La Cartiera Rizzardi-Galvani a Vittorio Veneto

Ricerca storico- archivistica realizzata per la Dottor Spa

Premessa

La ricerca costituisce la fase di approfondimento e precisazione di un precedente studio embrionale riguardante la cosiddetta cartiera Galvani. In quel momento di iniziale acquisizione di notizie, venne per la prima volta restituita a Giovanni Maria Rizzardi la paternità di costruzione della cartiera, edificio fino a quel momento conosciuto come "Cartiera Galvani". Il Rizzardi era un noto mercante di carta veneziano che nel 1635 acquistò il primo nucleo di quello che nel tempo sarebbe divenuto il complesso delle cartiere appartenenti alla famiglia Rizzardi.

Il dato più significativo emerso da tale iniziale ricognizione documentaria, fu senza dubbio l'identificazione storico-cronologica della struttura, ancora oggi esistente lungo il corso del fiume Meschio a pochi passi dal centro storico di Vittorio Veneto. Il cospicuo ritrovamento di documenti d'archivio e l'analisi delle fonti bibliografiche hanno invece permesso nell'attuale studio di mettere in luce il dipanarsi degli eventi che si sono susseguiti alla morte del fondatore della cartiera fino ad arrivare all'acquisto della struttura in origine destinata ad essere anche l'abitazione dei Rizzardi, da parte di Andrea Galvani che la gestì fino al 1895 circa. Il Galvani fu un affermato imprenditore appartenente ad una delle più importanti famiglia di cartai, che costruì la propria fortuna nell'avvio e nella gestione di alcuni stabilimenti per la produzione di carte nel territorio pordenonese.

Uno degli elementi più interessanti emersi in questa seconda fase della ricerca, e che va a chiarire differenti ipotesi avanzate nella prima trance di lavoro, è che le due cartiere del Rizzardi, quella "grande di qua del Meschio" e quella "piccola di la del Meschio" non insistevano sullo stesso tratto di fiume. Appare ora con evidenza che la prima è senza dubbio identificabile in villa Della Colletta, mentre la seconda occupava gli spazi oggi destinati all'ex lanificio Cini. È stato altresì possibile stabilire che l'"edificio di cartera un tempo dei Rizzardi", almeno sino all'acquisto da parte di Galvani, era costituito unicamente dalla struttura a corte, ancora nei primi anni dell'Ottocento integrata dall'edificio posto a Nord Ovest e che oggi è costeggiato dalla pista ciclabile.

La ricerca si è svolta soprattutto nell'esamina degli atti notarili, conservati in gran parte presso l'Archivio di Stato di Treviso, integrati con la consultazione di documenti allegati alle pratiche di alcune magistrature della Serenissima Repubblica di Venezia e dai somarioni d'estimo conservati presso la Biblioteca Civica di Vittorio Veneto.

La notevole quantità di materiale visionato in entrambe le due fasi di lavoro (trecento buste circa a Treviso, e una quarantina a Venezia) ha permesso una ricostruzione precisa e a tratti puntuale delle vicende, non solo riguardanti i passaggi di proprietà dell'edificio, ma più specificatamente l'attività gestionale dello stabilimento. Ma molti potrebbero essere ancora gli aspetti da indagare nel caso in cui si riuscissero a rintracciare gli atti di alcuni notai che attualmente risultano introvabili (vedi ad esempio quelli rogati da Antonio Leoni, notaio a cui si rivolgeva spesso Bernardo Sarcinelli, proprietario della Cartiera per buona parte del XVIII secolo), oppure se si mettesse mano a tutta una serie di documenti appartenenti ai fondi archivistici di alcuni antichi offici della Dominante, che per scarsità di tempo, ma anche per la fortunata abbondanza di materiali importanti che man mano si sono presentati, non si è riusciti a visionare.

Pur avendo consultato i Registri dei Contraenti, conservati presso l'Archivio di Treviso e comprendenti pur in maniera lacunosa anche gli atti rogati nel territorio pordenonese, rimangono ancora da visionare gli atti notarili ottocenteschi conservati presso l'Archivio di Stato di Pordenone, per visionare i quali non sono stati rintracciati a tutt'oggi riferimenti archivistici d'appoggio da cui poter dare avvio alla ricerca. Nel caso fortuito si riuscisse a "sbloccare" tale situazione, risulterebbe interessante ad esempio il contratto di compravendita tra Francesco Alberti e Andrea Galvani, e comunque tutti quei documenti stesi per conto del Galvani.

Introduzione

L'intuizione che il bel edificio, da molti identificato come Villa Della Colletta, fosse stato in realtà parte di un antico insediamento cartario, si è concretizzata con l'intersecazione di due dati: la descrizione fatta da Mazzotti nel suo libro dedicato alle Ville Venete di un omonimo edificio situato a Ceneda Bassa in via Maniero 6[1] - denominazione oggi cambiata in via Andrea Galvani - e alcune foto scattate negli anni cinquanta dallo stesso studioso trevigiano in cui si ritraeva il nostro edificio.

Nel libro del Mazzotti, oltre alla descrizione essenziale dell'edificio "edificio seicentesco ad andamento curvo con basso portone ad arco bugnato collegato con un ponte al piano terra, con balcone centrale protetto da poggiolo in ferro al primo piano e coronato da frontone curvo con cornice dentellata[2]", si fa precisa menzione a due stemmi dipinti ad affresco ai lati del balcone centrale, oggi purtroppo perduti, ma ancora flebilmente visibili nella ripresa fotografica fatta dallo stesso studioso. Mentre le tracce dello stemma di destra, già gravemente deteriorato negli anni cinquanta, non hanno permesso l'identificazione d'appartenenza famigliare, quelle di sinistra, inquadrato da cornice a cortoccio, lasciava intravedere l'arme della famiglia Rizzardi, una collina sopra la quale svetta un alto albero dalla chioma tondeggiante.

È difficile stabilire se i due stemmi siano stati eseguiti in concomitanza con l'erezione della casa-cartiera, visto che la perdita del secondo stemma rende difficile una loro datazione. Si sarebbe potuto avanzare l'ipotesi che il contrassegno sbiadito fosse appartenuto alla famiglia di Urbano Urbani, personaggio che per un certo periodo risulta essere in società con il Rizzardi. Personalmente escluderei tale possibilità in quanto nel 1640, anno di costruzione dell'edificio, la società tra i due era oramai sciolta. È più probabile che il secondo stemma fosse riconducibile alla famiglia che succedete ai Rizzardi nella proprietà della cartiera. Si tratterebbe dello stemma Sarcinelli, a sottolineare una continuità produttiva con il Rizzardi dal momento che sua figlia Veronica sposò Gio. Batta Sarcinelli, e i loro figli saranno poi fautori della ricomposizione del patrimonio materno.

L'identificazione di appartenenza dell'edificio oggetto di studio al noto mercante di carta veneziano è stata la chiave di volta per dare avvio alla ricerca, non sempre agevole, caratterizzata da questo importante punto di partenza e da un sicuro punto di arrivo - era noto fin dall'inizio che ultimo imprenditore ad usufruire delle strutture dell'impianto cartario, fu Andrea Galvani - ma che presentava ampie lacune sulle vicende succedutesi nei quasi duecento anni trascorsi tra le due date di origine e di ultimo sviluppo.

Se la ricerca bibliografica ha avuto il grande merito di inquadrare storicamente le ragioni che hanno determinato l'insediamento di una nuova tipologia produttiva sulle rive del fiume Meschio e dato dei riferimenti utili per fare dei raffronti con realtà imprenditoriali simili a quella avviata dal Rizzardi, e già ampliamente studiate e documentate, è stata l'analisi archivistica che, come in un grande puzzle, è riuscita a colmare, anche se non nella sua interezza, gli ampi spazi vuoti di informazioni. La mancanza di alcune tessere nel quadro generale della ricostruzione storica delle vicende della cartiera Rizzardi-Galvani, non ha comunque compromesso la lettura generale ed approfondita del suo nascere, crescere e declinare.

