Prefazione
Premessa
CAPITOLO I
Origine e significato delle Confraternite
La confraternita (dal latino frater, fratello), è una unione laica di fedeli, di ambo i sessi, eretta con decreto dell'autorità ecclesiastica, organizzata gerarchicamente, avente per scopo opere di pietà o di carità e l'accrescimento del culto pubblico. Di norma la sede di una confraternita è una chiesa, un oratorio o una cappella(1). Talvolta si usa la voce Congregazione come sinonimo di Confraternita, nel suo significato di unione (da congregare, lett. "riunire in gregge").
Le confraternite nacquero sostanzialmente in maniera spontanea nel Medio Evo in risposta al bisogno di pace e misericordia (questo é anche il motto del loro movimento) in un mondo il cui equilibrio era crollato assieme all'impero romano di Occidente (2).
L'assenza di una stato centrale che potesse fornire le più elementari garanzie soprattutto alla parte più disagiata della popolazione, la crisi economica generata alla scomparsa del sistema romano ed il sentimento di una ancor giovane cristianità, culla di ogni speranza, furono le principali cause che spinsero i fedeli ad associarsi per aiutarsi reciprocamente, come fratelli, in nome di Dio. Nate quindi per esigenze essenzialmente pratiche (l'aiuto reciproco) le confraternite affiancarono ben presto alle attività di preghiera e penitenza, attività di carità a favore di tutti, sempre con l'approvazione della Chiesa ed in sinergia con essa.
Furono comunque le attività di preghiera e penitenza che animarono le prime forme di associazionismo confraternale, ad indurre i Confratelli e le Consorelle a scegliere, per le loro manifestazioni pubbliche, vesti che richiamassero il concetto di penitenza di biblica memoria: rozze tuniche di lino o di juta, le stoffe più povere e comuni dell'epoca. Quando le prime confraternitates sorte spontaneamente si diedero una struttura formale, anche con la stesura dei propri statuti, l'abito confraternale (in alcune zone chiamato cappa, altrove detto sacco, veste, ecc.) divenne, e lo è tuttora, uno dei principali simboli identificativi di queste associazioni.
Essendo le confraternite nate come fenomeno spontaneo, in un periodo di crisi non solo sociale ed economica, ma anche culturale, non ci sono notizie certe e documentate sulle prime associazioni di questo tipo: forse già dal quarto secolo operavano realtà confraternali, eredi dei collegia romani, istituzioni esitenti in epoca pre-cristiana. Quasi certamente invece queste realtà operavano nell'ottavo secolo in Francia e nel nono in Italia, ma fu dall'undicesimo secolo in poi (e soprattutto dal tredicesimo) che il movimento delle confraternite assunse una dimensione rilevante.
Il primo movimento confraternale nell'Italia dell'undicesimo secolo fu quello dei Battuti, con carattere prevalentemente spirituale e penitenziale: aggiungevano alla preghiera ed alla beneficenza la mortificazione fisica flagellandosi durante le cerimonie pubbliche e le processioni. Questa particolare pratica, oggi difficilmente comprensibile, ebbe notevole espansione fino al tredicesimo secolo, dando luogo nel 1260 a Perugia al movimento dei Disciplinati, anch'esso fortemente orientato alla penitenza e alla pena corporale come espiazione dei peccati commessi, nel ricordo del Cristo flagellato legato alla colonna. Queste correnti confraternali orientate alla penitenza furono ispirate, nella fase iniziale, dai frati Francescani e dai frati Domenicani, poi, dal XVI° secolo in poi, dai frati Cappuccini, ed in tono minore anche dai Gesuiti, che tendevano, questi ultimi, a far praticare la flagellazione con moderazione. Anche le consorelle potevano essere coinvolte nella pratica della flagellazione, anche se spesso ne erano dispensate, oppure, in talune realtà, si flagellavano solamente in privato. Con il passare del tempo l'aspetto penitenziale perse progressivamente rilevanza, con velocità diverse tra settentrione e meridione d'Italia (nel sedicesimo secolo, ad esempio nel Nord del nostro Paese vi erano molte confraternite di Disciplinati, a differenza del Sud, dove però il minor numero di Battuti e Disciplinati perdurò più a lungo nel tempo.
Il movimento dei Battuti e dei Disciplinati originò nel 1399 un nuovo movimento orientato alla penitenza: il movimento dei Bianchi, i cui adepti indossavano un saio di lino candido con una croce rossa sul petto ed un cappuccio sul volto. I Bianchi si diffusero a migliaia in tutta Italia, e, anche se questa confraternita ebbe vita breve perché fu decimata da una pestilenza nello stesso anno 1399, ispirarono parecchie delle confraternite sorte successivamente ed ancora oggi esistenti. Va detto che la diffusione della pestilenza tra i confratelli dei Bianchi fu facilitata proprio dalla partecipazione popolare alle processioni e dalla pratica della flagellazione, fattori che, entrambi, favorirono il contagio.
Le processioni dei penitenti flagellanti vestiti di sacco e con una fune per cintura avvenivano anche di notte, al lume di torce e ceri. Dato che la penitenza traeva ragione per le proprie pratiche dalla passione di Cristo, particolare solennità era data alle celebrazioni della Settimana Santa, con la partecipazione alla Lavanda dei piedi e alle processioni del Giovedì e del Venerdì Santo. Si ricorda una imponente processione notturna a Roma, per il Giovedì Santo del 1581, con ben dodicimila torce accese.
Accanto alle Confraternite dei Penitenti (Battuti, Disciplinati, Bianchi, ...) si formarono unioni confraternali di Devozione che avevano come principale scopo quello di condividere una stessa forma di pietà (per esempio il SS. Sacramento, il Rosario etc.) ed altre invece che possono essere dette di Beneficenza, che invece si distinguevano per i servizi prestati per assistere gli ammalati, dare sepoltura ai morti, dare conforto agli agonizzanti ed ai condannati a morte (citiamo tra queste le varie Misericordie italiane).
E' interessante notare che l'assenza di un forte potere centrale nell'Italia del Medio Evo, oltre ad originare le libere associazioni di ispirazione religiosa, come le confraternite, originò nelle comunità (che erano costituite da città e relativo contado, non esistendo di fatto un potere politico tanto forte da governare territori più ampi) anche associazioni corporative di arti e mestieri, e, per provvedere alla difesa del territorio, associazioni di uomini atti alle armi. A Bologna, queste associazioni erano le società delle arti e delle armi, componenti importanti, assieme all'Arengo, al Consiglio del popolo, ai consoli prima (XI°-XII° secolo) ed al podestà poi (XIII° secolo) ed al Capitano del Popolo del libero comune di Bologna (3). Altrove, come a Roma, le società delle arti si riunivano nel nome di un Santo protettore dell'arte stessa, dando luogo a vere e proprie Confraternite che possono essere chiamate di Mestiere.
L'assistenza ai poveri, agli orfani, agli ammalati (incurabili e non), ai carcerati, ai condannati a morte, alle giovani a rischio, al recupero delle persone deviate e delle prostitute pentite sono esempi dei numerosi compiti sociali assunti dalle confraternite. Di particolare valore umanitario fu l'assistenza ai malati contagiosi e la pietosa opera di sepoltura dei morti: abbandonati, assassinati, poveri, vittime delle epidemie, stranieri e sconosciuti. A questi problemi, nei confronti dei quali il potere pubblico era quasi sempre impotente, le confraternite seppero invece dare spesso risposte adeguate, anteponendo l'amore di Dio, e quindi le opere verso gli altri e l'umiltà, agli interessi personali e di parte. Fu proprio per testimoniare umiltà che nacque, presso parecchie confraternite, l'uso, che dura ancora oggi, di indossare, oltre al saio, un cappuccio per coprire il volto, per nascondere la propria identità e annullare quindi la propria individualità.
Le confraternite ebbero notevole sviluppo in tutta Europe fino alla Rivoluzione Francese, alla fine del diciottesimo secolo. Molte di esse furono importanti e potenti economicamente (parecchi confratelli erano benestanti) ed influirono anche nelle questioni civili, pur non partecipando direttamente alla vita politica, dando contributo positivo allo sviluppo sociale, artistico, economico ed anche culturale delle comunità in cui operavano. Spesso agirono da elemento di congiunzione tra il popolo dei fedeli ed il clero e gli ordini monastici, cercando e spesso ottenendo de facto un proprio spazio tra le gerarchie ecclesiali, e talvolta si posero come alternativa, e non solo come sostegno, delle attività di pertinenza delle parrocchie. Per queste ultime ragioni, la Chiesa cercò sempre di controllare le attività delle confraternite, mantenendole entro confini limitati (prevalentemente relegandone l'impegno in manifestazioni esterne quali processioni e rappresentazioni sacre), per evitare che qualcuna di queste assumesse troppo potere e potesse attrarre contributi da parte dei laici e delle istituzioni. Gli effetti di questa posizione della Chiesa pesano ancora oggi su molte fratellanze, in misura maggiore su quelle che non hanno una sede indipendente (un proprio oratorio, o una propria chiesa, o cappella).
Malgrado ciò, molte confraternite, con una buona situazione di benessere economico, spesso ottenuto grazie alla contribuzione dei confratelli, fondarono e gestirono ospedali, scuole per diffondere l'istruzione (non solo religiosa), ospizi per poveri e pellegrini, conservatori per ragazze a rischio, costruirono chiese ed oratori, gestirono luoghi di sepoltura. Generarono un patrimonio artistico e culturale che in parte è giunto fino a noi nelle loro sedi, i cui archivi contengono documenti la cui importanza supera spesso quella della comprensione delle vicende delle confraternite stesse.
La Rivoluzione Francese portò alla soppressione di una grande parte delle confraternite, ed in assoluto ad una forte riduzione delle loro attività. Alcune di queste confraternite soppresse rinacquero con la Restaurazione post napoleonica dopo il 1814 (4); altre scomparvero per sempre. La Chiesa della Restaurazione non era però più quella dei secoli precedenti: lo Stato Pontificio era uno stato debole che sopravviveva solo grazie alla protezione (e al controllo) di stati laici potenti come l'Austria, mentre la cristianità cattolica del diciottesimo secolo risentiva dell'influenza dalla cultura nordica e del protestantesimo. Le confraternite non riuscirono più ad avere il ruolo nel tessuto sociale e religioso, che ebbero nel secolo precedente, e la loro importanza andò incontro ad un lento ma inesorabile affievolimento.
Il nuovo stato italiano nato nel 1861 ed il progressivo declino del potere temporale della Chiesa, culminato con la presa di Roma (breccia di porta Pia) nel 1870 generò la tendenza alla laicizzazione ed alla statalizzazione delle associazioni che per secoli erano vissute, se pur con notevole autonomia, all'interno della Chiesa cattolica stessa. Questa tendenza si concretizzò con una legge dello Stato, la legge Crispi sulle Opere Pie n.6972 del 17 luglio 1890, in particolare con l'art. 91, che previde la concentrazione, in parte riuscita, di quelle che avevano fini prevalentemente assistenziali. Quel provvedimento legislativo di fatto decretò la fine o quantomeno l'indebolimento di molte pie istituzioni.
Il XX° secolo portò nuovi modelli di società e di cultura, non sempre benevoli nei confronti della Chiesa e della religione. Le confraternite furono spesso associate al concetto di arretratezza e per un periodo abbastanza lungo, che si protrasse sin oltre il Concilio Vaticano II°, la Chiesa stessa dedicò loro meno attenzione rispetto al passato. Ciò causò il progressivo abbandono e la fine di molte di esse. Nacquero altri movimenti, che sembravano contenere elementi nuovi, talvolta con evidenti finalità politiche (5), ma si trattò di fenomeni che, dopo una veemente fiammata iniziale, lentamente si affievolirono.
La confraternite oggi esistenti continuano a svolgere i loro compiti all'interno della Chiesa, guidate da Fede e Carità, due fari che illuminano ed indicano il loro percorso. Vanno segnalate le associazioni di laici note sotto il titolo di Misericordie: nate come associazioni confraternali dedite alla assistenza degli ammalati e dei bisognosi, furono sostanzialmente integrate nelle infrastrutture dello stato italiano che ne riconobbe legislativamente la pubblica utilità. Seppure laicizzate, le Misericordie conservano però lo spirito evangelico e di ecclesialità delle confraternite da cui sono nate.
Diamo ora uno sguardo alle attività delle confraternite della nostra Archidiocesi, poco meno di quaranta, e dei loro oltre mille confratelli iscritti, che furono e rimangono per antica tradizione molto intense.
CONFRATERNITE DI CITTA’
Compagnia del Ss.mo Sacramento Cattedrale di S. Pietro
Confraternita Beata Vergine di S. Luca detta dei Domenichini
Confraternita dei Sabatini
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Bertalia
Confraternita S. Maria dei Guarini – Galleria Acquaderni
Pia Unione dei Raccoglitori gratuiti nelle celebrazioni della Beata Vergine di S. Luca
Comitato Femminile per le onoranze alla Beata Vergine di S. Luca
Compagnia del Ss.mo Sacramento di S. Ruffillo
Confraternita della Misericordia – Strada Maggiore, 13 – Bologna
Pia Unione dei 33 anni di N.S.G.C. – Via Frassinago, 61 – Bologna
Confraternita Signor dei Miracoli - Via Zamboni 12 - Bologna
CONFRATERNITE DI MONTAGNA
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Porretta Terme
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Lagaro
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Burzanella
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Capugnano e Castelluccio
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Barbarolo e Anconella
Confraternita Mariana “Madonna di Calvigi” Santuario B.V. di Calvigi
Confraternita del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Gaggio Montano
Confraternita del Ss.mo Sacramento Parrocchia di S. Pietro di Sasso Marconi
CONFRATERNITE DI PIANURA
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Alberone
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Dosso
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Dodici Morelli
Compagnia dell’Assunta Parrocchia di Minerbio
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Ganzanigo
Confraternita del Ss.mo Crocifisso Parrocchia di Medicina
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Medicina
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di S. Paolo di Mirabello
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Penzale
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Pieve di Cento
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Renazzo
Confraternita S. Maria Addolorata della Pietà detta del Sacco Parr. S. Biagio di Cento
Arciconfraternita del Rosario Parrocchia di S. Biagio di Cento
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di S. Matteo della Decima
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di S. Antonio della Quaderna
Compagnia del Ss.mo Sacramento Parrocchia di Pieve di Budrio
Compagnia del Ss.mo Crocifisso Parrocchia di S. Michele Arcangelo di Cenacchio
(elenco aggiornato al 1.1.2012)
La loro presenza nella Chiesa bolognese si concretizza principalmente con opere di culto, particolarmente per quelle inserite in pieno nella vita delle parrocchie, e nelle funzioni liturgiche, specialmente in quelle Eucaristiche e Mariane.
La loro opera nel contesto sociale appare meno evidente, fatta eccezione per quelle confraternite che dispongono di mezzi e competenze (vedi il caso della Confraternita della Misericordia) per espletare il loro compito di opere di beneficenza e di incentivazione delle attività culturali.
