati personali nell'ambito di una specifica indagine conformemente al diritto dell'Unione o degli Stati membri non sono considerate destinatari; il trattamento di tali dati da parte di dette autorità pubbliche è conforme alle norme applicabili in materia di protezione dei dati secondo le finalità del trattamento;
[…]
11) «consenso dell'interessato»: qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell'interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento;
12) «violazione dei dati personali»: la violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l'accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati;
13) «dati genetici»: i dati personali relativi alle caratteristiche genetiche ereditarie o acquisite di una persona fisica che forniscono informazioni univoche sulla fisiologia o sulla salute di detta persona fisica, e che risultano in particolare dall'analisi di un campione biologico della persona fisica in questione;
14) «dati biometrici»: i dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l'identificazione univoca, quali l'immagine facciale o i dati dattiloscopici;
15) «dati relativi alla salute»: i dati personali attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute;
[…]
Sono ricompresi nella più vasta categoria dei dati soggetti a trattamento speciale (art. 9 GDPR), in quanto in grado di rivelare dettagli molto intimi della persona, e per questo vi è una tutela rafforzata, di tali dati.
Articolo 9 Trattamento di categorie particolari di dati personali
1. È vietato trattare dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona.
2. Il paragrafo 1 non si applica se si verifica uno dei seguenti casi:
a) l'interessato ha prestato il proprio consenso esplicito al trattamento di tali dati personali per una o più finalità specifiche, salvo nei casi in cui il diritto dell'Unione o degli Stati membri dispone che l'interessato non possa revocare il divieto di cui al paragrafo 1;
b) il trattamento è necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell'interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale, nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati membri o da un contratto collettivo ai sensi del diritto degli Stati membri, in presenza di garanzie appropriate per i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato;
c) il trattamento è necessario per tutelare un interesse vitale dell'interessato o di un'altra persona fisica qualora l'interessato si trovi nell'incapacità fisica o giuridica di prestare il proprio consenso;
d) il trattamento è effettuato, nell'ambito delle sue legittime attività e con adeguate garanzie, da una fondazione, associazione o altro organismo senza scopo di lucro che persegua finalità politiche, filosofiche, religiose o sindacali, a condizione che il trattamento riguardi unicamente i membri, gli ex membri o le persone che hanno regolari contatti con la fondazione, l'associazione o l'organismo a motivo delle sue finalità e che i dati personali non siano comunicati all'esterno senza il consenso dell'interessato;
e) il trattamento riguarda dati personali resi manifestamente pubblici dall'interessato;
f) il trattamento è necessario per accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali;
g) il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri, che deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l'essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato;
h) il trattamento è necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità, fatte salve le condizioni e le garanzie di cui al paragrafo 3;
i) il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell'assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell'interessato, in particolare il segreto professionale;
j) il trattamento è necessario a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici in conformità dell'articolo 89, paragrafo 1, sulla base del diritto dell'Unione o nazionale, che è proporzionato alla finalità perseguita, rispetta l'essenza del diritto alla protezione dei dati e prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato.
3. I dati personali di cui al paragrafo 1 possono essere trattati per le finalità di cui al paragrafo 2, lettera h), se tali dati sono trattati da o sotto la responsabilità di un professionista soggetto al segreto professionale conformemente al diritto dell'Unione o degli Stati membri o alle norme stabilite dagli organismi nazionali competenti o da altra persona anch'essa soggetta all'obbligo di segretezza conformemente al diritto dell'Unione o degli Stati membri o alle norme stabilite dagli organismi nazionali competenti.
[…]
Il regolamento europeo stabilisce che i dati relativi alla salute possono essere utilizzati solo per finalità connesse alla salute (finalità di cura), per la supervisione del Sistema Sanitario Nazionale (finalità di governo) e per la ricerca nel pubblico interesse. L’articolo 9, lett h), non prevede la necessità del consenso per il trattamento dei dati per “finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità”. Una volta che il cittadino ha deciso di sottoporsi ad una cura non occorre il consenso al trattamento dei suoi dati a fini di cura e diagnosi.
La norma, però, lascia agli Stati membri la possibilità di “mantenere o introdurre ulteriori condizioni, comprese limitazioni, con riguardo al trattamento di dati genetici, dati biometrici o dati relativi alla salute” (comma 4). In tal senso il legislatore italiano ha previsto, col Codice Privacy novellato, misure di garanzia e regole deontologiche, fissate dall'autorità di controllo nazionale e riviste a cadenza biennale. Quindi, Il Garante nazionale dovrà adottare delle misure di garanzia, sentito il Consiglio superiore di sanità e tenendo conto delle linee guida, delle raccomandazioni e delle buone prassi del Garante europeo, in particolare con riferimento alle cautele relative alle "modalità per la comunicazione diretta all’interessato delle diagnosi e dei dati relativi alla propria salute. Inoltre l'autorità di controllo dovrà anche promuovere delle regole deontologiche per il trattamento dei dati relativi alla salute.
Soggetti
I soggetti che per legge possono trattare dati sanitari sono:
- esercenti una professione sanitaria;
- organismi sanitari pubblici.
Gli esercenti una professione sanitaria, in base alle leggi vigenti (l. 24/2017), sono:
- farmacista ex d.lgs. 258/1991;
- medico chirurgo ex d.lgs. 368/1999;
- odontoiatra ex l.409/1985;
- veterinario ex l. 750/1984;
- psicologo ex l. 56/1989;
- infermiere ex l. 905/1980;
- ostetrico ex l. 296/1985;
- infermiere pediatrico ex d.l. 70/1997;
- esercente professioni sanitarie riabilitative.
Sono esclusi l'operatore di interesse sanitario (l. 403/1971 e l. 43/2006) e arti ausiliari delle professioni sanitarie (massaggiatore, ottico, odontotecnico, puericultrice); ciò in quanto si tratta di persone che svolgono un’attività che ha rilevanza sanitaria, oppure di affiancamento, ma non costituiscono esse stesse attività sanitarie.