Nascita e sviluppo delle cartiere Rizzardi (1635-1679)

Nonostante le vicende storiche della cartiera Rizzardi-Galvani abbiano inizio solo nel 1640, buona parte delle personalità che direttamente o indirettamente hanno contribuito a creare i presupposti per la sua nascita e sviluppo, arrivò a Ceneda già all'inizio del secolo XVII.

La crisi del settore editoriale[3], registrata a Venezia tra la fine del XVI secolo e l'inizio di quello successivo, determinò una forte recessione nella produzione di carta che in quel periodo era quasi completamente appannaggio delle cartiere del territorio veronese[4]; di conseguenza si verificò una mobilità di maestranze e di capitali che attratti da un nuovo mercato, costituito soprattutto dalla produzione di carta da esportazione[5] - sicuramente di minor pregio -, lasciarono in parte i loro stabilimenti per avviarne altri in zone più vicine ai porti della Dominante.

Fu così che nel 1602 Francesco Belloni, cartaio di Toscolano, decise di avviare una sua attività a Ceneda[6] sfruttando il buon clima del luogo, le acque limpide del Meschio e la vicinanza a Portobuffolè che costituiva un ottimo punto di attracco per le barche dirette in laguna[7].

Dopo Belloni altri cartai salodiani lasciarono le rive del lago di Garda per stabilirsi nel territorio cenedese, impiegando la loro professionalità - a differenza di Belloni che era divennto imprenditore a seguito dell'esperienza sperimentata personalmente nella cartiera di Chiuppano - solo nella conduzione di stabilimenti cartai, lasciando ad altri la parte più strettamente finanziaria che consisteva nell'acquisizione e manutenzione degli edifici e dei macchinari nonché nell'anticipazione dei capitali per l'acquisto della materia prima, ossia gli stracci.

Tra il 1618 e il 1619 troviamo infatti una cordata di imprenditori uniti sotto il nome della Compagnia della Carta - assieme ai Nobili veneziani Carlo Contarini, Lunardo Mocenigo e Pietro Correr, c'erano Girolamo Civran e Israel Conegliano[8] - che impegnò i capitali nell'acquisizione e nella gestione di alcune cartiere nel distretto cenedese[9]. Ben presto però Israel Conegliano, che nel 1618 si era impegnato in prima persona per ottenere il monopolio per il commercio degli stracci provenienti da luoghi "inusitati"[10], lasciò la società cedendo la sua quota di partecipazione a Pietro Correr[11].

Restano ancora da indagare i motivi per i quali il Conegliano abbia abbandonato l'iniziativa imprenditoriale ma, vista la breve durata degli accordi tra gli altri gentiluomini - la Compagnia della Carta risulta sciolta già nel 1621[12] -, è da ritenere che gli interessi personali abbiano avuto la meglio su quelli societari. Nonostante il brevissimo periodo di attività, la Compagnia della Carta lasciò un segno tangibile delle potenzialità che il settore cartario poteva offrire in termini di profitti: oltre ad ampliare il vecchio impianto già di proprietà Belloni, la società riuscì a costruirne un altro nelle vicinanze del precedente in località Salsa[13]. I due impianti, perfettamente attivi al momento della divisione patrimoniale, andarono ai soci "maggioritari" Correr e Mocenigo[14], mentre agli altri azionisti toccarono alcuni terreni e una somma di denaro pari a 6.604 ducati.

Carlo Contarini, forse più accorto negli affari di Civran, del quale non si hanno successive notizie nel cenedese, già nel 1621 reinvestì i suoi capitali nella costruzione di una nuova cartiera a San Giacomo di Veglia, la terza del distretto cenedese, dandola in gestione a conduttori ebrei[15].

Il modello imprenditoriale che vede finanziatore e gestore riuniti in una sola persona, lo si ritroverà nuovamente tra il 1629 e il 1632 quando Giuseppe Calappo prima, e alla sua morte Domenico Bertella[16], investì nella costruzione di una quarta cartiera localizzata alla Siega, sotto Ceneda[17]. A Bertella non toccò una sorte migliore di quella del Belloni visto che in brevissimo tempo dovette abbandonare la sua impresa, complice la grande epidemia di peste che colpì l'intera Europa intorno al 1630, che provocò sia una riduzione di maestranze specializzate che una diminuzione di circolazione degli stracci, venivano bruciati come misura profilattica[18].

Nonostante il fallimento di Calappo e Bertella, il quadro economico cenedese in quel periodo presentava comunque delle notevoli potenzialità per quanti volessero investire in un settore che dava segni di forte espansione[19]. A cogliere i segni di questa positiva congiuntura economica furono due mercanti di carta veneziani, Urbano Urbani e Giovan Maria Rizzardi[20], che nel 1633 giunsero a Ceneda per prendere possesso di un edificio di "cartera" di proprietà del N. H. Carlo Contarini. La loro esuberanza imprenditoriale, sicuramente favorita da importanti introiti economici, li portò ben presto a iniziare a pensare "in proprio", con cartiere che potessero permettere di esprimere una completa libertà di gestione. Così, assieme alla cartiera Contarini, che nel frattempo avevano affidato a Francesco Bressanini[21], nel 1635 Urbano Urbani s'impossessò della cartiera del Bertella, mentre Rizzardi, dopo aver acquistato dal canonico Attilio Leoni un terreno posto nelle vicinanze della cartiera di Carlo Contarini[22] a San Giacomo di Veglia, decise di costruirne una nuova[23].

La sofferenza di un rapporto societario che non dava abbastanza spazio a nessuno dei due imprenditori veneziani, si concretizzò nel 1637 quando Rizzardi fece annullare il contratto d'affitto che aveva sottoscritto appena sei mesi prima Urbano Urbani con Francesco Cozzuol, cartaro de Ceneda, per l'uso della sua cartiera[24], per poi riaffittare l'edificio stesso al medesimo Cozzuol[25]. La cosa più interessante di questa vicenda, a parte il fatto che decreta la fine del sodalizio economico tra Rizzardi e Urbani, è che nell'atto di riaffitto Rizzardi fa specifica richiesta affinché gli venga concesso l'uso di una stanza nella cartiera; questo può lasciare ben intuire che Rizzardi fino a quel momento non possedesse ancora una casa a Ceneda. Ciò significherebbe che, in un periodo di positiva crescita economica evidenziato anche dal fatto che Carlo Contarini fa ricostruire completamente i tre folli della sua cartiera[26], Rizzardi abbia deciso di seguire personalmente i suoi affari a Ceneda[27].

Dal rilevamento d'estimo eseguito nel 1638, apprendiamo che la cartiera del Rizzardi era affittata a Nicolò Serravalle e a Domenico Bertella[28]. Il mercante veneziano si avvarrà spesso negli anni a seguire della collaborazione di questi due cartai: se del Serravalle non si hanno molte notizie circa la sua formazione, di Bertella, come visto sopra, si conoscono maggiori particolari. Dopo l'esperienza poco fortunata avuta come imprenditore-proprietario egli diventò uno dei più importanti conduttori di cartiera dell'intero distretto di Ceneda.

Per Rizzardi questi primi anni di permanenza a Ceneda devono essere stati di gran fermento imprenditoriale e di notevoli guadagni se nel 1640, a soli sette anni dal suo arrivo nella cittadina pedemontana, decise di costruire altri due edifici di cartiera, uno fornito di due ruote con quattro pile per ruota che affittò a Domenico Bertella[29], e un altro, che è quello che ci interessa più da vicino, definito come edificio novo di qua dal Meschio, composto di tre ruote e quattro pile per ruota che affidò all'esperienza di Nicolò Serravalle[30].