La funzione delle Confraternite rimane importante: per la storia e le tradizioni che esse rappresentano, per il supporto che danno alle attività di devozione della chiesa, per le opere esemplari e disinteressate di beneficenza, anello di congiunzione insostituibile tra passato e presente, con lo sguardo sempre rivolto al futuro.
(1) Cfr. Codice di Diritto Canonico 1983, can. 215
(2) 476 dc
(3) Alfred Hessel: "Storia della città di Bologna dal 1115 al 1280"
(4) Congresso di Vienna.
(5) per esempio CL ?
Paolo Chinazzi: "LE CONFRATERNITE Storia, Evoluzione, Diritto" Edizioni Universitarie Romane, Roma 2010.
ref. http://www.chiesamadretaurisano.it/Aggregazionilaicali/Confraternite/tabid/64/Default.aspx
http://users.libero.it/paolo.zz/p4.html
CAPITOLO II
La nascita della Confraternita
Un’origine e una storia un po’ particolare quella della Confraternita dei Domenichini. Siamo alla fine del ‘600, Bologna come tutta la cristianità, sta vivendo un momento di grande fervore religioso e di rinascita di tante aggregazioni di laici, che sulla scia del rinnovamento voluto dal Concilio di Trento, manifestano pubblicamente la loro fede, la loro devozione la loro spiritualità. In quegli anni poi, i bolognesi diedero slancio e vigore alla loro filiale devozione alla B. V. di San Luca, da cinque secoli già Madre benevola della città, costruendo il famoso portico per agevolare la salita dei pellegrini al Santuario in ogni stagione e di conseguenza agevolare il trasporto della Santa Immagine, che fin dal 1433 scendeva regolarmente in città.
Siamo giunti al 1721, a Bologna c’era già il grande mercato del sabato, come oggi, ma si svolgeva in Piazza Maggiore. Un gruppo di “piazzaioli”, cioè di venditori ambulanti, in numero di 63 uomini e 63 donne in onore dei presunti anni di via terrena di Maria SS., prese l’abitudine di salire al Santuario processionalmente ogni sabato all’alba per poi rientrare in città prima dell’apertura del mercato. Sottolineo due sfumature importanti di questo gruppo di devoti che prese il nome di Sabatini (appunto dal giorno di salita … e di mercato!): la grande fede e l’amore per la Madonna che li portava settimanalmente a compiere questo sacrificio non da poco prima di attendere al proprio lavoro, santificandolo così con la fatica e il sudore della salita e della preghiera; in secondo, questi Sabatini erano tutta gente semplice, piazzaioli, piccoli bottegai, poveri lavoratori, che però mettevano al primo posto nella loro vita la testimonianza di una vita devota e di preghiera e si radunavano per la loro orazione comune nella chiesa di San Tommaso del Mercato (che era collacata in Strada Maggiore all’angolo con via Guerrazzi).
Nel 1741 (o secondo alcuni 1736) a Bologna vi era un clima politico teso, vi era un passaggio continuo di truppe straniere non sempre amiche dei bolognesi, e le porte della città venivano tenute ben chiuse fino al mattino, cosicché ai Sabatini venne impedito e vietato il pellegrinaggio settimanale per ragioni di pubblica sicurezza.
Ma come sempre in tutte le cose c’è qualcuno che pensa di agire di testa propria e il “bottonaro” Giuseppe Rossi di via del Paradiso proprio non ci sta a non rendere omaggio alla celeste Patrona, e con un gruppetto di devoti più zelanti, riesce ad uscire da Porta San Felice, fare il giro delle mura cittadine con grande pericolo e salire al Santuario.
Il fatto si ripeté puntualmente ogni sabato tanto che questi Sabatini non autorizzati si organizzarono molto meglio dei loro confratelli, non solo con delle proprie insegne, ma anche nella preghiera, predisponendola non solo all’andata ma anche al ritorno in città! Ristabilita la normalità, tra i due gruppi, però, nacque una contesa molto accesa su chi aveva il vero diritto di salire al colle della Guardia il sabato con le proprie insegne, perché ormai si trattava inequivocabilmente di due gruppi distinti. La questione, posta davanti al Vicario Generale, la vinsero i Sabatini della prim’ora e gli altri, per nulla scoraggiati, scelsero un altro giorno della settimana: il mercoledì.
Alla nuova congrega, non ancora ufficializzata, si univano sempre più nuovi devoti, tanto che il numero degli ascritti fu tale che si rese necessario cambiare il giorno della salita: fu così deciso per la domenica (giorno più adatto alla preghiera). Preso in affitto un locale in via Saragozza, lo trasformarono in cappella e lo aprirono il 2 aprile 1742, nacquero così ufficialmente – in tale data - i Domenichini, e si capisce facilmente il perché di tale nome!
Tra i primi congregati ci fu Ferdinando Sforza Magnani, che tanto fece per dare un connotato originale e unico alla Confraternita, specialmente nel riferimento al Pellegrino Greco. Decisione presa nella prima adunanza del gruppo, che si svolse proprio in casa dello Sforza Magnani, in via San Felice 145. Si apprende in questa circostanza che il numero degli uomini aggregati è di 200 e quello delle donne di 100 (la presenza femminile nella Confraternita dei Domenichini è stata attiva fino ai primi del XX secolo; una presenza discreta e silenziosa ma che ha contribuito molto, con la preghiera e il lavoro, allo sviluppo della congrega).
Il 26 febbraio 1746, sotto il priore Giuseppe Berti, vennero approvati dalle autorità ecclesiastiche sia gli statuti che l’abito.
Tra i primi confratelli ricordiamo gli otto fondatori, oltre al menzionato Giuseppe Rossi, Giovanni Maria Zauli, Giacomo Reggiani, Giacomo Moretti, Angelo Baratta, Lodovico Marchi, Bonaventura Pezzetti e Domenico Lenzi.
Inizia così il cammino ufficiale della Confraternita della Beata Vergine di San Luca, il cui scopo era di onorare la Madonna, nel suo Santuario della guardia, la domenica e una serie di riti che ne hanno caratterizzato la vita fino alla metà dell’ottocento.
Un primo riferimento ai Domenichini nella discesa della venerata Icona della Beata Vergine di San Luca risale 1765. Ricordiamo però che il trasporto dell’immagine era riservato, per particolare privilegio plurisecolare, alla Venerabile Compagnia di Santa Maria della Morte, fondata nel 1336 per la sepoltura dei morti abbandonati e il conforto dei condannati a morte.
Il 10 gennaio 1765, però, il Vicario Generale di Bologna, Mons. Sante Coralupi, concede, in via eccezionale ai Domenichini di salire al Santuario di San Luca e di recare in città l’immagine, per una discesa straordinaria della Madonna, visto il perdurare di gravi inondazioni. Questo trasporto “eccezionale”, a cui fecero seguito anche altri, ha permesso poi, come vedremo, ai Domenichini di avanzare pretese sulle discese regolari dell’immagine.
Purtroppo degli anni anteriori al 1814 manca una documentazione accurata e originale. Si suppone certamente che la vita della Confraternita abbia seguito quella regolare disciplina e quelle pie pratiche che accomunavano queste congreghe. Un dato significativo sono i vari libri di preghiera dell’epoca presenti nell’archivio della Compagnia, dato inconfutabile che i Domenichini, nati per rendere culto alla Beata Vergine di San Luca, hanno perseverato nella vita di preghiera e devozione. Il libro maggiormente presente è l’Ufficio della Beata Vergine Maria, edizione per le Confraternite laicali, edito a Bologna nel XXXX, che i nostri recitavano in comune nella loro chiesa, ad ogni adunanza.
Un evento che avrà strascichi molto significativi per la vita religiosa della città e anche per la nostra Confraternita fu l’arrivo delle truppe francesi a Bologna il 18 giugno 1796 e l’occupazione dei francesi alla città. L’ideologia illuminista, anticlericale e deista che serpeggiava nei nuovi governanti condizionò il regolare svolgimento delle attività devozionali dei Domenichini. Anche il trasporto della Madonna di San Luca subì dei cambiamenti, tanto che nella discesa del 12 maggio 1798, nessuna Confraternita poté partecipare con le proprie insegne, ma fu permessa solo a cittadini vestiti da rivoluzionari. Altro fatto importante fu la soppressione di tutti gli Ordini religiosi e delle Confraternite laicali in data 30 luglio 1798, con il conseguente incameramento di tutti i beni di questi da parte del governo francofilo. Anche i Domenichini seguirono questa triste storia e si videro portar via la chiesa di Santa Sofia e ogni loro proprietà, beni che furono alienati poi per far arricchire il nuovo governo.
Le vicende della chiesa di Santa Sofia le vedremo in modo particolare in un capitolo a parte; qua basterà ricordare che la vita dei confratelli in questi tristi anni non fu facile, sia per la proibizione di aggregarsi e salire a San Luca con le proprie insegne, sia perché gli eventi avevano allontanato molti confratelli e poi perché l’ospitalità della parrocchia di Santa Caterina in Saragozza si faceva molto difficile. In un momento di apparente quiete dalla bufera anticlericale, dovuta alla pace instaurata con il concordato tra Napoleone e papa Pio VII, i confratelli riuscirono a riscattare Santa Sofia, nel 1804, per poi di nuovo perderla nel 1807 quando l’imperatore decise per un nuovo inacameramento dei beni degli Ordini religiosi e delle Confraternite appena rinate.
La tempesta napoleonica finì nel 1814, dopo la sconfitta di Lipsia e l’abdicazione dell’imperatore. Iniziò il difficile periodo della restaurazione anche a Bologna, che ritornerà, non senza difficoltà, tra i possedimenti dello Stato Pontificio. La restaurazione, però, non fu soltanto politica, ma anche religiosa. I danni fatti, prima dai rivoluzionari poi da Napoleone, furono immensi. Molti Ordini religiosi e molte Confraternite non riuscirono più a risorgere e terminarono definitivamente la loro secolare benemerenza. Molti dei beni di quelle che stentatamente sopravvissero erano stati alienati e venduti a privati e ora risultava quasi impossibile rientrarvi in possesso.
A Bologna l’arcivescovo Card. Opizzoni si trovò a traghettare la Diocesi in questa difficile situazione. Pur volendo ristabilire la situazione anteriore al 1798, la cosa risultava pressoché impossibile. Innanzitutto le Confraternite dovettero esibire la documentazione di essere ancora in vita e di tutti i privilegi, diritti e doveri, nonché rescritti di fondazione, presenti prima del 1798.
Il 30 gennaio 1814, il priore Serafino Marchetti scrive al Vicario generale, chiedendo il permesso, per i confratelli, di poter rivestire di nuovo la cappa, richiesta che viene effettuata, qualche mese dopo, anche al Commissario del governo transitorio e qualche mese dopo il priore fa istanza al confratello Luigi Fiorentini di restituire il crocefisso e i lampioni, nascosti in casa sua durante la soppressione. E’ certamente un segnale di ripresa. Al priore Marchetti va anche il merito di aver cercato nominalmente tutti i confratelli superstiti e dispersi dalle varie vicende politiche, per poter riprendere pienamente l’attività della Confraternita.
Tra le compagnie che non si ricostituirono più o vivacchiavano, per vari motivi, ci fu quella della Morte. Nel 1815 viene dato di coabitare, ai Confratelli della Morte rimasti, con i nostri Domenichini in Santa Sofia. Ma la sopravvivenza di questa compagnia dovrà essere decisamente breve se nel marzo 1819 i nostri confratelli fanno istanza a papa Pio VII di supplire in tutto alla suddetta, cioè accompagnare e dare sepoltura ai condannati a morte e di poterne godere tutti i privilegi spirituali.
Intanto i confratelli della B.V. di San Luca iniziano una collaborazione con il Santuario della Beata Vergine del Soccorso, in Borgo di San Pietro, per l’annuale processione con la statua della Madonna. Contemporaneamente si fanno i passi necessari presso il card. Opizzoni per un’ulteriore riconoscimento e ufficializzazione della Confraternita dopo la restaurazione. La corrispondenza tra la Curia e la Compagnia si infittisce e vengono forniti tutta una serie di documentazioni necessarie per poter ottenere la sospirata approvazione, ma, come fa osservare il priore, molta documentazione è inesistente o andata smarrita durante gli anni della soppressione.
Nel maggio 1819, finalmente, dopo una supplica all’Arcivescovo in cui fanno valere precedenti diritti di trasporto, i Domenichini ottengono il privilegio di accompagnare l’immagine della Beata Vergine di San Luca dal Santuario a Porta Saragozza per le Rogazioni e viceversa. Nello stesso anno, ormai assoldato il totale assorbimento della Compagnia della Morte (i confratelli superstiti passeranno alla nostra, rendendo possibile tale fusione), si pensò di ereditare anche i privilegi spirituali e le indulgenze che la defunta compagnia aveva avuto aggregandosi all’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato in Roma.
Pertanto dal 1819 si delineò il nuovo aspetto della nostra Confraternita, rimane la salita domenicale al Santuario, ma si aggiungono nuovi e ben più onerosi doveri: l’accompagnamento dei condannati a morte (scopo che si estinguerà con la fine del potere temporale) e il trasporto abituale della Beata Vergine di San Luca.
Il XIX secolo passa tranquillamente per i Domenichini, anche il passaggio dallo Stato Pontificio al nuovo Regno d’Italia e l’incameramento dei beni degli Ordini religiosi e delle Confraternite sembra non provocare danni e si registra solo che la Compagnia versa in cattive acque economicamente, ma il numero dei congregati arriva fino a cinquecento.
CAPITOLO III
La Chiesa di Santa Sofia
Ogni Confraternita che si rispetti, aveva un proprio oratorio, o chiesa, dove poter svolgere i propri riti, le adunanze e soprattutto celebrare le preghiere comuni. Possiamo dire che i Domenichini si erano posti da subito questo problema, prendendo un oratorio in affitto in via Saragozza, all'angolo con Frassinago. Qui la Confraternita (che ancora non aveva un nome) tenne la prima riunione il 2 aprile 1742. Accresciuti in numero e con esigenze più liturgiche, con l'aiuto del marchese Filippo Davia, comprarono da tal Giuseppe Vaccari due casette con orto in via Saragozza, poco distante dal primo oratorio, che era intanto divenuto insufficiente per le loro necessità. Demolite le casette, iniziarono a costruire una nuova chiesa che vollero dedicata a Santa Sofia. Perché la dedica a Santa Sofia? La ragione è abbastanza intuibile: secondo la leggenda, Teocle, il pellegrino greco, trovò l’icona della Beata Vergine di San Luca nella Basilica di Santa Sofia a Costantinopoli e da lì partì alla ricerca del Monte della Guardia, che trovò a Bologna. La Basilica costantiniana (ora moschea) era dedicata alla Divina Sapienza (in greco appunto Αγία Σοφία): un concetto troppo astratto per i latini che la ritennero dedicata alla Santa martire Sofia, uccisa per la fede cristiana insieme alle sue tre figlia Fede, Speranza e Carità. Perciò i primi Domenichini chiesero nel settembre 1747 al vicario generale mons. Cottogni di dedicare la loro chiesa, i cui lavori erano ormai prossimi alla conclusione, alla Santa Martire Romana del II secolo uccisa sotto l’impero di Aureliano, e non alla Divina Sapienza.