Informativa
L’informazione esclusiva del medico riguarda la prevenzione, il percorso diagnostico, la diagnosi e prognosi, la terapia e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, i prevedibili rischi e complicanze, nonché i comportamenti che il paziente dovrà osservare nel processo di cura. Tale informazione deve essere integrata con quella proveniente dagli altri esercenti le professioni sanitarie, così realizzando un’informazione complessiva e completa. Da evitare sicuramente comportamenti tesi a supplire le carenze informative limitandosi a ottenere una firma del paziente a fronte di informazion incomplete.
Prima di procedere alla raccolta dei dati occorre fornire l'informativa al paziente. Il documento deve indicare:
- chi è il soggetto che raccoglie i dati;
- le finalità del trattamento;
- le modalità del trattamento;
- la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati e conseguenze per un eventuale rifiuto;
- i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i dati possono essere comunicati;
- gli estremi identificativi del titolare;
- le modalità per l'esercizio dei diritti a tutela dei propri dati.
Conservazione
I documenti che contengono dati sanitari devono essere conservati in archivi ad accesso controllato.
Diffusione dei dati
I dati sullo stato della salute possono essere forniti anche a terzi, come parenti, familiari, conviventi, conoscenti, personale volontario, purché ovviamente il paziente, se cosciente, sia stato informato e abbia consentito. Occorre comunque rispettare l’eventuale richiesta della persona ricoverata a non rendere note neppure ai terzi legittimati la sua presenza nella struttura sanitaria o le informazioni sulle sue condizioni di salute.
Fascicolo sanitario elettronico
Il Fascicolo sanitario elettronico (FSE, previsto dall'art. 12 DL 179/2012) è uno strumento informatico che riunisce i dati e i documenti (digitali o digitalizzati) di tipo sanitario e sociosanitario, relativi all'assistito. La sua funzione è di condividere tali dati, e quindi la storia clinica del paziente, tra vari medici o organismi sanitari.
Il fascicolo viene, quindi, aggiornato dalle strutture sanitarie e dai medici. Al FSE possono accedere, oltre al paziente (con modalità sicure, es. smart card), i medici e il personale sanitario autorizzato. Non possono accedere terzi, quali periti assicurativi o datori di lavoro.
Non essendo stato abrogato l'articolo 12 del DL 179/2012, attualmente l'inserimento di dati all'interno dell'FSE dipende dal consenso del paziente (art. 3 bis). A tal proposito deve essere informato in merito a chi ha accesso ai suoi dati e come questi possono essere utilizzati. Il consenso alla formazione del FSE ovviamente è del tutto distinto dalle cure, nel senso che il mancato consenso alla costituzione del FSE, oppure semplicemente all'inserimento di alcuni dati nel fascicolo, non può precludere la possibilità di usufruire delle cure.
Il consenso può essere sempre revocato, e il paziente ha il diritto di oscurare alcuni dati specifici dal FSE.
Cass., Sezioni Unite civili, sent. 27 dicembre 2017, n. 30981
Trattamento dati sensibili
Normativa previgente
1. C.M., premesso di essere beneficiario dell’indennità riconosciutagli ex L. n. 210 del 1992, ha dedotto l’illegittima detenzione e divulgazione del dato sensibile relativo alle sue condizioni di salute derivante dall’indicazione nella causale di accredito dell’indennità “pagamento rateo arretrati bimestrali e posticipati (…) L. n. 210 del 1992”. Ha indicato, come responsabili dell’uso e diffusione illegittima dei predetti dati sia la regione Campania, ente pubblico erogatore dell’indennità che il Banco di Napoli, essendo i ratei bimestrali accreditati su un suo conto corrente acceso presso l’istituto.
Ha chiesto, al riguardo, la rimozione del dato e il risarcimento del danno.
[…]
il tribunale ha rigettato il ricorso.
6. Nell’unico motivo di ricorso viene, in primo luogo, dedotto che il Tribunale non ha colto la differenza cruciale, nell’ambito del sistema delineato dal D.Lgs. n. 196 del 2003, tra dato personale e dato sensibile, ed in particolare non ha rilevato che quest’ultimo attiene alla salute ed è conseguentemente soggetto ad una più intensa e peculiare disciplina di protezione anche quando il titolare sia un’autorità pubblica. In secondo luogo, viene evidenziato come nella pronuncia impugnata non venga compreso che la “detenzione” del dato è una categoria inapplicabile dovendo sostituirsi con il “trattamento”. Il titolare del trattamento è tenuto a non ledere il diritto alla protezione dei dati personali anche in sede di uso e conservazione del dato non solo quando esso venga trasmesso.
6.1. Le cautele previste dal D.Lgs. n. 196 del 2003 operano anche quando il trattamento sia autorizzato dalla legge e sia rivolto alla realizzazione dell’attività istituzionale dell’ente pubblico. La ricorrenza di queste ultime condizioni non giustifica il trattamento e la trasmissione del dato in modo che sia del tutto riconoscibile l’identificazione dello stato di salute della ricorrente.
L’art. 22, comma 6, impone la cifratura dei dati sensibili, riferendosi specificamente a quelli di cui il soggetto pubblico sia autorizzato al trattamento anche senza il consenso dell’interessato. Pertanto, pur volendo applicare il R.D. n. 827 del 1924, art. 409, sarebbe stata comunque necessaria per la regione Campania, al fine di andare esente da responsabilità, la criptatura o cifratura del dato sensibile all’atto del trasferimento all’istituto di credito.
6.2. Per quanto riguarda la responsabilità dell’istituto di credito, la ricorrente evidenzia che la detenzione costituisce trattamento del dato sensibile ed è assoggettata alla tutela conseguente. Pertanto anche l’istituto di credito, ancorché autorizzato al trattamento del dato, avrebbe dovuto “trattarlo” criptato essendo altrimenti conoscibile da parte di tutti gli impiegati della banca, dagli addetti al pagamento e da quelli che si occupano del recapito della posta.