Per costruire la nuova cartiera, Rizzardi scelse un posto molto particolare. Alle rive del Meschio preferì un'isola posta sul fiume stesso grande abbastanza per ospitare la sua casa con la cartiera oltre ad un granaio e un pezzo di terra Arado, Piantado e Vitigado dove poter coltivare quanto gli serviva per vivere.

Nel 1644 Rizzardi rinnovò la sua fiducia ai due cartai cenedesi, Serravalle e Bertella, mentre nel 1646, alla scadenza dei loro contratti d'affitto, affidò entrambe le cartiere, sia quella piccola di la dal Meschio, sia quella grande di qua dal Meschio al solo Domenico Bertella[31].

L'avventura imprenditoriale avviata da Rizzardi nel 1635 finisce quindici anni più tardi. Il 4 maggio 1650, gravemente malato "giacente a letto nella mia casa alla Cartera sotto Ceneda", Giovanni Maria Rizzardi dettò al notaio Artico il suo testamento[32]. Il mercante veneziano, ancora profondamente legato alla sua città di origine, lasciò precise indicazioni circa la sua sepoltura che doveva essere fatta nella chiesa dei Frari; destinò inoltre 5 ducati per ognuno dei quattro Hospitali di Venezia. Lasciò disposizioni affinché la costruzione da lui iniziata della chiesetta di fronte alla cartiera, fosse portata a termine.

Per quanto riguarda invece la divisione del suo patrimonio, lasciò a Margherita Piccinelli, sua moglie, l'intera dote e ad ognuno dei suoi figlioli[33], tutti ancora in età minore visto che Margherita dovrà ricorrere all'Ufficio di Petizion per ottenere la tutoria, destinò un'ingente somma di denaro. Ciò che è interessante rilevare dal testamento di Rizzardi è che mentre non si fa più alcun cenno alla bottega di cartaio che il mercante possedeva a Venezia si sottolinea piuttosto il valore economico intrinseco delle cartiere cenedesi affermando che saranno il sostentamento et asilo delli detti miei figli[34].

Di fatto alla morte di Rizzardi, la vedova si trovò a dover far fronte ad una situazione finanziaria che aveva tutt'altro sapore dell'abbondanza. Appena otto mesi dopo la morte del mercante veneziano, infatti, si fecero avanti i primi creditori, Girolamo Bragadin[35] e Menachem d'Abram Choen, i quali fecero notificare all'Ufficio dell'Esaminator[36] il debito che Rizzardi aveva contratto con loro. Fu così che per sanare parte del debito venne venduta a Francesco Zanucco la prima cartiera fondata dal Rizzardi a San Giacomo di Veglia ma nonostante ciò sua moglie Margherita rimase ancora debitrice nei confronti del N.H. Bragadin per 500 ducati.

È interessante notare dalla lettura del documento riguardante questa vicenda, che ancora a quella data, cioè nel 1653, la carta era considerato un bene prezioso, tanto da essere utilizzata come merce di scambio nelle transazioni commerciali: Bragadin accettò infatti, come risarcimento di parte del suo debito, una fornitura di carta "da stendardo" da Antonio Colleoni, stampatore veneziano, debitore a sua volta di Margherita Rizzardi[37].

Oltre al pagamento dei debiti contratti dal capo famiglia, i Rizzardi in quegl'anni dovettero pensare anche al rinnovo dei contratti relativi alle due cartiere che rimanevano. Nel 1652 i figli maggiori di Margherita, Zuanne e Angelo[38], sottoscrissero infatti un nuovo contratto con Pietro e Vincenzo Dall'Acqua per la conduzione della cartiera a doi ruote di là dal Mesco per 160 ducati l'anno[39]. Pur essendo affittata anche la cartiera "grande", le condizioni economiche dei Rizzardi non registrarono grandi miglioramenti e anzi nel 1653 per far fronte al debito che ancora sussisteva con Girolamo Bragadin, Margherita Rizzardi fu costretta a ipotecare la cartiera "grande" cedendogli a livello francabile[40], 6 dei 24 carati di cui era provvista[41], rivenduti a loro volta dal Bragadin al cognato di Margherita Rizzardi, Bernardo dal Legname[42]. Non fu però solo il debito con Bragadin a creare problemi di solvibilità a Margherita ma, nel giro di brevissimo tempo come in un effetto domino, gran parte dei creditori di Giovanni Maria Rizzardi bussarono alla porta della vedova. Si trova quindi che per sanificare il debito con Giovanni Bigolino da Treviso[43] nonchè quello che Rizzardi aveva contratto con Sanson e Samuel Conegliano per l'importazione di strazze avvenuta nel 1650[44], Margherita fu costretta ad impegnare nuovamente con un'ipoteca uno dei suoi edifici di "cartera".

Pressata dai gravi problemi e probabilmente addolorata per la perdita del figlio Bernardo, Margherita sul finire del 1653 si ammalò e per questo fece redigere il suo testamento[45]. I lasciti che dispose per i figli descrivono eloquentemente la condizione finanziaria in cui ella si trovava in quel momento. A differenza del marito che destinò 1000 ducati per ogni suo figlio maschio, Margherita si vide costretta a ridurre il lascito ad appena 10 ducati, mentre alle figlie diede in sorte i suoi beni dotali consistenti nell'edificio di cartiera dove viveva.

Nonostante le gravi ristrettezze in cui era costretta a vivere in quel periodo, Margherita ribadì nuovamente il suo impegno a voler pagare tutti i debiti contratti dal marito nel giro di dieci anni - per questo pose anche un vincolo alle figlie di non potersi sposare prima di questo termine -, in modo da poter liberare la cartiera da ogni gravezza e consegnarla quindi alle figlie come dote. Margherita chiuse il testamento nominando suo esecutore Bernardo dal Legname, già nominato in precedenza suo procuratore.

In virtù sia dei 6 carati di cui era proprietario, che della procura datagli da Margherita, Bernardo dal Legname affittò appena qualche giorno dopo la redazione del testamento della cognata, la cartiera grande di qua dal Meschio - di ruote tre e quattro pile per ruota - a Giambattista Sarcinelli[46], escludendo però dal contratto il lissaro[47], la caldiera[48] e il tendador[49], in quanto già affittati per sei mesi al Procuratore Carlo Contarini. Non è chiaro il motivo per cui Margherita affitti solo una parte della sua cartiera al nobile veneziano, il quale ricordiamo doveva già essere in possesso di quella piccola di la dal Mesco[50]. La vicinanza al nobile veneziano non doveva essere per lei affatto tranquillizzante, se nel contratto d'affitto con Sarcinelli volle venisse ben evidenziato che la casa dove abitava, ossia due camere e una cucina, e la cartiera, nulla avevano a che vedere con Contarini. Margherita lasciò quindi piena libertà a Sarcinelli nel decidere se al termine dei sei mesi voleva rinnovare il contratto a Contarini oppure tenere per sè l'intero stabilimento.

Interessanti risultano anche i termini economici con cui venne affittata la cartiera grande: Sarcinelli avrebbe dovuto corrispondere ai Rizzardi 170 ducati all'anno di cui 31 dati in contanti e i restanti 139 in tanta carta di buona qualità fatta con colla altrettanto buona, che doveva essere portata a Portobuffolè a spese del locatario. Dalla lista dei tipi di carta forniti si può inoltre dedurre che lo stabilimento era di buon livello perchè oltre a produrre carta da scrivere e da "stendardo" produceva anche carta da stampa.

Malgrado l'aiuto dato da Bernardo del Legname, l'introito dell'affitto versato da Sarcinelli e la vendita delle cartiere, la situazione economica della famiglia Rizzardi doveva comunque rimanere difficile se Margherita, come ultima clausola contrattuale, pose l'obbligo a Sarcinelli di dare lavoro a lei e alle sue figlie[51] e di insegnare a Pietro la professione di "frangir alla tina" in modo che egli potesse apprende l'arte per diventare mastro cartaio.