La nuova chiesa fu inaugurata solennemente il 28 ottobre 1748 con la partecipazione del Vicario generale Mons. Francesco Cottogni che celebrò la prima Messa solenne. Un anno dopo l’altare maggiore della chiesa fu arricchito da una riproduzione fedele della Beata Vergine di San Luca, immagine che fu in seguito utilizzata dai confratelli nelle loro processioni cittadine e che venne donata dal confratello Ferdinando Magnani Sforza.
Sappiamo che questa chiesa fu eretta con architettura di Giuseppe Antonio Ambrosi, lo stesso architetto che poco distante aveva già costruita la chiesa dei Trentatrè; sappiamo che era di piccole dimensioni (un'arcata ed un piano) e che il suo interno aveva pitture di Giuseppe Pedretti, mentre l'ornato in mezzo alla volta era di Giuseppe Orsoni (1).
Tutto proseguì nel migliore dei modi per la chiesa di Santa Sofia, fino a quando la Confraternita il 30 luglio 1798 non subì il decreto di soppressione decretato dal nuovo governo francese: l’edificio, incamerato dallo Stato e messo all’asta fu venduto il 4 maggio 1799 ad un certo Tommaso Nardozzi, con rogito di Luigi Aldini. In questo triste momento la chiesa parrocchiale di S. Caterina di Saragozza venne in aiuto, dando ai confratelli un locale per le loro adunanze.
Grazie all’aiuto di tutti i Domenichini, si poté, con molta fatica, ricomprare Santa Sofia dal Nardozzi e riaprirla al culto il 28 giugno 1804. Ma i tempi bui non erano finiti e una nuova soppressione delle Confraternite coinvolse i nostri nel 1807, che si videro nuovamente chiudere ed espropriare la loro chiesa il 16 agosto 1808. I Domenichini trovarono rifugio allora nella chiesa di San Giuseppe, che le monache Domenicane di Valdipietra erano state costrette dopo cinque secoli ad abbandonare. Ma la Divina Provvidenza venne in aiuto ai sacrifici dei confratelli: messa di nuovo all’asta, Santa Sofia, venne comprata dal pio sacerdote Don Marco Cesari e da Giacomo Fanti, Domenichini entrambi (un erede di Don Cesari è nelle liste dei Domenichini di qualche decennio dopo), che – finita la bufera napoleonica – la diedero in uso perpetuo nel 1815 alla Confraternita, pur mantenendone la proprietà. Il Fanti lasciò, poi, alla Compagnia la suà metà con atto testamentale del 1840, mentre l’erede di Don Cesari, Francesco De Maria Cesari, mantenne la proprietà della chiesa.
Nel 1819 nascue una contesa interna nella Confraternita, in merito alla questione dell’affiliazione all’Arciconfraternita romana di San Giovanni Decollato: da una parte era il priore Lodovico Fasani e i suoi ufficali, dall'altra i due comproprietari della chiesa, Don Marco Cesari e Giacomo Fanti e il Padre Spirituale della confraternita, Don Battistini, parroco di Santa Caterina di Saragozza. I proprietari della Chiesa di S. Sofia decisero perciò di chiuderla per protesta contro la linea del priore Fasani. Quest'ultimo, non riuscendo a risolvere il problema della contesa sull'uso della chiesa tentò di farsi assegnare una nuova sede: il 3 ottobre fece richiesta alla Tesoreria Camerale di Roma per l'assegnazione della chiesa della Madonna detta dei Poveri, in via Nosadella. La risposta fu una serie di richieste di chiarimenti da parte dell'autorità ecclesiastica, richieste che però non vennero mai esaudite perchè il parroco di Santa Caterina prese la situazione in mano e fece destituire il priore Fasani. Con il nuovo priore, Giovanni De Simonis, calmatesi le acque, fu possibile riaprire Santa Sofia, che ospitò i Domenichini fino al 1863, quando il Municipio di Bologna ne ordina l’esproprio e l’abbattimento per l’allargamento di via Saragozza. Allora i confratelli vengono dirottati nella Chiesa dei Poveri di via Nosadella. Ma l’odissea dei nostri confratelli non ha termine! Il nuovo governo sabaudo chiude, nel 1866, la chiesa della Madonna dei Poveri per trasformarla in struttura militare e sfratta i Domenichini.
Nuovamente ospitati presso la parrocchia di Santa Caterina di Saragozza, i Confratelli Domenichini non accettarono l'idea di non avere una propria sede ed iniziarono a raccogliere fondi per la costruzione di una nuova chiesa. Ottenuto anche un finanziamento dal Comune di Bologna, nel 1870 iniziarono i lavori di costruzione della nuova chiesa, poco distante da dove sorgeva la prima, in via Saragozza al civico 69. Alla fabbriceria del nuovo edificio si adoperarono personalmente i Domenichini, specialmente i confratelli Giuseppe Brunetti, capo mastro, Cesare Facchini (che si espose personalmente finanziariamente e i suoi crediti furono sanati dalla confraternita solo una decina di anni dopo nel 1882) e Luigi Neri. La benedizione della nuova chiesa avvenne il 14 giugno 1874. In questa sede la Confraternita poté tranquillamente risiedere per una cinquantina d’anni e svolgere il suo prezioso ministero. Ma era destino che Santa Sofia non rimanesse per molto tempo nello stesso luogo.
Terminata la Prima guerra mondiale, i confratelli iniziarono a pensare a una nuova sede, vuoi per necessità, vuoi per il mutare dei tempi. Il Consiglio della Confraternita venne a conoscenza che, presso l’Arco del Meloncello, vi erano dei locali inutilizzati di proprietà della Fabbriceria del Santuario di San Luca e pensò di erigere lì la nuova chiesa. Risolte le pratiche necessarie col presidente della Fabbriceria, Mons. Giulio Cantagalli, venne stipulato un contratto di enfiteusi e, dopo i necessari permessi si iniziò la costruzione con il denaro ricavato dalla vendita della vecchia chiesa all’amministrazione del Ricovero di mendicità. Il progetto fu dell’ing. Luigi Reggiani, che ideò una semplice chiesa a navata unica, come ancora oggi si vede, con adiacenti locali e sagrestia, il tutto venendo armoniosamente inserito nel complesso dell’Arco del Meloncello. La nuova Santa Sofia fu benedetta il 30 aprile 1927 dall’Arcivescovo Card. Giovanni Battista Nasalli Rocca, che il giorno successivo vi celebrò il solenne Pontificale.
Su richiesta del Card. Nasalli Rocca, nel 1937, la chiesa di Santa Sofia divenne la sede dell’erigenda parrocchia della Sacra Famiglia al Meloncello, fermo restando che le due entità distinte (Parrocchia e Confraternita) ne dovranno usufruire in ugual modo e in armonia. Una situazione temporanea, in attesa della costruzione della nuova chiesa parrocchiale negli anni cinquanta/sessanta.
E ora cosa rimane di Santa Sofia?
Dopo anni di abbandono e di un conseguente degrado strutturale, un accordo tra la Confraternita, la Fabbriceria di San Luca e la Curia metropolitana, ha permesso di poter iniziare il restauro della Chiesa e dei locali attigui per rendere Santa Sofia il luogo di aggregazione delle diverse realtà religiose e aggregative che prestano servizio al Santuario della Madonna di San Luca.
(1) Sebastiano Gaetano Giovannini: "Indicatore Bolognese", Tipografia di Antonio Chierici, Bologna 1854 per le dimensioni della chiesa. Le notizie sull'architettura e sulle pitture vengono invece da Carlo Cesare Malvasia. "Le Pitture di Bologna",stamperia del Longhi, Bologna, 1755.
CAPITOLO IV
Abito e insegne
Fin dalle origini i Domenichini ebbero un abito proprio, quasi una divisa, che con i suoi simboli contraddistingueva i confratelli e li differenziava dagli appartenenti alle altre confraternite.
L’abito della Confraternita fu realizzato nella forma sostanzialmente tuttora in uso, idealizzando l’abito di Teocle, il pellegrino greco che, secondo la leggenda, portò a Bologna l’icona della Madonna di San Luca. Già nel 1744 la moglie del confratello Sforza Magnani cucì le prime quattro cappe, decise di comune accordo tra i primi aggregati e il Vicario del Santuario di San Luca, il domenicano fra Pietro Seccamani. Così lo descrive lo stesso fra Pietro:
Questo è un abito formale di pellegrino di tela nera, che protraesi fino a mezzo la gamba con mantelletta avente nel fondo un piccolo fregio di seta bianca e dalla parte destra l’Immagine della Beata Vergine dipinta da San Luca, sulla sinistra una cappetta di mare tenendo alla destra mano il bordone; le Donne, che sono anch’esse a questa unione, portano per distintivo una crocetta colorata di rosso in mano…(1)
In pratica è lo stesso giunto fino ai nostri giorni. Ad esso si aggiungeva il cappello a larghe falde, detto petaso, che serviva per riparare dal sole e dal caldo. Ogni elemento dell’abito richiama inequivocabilmente il Pellegrino greco, come la conchiglia (o cappetta di mare) emblema del pellegrinaggio a Compostela che serviva come bicchiere per dissetarsi nel lungo cammino, oppure il bastone (bordone) utile per aiutarsi nella fatica del viaggio.
Una modifica all’abito si ebbe nel 1902, quando fu aggiunto un cingolo nero azzurro per stringere i fianchi dell’abito e il filetto della cappa da bianco divenne azzurro; inoltre fu aggiunto alle cappe dei confratelli destinati a portare la Venerata immagine della Madonna di San Luca un filetto d’oro e alle cappe dei cosidetti lampionari, coloro che trasportano i caratteristici lampioni durante le processioni, uno d’argento. Un segno distintivo che è perdurato fino a non molti anni fa, creando all’interno della stessa Confraternita due gruppi distinti: i portatori e i lampionari.
La cappa, con i suoi simboli e i suoi significati, è tuttora usata dai confratelli durante le funzioni e processioni a cui partecipano, a cominciare dalla più frequente che è la salita processionale dal Meloncello al Colle della Guardia, che viene fatta all'alba di ogni terza domenica del mese. Essa contraddistingue i confratelli e nello stesso tempo li uniforma, annullandone le individualità, e li rende tutti uguali nella venerazione della Beata Vergine di San Luca.
Portare l'abito è un simbolo di cui il Domenichino è umilmente orgoglioso, consapevole di testimoniare, con questo semplice atto, la Fede e la venerazione per la Madre di Dio, simbolo anch'essa del grande miracolo dell'universo che pure si ripete con tale frequenza che spesso si stenta a riconoscere come tale: la Maternità, simbolo a sua volta della Creazione.
La cappa non ha quindi nulla di antiquato o, peggio, di fuori dal tempo: accompagna il Domenichino in tutta la sua vita da confratello, dal momento della vestizione, che coincide con l'ingresso nella Confraternita, fino alla morte, con l'usanza tuttora viva di portare alla sepoltura i confratelli defunti vestiti della loro veste confraternale.
La cappa va usata da tutti i confratelli solamente in tutte le manifestazioni (cerimonie, processioni, ...), a cui la Confraternita partecipa, facilitando, con i suoi simboli, l'incremento del culto che è tra le finalità della Confraternita stessa.
Descrivendo con le parole di oggi l’abito del Domenichino, diremmo che è attualmente composto da una cappa nera bordata di azzurro, costituita da un camice fino al ginocchio con mantellina, e un cordiglio azzurro e nero che stringe i fianchi, così come azzurri sono i bottoni. Sulla parte sinistra della mantellina, circa all'altezza del cuore, è una conchiglia in argento, simbolo del pellegrino, mentre sulla parte destra, dentro ad un ovale d'argento, c'è una riproduzione dell'Immagine della B.V. di S. Luca. A tutto ciò si aggiunge il bordone, ovvero il bastone del pellegrino, che viene simbolicamente consegnato il giorno della vestizione assieme all’abito, con l’ingresso ufficiale nella Confraternita. Il bordone al suo apice ha un gancio a cui i viaggiatori medioevali fissavano la zucca con l’acqua e la bisaccia. Il bordone dei Domenichini ha lo stesso colore della cappa: nero. A questo abito così ricco di simbologia possiamo aggiungere le insegne tipiche della Confraternita del Pellegrino greco, che nelle processioni la distingueva dalle altre e che accompagnava i confratelli nel pellegrinaggio settimanale al Santuario. Si compongono di due lanterne in latta dorata, recanti alla sommità una piccola statua rappresentante il pellegrino in legno dipinto e un Crocefisso con croce in legno rappresentante un tronco, con Cristo in cartapesta e ai suoi piedi un medaglione che raffigura Teocle mentre ha la visione della B. V. di San Luca. Queste insegne erano già presenti negli inventari della Confraternita del 1760 e, presubilmente sono le stesse usate dai primi Domenichini dal momento della scissione dai Sabatini.
---------------------------------------------------------------
(1) AAB Miscellanee vecchie cartella 174, fasc 63.
CAPITOLO V
I Domenichini nel XX° secolo
L'inizio del ventesimo secolo fu tranquillo per i Domenichini: da segnalare solamente la visita pastorale dell’arcivescovo card. Domenico Svampa alla Confraternita, il 25 maggio 1902, presso la ricostruita chiesa di Santa Sofia, in via Saragozza 69, nella parrocchia di Santa Caterina.
Le traversie della prima metà del secolo precedente sembravano un ricordo lontano, ma una nuova prova attendeva i confratelli: la prima guerra mondiale.
La Grande Guerra sconvolse anche la placida vita di Bologna. Vennero proibite, per motivi di sicurezza nazionale, le adunanze e le processioni. I Domenichini furono costretti a sottostare a queste disposizioni e così, dopo un secolo dalla ricostituzione della Confreternita, i suoi ascritti furono ancora una volta costretti a deporre la cappa e a salire privatamente al Santuario per la loro visita settimanale. Fu proibita anche la processione delle Rogazioni con la venerata immagine della Madonna di San Luca: i Domenichini non mancarono però al loro compito e provvedettero al trasporto in città di notte, in incognito. Per tre anni, fino al 1918 compreso, i confratelli prelevarono l’Icona alle tre del mattino arrivando a Porta Saragozza verso le quattro; qui l’arcivescovo, card. Giorgio Gusmini, li accoglieva in forma privata e in gran segreto si provvedeva al trasporto dell'Immagine in Cattedrale per le funzioni tradizionali. Le stesse modalità e precauzioni venivano usate per il ritorno al Santuario, il giorno dell’Ascensione. Poiché il Santuario, causa le requisizioni e le ristrettezze della guerra, si trovava in gravi difficoltà finanziare (come del resto la Diocesi), tutte le spese per il trasporto, durante questi tristi anni, furono a carico della Confraternita, che non aveva altre rendite se non le quote associative dei confratelli, i quali furono ben felici di accollarsi quest’onere per il decoro della Beata Vergine di San Luca.