Non elide l’obbligo di cifratura né l’autorizzazione al pagamento né il conferimento del mandato da parte del cliente ed il vincolo contrattuale assunto, certamente non diretto al trattamento contra legem dei propri dati sensibili.
Al contrario anche l’istituto di credito ha trattato il dato sensibile in dispregio del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 20 non adottando alcun accorgimento idoneo a renderlo non intellegibile ed inoltre Io ha diffuso illegittimamente consentendone una conoscenza estesa ad un grande numero di dipendenti.
Il dato infine è stato diffuso anche all’interno del circuito interbancario.
Non si riproducono le argomentazioni del ricorso rivolte al profilo risarcitorio in quanto la sentenza impugnata non le ha affrontate non riconoscendo il diritto azionato.
7. Come evidenziato nella sentenza impugnata, è necessario, per accertare se le condotte delle parti resistenti siano da qualificare illecite secondo i parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 196 del 2003, verificare preliminarmente se i dati in questione siano personali ed in caso di risposta affermativa, se siano da qualificare sensibili; se l’utilizzazione degli stessi possa configurare un “trattamento” rilevante ai fini del sistema di protezione dei dati personali previsto dal nostro ordinamento ed infine se le parti resistenti siano identificabili come titolari del trattamento dei dati in questione.
7.1 Il primo interrogativo è di agevole soluzione: i dati desumibili dal richiamo alla L. n. 210 del 1992 sono personali in quanto relativi ad una persona fisica identificata (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 3, lett. b)) e sensibili perché aventi un contenuto idoneo a rivelare lo stato di salute della persona identificata (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 3, lett. d)). Il regime di protezione dei dati sensibili relativi alla salute (e alla vita sessuale) è, come verrà evidenziato nell’illustrazione del quadro normativo, ispirato alla massima riservatezza dei dati stessi ed alla generale illiceità del trattamento di essi senza il consenso dell’interessato. Le eccezioni sono tassativamente predeterminante da norme legislative che ne procedimentalizzano puntualmente le modalità d’uso, specie se riguardanti dati sensibili non anonimi.
Deve, infine, essere precisato (come esattamente rilevato nell’ordinanza interlocutoria) che la dizione “pagamento rateo arretrati bimestrali e posticipati L. n. 210 del 1992” contiene la rivelazione del dato personale sensibile riguardante la salute del ricorrente in quanto la periodicità della corresponsione, desumibile inequivocamente dal testo come sopra descritto, non può che riguardare il soggetto affetto dalle patologie cui l’indennità si riferisce e non i suoi familiari-eredi ai quali la legge riconosce un importo a titolo di una tantum.
7.2 n secondo interrogativo si risolve con la definizione normativa del trattamento dei dati personali (nella specie sensibili) che consiste, D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 4, lett. a), oltre alla raccolta e conservazione (ed alle forme di utilizzo connesse alla disponibilità dei dati stessi, come l’estrazione, la selezione, etc.), anche la comunicazione e la diffusione degli stessi. La comunicazione è l’operazione di trasmissione rivolta verso un soggetto determinato; la diffusione si rivolge verso un numero indeterminato di destinatari. Ne consegue che la trasmissione dei dati personali sensibili, della parte ricorrente, dalla regione Campania all’istituto bancario è esattamente riconducibile alla “comunicazione” ed è pertanto rientrante nella definizione normativa di “trattamento”, così come lo sono le successive operazioni sui dati medesimi eseguite dal Banco di Napoli, in quanto riconducibili alla raccolta, selezione, e circolazione dei dati ovvero alle attività funzionali agli adempimenti contrttualmente richiesti, all’interno di una complessa organizzazione composta di un numero non esiguo ma determinato di addetti ed infine alla trasmissione al destinatario-ricorrente.
7.3 Il titolare del trattamento, D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 4, lett. f) è la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni in ordine alle finalità, alle modalità del trattamento e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza. Dalle considerazioni svolte è del tutto agevole ritenere la regione Campania ed il Banco di Napoli titolari del trattamento dei dati sensibili del ricorrente ciascuno per le funzioni e gli adempimenti, rispettivamente di natura pubblica e contrattuale, posti in essere per pervenire all’accredito dell’indennità in favore dello stesso. Alle parti resistenti è, infatti, riconducibile il potere decisionale relativo alle modalità e agli strumenti utilizzati per il trattamento di tali dati.
8. Deve osservarsi che il sistema di protezione dei dati sensibili contenuto nel D.Lgs. n. 196 del 2003 si fonda sul principio generale della necessità del consenso espresso dell’interessatoal trattamento di tali dati, in quanto dotati di uno rigoroso statuto normativo di garanzia della riservatezza, derogabile soltanto nelle ipotesi espressamente previste nella stessa legge o mediante diretta previsione normativa o mediante rinvio al potere conformativo-autorizzatorio del Garante.