Dal punto di vista strutturale, oltre a quanto detto sopra circa la dislocazione dei locali affittati a Carlo Contarini, dal contratto d'affitto tra Margherita Rizzardi e Gio Batta Sarcinelli, possiamo trarre interessanti informazioni. Sappiamo per esempio che la casa dove viveva Margherita aveva una copertura in legno, probabilmente senza solaio, in cui pioveva dentro[52], tanto che la stessa locataria impose a Sarcinelli di risistemarla prima che le travature potessero rovinarsi.

Sopra il lissaro, posto a destra del ponte d'ingresso, si trovava una camera che la Rizzardi affittò "con sue porte, chiave e serradure"; sopra i folli, che dovevano trovarsi lungo il lato est del complesso visto che avevano bisogno dell'acqua per poter funzionare, si trovavano invece una camera e una cucina "con sue porte , finestre, chiave, serradure". Unica notizia che traiamo riguardo al tendador, che come abbiamo visto era collocato a nord ed era dato in affitto a Contarini, è che lo stesso aveva delle aperture protette da balconate di cui una rotta.

Importanti lavori vennero fatti alla cartiera Rizzardi nel periodo in cui Sarcinelli la condusse. Quando nel 1655 Margherita traslò a Bernardo dal Legname la licenza per "cavar li roveri"[53] concessa dall'Illustre Magistrato all'Arsenale, la cartiera non venne più identificata con tre ruote ma con quattro[54]. É probabile che l'impegno profuso da Sarcinelli nel migliorare la cartiera Rizzardi non fosse del tutto disinteressato visto che in quegli stessi anni sposò la figlia maggiore di Margherita, Veronica Rizzardi[55], la quale, nel suo testamento redatto nel 1659, dichiara di aver ricevuto come dote nuziale la cartiera grande dei Rizzardi[56].

Dopo una parentesi in cui la cartiera grande venne condotta da Francesco Bressanino[57], nel 1664, come si può rilevare dagli estimi, la stessa fu data in affitto a "Messer Gioel ebreo" Conegliano[58] con cui Margherita, o chi per essa, inizierà una lunga collaborazione basata soprattutto sulle anticipazioni di denaro da parte dell'affittuario al fine di sanare i rimanenti debiti contratti da Giovanni Maria Rizzardi[59].

Tentativi di impossessarsi anche dell'ultima cartiera che fu del Rizzardi continuarono a verificarsi anche diversi anni dopo la morte del mercante veneziano. La ragione di tale situazione potrebbe essere dovuta al rinnovato interesse degli investimenti per il settore cartario[60]. Nel 1668, con ripresa nel 1671, Margherita Rizzardi si trovò coinvolta in una causa intentata da Beatrice Bragadin presso i Giudici del Mobile, al fine di esigere la liquidazione di un pagamento dotale di ducati 500 lasciatole dal marito Girolamo Bragadin[61].

Forse preoccupata della causa in corso, che richiedeva esperienza e non poca magniloquenza nel trattare con persone di rango, Mergherita nel 1669 decise di affidarsi ad un nuovo procuratore, Giacomo Collò dal Legname, mercante veneziano con bottega in Barbaria delle Tole[62]. Oltre alla causa con la Bragadina, Giacomo Collò si occuperà per alcuni anni degli affari di Margherita, tanto che sarà lui a riaffittare a nome della Rizzardi, la cartiera grande a Gioel Conegliano, prima per soli tre mesi, percependo di affitto 180 ducati pagati in tanta carta di ottima qualità[63], e poi per altri due anni[64].

Nel 1672, divenuti ormai adulti i figli[65], Margherita decise di dare pieni poteri nella gestione della cartiera al figlio Marcantonio, che sarà seguito in questo compito dallo zio Bernardo dal Legame.

Ottenuta una nuova licenza per cavare li roveri dal Magistrato dell'Arsenale[66], Marcantonio Rizzardi fece restaurare la cartiera e una volta terminati i lavori, dopo aver annullato il contratto che il Collò aveva sottoscritto con Vincenzo Mariani, affidò l'azienda in gestione allo zio Bernardo[67], ancora una volta escludendo dall'affittanza la casa dove viveva Margherita.

A questo punto della ricostruzione delle vicende storiche della cartiera Rizzardi-Galvani, è utile aprire una parentesi riguardante lo stabilimento di San Giacomo di Veglia già di proprietà Rizzardi, venduto allo Zanucchi a metà Seicento. Ciò serve non solo per capire il trend economico del mercato della carta ma soprattutto per iniziare a prendere confidenza con personaggi che molto avranno a che vedere con le vicende successive della cartiera grande.

Come già detto sopra, la fine degli anni sessanta e l'inizio del decennio successivo del Seicento furono periodi molto propizi per gli investimenti nel settore cartario. Sicuramente spinti dalla possibilità di realizzare buoni guadagni, a più di vent'anni dalla morte del suo fondatore, nel 1673 Pietro Rizzardi, Francesco Dall'Acqua, Girolamo Beltramon e Nicolò Brunelli[68], il primo figlio e gli altri generi del capostipite Giovanni Maria, cercarono di riappropriarsi della cartiera di San Giacomo di Veglia in quel momento di proprietà Zanucchi[69]. L'operazione non riuscì in quanto il riscatto della cartiera, nonostante Margherita avesse fatto da garante nella causa contro Zanucchi[70], superava le loro disponibilità. Questa vicenda comunque permette di tracciare un quadro già molto chiaro su quelli che saranno gli scenari successivi alla morte della Rizzardi.

Ma torniamo alla nostra cartiera.

Nel marzo 1673 Marcantonio Rizzardi muore. Non più garantito dal nipote e con la cognata oramai anziana[71], Bernardo dal Legname decise di recedere dal contratto di affitto della cartiera sottoscritto appena un anno prima[72].

Dalla stima effettuata da Bernardo prima di lasciare la cartiera si riescono ad evincere molti particolari sulla condizione economica di Margherita in quel momento. Innanzi tutto, nel confronto del dare e dell'avere tra i due cognati, si legge che Bernardo pagava per Margherita non pochi interessi maturati su capitali francabili ma soprattutto che la cartiera non si trovava in buone condizioni[73].

Se si confronta infatti questa stima con quella effettuata quattro anni più tardi da Carlo Contarini sulla cartiera piccola, si può evincere perfettamente che pur avendo la cartiera grande una ruota in più rispetto a quella del nobile veneziano, ha comunque un valore complessivo inferiore di circa 1.000 ducati[74].

Nuovi importanti eventi si susseguono nel brevissimo volgere di qualche mese tra la fine del 1679 e l'inizio dell'anno successivo. Il 13 novembre la cartiera piccola di Carlo Contarini venne stimata da Paolo Bressanino per conto di Domenico Sordina, noto mercante di carta padovano[75] che la voleva prendere in affitto[76].

Sordina quindi si affaccia nel panorama cenedese come gestore di cartiera, ma il suo interesse per gli stabilimenti di quel distretto si concretizzò maggiormente il 2 dicembre quando venne rogato l'atto di vendita a livello francabile della cartiera di Margherita Rizzardi[77].

Da Sordina a Sarcinelli.

Divisione e riunificazione della Cartiera Grande (1679-1798)

Come si è visto nella prima parte della ricerca, dopo la scomparsa del marito Gio. Maria Rizzardi, per anni Margherita Piccinelli-Rizzardi cercò di lottare contro i debitori per salvare almeno l'edificio di cartiera dove viveva ma, alla morte del figlio Marcantonio, unico che potesse aiutarla nella gestione dell'attività, a seguito dell'allontanamento anche del cognato Bernardo dal Legname, la donna si trovò a dover far fronte non solo ai creditori ma anche ad una cartiera oramai in cattive condizioni.