La fine della prima guerra mondiale segnò finalmente anche il ritorno alla normalità per la nostra e, in un momento di particolare rifioritura si pensò ad erigere una nuova sede più adeguata. Il priore, conte Filippo Sassoli de’ Bianchi e il protettore, conte Pio Ranuzzi, delegarono il sagrestano e custode di Santa Sofia, Giovanni Tugnoli, di affrontare questo nuovo progetto. La nuova chiesa (l’attuale) venne benedetta il 30 aprile 1927 dall’arcivescovo, card. Giovanni Battista Nasalli Rocca di Corneliano. (1)
Purtroppo l'archivio dei Domenichini è povero di documenti relativi agli atti tra le due guerre. Si può ipotizzare che ciò sia dovuto semplicemente ad una conduzione poco attenta della confraternita nei confronti delle attività di segreteria. Di fatto sta che non si può ricostruire molto di ciò che avvenne tra le due guerre.
Si possono comunque segnalare, in questo periodo, due fatti importanti: il primo è l’assemblea del 31 maggio 1931; il secondo è l'iscrizione tra i confratelli, il 27 dicembre 1936, del card. Nasalli Rocca, durante la visita pastorale fatta in Santa Sofia.
L'assemblea del 31 maggio 1931 fu particolarmente rilevante perché modificò gli statuti della Confraternita, rendendo triennale la carica degli ufficiali e introdusse l'uso di un distintivo da dare alle consorelle, per distinguerle dalla folla e non farle allontanare durante le processioni. Questo elemento ci permette di capire che a quella data esisteva ancora un folto gruppo di consorelle. Il ramo femminile si gestiva semiautonomamente nella Confraternita, con una propria priora, che rispondeva al priore e al padre spirituale. Non aveva un proprio abito, se non, almeno inizialmente, una croce rossa da portare in mano (vedi il capitolo "Abito e insegne"). Evidentemente con il passare del tempo, l'uso di questa croce rossa si perse, se nel 1931 si ritiene necessario deliberare l'uso di un nuovo distintivo per le consorelle. Va detto che, durante il ventesimo secolo, la presenza delle consorelle si ridusse prima come importanza, poi come numero essendo escluse dalla funzione più rilevante della Confraternita: il trasporto dell'Immagine della B.V. di San Luca. Fu così che il numero delle consorelle si ridusse progressivamente fino a scomparire completamente negli anni '70.
L’iscrizione tra i confratelli, il 27 dicembre 1936, del card. Nasalli Rocca è uno dei tanti episodi che lo videro in primo piano nella devozione e nell’amore verso la Beata Vergine di San Luca ed il suo Santuario: innumerevoli sono le sue opere in tale senso, fino a volere essere sepolto nella cripta del Santuario della B.V. di San Luca, proprio sotto alla Sacra Immagine. L'azione del card. Nasalli Rocca però non fu sempre ben gradita dai confratelli: in particolare si creò qualche disagio con la sua decisione di destinare la chiesa di Santa Sofia all’erigenda parrocchia della Sacra Famiglia al Meloncello (vedi il capitolo dedicato a Santa Sofia).
Il problema della coabitazione tra i Domenichini e la parrocchia della Sacra Famiglia, con il parroco don Pietro Raimondi (vicenda che ricorda la coabitazione della Confraternita in Santa Caterina di Saragozza nel secolo precedente), venne presto superato da un ben più grave problema: lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Diversi membri partono per il fronte, altri si trovano impossibilitati ad arrivare settimanalmente al Meloncello per la salita, causa sfollamenti e tutti i problemi di uno stato in guerra, tanto che nell’annuale assemblea del 1941 si lamentò la scarsa partecipazione dei confratelli al pellegrinaggio domenicale.
La visita pastorale del 31 maggio 1942, portò nuovamente il card. Nasalli Rocca in Santa Sofia dove incontrò personalmente i Domenichini, insieme alla parrocchia della Sacra Famiglia, e partecipò, come confratello, all’annuale assemblea pronunciando un discorso di elogio e incoraggiamento ai confratelli, incitando ed esortando i membri a far rifiorire la Confraternita, apportando frutti di pietà e di devozioni nel popolo bolognese. In tale occasione, grazie alla benevolenza sempre manifestata pubblicamente dell’arcivescovo verso i nostri e nonostante il momento difficile, si ebbero ben diciotto nuovi ingressi!
La caduta del fascismo e il successivo armistizio, che portarono nel 1943 l’Italia e Bologna nel caos, impedirono ai confratelli di ritrovarsi regolarmente e anche le annuali processioni della Beata Vergine di San Luca tornarono a diventare notturne ed effettuate in situazioni veramente difficili ed eccezionali. Anche gli incontri tra i confratelli si fecero sporadici e praticamente le assemblee furono quasi sempre disertate.
Il 21 aprile 1945 Bologna fu liberata dalle truppe polacche: per la città era la fine della guerra. Rapidamente il card. Nasalli Rocca organizzò una discesa straordinaria della Beata Vergine di San Luca che il giorno dopo, il 22 aprile, fu trasportata dai quei Domenichini che furono rintracciati nel poco tempo a disposizione, affiancati ed aiutati dai soldati polacchi. La processiane dal Santuario a Piazza Maggiore avvene in mezzo ad trionfo di popolo.
Pochi giorni dopo, il 4 maggio 1945, la Confraternita si riunì nuovamente, senza priore e senza tesoriere segnando l'inizio del ritorno alla normalità.
Il ventesimo secolo fu contraddistinto da un fenomeno particolare, a cui i Domenichini diedero contributo determinante: la "Peregrinatio Mariae", trasporto della Sacra Immagine nelle parrocchie dell'Archidiocesi, voluta per la prima volta dal card. Nasalli Rocca e ripetuta a distanza di anni dai suoi successori.
(1) Vedi anche il capitolo sulla chiesa di Santa Sofia.
CAPITOLO VI
Le Peregrinatio
Nel 1933, in occasione dell’anno Santo straordinario per il centenario della Redenzione di Cristo, il Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, arcivescovo di Bologna indisse la prima peregrinatio Mariae con l’icona della Beata Vergine di San Luca per le parrocchie dell’Archidiocesi. L’Immagine lasciò il suo Santuario il 18 febbraio 1933 e terminò il viaggio missionario il 15 maggio, giungendo in città e rimanendovi fino all’Ascensione il 25 maggio. In questa occasione la Confraternita dei Domenichini si impegnò come non mai per assicurare la sicurezza del trasporto da una zona all’altra, in condizioni non sempre agevoli, ma con spirito di abnegazione esemplare. Durante la peregrinatio del 1933 la Madonna di San Luca visitò ben oltre cinquanta comuni della Diocesi, trattenendosi nei centri principali a cui affluivano i fedeli dalle parrocchie vicine.
La peregrinatio del 1933 non fu un fatto isolato. Vi furono altre tre peregrinatio nel XX° secolo, che videro i Domenichini impegnarsi con la stessa dedizione della prima.
In occasione del Giubileo del 1950, il giorno 1 novembre di quell'anno, il papa Pio XII proclamò solennemente il dogma dell'Assunzione in Cielo di Maria, dando nuova forza al culto mariano e dando inizio, con quest'atto, all'Anno Santo della Madonna Pellegrina. Lo stesso cardinale Nasalli Rocca dispose la visita dell'Immagine presso l’Archidiocesi, come una madre visita i suoi figli, per sanare le ferite, ascoltarne le voci, infondere nei cuori dolci consolazioni. Si era appena usciti dal periodo tragico della guerra e la Peregrinatio rappresentava un monito pacificatore. L’Arcivescovo, che era entrato nella Confraternita nel 1936, conoscendo lo zelo dei suoi confratelli, confidò ancora nel loro aiuto in quella che si doveva rivelare un’impresa quasi titanica. La peregrinatio iniziò ufficialmente il 24 dicembre 1950. Durante il 1951 furono visitate ben 128 parrocchie, utilizzando i mezzi che c'erano, non sempre adeguati. I confratelli non abbandonarono mai la Santa immagine, seguendola costantemente, e facendo turni per garantirne la sicurezza con la presenza costante. La fiducia riposta in loro dalle autorità ecclesiastiche fu ampiamente ripagata. La peregrinatio della Madonna di San Luca terminò il 16 dicembre quando tornò in San Pietro a Bologna a chiusura dell’Anno Santo della Madonna Pellegrina, per poi tornare al Santuario il 1° gennaio 1952. A perenne memoria di questo evento epocale, la Confraternita offrì al Santuario di San Luca le due porte di legno intarsiato poste nell’ingresso delle scale che conducono all’immagine della Madonna. Il Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca, domenichino, non fece a tempo a ringraziare i suoi confratelli per la grande opera portata a termine, perché morì poco dopo, il 13 marzo 1952. Fu il suo successore, Giovanni Lercaro, a consegnare un biglietto di ringraziamento alla Confraternita.
La Madonna di San Luca visita Bologna ogni anno, con rarissime eccezioni, dal 1433. Il periodo della visita fu portato dalla prima domenica di luglio alle Rogazioni Minori su proposta di Giovanni II Bentivoglio nel 1476. Nel 1976 quindi ricorreva il quinto centenario di questo evento e coincideva anche con il terzo centenario della costruzione della parte in pianura del portico di San Luca, da porta Saragozza al Meloncello (1676) (1). Queste ricorrenze diedero motivo al cardinale Antonio Poma per dare via ad una nuova peregrinatio. Avvalendosi sempre del prezioso aiuto della Confraternita il viaggio ebbe inizio il 7 febbraio 1979 e in un percorso decennale i Domenichini accompagnarono la Santa icona in tutte le parrocchie dell’Archidiocesi. Il pellegrinaggio terminò con il nuovo arcivescovo, il card. Giacomo Biffi, che non mancò di lodare l’impegno dei confratelli.
Fu proprio il cardinale Giacomo Biffi che, nel 1992, in occasione dell’ottavo centenario della posa della prima pietra del Santuario, propose una nuovaperegrinatio, con rinnovato impegno sulla nuova evangelizzazione, tema della sua nota pastorale Guai a me. La nuova peregrinatio iniziò il 4 giugno 1994. Fu un lungo pellegrinaggio, molto più articolato dei precedenti, in quanto la Venerata immagine non solo visitò tutte le parrocchie dei quindici vicariati dell’Archidiocesi, ma anche le varie realtà ecclesiali e sociali presenti sul territorio. In questa occasione i Domenichini, non solo provvedettero al trasporto e alla cura dell’Icona, ma collaborarono all’organizzazione dei viaggi della Madonna. I confratelli in questi cinque anni (la peregrinatio terminò infatti il 7 maggio 1999) non badarono a sforzi e sacrifici, pur di accompagnare in ogni luogo della Diocesi l’Immagine mariana. Con Essa i Domenichini percorsero in lungo e in largo tutti in confini della realtà ecclesiale bolognese, accompagnarono la Sacra Immagine nella visita a 412 parrocchie, 99 cimiteri, 4 case della carità, 9 case di cura, 38 istituti religiosi, 8 case protette, 47 case di riposo, 6 centri per anziani, 2 centri sociali, 18 ospedali, 15 istituti scolastici, 79 aziende, 6 municipi, 7 centri sportivi, 16 quartieri residenziali, le carceri, la Provincia di Bologna, la Stazione, il Teatro Comunale, i Vigili del Fuoco, il Circolo Ufficiali; in totale sono state effettuate 322 processioni in 639 giorni e i confratelli assicurarono ben 3902 presenze! Questi numeri indicano la mole di lavoro e il grande impegno profuso dai Confratelli, che, pur ridotti nei numeri rispetto a quelli dei secoli scorsi, hanno fatto così come allora dell’amore e della dedizione alla Beata vergine la loro veste abituale. La peregrinatio del 1994 ha segnato un epoca, in cui si è dimostrato che il Domenichino non è uno sterile portatore di immagine sacra, ma un cristiano che della propria vita dà quotidianamente testimonianza, con la fatica dell’impegno e con la gioia dell’essere membro vivo della Chiesa.
(1) La costruzione del portico era iniziata con la posa della prima pietra il 28 giugno 1674.
Bibliografia:
Di Giuseppe Tuninetti
CAPITOLO VII
I Domenichini oggi
Tra gli eventi da ricordare del XX° secolo c'è il Concilio Vaticano II, evento ecclesiale di portata eccezionale. Il Concilio Vaticano II, aprendo le porte della Chiesa all’apostolato dei laici, ha di fatto ridotto il ruolo delle confraternite, che sono sempre state uno dei principali canali con cui il laico esercita, nella Chiesa, il proprio ministero battesimale. Si è quindi registrata una crisi progressiva ed inesorabile, che dura tuttora, in tutta Italia e anche nella Diocesi di Bologna.
Non tutte le confraternite subiscono la crisi nella stessa maniera: i Domenichini in particolare, non risentono di questa crisi, forti della grandissima devozione popolare alla Madonna di San Luca, devozione che fa sì che le aggregazioni non manchino mai. Non solo avviene ancora oggi che l'appartenenza alla Confraternita coinvolge intere famiglie e si tramanda di padre in figlio, ma si registrano anche nuove aggregazioni che fanno in maniera tale che il calo numerico dei Confratelli sia meno sensibile di quanto avviene per la maggior parte della altre confraternite.
Va detto però che oggi non esiste più il ramo femminile. Questa presenza silenziosa ma vivace, era stata attiva fino alla metà dello scorso secolo. La focalizzazione della Confraternita sul trasporto della Santa Immagine, focalizzazione concretizzatasi durante il XX° secolo in maniera eccezionale con le peregrinatio, ha fatto ingiustamente percepire la presenza femminile come quasi inutile. Progressivamente il numero delle Consorelle diminuì fino alla estinzione completa del ramo femminile.
Altro mutamento importante rispetto al secolo scorso è il pellegrinaggio della Confraternita al Colle della Guardia: non più tutte le domeniche, ma la terza domenica di ogni mese. A fronte di una minore attività di salite processionali al Colle della Guardia, è viceversa aumentata, soprattutto in questi ultimi decenni, la partecipazione dei Domenichini alla vita del Santuario di San Luca.
La vita dei Domenichini oggi è quindi saldamente legata al Santuario e alla sua venerata Immagine. La dimensione mariana della Confraternita è particolarmente accentuata, a scapito di altre forme di devozionismo e pietà non più in linea con la spiritualità del mondo contemporaneo. I Domenichini sono laici, molti dei quali impegnati nella propria parrocchia; altri sono impegnati a livello diocesano; alcuni sono ministri istituiti come accoliti o lettori, tutti consapevoli che l'appartenere alla Chiesa non si esaurisce con la discesa della Madonna di San Luca oppure con la domenica del pellegrinaggio, ma si concretizza ogni giorno con il rendersi testimone coraggioso e fedele del proprio Battesimo e del filiale affetto alla Madonna.
Per quanto il trasporto della Santa Immagine sia l'attività che, per il popolo, identifica la Confraternita, in realtà il suo impegno non si esaurisce solo con questo. L'inserimento pieno nella vita dell’Archidiocesi di Bologna rende la Confraternita disponibile a tutti gli inviti che vengono fatti dall’Arcivescovo e dai superiori ecclesiastici per la vita liturgica, devozionale e caritativa della Diocesi e delle singole parrocchie. I Confratelli portano con gioia la testimonianza del loro affetto verso la Beata Vergine nel territorio in cui vivono, servendo la Chiesa che li ha visto nascere e che li ha sempre accolti e incoraggiati.