Deve, pertanto, escludersi che il consenso al trattamento dei dati sensibili possa desumersi, in via indiretta da atti di natura diversa come la richiesta d’indennità ex L. n. 210 del 1992 o l’indicazione dell’istituto bancario presso il quale accreditare l’erogazione. L’esercizio di un diritto previsto dalla legge nei confronti dell’ente pubblico e l’attivazione di una delle prestazioni previste dal contratto di conto corrente di corrispondenza a carico dell’istituto bancario non modificano in alcun modo la posizione dei soggetti dei due rapporti giuridici dedotto in giudizio rispetto alla disciplina legislativa del trattamento dei dati sensibili. Il beneficiario dell’indennità è il soggetto interessato alla tutela dei propri dati sensibili e la regione Campania unitamente alla banca, sono i titolari del trattamento proprio perché il vincolo assunto li porta ad avere la conoscenza e la disponibilità dei dati stessi. Non si può ritenere, di conseguenza, che l’interessato abbia, con le richieste inoltrate all’ente pubblico ed alla banca, autorizzato, in modo implicito, la comunicazione o la diffusione dei propri dati in quanto funzionale all’esercizio del diritto all’indennità e alla concreta erogazione del beneficio. Il rapporto giuridicamente qualificato sussistente tra soggetto titolare del diritto alla protezione dei propri dati sensibili e titolare del trattamento dei dati stessi è del tutto autonomo rispetto al vincolo legale o contrattuale che avvince, per ciò che concerne il diritto e l’erogazione dell’indennità, i soggetti obbligati e beneficiario. L’uno non confluisce nell’altro, mantenendo ciascuno di essi il proprio regime giuridico. Ci sono due relazioni produttive di effetti giuridici, l’una riguardante il beneficio accordato dalla L. n. 210 del 1992, l’altra la tutela del diritto fondamentale alla riservatezza in ordine ai dati personali relativi alla salute. Per questa seconda relazione giuridicamente qualificata che ha ad esclusivo oggetto il trattamento dei dati, la fonte di regolazione non può in alcun modo desumersi dal regime normativo e contrattuale dell’altra perché si tratta di diritti e beni giuridici diversi e non sovrapponibili.
9. Dalle premesse svolte, risulta necessario, al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza prospettato dall’ordinanza interlocutoria n.3455 del 2017, illustrare il quadro normativo applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio.
10. Prima di verificare come, all’interno del D.Lgs. n. 196 del 2003 operi la protezione dei dati sensibili anche nei confronti dei soggetti pubblici o privati che siano obbligati al trattamento per fini istituzionali o derivanti da vincolo negoziale con l’interessato, deve rilevarsi che la natura “super sensibile” dei dati personali connessi al riconoscimento dell’indennità in questione, è riconosciuto, in primo luogo, dalla stessa L. n. 210 del 1992. Nell’art. 3 è espressamente previsto che l’istruzione della domanda avvenga in modo da garantire “il diritto alla riservatezza anche mediante opportune modalità organizzative”. (L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1). Nel successivo comma 1 bis la garanzia di riservatezza viene estesa a “chiunque nell’esercizio delle proprie funzioni venga a conoscenza” di persone danneggiate da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati. La norma si riferisce specificamente a tutti i soggetti che siano coinvolti per le funzioni svolte, dal titolare del trattamento dei dati (La USL), nell’istruzione e valutazione dell’ istanza ed impone ad essi di rispettare il segreto d’ufficio e di adottare, nell’ambito delle proprie competenze, tutte le misure occorrenti per la tutela della riservatezza della persona interessata.
L’introduzione di una disciplina così puntuale in ordine alla tutela della riservatezza, non limitata all’affermazione del diritto, ma diretta in modo specifico ad imporre operativamente le cautele necessarie al titolare del trattamento ed a coloro che in ragione delle funzioni svolte ne vengano a conoscenza e a loro volta attuino il “trattamento” dei dati, non si rinviene nella formulazione originaria della norma risultando introdotto dopo l’entrata in vigore della prima disciplina normativa organica della tutela dei dati personali avvenuta con il D.Lgs. n. 675 del 1996. Il legislatore richiede “modalità organizzative” ovvero condotte positivamente rivolte a tutelare la riservatezza dei dati anche all’interno dell’articolazione strutturale e funzionale del soggetto pubblico, non limitandosi ad un richiamo alla non divulgabilità all’esterno dei dati conosciuti ed oggetto di trattamento.
Non se ne deve, conseguentemente, trascurare l’influenza ermeneutica nell’esame delle norme del D.Lgs. n. 196 del 2003, direttamente disciplinanti la fattispecie dedotta nel presente giudizio ed oggetto del contrasto di giurisprudenza illustrato nella parte narrativa della presente pronuncia.
11. È utile precisare, preliminarmente, la collocazione delle norme nell’assetto sistematico del decreto legislativo. Esse si rinvengono nel capo II dal significativo titolo “regole ulteriori per i soggetti pubblici” che segue al capo I riguardante le “regole generali per il trattamento dei dati”. Entrambi i capi sono contenuti nel Titolo 3^ che reca le “regole per tutti i trattamenti”. La ripartizione normativa illustrata evidenzia la peculiarità del trattamento dei dati personali da parte dei soggetti pubblici e definisce l’ambito di derogabilità della regola generale del consenso dell’interessato al trattamento (D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 7 – 10).
L’art. 18 contiene le regole generali. Il trattamento dei dati personali è consentito ai soggetti pubblici solo nell’esercizio delle funzioni istituzionali ma devono essere osservati i presupposti ed i limiti previsti dal Codice (D.Lgs. n. 196 del 2003), dalla legge e dai regolamenti anche in relazione alla diversa natura dei dati. Entro questo duplice perimetro conformativo non è necessario il consenso dell’interessato.
Come indicato dalla norma di carattere generale, sopra esaminata, le disposizioni successive contengono una disciplina di dettaglio in ordine ai presupposti ed alle modalità di trattamento delle varie tipologie di dati. Per quanto riguarda specificamente i dati sensibili, l’art. 20 stabilisce che il trattamento dei dati sensibili da parte di un soggetto pubblico deve essere autorizzato da una espressa disposizione di legge nella quale siano specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite. Ove la norma non contenga l’indicazione delle tipologie di dati da trattare e delle operazioni eseguibili ma individui il rilevante interesse pubblico posto a base del trattamento dei dati, è necessario che le specificazioni mancanti siano contenute in un atto regolamentare, adottato in conformità al parere del Garante. Ove neanche la finalità d’interesse pubblico sia espressa nella norma di legge, i soggetti pubblici possono chiedere al Garante l’individuazione delle attività che perseguano tali finalità e devono provvedere ad identificare e rendere pubblici i tipi di dati oggetto di trattamento. Sia nella prima che nella seconda ipotesi devono essere rispettate le modalità indicate nel successivo art. 22.