Donna dal carattere forte e tutt'altro che arrendevole, Margherita tentò fino all'ultimo di trovare una soluzione ai suoi problemi, chiedendo persino una nuova licenza per il taglio dei roveri che sarebbero serviti per il restauro della cartiera[78], ma alla fine dovette capitolare.

A questo punto della vicenda compare sulla scena Domenico Sordina. Il ricco mercante di carta padovano aveva dalla sua grosse disponibilità di denaro da investire ma soprattutto un grande interesse per gli stabilimenti del distretto cenedese che gli potevano garantire una produzione continua di carta da smerciare nella sua bottega, situata in contrada di San Canciano a Padova.

Il 2 dicembre 1679 venne quindi rogato l'atto con cui Margherita Rizzardi, per sè et heredi suoi, cedette a livello francabile al signor Gio Domenico Sordina del signor Marco di Padova, la cartiera grande di qua dal Meschio[79].

Nel documento si fa preciso riferimento alle condizioni in cui versava la cartiera in quel momento: lo stato di conservazione era tale che Margherita Rizzardi aveva grosse difficoltà a trovare dei locatari che fossero in grado sia di pagare l'affitto che di anticipare le spese per il restauro necessario a salvare l'edificio dall'eminente ruina.

L'intervento del Sordina assunse quindiun carattere provvidenziale visto che, oltre a risistemare l'intero fabbricato, promise di versare 100 ducati all'anno a ciascun livellatore, oltre a dare la possibilità a Margherita e ai suoi eredi di potersi affrancare in qualsiasi momento, e nella parte di edificio che loro avessero ritenuto più opportuno. Sordina lasciò inoltre a Margherita, viste l'età avanzata della signora Rizzardi e la scarsità delle sue risorse economiche, l'uso di una camera nella cartiera nonchè i proventi dell'affitto di due campi posti nei pressi della cartiera stessa.

In virtù del capitale dotale delle figlie di Margherita[80], Sordina dovette anche versare 7 ducati l'anno a Francesco dall'Acqua visto che a suo tempo aveva ceduto il livello che gli apparteneva al nobile veneziano Giovanni Savorgnano; 70 ducati all'anno a Maria Brunelli per un capitale di 800 ducati; 7 ducati all'anno a Cecilia Beltramon per un capitale di 250 ducati e infine 25 ducati all'anno ai figli di Veronica Rizzardi-Sarcinelli.

Dalla stima fatta redigere da Sordina il 22 dicembre dello stesso anno, emerge chiaramente lo precario stato in cui si trovava la cartiera: rispetto alla stima fatta un mese prima nella cartiera Contarini, il valore della cartiera grande era di appena un terzo rispetto a quello della cartiera piccola. Sordina non perdette neanche un attimo di tempo e prima ancora che la stima fosse conclusa, firmò il contratto per il restauro della cartiera con certo Antonio dal Ben muraro da ceneda al fine d'iniziare immediatamente la produzione della carta[81]. La gestione dell'impianto venne affidata a Mattio Marsura, già sub locatario di Margherita Rizzardi, il quale cedette al Sordina tutta la carta, il pisto e le strazze presenti nella cartiera dichiarando che nel momento in cui il mercante padovano prese possesso dell'edificio, la struttura era in malissimo ordine[82].

Oltre a restaurare le strutture più direttamente legate alla produzione della carta, come folli, ruote e fusi, Sordina investì parecchio denaro anche per pagare la manodopera e per l'acquisto di legname e coppi da impiegare nella sistemazione della copertura che rischiava di crollare[83].

Risistemato lo stabilimento di carta, sulla scena delle vicende storiche della cartiera grande, ricomparve un personaggio già incontrato negli anni precedenti al 1680, vale a dire quel Giacomo Collò, già procuratore di Margherita, nonché suo nipote. Rilevato il credito che Beatrice Bragadin ancora vantava nei confronti di Margherita Rizzardi, Giacomo Collò si rivolse all'Ufficio del Mobile per aver soddisfazione del suo credito di 450 ducati, istanza accettata e riconosciuta. Il Collò si trovò quindi a dividere la proprietà della cartiera grande con la zia, percependo di conseguenza i proventi del capitale livellario[84]. Gli eredi Rizzardi però, intimoriti nel vedere diminuite le loro rendite annue, decisero di nominare un comune procuratore affinché si adoperasse per ottenere la sospensione della sentenza[85].

La vendita della cartiera e le precarie condizioni economiche con cui si trovò nuovamente a dover fare i conti Margherita Rizzardi, contribuirono sicuramente a minare la sua salute. Prima di morire però, nella sua camera alla cartera, Margherita riuscì a dettare le sue ultime volontà testamentaria[86]. Nemmeno in punto di morte Margherita nascose la scarsa fiducia che nutriva nei confronti del figlio Pietro nominandolo di fatto solo usufruttuario di quanto rimaneva della sua dote, escludendo naturalmente da essa la cartiera che era già da tempo destinata alle figlie[87]. Margherita si preoccupò molto di più di assicurare un futuro sicuro alla nipote Margherita, figlia di Pietro, affidandola alle cure della figlia Cecilia e donandole tutti i mobili presenti in quel momento nella casa alla cartiera[88]. A Cecilia, unica figlia a non aver percepito l'intera somma del capitale dotale, lasciò quanto rimaneva per saldare il conto.

Prima di morire Margherita, forse preoccupata che il patrimonio di famiglia andasse in mani diverse da quelle dei suoi diretti discendenti, dispose che Giacomo Collò[89] venisse risarcito dei 500 ducati di cui andava ancora creditore, senza immaginare che il nipote avrebbe comunque ritentato di appropriarsi della cartiera negli anni successivi.

Ai fini della ricostruzione della distribuzione dei locali della casa in cui viveva Margherita, risulta molto utile analizzare l'inventario dei mobili donati alla nipote Margherita e stilato pochi giorni dopo la morte della Rizzardi[90]. Nonostante il documento sia in parte illeggibile, si riesce a comprendere che la casa era composta di due camere e una cucina. La camera di sotto, corrispondente in facciata alla porzione di edificio composto dall'apertura centinata con balconcino e dalle due finestre poste ai suoi lati, ospitava sia il letto dove dormiva Margherita che un tavolo grande di noce, delle sedie e due casse sempre di noce. Di sicuro questa stanza era la più importante visto che oltre ad avere un crocifisso, possedeva anche tre quadri che adornavano le pareti. La camera di mezo, corrispondente alle due finestre successive a quelle della camera di sotto, visti gli oggetti in essa contenuti, è da ritenere che fosse quella più "privata", ossia un letto, una cassa di noce e uno sgabello. Infine c'era la cosina posta nella parte più a nord di questo corpo di fabbrica. Come la stanza precedente, aveva due finestre e conteneva tra le altre cose, una credenza, due casse di bosso, un tavolo e un'altra grossa cassa.

Alla morte di Margherita Rizzardi, su iniziativa dei fratelli Sarcinelli, la cartiera grande venne divisa e ad ogni nucleo famigliare fu assegnato un follo per far carta tranne a Cecilia, moglie di Gerolamo Beltramon, che non avendo avuto figli toccò solo una porzione di casa nella cartiera[91]. In particolare, ai fratelli Sarcinelli andò il follo di sopra con tina e due camere poste sopra di questo, con parte del tendador e la stalla; a Brunelli, invece, toccò il follo di mezzo con la caldiera, la cucina con la camera annessa, il tendador e il maglio di batticarta; infine a Dall'Acqua andò il follo di sotto con tina e torcolo, la camera dove dormiva Margherita, ossia la camera de sotto, il tendador ad esso spettante e il teson delle strazze. I tre condividevano l'uso della porta, della rosta e della ruota matta da battere la carta.

Laura Piccinelli, sorella di Margherita, non condividendo le divisioni fatte, si appellò all'Ufficio del Proprio per ottenere il riconoscimento di un pagamento dotale avuto dal marito, Bernardo del Legname, il quale vantava ancora un credito nei confronti di Margherita Rizzardi[92].