La partecipazione della Confraternita dei Domenichini si estende nella vita della Chiesa oltre i confini dell'Archidiocesi mantenendo rapporti costruttivi con tutte le altre confraternite della Regione e d’Italia e partecipando con gioia a raduni e a convegni annuali, che danno modo ai Confratelli di misurarsi con le altre realtà, condividere le proprie ricchezze spirituali e cercare di risolvere insieme i vari problemi che si posso incontrare nel cammino quotidiano. È ancora vivo il ricordo del pellegrinaggio nazionale a Roma per l’Anno Santo del 2000, in cui migliaia di confratelli da tutta Italia, con le loro tipiche e diverse insegne percorsero processionalmente via della Conciliazione per arrivare alla Porta Giubilare di San Pietro.
Il Domenichino è perciò un pellegrino che “cammina” un anno intero per arrivare al suo Santuario nelle strade della vita quotidiana, nel lavoro, nella famiglia, nella preghiera assidua, senza essere un eroe, ma un cristiano che vive con l’esempio della Madonna nel cuore. Il rapporto privilegiato con la B.V.di San Luca, sentito da ogni Domenichino, è compenso abbondantemente sufficiente per ogni impegno richiesto dalle attività confraternali.
CAPITOLO VIII
Gli Statuti
Ogni Confraternita è regolata da propri Statuti che, approvati dall’autorità ecclesiastica, regolano la vita della stessa nei minimi particolari, per evitare che i membri prendano strade diverse e lontane dal loro fine. Anche i Domenichini, fin dalle origini, hanno avuto i loro Statuti. I più antichi risalgono al 1744 e delineano i vari incarichi in seno alla Confraternita e le varie pratiche devozionali che i membri, singolarmente o in gruppo, devono svolgere. Anche l’ordine processionale è scandito fin nei minimi particolari. Gli Statuti del 1744 determinarono la spiritualità e regolarono la vita dei Domenichini per più di cento anni. Nonostante le travagliate vicende storiche ed ecclesiali, non si sentì il bisogno di cambiare queste regole, nemmeno quando la Confraternita prese il posto lasciato dalla soppressa Arciconfraternita di Santa Maria della Morte.
Fu solo nel 1852 che si sentì necessità di una modifica degli Statuti e di una ulteriore nel 1885, che portò ad una semplificazione degli stessi, approvati dall’Arcivescovo card. Battaglini. Una ulteriore nuova versione fu approvata dal card. Dalla Chiesa (futuro Benedetto XV) nel 1909.
La promulgazione del Codice di Diritto Canonico della Chiesa, nel 1917, rese nuovamente necessario una revisione degli Statuti arrivando perciò ad una versione rinnovata che venne approvata nel 1931. Infine, con il nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato dal Beato Giovanni Paolo II nel 1983, i Domenichini, come tutte le altre Confraternite, dovettero rivedere i propri statuti. Si arrivò perciò a quelli attualmente in vigore, approvati dal card. Biffi il 19 marzo 1990.
Per due secoli, perciò, non si è avuto un sostanziale cambiamento, dai primi statuti del 1744 fino a quelli del 1931. Dopo un preambolo storico, si passa allo scopo essenziale della Confraternita:
Ogni domenica dell’anno a mezz’ora dopo la messa di S.Pietro… si porterà processionalmente alla visita del Santuario sul Monte della Guardia a venerare l’Immagine della B. V. di S. Luca nostra protettrice e avvocata. [1]
Un breve accenno al trasporto compare solo dagli Statuti del 1885, ma è talmente aleatorio il riferimento che pare che questo servizio non faccia parte della Confraternita. Si passa poi alle funzioni proprie dei Domenichini, al modo di aggregarsi, ai suffragi che si debbono compiere per i confratelli defunti. Una parte decisamente importante è dedicata alle cariche interne alla Compagnia (i cosiddetti Ufficiali), loro compiti, loro durata ecc., e termina con le indulgenze accordate dai Papi Benedetto XIV e Pio VII. E' uno statuto molto formale e molto essenziale, in cui ogni compito, ogni carica e ogni funzione è regolata nei minimi particolari.
Un notevole cambiamento è rappresentato dallo statuto del 1990. I tempi cambiati hanno reso necessario rendere le norme più adatte allo spirito di rinnovamento ecclesiale voluto dal Concilio Vaticano II. Innanzitutto il testo appare molto più snello e breve e per la prima volta appare esplicitata la particolare vocazione del Domenichini:
Essa ha per scopo:
a) Onorare in modo particolare la Beata Vergine di San Luca, celeste patrona dei bolognesi.
b) Diffondere il suo culto nell’intera diocesi
Per conseguire quanto sopra, la Confraternita provvede:
a) Ad accompagnare la Sacra Immagine durante l’annuale visita alla città di Bologna e durante le altre peregrinazioni che Essa avesse a compiere nell’Archidiocesi per disposizione dell’Arcivescovo…
b) A promuovere periodici pii pellegrinaggi al Santuario e ritiri o riunioni formative.[2]
--------------------------------------------------------------------------------------------------
E' evidente la particolare vocazione mariana della Confraternita ed il legame al Santuario, nella continuità della tradizione. Nello stesso tempo scompare quello che era lo scopo originario della Confraternita: la salita settimanale al colle della Guardia, sostituita da non precisati periodici pii pellegrinaggi, lasciando l'interpretazione e la decisione sulla periodicità al voto assembleare (attualmente il periodico pio pellegrinaggio è fissato alla terza domenica di ogni mese).
Il cambiamento più rilevante ed evidente è che il nuovo scopo principale (e quasi unico) statutario è quello del trasporto della Santa Icona in occasione delle annuali feste e ogniqualvolta le autorità diocesane lo richiedano. Viene perciò formalizzato negli Statuti della Confraternita la consuetudine, ormai plurisecolare, di portare l’Immagine, facendone lo scopo essenziale dell’esistenza stessa dei Domenichini.
Traspare pure, dal nuovo Statuto, la possibilità di continuare ad avere il ramo femminile, pur rimanendo esclusivo del ramo maschile il trasporto. Per il resto si allinea ai vecchi testi, aggiornando le cariche: spariscono le figure del Protettore, del Priore e del Vicepriore, dei Sindaci, del Depositario, del Campionere ecc e compaiono le cariche di Presidente e del Vice Presidente (vedi il capitolo successivo per i significati e ruoli di cariche vecchie e nuove).
Cambiano i tempi e i modi, ma resta chiaro che i Domenichini sono una Confraternita mariana e che traggono la loro linfa vitale dall’amore e dalla devozione verso Maria Santissima venerata nel Santuario di San Luca: questo non cambierà mai!
[1] Confraternita della Beata Vergine di S. Luca detta dei Domenichini eretta nella Chiesa di S. Sofia in Bologna…, Bologna, 1909
[2] Statuto della Confraternita della Beata Vergine di S.Luca detta “dei Domenichini”, Bologna, 1990
Fin dai primi momenti di esistenza della Confraternita esistevano degli incarichi istituzionali, a cui corrispondevano ruoli precisi all'interno della Confraternita stessa, evidenti fin nei primi Statuti e nei vari verbali delle assemblee annuali. L'antico nome delle persone che, tra i Domenichini, ricevevano incarichi di questo tipo era quello degli Uffiziali o Ufficiali. Molti di questi sono oggi scomparsi, adeguandosi al mutare dei tempi e delle necessità all’interno della Confraternita stessa. E' interessante elencare tutte le cariche che sono esistite all'interno della Confraternita della Beata Vergine di San Luca del Pellegrino Greco, ed indicarne, per ciascuna di esse, l'evoluzione nel tempo.
Il Protettore.
Fin dalle origini le Confraternite cercarono di imitare gli Ordini religiosi, per cui in molte di esse compare la figura del Protettore (per gli Ordini religiosi questi era un Cardinale). Nel nostro caso il Protettore normalmente era un nobile che curava i rapporti della Confraternita con le autorità civili, che, per buona parte del tempo passato, coincidevano con quelle ecclesiastiche. Tale carica è adottata dai Domenichini già nello Statuto del 1744: il Protettore doveva essere un nobile bolognese, nominato dalla Curia Arcivescovile e rimaneva incaricato a vita. Il suo compito era di trattare tutti gli affari della Confraternita con l’Arcivescovo o con il Vicario Generale; doveva intervenire alle assemblee annuali e alla nomina degli Ufficiali; poneva, inoltre, la firma sulle nuove iscrizioni. Egli era a tutti gli effetti un procuratore con pieni poteri, intervenendo, con il suo consiglio e il suo aiuto (spesso anche finanziario) negli affari interni della Confraternita stessa. Questa carica è scomparsa nella seconda metà del XX secolo e non è più menzionata nell’ultimo Statuto.
Ricordiamo tra i nobili protettori il senatore conte Franco Caprara, a cui spetta il primato, essendo in carica già nel 1742, nei primi momenti di esistenza della Confraternita, e il conte Filippo Bentivoglio, nominato dopo la restaurazione pontificia in città, che ebbe il merito di regolare la questione dell’assorbimento della Compagnia di S.Maria della Morte. Menzioniamo anche il principe Clemente Spada, nominato protettore nel 1852 e il marchese Prospero Bevilacqua presente negli anni ottanta del XIX secolo. Tra gli ultimi a ricoprire questo prezioso e delicato ufficio ci furono il conte Pio Ranuzzi de’ Bianchi, tra le due guerre mondiali, che fu il promotore della costruzione della nuova e attuale chiesa di Santa Sofia e, infine, il conte Cesare Ranuzzi Segni, l’ultimo Protettore.
Il Padre Spirituale.
La presenza di un sacerdote nella Confraternita era garanzia di ortodossia e di fedeltà alle leggi ecclesiastiche e alla gerarchia. Era il parroco nella cui giurisdizione territoriale c’era la chiesa confraternale. Per oltre cento anni questo incarico fu ricoperto dal parroco pro tempore di Santa Caterina di Saragozza, fino al 1937, quando fu eretta la parrocchia della Sacra Famiglia al Meloncello. La nuova chiesa di Santa Sofia (aperta al culto nel 1927) passò così sotto la nuova parrocchia e venne meno quello storico legame che aveva unito i Domenichini alla parrocchia di Santa Caterina. Da quello che però si evince dai verbali delle assemblee, alle origini non doveva essere così: lo Statuto del 1744 menziona un generico pio e religioso sacerdote, senza fare alcun cenno alla parrocchia di Santa Caterina di Saragozza. Senza dubbio è dalla occupazione francese di Bologna (1796-1814) che il parroco di Santa Caterina di Saragozza è anche il Padre Spirituale della Confraternita dei Domenichini. Durante questo periodo, più di una volta i Confratelli furono ospitati nella chiesa di Santa Caterina.
Il Padre spirituale assisteva alle assemblee e aveva potere di veto sulle iniziative della Confraternita, cercando di mediare nelle varie questioni interne e, esternamente, con la Curia Arcivescovile. Doveva sottoscrivere i nuovi ingressi e il rendiconto del bilancio annuale, passandolo poi al vaglio del Vicario generale.
Questa carica non è scomparsa nell’ultimo Statuto, anche se ne è stato modificato il nome e la funzione. Attualmente il Padre Spirituale prende il nome di Presidente o Moderatore e spetta di diritto al Vicario arcivescovile pro – tempore del Santuario della B. V. di San Luca, confermando l’unione spirituale tra la Confraternita e il Santuario. Il Presidente convoca e presiede il Consiglio Direttivo e l’assemblea annuale, dirige le attività ordinarie dei Domenichini e li rappresenta davanti all’autorità ecclesiastica. In pratica con l’ultimo Statuto la nuova figura del Presidente ha raccolto in una le cariche di Padre spirituale, Priore, Protettore e Cappellano.
Tra i parroci di Santa Caterina che sono stati padri spirituali della Confraternita, merita particolare menzione don Giovanni Battista Battistini che gestì con polso fermo e deciso il periodo del dopo-Napoleone e fermò le pericolose ambizioni del priore Fasani nel 1819, dando per gli anni seguenti un assetto stabile alla Confraternita. I Domenichini nel 1819 corsero il rischio di disgregarsi e se oggi esistono è anche per merito di don Giovanni Battista Battistini. Ultimo dei parroci di Santa Caterina come Padre Spirituale è il Can. Don Silvio Busi, mentre primo dei parroci della Sacra Famiglia è don Pietro Raimondi. Un meritato ricordo va al primo Presidente, Vicario del Santuario di San Luca, mons. Giovanni Marchi che ha traghettato la Confraternita dei Domenichini nel passaggio ai nuovi Statuti, governandola saggiamente e inserendola in pieno nella vita dell’Archidiocesi.
Il Priore.
Fino al penultimo Statuto, il Priore rappresentava la più alta carica laica all'interno della Confraternita di cui ne era in pratica il responsabile. Ne rispondeva davanti al Padre Spirituale e ne curava gli affari temporali, convocava gli Ufficiali a suo discrezione, proponeva gli argomenti nelle assemblee, supervisionava sia l’aspetto liturgico che comunitario, vigilava affinché venissero applicati gli statuti e le decisioni assembleari. Curava inoltre le pubbliche relazioni con le entità esterne (persone o associazioni), direttamente oppure mediato dal Padre Spirituale o dal Protettore. Aveva il potere di deliberare le spese, delle quali comunque doveva rendere conto ai Sindaci, nominati appositamente. Questa carica, all’origine, era annuale, e veniva votata da tutti i Congregati; in seguito ci furono vari cambiamenti: la durata della carica cambiò arrivando a diventare a vita, per poi passare, nel 1931, ad essere triennale. Per un certo periodo, dopo il 1820, ilPriore fu nominato direttamente dall'Arcivescovo su suggerimento del Padre Spirituale. triennale.
Come già accennato, la carica di Priore è stata inglobata nella figura del Presidente, come si evince dallo Statuto del 1990.
È praticamente impossibile fare una lista cronologica completa dei Priori dalle origini per l'incompletezza della documentazione nell'archivio della Confraternita. Vale la pena però di ricordarne qualcuno, avendo comunque chiaro che la data indicata è spesso approssimativa.
Gaetano Morandi risulta essere Priore al momento della fondazione nel 1742; Giuseppe Berti nel 1744; Ferdinando Sforza Magnani nel 1751; Serafino Marchesi, presente come priore nel 1814, fu il Priore che fece uscire la Confraternita dal periodo napoleonico; Giacomo Gatti nel 1815; Gaetano Becchetti nel 1816 e 1817; Ludovico Fasani dal 1818 al 1820; Giovanni De Simonis dal 1820 al 1822; Gaetano Rossi dal 1834 al 1840; Luigi Bartolomasi dal 1840; Francesco De Maria Cesari eletto nel 1842; Andrea Cipriano Ghedini dal 1844; Luigi Savigni dal 1849; Petronio Diana dal 1852; Cesare Gagliani nel 1858; Antonio Malchioni dal 1859; Piriteo Ranuzzi nel 1867; marchese Tommaso Cospi Ranuzzi dal 1879; Armando Facchini nel 1902; marchese Giuseppe Sassoli de’ Bianchi dal 1904; marchese Filippo Sassoli de’ Bianchi dal 1910; marchese Antonio Zacchia Rondinini dal 1929.