Come può agevolmente ricavarsi dall’esame dell’art. 20, il trattamento dei dati sensibili senza il consenso dell’interessato richiede che anche la predeterminazione normativa dei requisiti oggettivi entro i quali è consentito il predetto trattamento sia molto più specifica che per i dati personali non qualificabili come sensibili. Nessuna delle condizioni previste in via generale dall’art. 18 può essere desunta implicitamente dalle funzioni istituzionali del soggetto pubblico. È necessario, invece, che sia la funzione istituzionale che le tipologie dei dati vengano individuate preventivamente e per quanto riguarda i tipi di dati anche rese pubbliche mediante atti normativi regolamentari assunti con la partecipazione vincolante del Garante. Il trattamento dei dati personali sensibili è rigidamente conformato dalle norme legislative e regolamentari che disciplinano in modo espresso i requisiti indefettibilmente richiesti.
Così come non può essere desunto implicitamente il consenso al trattamento dei dati sensibili da condotte diverse dall’adesione espressa dell’interessato, del pari la riserva di legge che giustifica il trattamento dei dati stessi da parte dei soggetti pubblici deve essere esplicita sia in ordine al rilevante interesse pubblico che alla predeterminazione dei dati trattabili, essendo altrimenti insufficiente a conferire, anche nell’ambito delle funzioni istituzionali del soggetto pubblico, il potere di trattare i dati sensibili senza il consenso dell’interessato.
Nella specie non è contestato che la regione Campania agisca non solo all’interno delle proprie attribuzioni istituzionali ma anche per una specifica finalità d’interesse pubblico direttamente desumibile dalla L. n. 210 del 1992.
L’art. 22 che detta i principi applicabili al trattamento dei dati sensibili e giudiziari, determina le “modalità organizzative” mediante le quali i dati in questione possono essere trattati, completando la disciplina legislativa relativa a(trattamento di tali dati con le prescrizioni relative al “come” procedere tutelando la riservatezza degli interessati.
In linea generale nel primo comma viene prescritto che i soggetti pubblici conformano il trattamento dei dati sensibili secondo modalità volta a prevenire violazioni dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità dell’interessato (art. 22, comma 1). L’uso del predicato “conformano” richiama ed impone, al pari delle indicazioni normative sopra illustrate, condotte positivamente e specificamente rivolte alla protezione dei dati sensibili. Seguono le indicazioni di continenza nel trattamento dei dati sensibili da limitarsi, se se ne deve escludere la forma anonima, a quelli strettamente indispensabili alle finalità istituzionali da attuare (art. 22, commi 3 e 5), con divieto di utilizzazione di quelli superflui.
All’interno di questo rigoroso reticolo di regole di comportamento positivo si collocano le prescrizioni di centrale rilievo per l’esame delle questioni dedotte nel presente giudizio.
11.1 nell’art. 22, commi 6 e 7 viene espressamente imposto ai soggetti pubblici di trattare i dati relativi alla salute delle persone “con tecniche di cifratura o mediante l’utilizzazione di codici identificativi o di altre soluzioni che, considerato il numero e la natura dei dati trattati, li rendono temporaneamente inintelligibili anche a chi è autorizzato ad accedervi e permettono di identificare gli interessati solo in caso di necessita”.
Al riguardo deve rilevarsi che non è condivisibile l’interpretazione riduttiva che fornisce della norma la sentenza n. 10815 del 2015.
L’obbligo della cifratura o della criptatura non è limitato agli elenchi contenuti in elenchi, registri o banche dati, tenute con l’ausilio di strumenti elettronici, così come indicato nel comma 6 dell’art. 22 ma si estende a tutte le modalità di raccolta dei dati anche meramente cartacee come si ricava dalla più puntuale indicazione contenuta nel successivo comma 7, specificamente diretta ai dati sensibili relativi alla salute. In questa disposizione si precisa, infatti, che essi sono trattati con le modalità di cui al comma 6 (che richiede la cifratura o criptatura come illustrato) “anche quando sono tenuti in elenchi, registri, o banche di dati senza l’usilio di strumenti elettronici”.
Il comma 8 contiene la norma di chiusura e stabilisce che i dati sensibili relative alla salute non possono essere diffusi.
Il quadro delineato evidenzia come il trattamento dei dati sensibili relativi alla salute deve indefettibilmente conformarsi a tutte le prescrizioni indicate nell’art. 22 e che si tratta di prescrizioni di natura inderogabile le quali non possono essere violate neanche ove non se ravvisi in concreto l’utilità o la necessità, essendo il sistema legislativo integrato di protezione dei dati sensibili ispirato al principio della massima limitazione possibile della circolazione e diffusione degli stessi senza il consenso dell’interessato. La tendenziale assolutezza del principio e la rigorosa definizione del perimetro autorizzatorio al trattamento di tali dati da parte dei soggetti pubblici induce ad escludere che residui in capo ai titolari, individuati D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 18 e ss. alcun potere discrezionale in ordine all’adempimento delle prescrizioni normative relative al trattamento. L’art. 22 ne impone la continenza e la criptatura o cifratura, senza alcun margine di apprezzamento relativo alla efficacia dello strumento in ordine al concreto uso del dato.
12. Non può, pertanto, che darsi continuità all’orientamento espresso dalla sentenza della prima sezione civile n. 10947 del 2014, e ritenere che la regione Campania fosse tenuta in ogni operazione qualificabile come trattamento dei dati, D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 4, lett. a), ad osservare le prescrizioni puntuali contenute nell’art. 22, comma 6 e, conseguentemente ad adottare tecniche di cifratura o mediante l’utilizzazione di codici identificativi o di altre soluzioni che, considerato il numero e la natura dei dati trattati, li rendono temporaneamente inintelligibili anche a chi è autorizzato ad accedervi e permettono di identificare gli interessati solo in caso di necessita. Non soltanto la trasmissione mediante comunicazione (come nella specie) o diffusione dei dati relativi alla salute ma anche la raccolta, la conservazione e l’estrazione e selezione degli stessi deve avvenire mediante codici cifrati e criptati per impedirne la potenzialità diffusiva, limitando l’identificazione degli interessati alle operazioni strettamente necessarie allo scopo finale dell’erogazione dell’indennità.