La causa naturalmente si protrasse per molti anni, ma nel frattempo gli eredi del Rizzardi provvidero ad affittare le loro proprietà[93].

Bernardo Sarcinelli[94], probabilmente il più motivato dei tre nel continuare l'attività che un tempo fu del padre, preferì gestire in proprio il follo che gli era spettato, affidandolo inizialmente ad Adam Stella[95] e dal primo maggio 1682 ai fratelli Pietro e Nicolò Serravalle che pagavano 40 ducati l'anno di affitto oltre a rifornirlo di buona carta. Con la cartiera così divisa, dove gli spazi un tempo destinati ai lavoranti dovettero essere convertiti in luoghi più propriamente legati all'attività produttiva, i Serravalle si trovarono a dover far fronte al problema del reperimento di un ambiente dove vivere. Fu per questo che i due fratelli decisero di chiedere il permesso a Sarcinelli di poter fare un solaio sopra la stalla in modo che si possa la sopra anco dormir[96]. Non è certo che la richiesta avanzata dai Serravalle sia stata poi realizzata in quanto il primo maggio dello stesso anno affittarono una porzione di casa, unita et congiunta alla cartiera, di ragione di Cecilia Rizzardi-Beltramon[97].

Nicolò Brunelli e Francesco Dall'Acqua, a differenza del Sarcinelli, cedettero a livello francabile i loro folli a Domenico Sordina che li gestì per diversi anni, tanto da divenire intestatario della licenza dei roveri dell'intera cartiera[98]. Nel 1684, forse per un cambio di conduzione dei due folli della cartiera grande, il mercante di carta padovano li fece restimare dopo che certo Gottardo da Serravalle aveva riparato la rosta, sistemato il fuso e cambiato alcuni legnami che risultavano rovinati[99]. Un anno dopo l'avvenuta stima, Sordina provvide a presentare i conti dei miglioramenti ai due cognati i quali, forse per mancanza di liquidità, s'impegnarono a risarcirlo solo al momento del rilascio dei due folli[100]. La stessa formula del risarcimento alla restituzione della proprietà, venne usata nuovamente da Brunelli e Dall'Acqua quando furono restaurate la copertura[101] e le attrezzature della cartiera[102].

Il periodo che seguì la divisione tra gli eredi Rizzardi, vuoi per la frammentarietà della proprietà o perchè su di essa sussistevano troppi livelli francabili, non è sempre stato possibile ricostruire un quadro preciso riguardante le vicissitudini capitate allo stabilimento di carta.

Sappiamo di certo che la causa intentata da Laura Piccinelli, nel 1685 giunse a sentenza: i Giudici del Proprio, accogliendo il ricorso presentato dalla donna, pose dei vincoli alla porzione di cartiera di proprietà Sarcinelli, il quale si vide privato del suo introito visto che Pietro Serravalle, in quel periodo conducente del follo di sopra, decise di interrompere il pagamento dell'affitto finché la questione non si fosse chiarita[103].

Sarcinelli non deve aver accolto la sentenza in modo passivo visto che già due anni dopo riuscì a far traslare la sentenza sul follo di Francesco Dall'Acqua[104]. Il più volte menzionato Giacomo Collò, procuratore questa volta di Laura Piccinelli, nel 1687 formalizza infatti il contratto con Geremia Conegliano[105], per l'affitto di un'altra parte di cartiera costituita da follo, tina, tendador, stalla, Camere, torcolo, Caneva, Tezza[106].

Nello stesso anno in cui Giacomo Collò affida la sua porzione di cartiera a Geremia Conegliano, anche Sarcinelli, scaduto il contratto con i Serravalle, decise di fidarsi dell'abile maestria del conduttore ebreo. Al Conegliano Bernardo consegnò tutta la parte di cartiera di sua competenza tranne la cucina che trattene per suo uso d'abitazione. Nel contratto Sarcinelli volle che venisse inserita la clausola che ogni miglioramento che Geremia avesse voluto apportare, doveva essere fatto esclusivamente nella sua parte di cartiera[107].

É interessante notare che ancora a questa data, nella stipula dei contratti era previsto che tra le possibili cause che avrebbero potuto far sospendere il pagamento dell'affitto[108], c'era la peste, la cui devastazione portata dall'epidemia più di trent'anni prima era ancora viva nella memoria della gente.

Un altro elemento che è possibile trarre dai documenti rogati in questo periodo è l'ambientazione in cui era inserita la cartiera grande. Nelle sue immediate vicinanze, a parte la chiesetta costruita da Giovanni Maria Rizzardi, non dovevano esserci altre costruzione, se non la cartiera piccola, già da tempo di proprietà Contarini, che però doveva essere ben mascherata da una cortina d'alberi identificati come talponi. I campi che la circondavano invece erano tutti aradi, piantadi e vitagadi, ossia erano coltivati a frumento e avevano alberi e viti. Nel caso specifico poi dei campi che circondavano la chiesetta di giurisdizione degli eredi Rizzardi, appartenenti a Gerolamo Beltramon, abbiamo invece precisa indicazione che nel 1687 furono piantumati con alti alberi di noci[109].

Pur avendo preso oramai da diversi anni una strada diversa da quella della cartiera grande, vale ancora la pena aprire una parentesi sulle vicende della cartiera piccola.

A differenza di quella grande, nella cartiera di Carlo Contarini si può rilevare una maggior regolarità negli interventi di manutenzione: dal catastico dei mulini risulta infatti che le richieste per tagliare i roveri vennero inoltrate ad intervalli regolari di quattro - cinque anni[110]. Come per la cartiera grande Rizzardi, anche la piccola divenne un titolo dotale: nel 1703 Carlo Contarini la donò alla figlia Caterina che andò sposa a Zuanne Nani e a sua volta, Zuanne Nani nel 1715 la passò alla figlia Marietta, sposata a Marco Ruzini. Gestore della cartiera piccola fu per molti anni Domenico Sordina, che la affittò a Geremia Conegliano. Uno dei documenti più curiosi consultati durante la ricerca riguarda proprio la cartiera piccola. Si tratta di un contratto d'affitto rogato nel 1691, in cui i contraenti erano proprio il Sordina e Geremia Conegliano. La cartiera veniva locata al mastro cartaio per tre anni a 140 ducati all'anno, i quali dovevano essere pagati in tanta carta corsiva ben tritta et Bianca di Strazze de Udene. Le balle di carta, divise in risme, dovevano poi essere trasportate a Castelfranco a spese del locatario, dove Sordina avrebbe di conseguenza provveduto a farle arrivare a Padova. Nell'affitto della cartiera era compresa la fornitura da parte del Conegliano, di due capretti e un quarto di vitello da consegnare al Sordina prima di Pasqua[111].

Nonostante il mercante padovano facesse ottimi affari con la cartiera piccola, non perse mai la speranza di riuscire ad impadronirsi anche di quella grande. Già in possesso del follo di Nicolò Brunelli fin dal 1685 in virtù di un livello francabile, nel 1691 riuscì ad ottenere, sempre a livello, anche quello di Francesco Dall'Acqua come saldo di alcuni crediti[112].

La maestria del Sordina nel condurre gli affari traspare chiaramente da un documento del 1697 in cui Tomaso Brunelli qm[113]. Nicolò, si dichiarò pienamente soddisfatto dei proventi che il mercante padovano riuscì a fargli ottenere dalla cartiera Rizzardi[114]. Potrebbe essere questo il motivo per cui Brunelli rinnovò il suo livello francabile al Sordina, oltre che per il fatto che il mercante padovano risultava essere creditore del Brunelli di L. 7.000[115].