Anche il ramo femminile aveva una Priora, ma, pur gestendo le consorelle, non aveva voce né nelle assemblee e nemmeno nella gestione della Confraternita. Nessun nominativo compare dai documenti dopo il 1945.
Il Vice–priore.
Questa carica compare fin dagli inizi della Confraternita, come vicario dello stesso Priore e con pieni poteri in caso di assenza, impossibilità, morte o deposizione dello stesso. Era un ufficio eleggibile o a nomina diretta decisa dal Priore. Con la revisione degli Statuti del 1990, questa carica è rimasta assumendo un ruolo più importante, essendo la funzione di Priore confluita in quella del sacerdote Presidente. Il Vice–priore è attualmente la prima carica laica della Confraternita e coadiuva il Presidente nello svolgimento delle sue funzioni; è eletto da tutti i confratelli e rimane in carica tre anni.
I Sindaci.
Erano i revisori del bilancio della Confraternita. Dovevano esaminare i libri della contabilità e tutti i documenti che riguardavano le spese e le entrate e renderne conto all’assemblea dei confratelli. Ufficio scomparso nell’ultimo Statuto e confluito in quello dei Consiglieri.
Il Depositario o Tesoriere.
Deriva questo nome dal fatto che teneva in deposito presso di sé il denaro della Confraternita: questo era custodito in una cassa avente due chiavi, una tenuta dal Tesoriere e l’altra dal Priore. Egli doveva rendere conto di ogni minima spesa al Priore, teneva il registro delle entrate e delle uscite e ogni anno presentava il rendiconto all'assemblea, inoltre era autorizzato ad effettuare tutte le spese ordinarie: pagare il Campioniere, erogare sussidi ai confratelli infermi e indigenti (già precedentemente fissati in base della possibilità del fondo cassa) ed infine pagare le spese per le funzioni della Confraternita.
Questa è una carica fondamentale che è in vigore ancora oggi e viene eletta direttamente dal Consiglio Direttivo, di cui è parte, ma senza diritto di voto.
Il Campioniere.
Questo obsoleto appellativo indicava semplicemente il Segretario della Compagnia. Questi doveva tenere un esatto campione (da cui il nome) di tutti gli ascritti, con i dati identificativi (nome, cognome e indirizzo) e la data dell’aggregazione. Presentava annualmente un rendiconto all’assemblea sui nuovi ascritti, sui confratelli defunti, dimissionari o espulsi, nonché una nota dei beni acquistati dalla Confraternita, oppure regalati ad essa. Regolava il pagamento delle quote annuali (o semestrali) dei confratelli; su disposizione del Priore inviava gli inviti ai confratelli alle adunanze; compilava i verbali di queste e aveva la responsabilità della gestione dell’archivio; aveva anche l'importante responsabilità di custodire il sigillo della Confraternita. La sua era una delle due cariche che riceveva un compenso per la sua attività.
Purtroppo non tutti i segretari del passato sono stati diligenti e questa è una delle ragioni per cui l'archivio dei Domenichini oggi si presenta lacunoso.
Con il nuovo Statuto questa carica di segretario è stata mantenuta con i suoi impegni e oneri.
I sagrestani.
In numero di due, dovevano tenere in ordine e pronti all’uso i paramenti sacri di proprietà della Confraternita e tutti gli apparati necessari per le funzioni, tenendone anche l’inventario sempre aggiornato e predisponendoli in occasione di tutte le funzioni che si svolgevano in Santa Sofia. In particolare per il pellegrinaggio settimanale, preparavano l’altare di Santa Sofia, il Crocifisso, le insegne e i lampioni.
La loro funzione è venuta meno quando cessarono le celebrazioni nella chiesa confraternale, infatti la carica non è più contemplata nello Statuto del 1990.
I Regolatori.
I Regolatori svolgevano la funzione di cerimonieri per il buon ordine delle processioni. Presenti fin dalle origini, assunsero maggiore importanza quando alla Confraternita fu conferito l'incarico di provvedere al trasporto dell’immagine della B. V. di San Luca. Erano in numero di quattro e controllavano che i confratelli e le consorelle andassero in ordine, senza confusione, e recitassero le preghiere d’uso, e che le funzioni in S. Sofia si svolgessero in modo dignitoso e ordinato secondo gli Statuti. Inoltre era loro incarico trovare gli otto Baldacchinieri per il trasporto della Madonna di San Luca.
Questo ufficio non compare più nello Statuto del 1990.
I Visitatori degli infermi.
Un compito così delicato era affidato a due confratelli particolarmente degni. Il loro incarico era quello, come si evince dal nome, di visitare i Domenichini infermi e malati. La frequenza delle visite dipendeva ovviamente dalla situazione di gravità dell'infermo, ma vi erano comunque due periodi dell'anno in cui si concentravano le visite, cercando di visitare tutti i confratelli malati: la solennità del Natale e dell'Assunzione di Maria. Essi, successivamente alla visita, riferivano al Priore, e particolare attenzione veniva rivolta ai confratelli indigenti che non avevano i mezzi per curarsi: in questo caso la Confraternita provvedeva caritatevolmente con un sussidio.
Anche questo ufficio non compare più nello Statuto del 1990.
Il Cappellano.
Era il sacerdote che officiava le funzioni in Santa Sofia; poteva sostituire il Padre Spirituale in assenza di quest'ultimo; accompagnava i Domenichini nel loro pellegrinaggio settimanale al Santuario della B.V. di San Luca; partecipava nel suo ruolo di sacerdote alla sepoltura dei confratelli defunti. Riceveva per queste attività una retribuzione annua, oltre all’offerta delle Messe celebrate.
Il suo incarico è stato assorbito dal Presidente.
Il Collettore.
L’incombenza del Collettore era di portare ai confratelli le polizze (cioè le richieste di pagamento delle quote mensili o semestrali che ogni confratello doveva - e deve tuttora - versare per contribuire alle spese della Confraternita e per contribuire al decoro delle funzioni), ritirando il corrispondente importo, da consegnare successivamente al Depositario. Doveva fare ogni tre mesi un esatto rendiconto al Campioniere, segnalando eventuali morosi. Il Collettore riceveva uno stipendio annuo che corrispondeva a una percentuale sull’importo delle quote da lui riscosse. Il suo incarico si estendeva anche nell’organizzare, disporre e preparare i funerali dei confratelli e nell’organizzare la discesa della B. V. di San Luca.
Il Collettore oggi non esiste più e le sue funzioni principali sono state assorbite in parte dal Tesoriere.
Il Maestro dei Novizi.
Come negli Ordini religiosi, nella Confraternita vi era un confratello che istruiva i nuovi ascritti sulle regole e consuetudini della Compagnia; vigilava sul loro comportamento prima dell’iscrizione perpetua, accertandosi sulla loro condotta morale prendendo informazioni dai parroci. Questo importante ufficio non compare più già negli Statuti della metà dell’ottocento.
Il Regolatore (o Conservatore) dei candelotti.
Dai verbali delle nomine delle cariche annuali, risulta la presenza di un Regolatore dei candelotti: un confratello che provvedeva, custodiva e distribuiva le candele (o le torce, nei primi tempi della Confraternita) da portare nelle processioni settimanali a San Luca, e che inoltre controllava che nelle funzioni ognuno fosse provvisto di candela e che questa fosse accesa e portata in modo decoroso. L'esistenza, almeno nel passato, di questa carica è indice dell'attenzione della Confraternita nei confronti anche dei minimi particolari nello svolgimento delle funzioni. Questo incarico non viene più menzionato dalla metà dell’ottocento.
I Cantori.
Tra le cariche presenti a metà del XIX secolo, compare anche quella dei Cantori: provvedevano al canto corale durante gli uffici liturgici comuni. Questo incarico scompare già ai primi del XX secolo.
Portantini, Baldacchinieri e Lampionieri
Dopo che alla Confraternita fu affidato l'ambito compito del trasporto dell’immagine della Beata Vergine di San Luca, nacquero nuove figure. Prime tra queste furono i Portantini, cioè coloro (in numero di quattro più quattro sostituti) che avevano l’onore di portare sulle loro spalle la Sacra Icona. Poi i Baldacchinieri, in numero di otto, che portavano i pesanti baldacchini processionali che si posso ammirare ancora oggi nelle feste dell’Ascensione. Infine i Lampionari, in numero di quattro, che erano addetti al trasporto dei grandi lampioni processionali. Erano nominati annualmente dalPriore che spesso non faceva altro che rinnovare gli incarichi di anno in anno, tanto che si arrivò, con il passare del tempo, a tramandarli di padre in figlio.
Il nuovo Statuto del 1990 ha eliminato anche questi incarichi ed oggi ogni confratello ha la possibilità di portare la Santa Immagine, a discrezione del Vice–Priore.
Nuovi incarichi (Statuti 1990)
Presidente
Vice-Priore
Tesoriere
Segretario
Consiglio
Relazione tra vecchie cariche (statuti ante 1990) e cariche attuali.:
Protettore ------------> Non più esistente
Padre Spirituale ------------> Assorbito da Presidente
Priore ------------> Assorbito da Presidente
Vice-Priore ------------> Esistente - Vice-Priore
Sindaci ------------> Ruolo svolto dal Consiglio
Depositario/Tesoriere --------> Esistente - Tesoriere
Campioniere ------------> Esistente - Segretario
Sagrestani ------------> Non più esistenti
Regolatori ------------> Non più esistenti
Visitatori degli infermi -----> Non più esistenti
Cappellano ------------> Assorbito da Presidente
Collettore ------------> Ruolo assorbito in parte dal Tesoriere
Maestro dei Novizi -----------> Non più esistente
Regolatore dei Candelotti ----> Non più esistente
Cantori ------------> Non più esistenti
Portantini ------------> Non più esistenti (il ruolo è coperto da tutti i Domenichini)
Baldacchinieri ------------> Non più esistenti (il ruolo è coperto da tutti i Domenichini)
Lampionari ------------> Non più esistenti (il ruolo è coperto da tutti i Domenichini)
APPENDICI
A - L’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato dei Fiorentini detta della Misericordia in Roma
Nel 1488 nasce a Firenze l’Arciconfraternita della Misericordia con lo scopo di assistere i condannati a morte, che due anni dopo, nel 1490, è presente anche in Roma e ottiene da papa Innocenzo VIII l’area attuale su cui stabilirsi, dove viene iniziata la costruzione dì un complesso conventuale, procrastinata fino alla metà del Cinquecento, realizzando uno dei più significativi esempi della presenza del Manierismo toscano in Roma.
Scopo dell’Arciconfraternita era di assistere i condannati a morte, invitarli al pentimento, confortarli sino all’estremo, e seppellirne i cadaveri; essi ridedicarono la chiesa a San Giovanni Battista, patrono di Firenze, ed elessero come festa principale il giorno dedicato alla sua decollazione e morte.
Il tutto si è conservato sostanzialmente integro fino a oggi, con dei restauri nel Sette e nell’Ottocento che non hanno apportato modifiche sostanziali. La facciata della chiesa, completata nel 1504, è assai austera e risulta sopraelevata rispetto alla strada, come tutti gli edifici della via, a causa dell’abbassamento delle quote stradali in seguito ai lavori di sistemazione archeologica degli anni Trenta del XX secolo. L’interno è una vasta aula, a navata unica, completamente decorata da pitture e stucchi: alle pareti figure di santi, opera di pittori manieristi fiorentini tra il 1580 e il 1590; al primo altare destro Natività del Battista, di Jacopo Zucchi (1585), al secondo Incredulità di S. Tommaso, di Giorgio Vasari (1580), segue la Visitazione, di Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio. Sopra l’altar maggiore, settecentesco, la Decollazione del Battista, del Vasari (1553), al secondo altare sinistro il Martirio di S. Giovanni Evangelista, di Giovan Battista Naldini (1580), al primo l’Assunzione di Maria, di Jacopo Zucchi. Dal vestibolo d’ingresso si accede anche all’oratorio, eretto tra il 1530 e il 1535, decorato entro il 1553 dai più ragguardevoli esponenti del Manierismo toscano, e dove tuttora si riuniscono i confratelli in preghiera; a destra, la Predica del Battista, di Jacopino del Conte (1535), poi la Nascita del Battista (1551) e la Visitazione (1538), di Francesco Salviati (in quest’ultima il personaggio barbuto è Michelangelo, che fu membro dell’Arciconfraternìta). Segue l’Annuncio a Zaccaria, di Jacopino del Conte; dello stesso è la pala d’altare con la Deposizione, mentre i SS. Bartolomeo e Andrea ai lati sono del Salviati; sulla parete sinistra, la Decollazione del Battista (1553), poi la Danza di Salomè, di Pirro Ligorio (1550), l’Arresto del Battista, di Battista Franco (1541) e il Battesimo di Cristo, di Jacopino del Conte (1541). Si accede poi al chiostro, ricostruito nel 1600 da Clemente VIII, dove sono conservate numerose lapidi sepolcrali e a terra sette chiusini circolari che accoglievano i resti dei condannati, mentre in un ambiente adiacente sono conservati documenti e cimeli dell’Arciconfraternita, tra cui il cesto che accolse il capo di Beatrice Cenci e il suo inginocchiatoio, il cappuccio di Giordano Bruno, e numerose tavolette lignee a soggetto sacro che venivano offerte alla vista e alla devozione del condannato fino all’estremo momento. Oltre al su citato inginocchiatoio il museo è composto da ossa di giustiziati mediante decapitazione ed impiccagione disposte nel pavimento (tali osse vengono benedette tramite una solenne processione a lume di fiaccole dei membri della confraternita il 24 giugno di ogni anno), funi usate per l'impiccagione, ceste atte a porre le teste dei decapitati, registri di nomi dei condannati a morte, una barella usata per trasportare i corpi dei condannati a morte alla loro sepoltura nonché il vestito che veniva fatto indossare dal condannato il giorno dell'esecuzione. I confratelli, nella ricorrenza del 29 agosto, giorno del ritrovamento in Siria del capo del Battista, avevano la facoltà di liberare un condannato a morte, che poi veniva portato in processione qui. Occorre ricordare che le esecuzioni, nell’Ottocento, si svolgevano nell’adiacente piazza dei Cerchi, dove ora si accede agli uffici elettorali del Comune.
B - Il "pellegrino" e il "Bus d'la Jacma": vocaboli popolari che affondano le loro radici nella storia.