13. Tale orientamento, coerente con la lettera e la ratio della disciplina legislativa esaminata, non è in contrasto con gli obblighi di trasparenza posti a carico della pubblica amministrazione nell’allocazione e distribuzione delle risorse finanziarie ai quali i soggetti pubblici sono tenuti nei confronti degli organi di controllo, nei confronti dei terzi interessati e più in generale verso i cittadini e gli utenti perché i beneficiari dell’indennità sono identificabili per relationem per mezzo dei codici cifrati o criptati limitatamente però a cio che è strettamente necessario a provvedere alle erogazioni ed a rispettare gli altri obblighi normativi ed istituzionali. All’interno delle articolazioni organizzative del soggetto pubblico le operazioni di trattamento dei dati, ovvero la conservazione, l’estrazione e la selezione di essi devono avvenire mediante tecniche che non consentano l’individuazione del soggetto o escludano il collegamento degli elementi identificativi soggettivi con il dato relativo alla salute. Le operazioni di trasmissione e comunicazione, infine, devono essere corredate delle medesime cautele in considerazione della maggiore esposizione al rischio della conoscenza non consentita dei dati in questione in queste specifiche tipologie di trattamento.
14. La soluzione adottata in ordine al soggetto pubblico titolare del trattamento, deve essere estesa anche all’istituto bancario, anch’esso qualificabile, come già illustrato, quale titolare del trattamento, in quanto tenuto alla raccolta, conservazione e comunicazione agli interessati dei dati medesimi.
14.1. Al riguardo, deve rilevarsi preliminarmente che il regime derogatorio contenuto nel D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 18 e ss. non trova diretta applicazione nei confronti dell’istituto bancario, trattandosi di persona giuridica di diritto privato. Non incide su tale qualificazione e sul regime giuridico applicabile il fatto che l’accredito dell’indennità costituisca la fase finale di un procedimento a formazione progressiva volto alla realizzazione di una finalità di rilevante interesse pubblico.
14.2 Il D.Lgs. n. 196 del 2003 contiene, infatti, un’autonoma regolamentazione per i soggetti privati e gli enti pubblici economici nel capo 3, del titolo 3 (artt. da 23 a 27) notevolmente diversa da quella contenuta nel capo 2 e riferita ai soggetti pubblici.
Nell’art. 23 è contenuta la regola generale della necessità del consenso espresso dell’interessato reso per iscritto se relativo a dati sensibili ed avente ad oggetto la chiara individuazione della o delle tipologie di trattamento.
L’art. 24 esclude la necessità del consenso per adempiere ad obblighi normativi o contrattuali o in altre ipotesi elencate dalla norma ma non riguardanti i dati sensibili. Per questi ultimi, l’art. 26 richiede sempre il consenso scritto dell’interessato e l’autorizzazione preventiva del Garante (art. 26, comma 1). Il comma 4 della norma prevede un elenco di attività per le quali, ferma la previa autorizzazione del Garante, non è necessario lo specifico consenso scritto. Nella sentenza n.10280 del 2015 e nella prospettazione difensiva delle parti controricorrenti si è ritenuta applicabile alla fattispecie dedotta nel presente giudizio la deroga prevista nell’art. 26, comma 4, lett. D inferendo dalla non necessità del consenso la superfluita della cifratura o criptatura. La disposizione invocata fa riferimento al trattamento dei dati sensibili necessario per l’adempimento di obblighi normativi riguardanti “la gestione del rapporto di lavoro, anche in materia di igiene e sicurezza del lavoro e della popolazione e di previdenza e assistenza”.
14.3 Al riguardo, pur rientrando l’indennità in oggetto nelle prestazioni in senso lato previdenziali ed assistenziali, deve ritenersi ai fini dell’applicabilità della norma, la necessità che vi sia un nesso funzionale con il rapporto di lavoro come si rileva dalla esegesi testuale della norma.
La prestazione derivante dall’applicabilità della L. n. 210 del 1992 è estranea al complesso di obblighi e benefici che derivano dal rapporto di lavoro. Con riferimento ai dati sensibili ad essa riconducibili, è necessario in linea generale il consenso espresso dell’interessato ex art. 26, comma 1.
14.4 Peraltro, pur volendo ritenere autonomo il riferimento alle prestazioni previdenziali ed assistenziali, deve escludersi che l’istituto bancario non sia tenuto al trattamento dei dati in modo da occultarne la riconoscibilità all’interno della propria struttura organizzativa, oltre che nella eventuale trasmissione a soggetti determinati o nella diffusione.
15. L’interpretazione sistematica delle norme di protezione dei dati sensibili, contenute nel D.Lgs. n. 196 del 2003, porta ad escludere che le cautele poste a carico del soggetto pubblico non debbano essere applicate anche ai soggetti privati cui i dati siano trasmessi in virtù di un obbligo legale o di un vincolo contrattuale, al fine di completare il procedimento di riconoscimento ed erogazione dell’indennità. Diversamente ragionando si determinerebbe un vulnus privo di ragionevolezza in ordine al trattamento dei dati nella fase, successiva alla trasmissione di essi all’istituto bancario, caratterizzata dal potenziale aumento del numero dei soggetti che ne possono venire a contatto. Le cautele della cifratura e della criptatura sono finalizzate proprio ad evitare la conoscenza dei dati sensibili attinenti alla salute da parte di soggetti che ne possano venire a contatto per l’inclusione nelle organizzazioni complesse titolari del trattamento e, conseguentemente possano estrarli, selezionarli, farne uso e diffonderne il contenuto. Il legislatore sia nel D.Lgs. n. 196 del 2003, in linea generale, che nella L. n. 210 del 1992, ha voluto cercare di limitare al massimo il pericolo connesso alla conoscenza dei dati relativi alla salute in quanto “super sensibili”, indicando modalità di trattamento che nascondano l’identificazione dei soggetti portatori di patologie fisiche o psichiche salvo che per l’esecuzione dell’attività inevitabilmente necessaria alla realizzazione della finalità d’interesse pubblico o per l’adempimento degli obblighi contrattualmente assunti.