Degli eredi dei tre folli della cartiera grande Rizzardi, solo Bernardo Sarcinelli riuscì a curare personalmente gli interessi che aveva sulla proprietà. Nel 1706 infatti egli teneva ancora in affitto i terreni che la cugina Anzola Dall'Acqua[116] possedeva alla Rizzarda[117] e, probabilmente per dare spazio alla sua attività, affittò anche la stanza de copi coperta che la zia Cecilia Beltramon possedeva alla cartiera[118].

Negli stessi anni in cui Bernardo affittò le proprietà nella cartiera e negli immediati dintorni, risulta che lo stesso dovesse dare a Sordina quasi L. 300, in quanto il mercante padovano aveva liquidato parte del debito che gli eredi Rizzardi avevano ancora con il Collò. Nella pretesa di Sordina di farsi risarcire tale somma, è oggi possibile intravedere un tentativo di impadronirsi nuovamente dell'intera cartiera, visto che i suoi rapporti con Contarini nel frattempo si erano fatti difficili[119]. Ma fallito il suo intento, Sordina decise di cedere a certo Daniel Beltramon[120] il credito che aveva con Sarcinelli e il livello francabile che ancora deteneva sul follo degli eredi Brunelli[121], pur rientrandone in possesso negli anni successivi tanto che nel 1714 lo fa restimare[122].

Maggiori dettagli sulla proprietà della cartiera e su chi la conduceva, li troviamo nel rilevamento d'estimo effettuato nel 1708. Solo Bernardino Sarcinelli venne registrato tra i proprietari della cartiera pur possedendo solo un follo, una porzione di casa dove abitava e un orto[123]. I nomi degl'altri proprietari invece sono desumibili dalla scheda relativa a Geremia Conegliano, conduttore dell'intero stabilimento, ossia, gli eredi Brunelli e Antonia Collò Bertozi[124].

Un ulteriore tassello per la ricostruzione dello stato degli edifici facenti parte della cartiera, ci viene dato da una stima fatta per mano di Cecilia Beltramon nel 1709 su una porzione di casa alla cartiera della Rizzarda. Questa era composta da una sola stanza con tre finestre, ed era in parte diroccata; per quanto riguarda i confini essa aveva a est la cartiera, a sud il fiume Meschio e a nord il cortile della cartiera stessa. Dal documento risulta illeggibile il confinante collocato a ovest, ma è probabile che questo fosse Bernardo Sarcinelli dato che in quel periodo risultava abitante nella cartiera[125]. La stessa porzione di casa verrà successivamente venduta al Sarcinelli nel 1711: ancora a quella data però essa presentava delle condizioni assai precarie essendo le mure discoperte cadenti[126].

Cecilia Beltramon, oltre alla casa venduta a Bernardo, all'interno della cartiera possedeva ancora delle proprietà: nel 1710 fu infatti costretta ad assicurare un debito che aveva con Daniel Beltramon su un tezzon e su due Camere da muro coverte a Coppi di propria sua ragion dotale poste, et esistenti nel Cortivo della Cartera Rizzardi[127].

Tra il primo e il secondo decennio del Settecento Daniel Beltramon tentò di acquisire la cartiera Rizzardi: ricordiamo infatti che oltre alla parte di proprietà di Cecilia, deteneva anche il follo degli eredi Brunelli, sul quale però si maturarono degli interessi passivi che il Beltramon chiese a Sarcinelli di coprire.

Ancora una volta Bernardo si vide costretto a dover difendere la cartiera da intrusioni extra famigliari; come controproposta chiese al Beltramon di compensare i conti con quanto quest'ultimo era debitore per l'affitto di alcuni terreni posti di fronte alla cartiera di proprietà Sacinelli[128].

Ciò che appare chiaro in questo primo quarto di secolo, nonostante la scarsità di documenti[129], è che tra tutti gli eredi di Giovanni Maria Rizzardi e di sua moglie Margherita, solo il nipote Bernardo e suo fratello Raffael, dimostrano un vero interesse nel portare avanti l'attività di famiglia.

Proprietario già da diversi anni di quanto era toccato in dote a Cecilia Betramon[130], Bernardo Sarcinelli nel 1725, probabilmente per riuscire a rientrare nel censimento fatto dai V Savi alla Mercanzia[131] riguardante le cartiere presenti nel territorio della Serenissima, fece allegare agli atti del notaio Bertoia una dichiarazione sottoscritta da alcune persone, forse suoi dipendenti, in cui si diceva che se non fosse stato per la sua operosità nel provvedere a far sistemare la cartiera, questa sarebbe stata un grumo di sassi[132]. È probabile altresì che a questa data il Sarcinelli fosse già stato proprietario di gran parte della cartiera avendo egli acquistato a livello francabile anche il follo già di proprietà Bertotti[133].

Nel 1726 lo stesso Sarcinelli prenderà in affitto due camere, di certo Francesco Catuzotto[134], poste nella cartiera Rizzarda. Nel contratto non si specifica il luogo esatto dove si trovavano queste stanze, ma viene piuttosto sottolineato il fatto che erano talmente mal ridotte che Sarcinelli dovette chiedere il permesso per risistemarle[135].

Toccherà successivamente a Raffael Sarcinelli a ricomporre un altro pezzo di proprietà, acquistando nel 1732 il follo, comprensivo degli orti, che fu di Brunelli e Sordina[136]. E ancora, nel 1733 troviamo che i fratelli Sarcinelli acquistarono le tre stanze, precedentemente affittate a Bernardo, di Francesco Catuzotto. In questa occasione vennero riportati i confini della proprietà: a est si trovava la proprietà Sarcinelli, a sud e ovest il fiume Meschio e a nord il cortile comune. Nel contratto si specifica inoltre che il Catuzotto cedeva anche il transito sino alla strada pubblica[137]. Da questi elementi è facilmente deducibile che la porzione di edificio di cui si parla nel documento era parte del corpo centrale di fabbrica oggi identificato come villa della Colletta.

Malgrado Raffael abbia contribuito in larga misura ad aiutare il fratello nell'impresa di riunire nuovamente la cartiera grande sotto un unico nome, i rapporti tra i due negli anni si dovettero deteriorare se alla morte di Raffael, avvenuta nel 1742, questi lasciò la maggior parte dei suoi averi alla nipote Veronica[138], tolto solo un terzo dell'eredità che avrebbe dovuto andare al fratello di Veronica, Antonio.

Il ritrovamento del testamento di Raffael Sarcinelli ha contribuito notevolmente a dare un'immagine sulla vita nella cartiera in quel periodo, caratterizzato ai fini della ricerca da una certa scarsità di documenti reperiti. Raffael ricorda infatti che pur essendo stato lui proprietario della cartiera tanto quanto Bernardo, lasciò sempre a quest'ultimo il pieno godimento della stessa e che se non fosse stato per lui che ad un certo momento decise di andare a vivere con il fratello prestandogli soldi e acquistando gli stracci per la produzione della carta, Bernardo avrebbe avuto non pochi problemi a sopravvivere. Raffael ricorda anche che il padre li aveva lasciati miserabili e che il nonno Rizzardi, pur essendo stato ricco e con otto figli[139], viveva in una stanza sola alla cartiera[140].

Morto Raffael, Bernardo Sarcinelli e la sua famiglia entrarono in pieno possesso della cartiera grande Rizzardi. Forse la nuova condizione economica o magari il sogno cullato per anni di riuscire nell'impresa di ricomporre quanto il nonno Giovanni Maria aveva lasciato, portò Bernardo Sarcinelli a rinnovare il livello francabile sulla cartiera piccola, che nel 1743 era di proprietà Ruzzini[141].

Un ulteriore segno del miglioramento economico è inoltre rilevabile dalla presnza di due servi assunti nella casa alla Cartiera[142].