Il "pellegrino" del titolo non è esattamente l'essere umano intento nell'opera del pellegrinaggio, bensì è il nome popolare che viene dato in Emilia Romagna ad una conchiglia bivalva della famiglia arcidae estremamente comune delle nostre spiagge. Chi raccoglie "pellegrini" nelle spiagge probabilmente non sa che tale nome è legato all'uso che avevano i pellegrini nel medio evo di portare con sé una conchiglia da usare come bicchiere, tanto che la conchiglia è entrata a far parte della simbologia del pellegrino. Per contro il pellegrino ha contribuito a dare un nome, ad un mollusco... Va detto che la conchiglia dei pellegrini è in realtà il pecten jacobaeus, che nelle Marche viene chiamato cappa pellegrina e nel veneto semplicemente pelegren. Nelle spiagge romagnole il pecten jacobaus è abbastanza raro, per cui altre conchiglie, come le nostre arcidae, vengono chiamate "pellegrini". Naturalmente lo Jacobaues che segue pecten è riferito a Giacomo, il Santo Apostolo le cui spoglie sono meta di pellegrinaggi fin dall'epoca del loro rinvenimento a Compostela.
E a proposito di Giacomo veniamo al "Bus d'la Jacma", voce dialettale bolognese che letteralmente in italiano suona "Buco della Giacoma". A Bologna per Bus d'la Jacma si intende la direzione verso sud ovest che più o meno coincide con le prime colline della valle del Reno, dove c'è anche il Colle della Guardia. Questa direzione viene usata come sistema di previsioni meteorologiche molto semplice: se il "Bus d'la Jacma" è chiuso, ovvero nero di nuvole, presto verrà a piovere. Viceversa se il tempo apparentemente è minaccioso, ma il "Bus d'la Jacma" è aperto si può stare abbastanza tranquilli che il tempo migliorerà. La via Emilia è piena di "buchi della Giacoma": anche a Piacenza ce n'è uno; e tutti indicano una direzione che più o meno coincide con le direzioni delle valli che si affacciano sulla pianura padana, che sono orientate verso sud ovest. Questa Giacoma molto probabilmente fa riferimento ad una via Giacoma che era quella che percorrevano a piedi i pellegrini che andavano a Compostela dopo che nel IX° secolo furono ritrovate là le spoglie dell'apostolo Giacomo. Questo evento generò grande emozione e molti fedeli furono attratti dal viaggio verso Compostela (che diventerà Santiago, ovvero San Giacomo di Compostela). Dalle città emiliane si sapeva che la prima parte del viaggio comportava l'attraversamento dell'Appennino, per poi procedere lungo la costa tirrenica verso la Francia. L'attraversamento dell'appennino veniva fatto risalendo le valli che si affacciavano sulla pianura padana il cui orientamento indicava quindi la via Giacoma da seguire per raggiungere San Giacomo.
Presso l'Archivio di Stato di Bologna (1) è custodito un documento dal titolo "Fondazione, et Origine della Confraternita de' Pellegrini" che descrive come è nata la Confraternita della Beata Vergine di San Luca del Pellegrino Greco, detta de' Domenichini.
Molto probabilmente, come fu già intuito da Fernando e Gioia Lanzi (2) tale documento fu scritto anni dopo, rispetto ai fatti descritti, basandosi sulla memoria di chi li visse in prima persona, introducendo qua e là qualche imprecisione, pur mantenendo una buona attendibilità complessiva.
Dal confronto con un altro documento, il "Libro delle Congregazioni dall'anni 1741 etc." (3), sempre custodito presso l'Archivio di Stato, si ricava una idea abbastanza precisa della nascita della Confraternita.
La nostra storia nasce nel 1741. Esisteva già da qualche anno una confraternita laicale detta de' Sabatini, per l'uso che questi devoti avevano di salire processionalmente ogni sabato mattina, tre ore prima dell'alba, al Santuario della Beata Vergine di San Luca sul Monte della Guardia, per rendere omaggio all'Immagine là custodita. Il giorno e l'ora scelti da questo gruppo di devoti non era casuale, trattandosi per lo più di mercanti che si recavano in pellegrinaggio prima dell'apertura delle loro attività presso il mercato del sabato di Piazza Maggiore. La Compagnia dei Sabatini in realtà nacque nel 1721 presso la Chiesa di Santa Maria del Tempio in Strada Maggiore sotto il titolo degli Anni di Maria Vergine (da cui il numero dei 63 confratelli e 63 consorelle che la componevano. Il 23 novembre 1738 questa compagnia si trasferì in San Tommaso del Mercato.
Questa era ancora la situazione nell'agosto del 1741 e pare che l'unico punto di appoggio nei pressi di Porta Saragozza, punto di partenza e di ritorno di ogni processione, fosse una bottega di un acquavitaro che probabilmente era al numero 205 (antica numerazione) di via Saragozza (5), accanto alla Chiesa dei Trentatrè (che era al numero 204). Qui venivano custodite le insegne ed i lanternoncini della compagnia. L'ora antelucana del momento della partenza della processione (tre ore prima dell'alba) fa pensare che l'acquavitaro stesso fosse un Sabatino.
In quell'agosto 1741 però avvennero fatti evidentemente spiacevoli perché il Vicario Generale Mons. Francesco Cottogni (6) proibì ai Sabatini di salire processionalmente al Monte della Guardia. I documenti dei Sabatini stessi (3) accennano a inconvenienti causati da "certa gente stramba" che approfittava dei momenti della processione per generare disordini (7).
Che legato a questi disordini e a questa "gente stramba" ci fosse la bottega dell'acquavitaro ? E' una ipotesi senza alcuna prova documentale a conforto, che qui si cita senza alcuna pretesa di spacciarla per vera, e che però alcune azioni (che vedremo) dei futuri Domenichini ne fanno acquistare qualche elemento di credibilità.
La proibizione di Mons. Cottogni di fatto spaccò in due la Confraternita dei Sabatini: una parte, la maggiore, si rassegnò con obbedienza alla disposizione. Un'altra parte, minoritaria, ma decisa, disobbedì, continuando nelle salite processionali uscendo però da Porta San Felice, eludendo il controllo delle guardie, di cui evidentemente solo quelle di Porta Saragozza erano state istruite per impedire l'uscita di questi confratelli.
La "Fondazione et Origine" ci ha tramandato il nome del più zelante di questi Sabatini "dissidenti": Giuseppe Rossi, di professione bottonaro, abitante in via del Paradiso e con bottega nella Seliciata di San Francesco (8).
I nuovi devoti (9), dopo avere chiesto agli altri Sabatini il permesso di utilizzare la loro croce e i lanternoncini, che giacevano inutilizzati presso la bottega dell'acquavitaro, avendone avuto risposta negativa, se ne approvvigionarono in maniera autonoma (una croce e tre lanternoncini) e si preoccuparono subito di due aspetti: il primo fu quello di dare ordine anche al rientro dal Monte della Guardia, facendo recitare durante la discesa il contenuto di un libretto di meditazioni e preghiere appositamente procurato nel numero di 30 esemplari (10) dal bottonaro Giuseppe Rossi. Il secondo fu quello di trovare un locale ove porre croce e lanternoncini, locale che non fosse la bottega dell'acquavitaro, e perciò chiesero al Senatore Albergati di potere iniziare e terminare le processione presso una cappellina dedicata a Maria Vergine e costruita sulle mura di porta Saragozza. Tale cappellina con ogni probabilità era la chiesetta di Santa Maria dell'Ispirazione, a cui ambiva anche la confraternita dei Sabatini (e che vi si trasferì, non sappiamo con esattezza se prima o dopo la fine del contenzioso con i nuovi devoti, il 14 settembre 1741 (11)) forse proprio per ovviare all'inconveniente di avere una bottega di acquavitaro come punto di riferimento per le processioni!
Questo ultimo evento, unito alla richiesta formale fatta dai nuovi devoti al Vicario Generale mons. Francesco Cottogni per effettuare le visite processionali al sabato mattina, scatenò la reazione dei Sabatini propriamente detti che si stavano vedendo soppiantare nei diritti e privilegi.
Iniziò una lunga disputa che si concluse con una soluzione di compromesso: i "vecchi" Sabatini, a cui fu tolta l'inibizione a salire al Monte della Guardia (12), mantennero il diritto a salire processionalmente al Sabato mattina. Per i nuovi confratelli si convenne di comune accordo, per evitare sovrapposizioni, che avrebbero fatto la salita devozionale al mercoledì. I Sabatini si videro confermata la chiesetta di Santa Maria dell'Ispirazione e per i nuovi, a questo punto, divenne necessario trovare un locale adeguato: per questo presero in affitto un oratorio in via Saragozza, all'angolo con via Frassinago. Il 2 aprile 1742, in questo oratorio, i nuovi devoti fecero nascere nascere una nuova congregazione, che ancora non aveva un nome preciso, e di questi la "Fondazione, et Origine" ci ha tramandato i nomi dei fondatori: Giuseppe Rossi, Giovanni Maria Zauli, Giovanni Reggiani, Giacomo Moretti, Angelo Baratta, Lodovico Marchi, Bonaventura Pezzetti e Domenico Lenzi.
La congregazione venne ufficialmente riconosciuta il 28 febbraio 1744, essendo priore Giuseppe Berti, con l'approvazione da parte del vicario generale mons. Francesco Cottogni degli Statuti, Regole e Capitoli della "Pia Unione, o Congregazione della B.Vergine di S. Lucca" e dell'abito, costituito da una "Cappa Nera ad uso di Pellegrini, con Mantelina e Bordone" (14), in riferimento al Pellegrino Greco che, secondo le cronache cinquecentesche di Leandro Alberti, portò a Bologna la sacra Immagine dalla chiesa di Santa Sofia in Costantinopoli.
L'uso di visitare processionalmente il santuario della Beata Vergine di San Luca si spostò dal mercoledì alla domenica dalla Pasqua del 1744 (5 aprile) e fu in tale occasione che per la prima volta venne indossata la Cappa del Pellegrino. Dopo questa data nacque il termine "Domenichini", con cui la nuova confraternita sarà identificata.
Il numero dei confratelli crebbe e ben presto l'oratorio all'angolo con via Frassinago si rivelò insufficiente. Così, con l'aiuto del marchese Filippo Davia, la confraternita acquistò da tal Giuseppe Vaccari due casette con orto poco distanti dal loro oratorio. Qui iniziarono la costruzione di una nuova chiesa i cui lavori nel 1747 erano già a buon punto ed è del settembre di quell'anno la richiesta a mons. Francesco Cottogni di dedicare tale chiesa a Santa Sofia(15), in chiaro riferimento alla chiesa di Costantinopoli. La chiesa fu inaugurata solennemente il 28 febbraio 1748 con la partecipazione del Vicario Generale mons. Francesco Cottogni ed un anno dopo fu arricchita da una riproduzione della Sacra Immagine, donata da Ferdinando Sforza Magnani (16).
Per la Confraternita, nata da poco, fu un grande onore ricevere la visita nella chiesa di Santa Sofia dell'Immagine della Beata Vergine di San Luca per le Rogazioni Minori del 1756, gestita dalla Venerabile Arciconfraternita di Santa Maria della Morte, nella giornata di lunedì 24 maggio.
L'inverno tra il 1764 ed il 1765 fu abbondante di precipitazioni che causarono frequenti inondazioni. Per scongiurare queste calamità fu organizzata una visita straordinaria della Immagine della Madonna di San Luca per il giorno sabato 12 gennaio 1765. In questa circostanza, la confraternita dei Domenichini ottenne il permesso, sia dal Priore dell'Arciconfraternita della Morte, sia dall'Arcivescovo) di trasportare l'immagine della Madonna in città.
Questo fu la prima volta documentata in cui i Domenichini ebbero l'onore di provvedere al trasporto dell'Immagine (17).
Le cose procedettero più o meno tranquille fino ai moti successivi alla Rivoluzione Francese e all'ingresso dei francesi in Bologna il 18 giugno 1796 (18). La situazione precipitò rapidamente: il 30 luglio 1798 la compagnia fu soppressa (unitamente ad altre, tra cui la Venerabile Arciconfraternita della Morte e la Compagnia dei Sabatini), la chiesa di Santa Sofia venduta a tal Tommaso Nardozzi il 4 maggio 1799 con rogito di Luigi Aldini (19). Benché soppressa, la nostra Compagnia continuò a rimanere attiva, utilizzando la chiesa di Santa Caterina di Saragozza. Il 12 giugno 1800 partecipò assieme ad altre 5 confraternite, alla processione del Corpus Domini (20). Sono anni difficili in cui non è esattamente chiaro cosa avvenne. Pare che però i Domenichini nel 1804 riuscirono a riavere la chiesa dal Nardozzi e la usarono fino a che la chiesa non venne nuovamente chiusa il 16 agosto 1808 (21), in seguito probabilmente ad una nuova soppressione della compagnia avvenuta nel 1807 (22). Ai devoti non rimase altro che beneficiare dell'ospitalità della chiesa di San Giuseppe, nei pressi di Porta Saragozza, fuori delle mura. I tempi stavano cambiando: le fortune di Napoleone erano alla fine e si stava preparando il ritorno allo status quo ante, ritorno meglio noto come Restaurazione.
Il 30 gennaio del 1814, il priore dei Domenichini, Serafino Marchetti supplica l'autorità arcivescovile per il permesso di utilizzare le cappe e di accompagnare alla sepolura i confratelli defunti, secondo le consuetudini in uso prima della soppressione napoleonica (23). E' il primo timido tentativo della Confraternita di ritornare alla normalità. Ottenuto il permesso dal Vicario Generale Arcivescovile, il 7 giugno 1814 il priore chiese tale permesso anche all'autorità civile, ricevendo anche in questo caso risposta positiva (24). Bisognava recuperare il crocifisso e lo stendardo da usare per le funzioni della confraternita; crocifisso e stendardo probabilmente erano custoditi da qualche confratello nella propria casa, ma la ricerca, fatta nel giungo 1814, diede esito negativo (25).
Era tempo di risolvere anche il problema della chiesa. Nel novembre del 1814 la Pia Unione dei Domenichini, che era ancora in San Giuseppe, dovette fronteggiare un tentativo di insubordinazione di alcuni confratelli che progettavano il trasferimento della confraternita presso la chiesa dei Trentatrè (26). Intanto Don Marco Cesari, Domenichino, si mise in trattative per riacquistare, sborsando propri denari, la chiesa di Santa Sofia, che era passata di proprietà a tal Giuseppe Ceschetti, mentre la sagrestia era di proprietà di un certo Zuffi. L'acquisto di chiesa e sagrestia superava le possibilità economiche di Don Marco Cesari, e ci volle l'intervento di un altro domenichino, Giacomo Fanti, che contribuì, anch'egli con propri denari al riacquisto. Con un scrittura privata fatta il 19 settembre 1815, i venditori cedettero a Don Marco Cesari e Giacomo Fanti, che diventarono padroni in parti uguali, l'intero complesso di chiesa e sagrestia (27). Con la stessa scrittura la chiesa e sagrestia vennero date dai nuovi compadroni in uso perpetuo alla Confraternita dei Domenichini. Le cose non andarono proprio in maniera lineare e tranquilla dato che la scrittura privata doveva essere registrata entro tre mesi, cosa che non avvenne per trascuratezza del Ceschetti ed ancora nel luglio del 1817 il priore Gaetano Becchetti supplicava l'intervento del cardinale Arcivescovo Oppizzoni per sollecitare il perfezionamento della cessione.