15.1 Al riguardo anche l’autorizzazione del Garante n. 5 del 2009, avente ad oggetto le modalità di trattamento dei dati sensibili senza il consenso dell’interessato da parte delle imprese bancarie per l’attuazione degli obblighi contrattuali assunti, prescrive preventivamente che “prima di iniziare o proseguire il trattamento i sistemi informativi e i programmi informatici sono configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali e di dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate mediante, rispettivamente, dati anonimi od opportune modalità che permettano di identificare l’interessato solo in caso di necessità, in conformità all’art. 3 del Codice”.
Nel punto n. 2, del Capo 6, dell’Autorizzazione del Garante sopra indicata, riguardante le “prescrizioni comuni a tutti i trattamenti” viene infine prescritto che il trattamento dei dati sensibili deve essere effettuato con operazioni nonché con logiche e mediante forme di organizzazione dei dati strettamente indispensabili in rapporto alle finalità perseguite, dovendosi altresì rispettare quanto stabilito nell’Autorizzazione n. 2 del 2009. Quest’ultima Autorizzazione, riguardante il trattamento dei dati relativi alla salute e alla vita sessuale è interamente finalizzata a prescrivere comportamenti e modalità organizzative ispirate alla massima riservatezza in ordine al trattamento complessivo dei dati sensibili.
16. Pertanto, deve ritenersi esteso, per le ragioni complessivamente svolte, anche all’istituto bancario l’obbligo di procedere al trattamento dei dati sensibili dei propri clienti titolari dell’indennità attribuita ex lege n. 210 del 1992 mediante tecniche che non ne consentano l’identificazione.
17. In conclusione, il soggetto pubblico – Regione Campania – ed il soggetto persona giuridica privata – Banco di Napoli – sono tenuti, in qualità di titolari del trattamento dei dati personali del ricorrente, nel procedimento di riconoscimento, erogazione e concreto accredito dell’indennità ex lege n. 210 del 1992, ad occultare, mediante tecniche di cifratura o criptatura, il riferimento alla legge sopra indicata, in quanto rivelatore dello stato di salute del beneficiario dell’indennità. Le modalità organizzative, rimesse ai titolari del trattamento dei dati, devono essere dirette ad escludere il collegamento tra il dato sensibile e il soggetto beneficiario dell’indennità ed a limitare alle operazioni indispensabili ed ai soli addetti a tali specifiche operazioni la conoscenza del dato, celandone ai restanti componenti delle due organizzazioni complesse la decifrabilità ed, infine, conservando le medesime cautele nella comunicazione dei dati.
18. L’unico motivo di ricorso deve, in conclusione, essere accolto e la sentenza cassata con rinvio al tribunale di Napoli in diversa composizione perché si attenga al seguente principio di diritto: I dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute possono essere trattati soltanto mediante modalità organizzative, quali tecniche di cifratura o criptatura che rendono non identificabile l’interessato. Ne consegue che i soggetti pubblici o le persone giuridiche private, anche quando agiscano rispettivamente in funzione della realizzazione di una finalità di pubblico interesse o in adempimento di un obbligo contrattuale, sono tenuti all’osservanza delle predette cautele nel trattamento dei dati in questione”.
La novità della questione impone la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Napoli in diversa persona.
Compensa le spese del presente giudizio.
In caso di diffusione oscurare le generalità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 settembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2017
Linee guida
Cass. Civile Ord. Sez. 3 Num. 30998 Anno 2018
3.2.1. Che i sanitari non si attennero alle "linee-guida" generalmente condivise per la somministrazione di eparina è un fatto non decisivo per due ragioni.
In primo luogo non è decisivo perché le c.d. linee guida (ovvero le leges artis sufficientemente condivise almeno da una parte autorevole della comunità scientifica in un determinato tempo) non rappresentano un letto di Procuste insuperabile.
Esse sono solo un parametro di valutazione della condotta del medico: di norma una condotta conforme alle linee guida sarà diligente, mentre una condotta difforme dalle linee guida sarà negligente od imprudente. Ma ciò non impedisce che una condotta
difforme dalle linee guida possa essere ritenuta diligente, se nel caso di specie esistevano particolarità tali che imponevano di non osservarle (ad esempio, nel caso in cui le linee guida prescrivano la somministrazione d'un farmaco verso il quale il paziente abbia una conclamata intolleranza, ed il medico perciò non lo somministri); e per la stessa ragione anche una condotta conforme alle linee-guida potrebbe essere ritenuta colposa, avuto riguardo alle particolarità del caso concreto (ad esempio, allorché le linee guida suggeriscano l'esecuzione d'un intervento chirurgico d'elezione ed il medico vi si attenga, nonostante le condizioni pregresse del paziente non gli consentissero di sopportare una anestesia totale).
Sicché, non costituendo le linee-guida un parametro rigido ed insuperabile di valutazione della condotta del sanitario, la circostanza che il giudice abbia ritenuto non colposa la condotta del sanitario che non si sia ad esse attenuto non è, di per sé e da sola, sufficiente per ritenere erronea la sentenza, e di conseguenza per ritenere "decisivo" l'omesso esame del contenuto di quelle linee-guida.