Sono anni cruciali per la confraternita. Altre, dal passato importantissimo, si pensi all'Arciconfraternita della Morte, non riuscirono a risollevarsi dall'oppressione napoleonica. La Confraternita dei Domenichini, invece, grazie alla volontà, ai sacrifici, anche economici, come abbiamo visto, e alla devozione dei suoi componenti, pur tra mille difficoltà riuscì a risorgere. La scomparsa dell'Arciconfraternita della Morte lasciò un vuoto importante ed il candidato migliore per colmarlo era proprio la Confraternita dei Domenichini.
Gli anni dal 1818 al 1820 furono determinanti per la sopravvivenza ed il futuro della confraternita dei Domenichini, e vale la pena di descriverne l'accaduto con un minimo di dettaglio. Il nuovo priore, Lodovico Fasani, che subentrò nella carica a Gaetano Becchetti nel gennaio del 1818, si attivò con particolare energia per ottenere che le funzioni prima svolte dall'Arciconfraternita della Morte passassero ai Domenichini. Scrisse tra la fine del 1818 e l'inizio del 1819, a nome della Confraternita, al papa Pio VII implorando il permesso di svolgere le opere pie e caritatevoli in precedenza praticate dalla soppressa Arciconfraternita della Morte (28), ottenendo un breve papale favorevole in data 15 gennaio 1819 (29). L'eccessiva intrapprendenza, forse anche il comportamento incauto, di Lodovico Fasani, fecero interpretare come un privilegio una inesattezza del breve papale. Qui infatti la confraternita veniva chiamata "Arciconfraternita" (30) ed il Fasani ne approffittò per arrogarsene in qualche maniera il titolo . Fece infatti porre sulla porta della chiesa di S. Sofia una iscrizione riportante il titolo di "Arciconfraternita". Questa azione suscitò una violenta reazione di una parte dei confratelli, capeggiati dai due compadroni della chiesa: don Marco Cesari e Giacomo Fanti. Costoro infatti convocarono una riunione dei congregati per il 28 febbraio, senza alcuna autorizzazione da parte del Priore Lodovico Fasani, riunione che di fattò segnò una spaccatura della confraternita mettendone a rischio addirittura la sopravvivenza. Tale riunione determinò, oltre alla eliminazione dell'iscrizione, il ritiro delle chiavi della chiesa di Santa Sofia da parte dei due compadroni, che giudicavano illegittimo il titolo di Arciconfraternita e si sentirono quindi liberi dal patto di concessione in uso perpetuo della chiesa stessa alla confraternita. Furono mesi estremamente problematici. Parte della confraternita, schierata con Don Marco Cesari e Giacomo Fanti, si dimostrò irremovibile nell'azione di protesta, mentre i lealisti fedeli al priore Lodovico Fasani, tra cui Giuseppe Guidicini, l'autore delle "Cose Notabili ..." si mossero in diverse direzioni per cercare di risolvere il conflitto a loro favore. Infatti cercarono l'appoggio dell'Arcivescovo Oppizzoni denunciando l'accaduto (metà di aprile 1819) e la riunione illegale svolta in assenza del priore e senza la sua approvazione. Nello stesso tempo iniziarono una serie di azioni tendenti a legittimare il titolo di Arciconfraternita, infatti, mediante l'intermediazione dell'agente Pietro Coccia a Roma, fecero richiesta di aggregazione all'Arciconfraternita di San Giovanni Decollato (31). La trattativa fu lunga, difficile e dispendiosa, e si risolse con l'invio a Bologna della patente di aggregazione in data 19 luglio (32). Gioco fatto ? Tutt'altro. La vertenza sull'uso della chiesa continuò per tutta l'estate (33): ci fu un tentativo da parte dell'Arcivescovo Oppizzoni che affidò al parroco di Santa Caterina di Saragozza il compito di convocare una riunione per comunicare certe sue volontà. Questa riunione, fatta il 19 settembre 1819 fu disertata dal priore Fasani, dopo che questi aveva tentato di sapere in anticipo dal parroco il contenuto di tali volontà (le veci del priore furono fatte dal Guidicini). Che indicazioni vennero da tale riunione non è dato sapere. Certamente non furono particolarmente positive per la confraternita perché qualche giorno dopo, il 3 ottobre, il priore Fasani fece istanza alla tesoreria camerale di Roma di spostare la sede della confraternita dalla chiesa di Santa Sofia alla vicina chiesa cosiddetta dei Poveri in via Nosadella, motivando tale richiesta con le insufficienti dimensioni della vecchia chiesa. Il 16 ottobre venne inviata nuova supplica al Santo Padre, per chiedere, dopo i privilegi ottenuti con il breve del 15 gennaio che conferiva ai Domenichini indulgenze già concesse all'Arconfraternita di San Giovanni Decollato e dopo la relativa aggregazione del 19 luglio, gli stessi privilegi che erano assegnati alla soppressa Arciconfraternita della Morte di Bologna. L'attivissimo Lodovico Fasani organizzò anche una sorta di reclutamento di congregati in occasione della solenne festa del 21 novembre in Santa Sofia (la festa fu descritta dalla Gazzetta di Bologna del 25 novembre 1819). Evidentemente coltivava l'ambizione di raggiungere un numero elevato di congregati, tanto è vero che, basandosi su un elenco di antichi confratelli della compagnia della Morte, spedì una serie di lettere a costoro invitandoli ad aderire alla nuova confraternita dei Domenichini, che nel progetto del Fasani doveva prendere il posto in tutto e per tutto dell'Arciconfraternita di Santa Maria della Morte. Ormai però il destino di questo progetto era segnato. Lacerata dalle divisioni interne, con il priore pervaso da queste malcelate ambizioni, la confraternita attirò nuovamente l'attenzione dell'Arcivescovo Oppizzoni, su sollecitazione del padre spirituale don Giovanni Battista Battistini, parroco di Santa Caterina di Saragozza. All'inizio del dicembre 1819 il parroco chiese spiegazioni per le lettere inviate agli ex congregati di Santa Maria della Morte ricordando che dagli statuti nessuna azione poteva essere intrapresa senza averne prima discusso con il padre spirituale. Nel frattempo l'Oppizzoni fece pressione sull'Arciconfraternita di San Giovanni Decollato affinché revocasse l'aggregazione dei Domenichini. La risposta del priore Fasani alle lagnanze di don Battistini fu sprezzante: si limitò ad affermare che il parroco non aveva più voce in capitolo perché gli statuti erano stati cambiati (34). Questa fu la goccia che evidentemente fece traboccare il vaso. Mentre da Roma soppraggiungevano notizie (35) inquietanti circa l'aggregazione a San Giovanni Decollato, che veniva dagli ufficiali di questa dichiarata nulla, il parroco don Battistini, con il forte aiuto dell'arcivescovo Oppizzoni, ordinò all'ormai impotente priore Fasani di emettere gli inviti per una congregazione da tenersi domenica 23 aprile 1820. Ordine del giorno: elezione dei nuovi ufficiali (36). Il 23 aprile fu l'ultimo giorno di priorato di Lodovico Fasani: il 2 maggio il nuovo priore Giovanni de Simonis scrisse il suo primo atto nel nuovo incarico. La Confraternita dei Domenichini fu così, in qualche maniera "normalizzata". Per qualche mese continuò il clamore causato dagli screzi tra vecchi e nuovi ufficiali, screzi che furono sul punto di fare dimettere Giovanni de Simonis (37), ma alla fine gli animi si quietarono. Furono abbandonate le ambizioni di fare rinascere una nuova Compagnia della Morte. Fu abbandonato parimenti il progetto di trasferirsi presso la chiesa dei Poveri, e la chiesa di Santa Sofia al numero 213 di via Saragozza rimase fino al 1863 la sede della Confraternita, che si focalizzò da allora in poi alla venerazione dell'immagine della Beata Vergine, gestendone con diligenza e devozioni i "viaggi" da allora fino ai giorni nostri.
Don Marco Cesari, uno dei due compadroni di Santa Sofia, morì in un anno imprecisato prima del 1840, e lasciò in eredità, tra altre cose, la sua metà della chiesa a Francesco De Maria Cesari, domenichino pure egli. Giacomo Fanti morì nel 1840 (38) e lasciò come legato testamentario, la propria porzione di chiesa alla Confraternita.
La chiesa al numero 213 di Saragozza, alla fine del 1863 (39), fu oggetto di esproprio da parte del Comune, per consentire i lavori di allargamento della via e la costruzione di un nuovo palazzo. Rimasti senza sede, la Confraternita si trasferì alla chiesa della Madonna dei Poveri, in Nosadella, ma per poco tempo, perché nel 1866 la chiesa fu chiusa dal nuovo governo sabaudo e trasformata in struttura militare. Nuovamente sfrattati, i Domenichini si trasferirono presso la chiesa di Santa Caterina di Saragozza. Nel 1870, grazie all'aiuto economico del comune che accordò 13.000 lire alla Confraternita, iniziò la costruzione di una nuova chiesa, poco distante dalla vecchia demolita, al numero 211 (attuale 69) di via Saragozza. Nel 1874 la nuova chiesa, sempre intitolata a Santa Sofia fu finita.
(1) A.S.B. Demaniale, Comp. di S. Sofia detta dei Domenichini, 1/6674
(2) Fernando e Gioia Lanzi: Bologna un'Immagine una Compagnia, Alfa-Beta 2001
(3) A.S.B. Demaniale, Comp. di S.M. dell'Ispirazione detta de' Sabatini, 2/6705
(5) Sebastiano Gaetano Giovannini: "Indicatore Bolognese", Bologna 1854, tipografia di Antonio Chierici, pag.393.
(6) Nella "Fondazione, et Origine" si cita esplicitamente Mons. Cottogni, ma riferito al 1736, il che è impossibile perché Francesco Cottogni assunse la carica di Vicario Generale nel 1740, quando Prospero Lambertini divenne papa con il nome di Benedetto XIV, mantenendo anche l'Arcivescovato di Bologna.
(7) E' credibile che questa sia la verità. Nella "Fondazione, et Origine ..." si parla di passaggi di truppe straniere nei paraggi che determinarono la chiusura delle porte, il che appare poco credibile visto che in un altro passo lo stesso documento riferisce che alcuni Sabatini inibiti, non potendo uscire da Porta Saragozza, uscirono da Porta San Felice, fatto questo che si sposa poco con gli ipotetici pericoli generati dal passaggio di truppe straniere.
(8) L'attuale Piazza Malpighi. A Bologna vi erano due seliciate (in lingua bolognese "salghé"): quella di Strada Maggiore (corrispondente all'attuale Piazza Aldrovandi) e questa di San Francesco. Il nome deriva dal fatto che tali zone corrispondevano al fossato esterno della seconda cerchia murata di Bologna, quella nota con il nome di "Cerchia dei Torresotti". La costruzione della terza cerchia (la circla) corrispondente agli attuali viali di circonvallazione rese inutili i fossati che vennero riempiti utilizzando ciotoli. "Seliciata" come il più attuale "selciato" significa appunto spianata ottenuta livellando delle pietre.
(9) chiamati Sabatini Juniori dagli altri Sabatini.
(10) La "Fondazione, et Origine" ci dà il titolo del libretto: "La Coronocina di Nostro Sig.re Gesù Cristo composta di trentatrè Meditazioni sopra la Vita, e Passione di Nostro Sig.re et altrettanti Pater Noster ... ", stampato a Faenza.
(11) Giuseppe Guidicini: "Cose Notabili della Città di Bologna", Bologna, 1868 vol III pag 318 ed anche sempre di Giuseppe Guidicini: "Miscellanea Storico Patria", Bologna 1872, pag. 263. La Chiesa di Santa Maria dell'Ispirazione fu fatta costruire da alcuni devoti tra cui il Marchese Antonio Albergati, il cui palazzo senatorio si trova tutt'ora nei paraggi di Porta Saragozza, e fu aperta al culto il 26 dicembre 1705.
(12) L'eliminazione dell'inibizione è citata (senza data) nella "Fondazione, et Origine".
(13) Il Guidicini ("Cose Notabili...") afferma che la congregazione fu eretta da Giovanni Antonio Reggiani.
(14) "Fondazione et Origine..."
(15) Lanzi op. cit. pag. 72
(16) Lanzi op. cir. pag. 72
(17) Giuseppe Guidicini: "Diario Bolognese", Bologna, 1886-87 pag . 2
(18) Giuseppe Guidicini: "Cose Notabili della Città di Bologna", Bologna, 1873, vol V pag 15
(19) Giuseppe Guidicini: "Diario Bolognese", Bologna, 1886-87 pag. 78
(20) Lanzi op. cit. pag. 82 e ASB, Demaniale, 1/6674
(21) Giuseppe Guidicini: "Cose Notabili della Città di Bologna", Bologna, 1873, vol V pag 15
(22) "Confraternita della Beata Vergine di S. Luca del Pellegrino Greco detta dei Domenichini", Bologna 1906. e Archivio dei Domenichini (ACD) H-1-1
(23) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documento 1
(24) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documento 2
(25) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documenti 3 e 4
(26) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documento 5
(27) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documenti 11 e 15
(28) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documento 22
(29) Nell'archivio della confraternita non c'è traccia di questo breve, il cui contenuto andrebbe quindi ricercato altrove.
(30) ACD: Sezione LIII, fascicolo 1 documento. 2
(31) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documento 38
(32) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documento 57
(33) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documenti 39, 41 e 45
(34) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documento 95
(35) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documento 97
(36) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documento 101
(37) ACD: Sezione H, fascicolo 1, documento 111
(38) ACD: 7 maggio 1840: Particola del testamento del fu Giacomo Fanti aperto e pubblicato dal Notaro Dottor Gaetano Ronca questo giorno 7 maggio 1840 nel quale lascia alla Confraternita de' Domenichini a titolo di legato la sua metà della Chiesa di S. Sofia e sagristia nella via Saragozza che possedeva in comune coi signore De Maria Cesari quali eredi del fu Don Marco Cesari, e decreto del 27 luglio successivo col quale viene autorizzata la stessa confraternita ad accettare il legato medesimo.Si cita la confraternita ... eretta nella chiesa di S. Sofia in Saragozza.
Giacomo Fanti lascia la chiesa di Santa Sofia alla confraternita con la clausola che qualora la confraternita dovesse essere soppressa, la proprietà (del suo 50%) passerebbe al santuario di San Luca, così come nel caso in cui la chiesa dovesse essere trasferita, venduta, permutata etc. Si chiede anche un rosaio all'anno per l'anima del testamentario.
Segue una appendice in cui si chiede agli eredi di Don Marco Cesari di cedere a titolo gratuito la loro metà della chiesa di S. Sofia.
(39) ACD: 30 dicembre 1863, Cartella della cassa deposito e prestiti segnata n. 131 portante il deposito ivi fatto dal municipio di Bologna della somma di £ 2213 2% quanto a £ 2139, prezzo di un pian terreno e piano sovrapposto della casa in via Saragozza N 213 ...omissis... a favore della Confraternita de' Domenichini.