Il limite legislativo all’adozione di pratiche terapeutiche
Corte cost., Sent. n. 282/02
La legge impugnata, nel suo contenuto dispositivo sostanziale, prevede la obbligatoria "sospensione" - cioè il divieto, sia pure temporaneo - di determinate pratiche terapeutiche in tutto il territorio regionale. Essa non ha come destinatarie le strutture del servizio sanitario regionale, ma si riferisce alla pratica clinica, dovunque e da chiunque svolta.
[…]
La pratica terapeutica si pone, come già si è accennato, all’incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità fisica e psichica, diritto questo che l’art. 32, comma 2, secondo periodo, Cost. pone come limite invalicabile anche ai trattamenti sanitari che possono essere imposti per legge come obbligatori a tutela della salute pubblica. Questi diritti, e il confine fra i medesimi, devono sempre essere rispettati, e a presidiarne l’osservanza in concreto valgono gli ordinari rimedi apprestati dall’ordinamento, nonché i poteri di vigilanza sull’osservanza delle regole di deontologia professionale, attribuiti agli organi della professione.
Salvo che entrino in gioco altri diritti o doveri costituzionali, non è, di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni. Poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia é costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione.
Autonomia del medico nelle sue scelte professionali e obbligo di tener conto dello stato delle evidenze scientifiche e sperimentali, sotto la propria responsabilità, configurano dunque un altro punto di incrocio dei principi di questa materia.
[…]
Tutto ciò non significa che al legislatore sia senz’altro preclusa ogni possibilità di intervenire. Così, ad esempio, sarebbe certamente possibile dettare regole legislative dirette a prescrivere procedure particolari per l’impiego di mezzi terapeutici "a rischio", onde meglio garantire - anche eventualmente con il concorso di una pluralità di professionisti - l’adeguatezza delle scelte terapeutiche e l’osservanza delle cautele necessarie. Ma un intervento sul merito delle scelte terapeutiche in relazione alla loro appropriatezza non potrebbe nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica dello stesso legislatore, bensì dovrebbe prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi - di norma nazionali o sovranazionali - a ciò deputati, dato l’"essenziale rilievo" che, a questi fini, rivestono "gli organi tecnico-scientifici"[…]; o comunque dovrebbe costituire il risultato di una siffatta verifica.
Trattamenti sanitari obbligatori
Corte cost., sent n. 5/18, obbligo vaccinale
[…]
la copertura vaccinale è strumento di prevenzione e richiede di essere messa in opera indipendentemente da una crisi epidemica in atto. Deve perciò concludersi che rientra nella discrezionalità del Governo e del Parlamento intervenire prima che si verifichino scenari di allarme e decidere – a fronte di una prolungata situazione di insoddisfacente copertura vaccinale – di non attendere oltre nel fronteggiarla con misure straordinarie, anche in vista delle scadenze legate all’avvio dell’anno scolastico. […]
7.2.2.– L’introduzione dell’obbligatorietà per alcune vaccinazioni chiama in causa prevalentemente i principi fondamentali in materia di «tutela della salute», pure attribuiti alla potestà legislativa dello Stato ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Questa Corte ha già chiarito che il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica, e di essere rispettata nella propria integrità fisica e psichica (sentenze n. 169 del 2017, n. 338 del 2003 e n. 282 del 2002) deve essere garantito in condizione di eguaglianza in tutto il paese, attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.Tale principio vale non solo (come ritenuto nelle sentenze appena citate) per le scelte dirette a limitare o a vietare determinate terapie o trattamenti sanitari, ma anche per l’imposizione di altri. Se è vero che il «confine tra le terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle acquisizioni scientifiche e sperimentali, è determinazione che investe direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia» (sentenza n. 169 del 2017), a maggior ragione, e anche per ragioni di eguaglianza, deve essere riservato allo Stato – ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. – il compito di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili.
Nella specie, poi, la profilassi per la prevenzione della diffusione delle malattie infettive richiede necessariamente l’adozione di misure omogenee su tutto il territorio nazionale. Secondo i documenti delle istituzioni sanitarie nazionali e internazionali, l’obiettivo da perseguire in questi ambiti è la cosiddetta “immunità di gregge”, la quale richiede una copertura vaccinale a tappeto in una determinata comunità, al fine di eliminare la malattia e di proteggere coloro che, per specifiche condizioni di salute, non possono sottoporsi al trattamento preventivo.
Pertanto, in questo ambito, ragioni logiche, prima che giuridiche, rendono necessario un intervento del legislatore statale e le Regioni sono vincolate a rispettare ogni previsione contenuta nella normativa statale, incluse quelle che, sebbene a contenuto specifico e dettagliato, per la finalità perseguita si pongono in rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione con i principi di settore(sentenze n. 192 del 2017, n. 301 del 2013, n. 79 del 2012 e n. 108 del 2010). Ciò è vero in particolare nel caso odierno, in cui il legislatore, alla luce della situazione già descritta, ha ritenuto di impiegare l’incisivo strumento dell’obbligo, con il necessario corredo di norme strumentali e sanzionatorie, le quali a propria volta concorrono in maniera sostanziale a conformare l’obbligo stesso e a calibrare il bilanciamento tra i diversi interessi costituzionalmente rilevanti.
[…]
8.2.1.– Occorre anzitutto osservare che la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l’interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017), nonché, nel caso di vaccinazioni obbligatorie, con l’interesse del bambino, che esige tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai loro compiti di cura (ex multis, sentenza n. 258 del 1994).
In particolare, questa Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell'ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).
Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall’art. 32 Cost.), anche l’interesse del minore, da perseguirsi anzitutto nell’esercizio del diritto-dovere dei genitori di adottare le condotte idonee a proteggere la salute dei figli (artt. 30 e 31 Cost.), garantendo però che tale libertà non determini scelte potenzialmente pregiudizievoli per la salute del minore (sul punto, ad esempio, ordinanza n. 262 del 2004).
Il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia(così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002).