Ma il benessere non accompagnò per lunghi anni i Sarcinelli. Morto Bernardo nel 1747, già due anni dopo la moglie Augusta e la figlia Veronica[143], che nel frattempo deve essere andata a vivere con la madre alla cartiera, furono costrette a vendere un pezzetto di terra vicino alla cartiera piccola[144] e, impossibilitate a riscattare il livello francabile che qualche anno prima aveva rinnovato Bernardo, dovettero dare l'assenso a Giovanni Ruzzini per la cessione dello stesso ai fratelli Doro[145]. Nel 1749 la situazione economica delle Signore Sarcinelli era tale che, come dichiarò il conduttore della loro cartiera, Zuanne Raccanello, dovettero persino subire l'affronto di vedere i loro mobili inventariati in previsione di un futuro pignoramento[146]. Le cose poi peggiorarono ancor più alla morte di Antonio Sarcinelli. I creditori che bussarono alla porta della casa alla Cartiera non furono pochi e i soldi che le donne avevano a disposizione sicuramente non bastavano a coprire i debiti. Tra i creditori più accaniti vi era Andrea Galvani[147], cartaio del distretto pordenonese, che minacciò di far loro causa se non fosse stato risarcito del suo credito di L. 596:4 per una fornitura di stracci ad Antonio Sarcinelli[148].

In un breve intervallo di anni, tra il 1751 e il 1754, sia Augusta Colletti che sua figlia Veronica oltre che il marito di quest'ultima, Marino Bertoia, stilarono il loro testamento. Se quello di Veronica non aggiunge nulla di nuovo alla storia della cartiera, quello del marito e della madre invece danno delle informazioni interessanti. Dal primo possiamo cogliere una nuova immagine dell'interno della casa alla cartiera, in quanto lo stesso venne rogato alla cartiera dita delli Rizzardi in casa di ragione d'essa signora sua moglie in una camera in solaro riguardante sopra il Mesco serve per tinello e viene scritto appoggiandosi sopra un tavolino di noce mentre Marino Bertoia stava seduto sopra una carega di paglia[149]. Il secondo testamento invece risulta molto utile per dipanare una questione di eredità in quanto, per un breve periodo dopo la morte di Veronica Sarcinelli, la cartiera divenne proprietà dei fratelli Colletti, nipoti di Augusta. Estinguendosi il ramo della famiglia Sarcinelli facente capo a Gio. Batta prima e a Bernardo poi, i Colletti vantarono il diritto di eredità sulla cartiera ma Pietro Sarcinelli, compare di Raffael, si appellò ad un codicillo presente nel testamento di quest'ultimo, in cui si diceva che nel caso il ramo della sua famiglia si fosse estinto la cartiera avrebbe dovuto andare in eredità al ramo della famiglia Sarcinelli di Conegliano[150].

Dal punto di vista gestionale, sappiamo che la cartiera nel 1767 era affittata già da cinque anni ai fratelli Berti ma che prima di loro Isidoro Doro, uno dei fratelli che rilevò la cartiera piccola, l'aveva condotta per un periodo non precisato. Lo stesso Doro aveva fatto installare nella cartiera delle Sarcinelli un folletto per battere la carta ma ancora nel 1767 non era riuscito ad ottenere da queste ultime nè il risarcimento di L. 1.300:11 per i lavori di restauro compiuti nella cartiera, nè la possibilità di rimuovere quanto di sua proprietà[151]. Non riuscendo a pagare i debiti con il Doro, Veronica decise allora cedergli a livello francabile dei terreni di sua proprietà, ma è probabile che nemmeno questa operazione sia riuscita a coprire quanto dovuto al Doro. Questa ipotesi giustificherebbe il motivo per cui nel 1768 i coniugi Bertoia[152] gli affittarono per altri tre anni la loro cartiera.

Di particolare interesse nel contratto d'affitto è la parte riguardante le richieste fatte da Doro per ottenere il consenso dai Bertoia di costruire quattro balconi nella stanza del Lissaro, dove si conservavano le strazze, e quella in cui si fa riferimento al taglio dell'isola. È probabile che questo intervento abbia avuto lo scopo di deviare il letto del fiume in modo da ottenere una maggiore quantità di acqua entrante nella rosta della cartiera piccola[153].

Nel 1770 muore Veronica Sarcinelli e suo marito, Marino Bertoia, avanzò la pretesa di proprietà sulla cartiera. Si apre così un lungo periodo di dispute per il riconoscimento di legittimità sulla successione ereditaria, iniziato nel 1772 con il processo tra Bertoia e i fratelli Colletti[154] i quali richiesero il riconoscimento di validità del testamento che Veronica stilò il 5 giugno 1770[155], e seguita poi -proprio negli stessi giorni in cui la disputa tra i Colletti e Marino Bertoia giunse a conclusione, a discapito di quest'ultimo[156], con quella di Giovanni e Benetto Sarcinelli per il riconoscimento del loro avere, basato sul testamento di Raffael Sarcinelli[157].

La cartiera intanto venne affittata nel 1772 a Bartolomeo e Isidoro de Mori i quali poterono godere di uno stabilimento costituito ancora da tre ruote con 16 pilloni ognuna e una molla matta tutte funzionanti e poste sullo stesso canale. Il contratto che doveva durare solo tre anni, nel 1782 risultava ancora in essere. In quell'anno venne fatto un nuovo rilevamento delle cartiere presenti nel territorio della Repubblica veneziana con il deposito delle marche che producevano carta e, Isidoro de Mori dichiarò che la cartiera lavorava con due tine producendo due soli tipi di carta. È interessante notare nell'autocertificazione del De Mori, che non fu lui a presentarla agli uffici competenti, bensì Gio Fracesco Alberti, carter a S. Pantalon[158], il quale sul finire del secolo acquisterà la cartiera grande.

Ma torniamo alla disputa per il riconoscimento di proprietà. Nel 1789 Benetto Sarcinelli ottenne dal magistrato della Quarantia Civil Nova la validità del testamento di Raffael Sarcinelli[159] ma ancora nel 1791, non contravvenendo alla regola delle lungaggini burocratiche, nel rilevamento fatto dall'Inquisitorato Arti, è Domenico Colletti a comparire come proprietario della cartiera. Da notare che in quel rilevamento si faceva altresì menzione che lo stabilimento aveva due tine di cui una inoperosa[160].

La transazione definitiva dai fratelli Colletti a Benetto Sarcinelli, venne eseguita nel 1793. La cartiera in quell'anno era ancora affittata a Bartolomeo de Mori anche se, a causa del Ponte di Mezzo che necessitava di essere rifatto, non pagava affitto[161].

La definitiva consegna della cartiera a Sarcinelli, segnerà anche la rottura dei rapporti con i de Mori, in quanto la proprietà verrà inizialmente affidata, a titolo di prova per sei mesi, a Stefano Rossani detto il Marescalco[162] e successivamente a Domenico Lioni[163].

Come in uso ormai da secoli, tra un'affittanza e l'altra nella cartiera venne compiuta una ricognizione di stima, eseguita in questo caso da Giovanni Tondello, Pubblico Perito. In essa vennero numerate e descritte tutte le stanze della cartiera iniziando la relazione partendo dal ponte d'ingresso riferendo che era stato appena ricostruito. Nel cortile c'era il lissiaro, il locale dove si rifiniva la carta, e un'altra stanza. Sopra il portico si trovava una sala con il solaio che occludeva la copertura di coppi e sopra il lissiario si trovavano due camerini e una stanza. Procedendo verso sud, c'era la scala in pietra che portava in un piano ammezzato sul quale si aprivano tre camere poste lungo un corridoio. Al piano terra di questa porzione di edificio, si trovava il locale dove si lavavano gli stracci, la lissiviera. A mattina invece, ossia ad est, si trovavano cinque stanze e uno stanzone grande, oltre alla scala che portava in tendador. In quest'ala era collocato l'ediffizio, ossia i locali che ospitavano i tre folli con le due tine (le 5 stanze appunto); esso aveva tre ruote e una ruota Matta. Nella parte a Nord esistevano tre edifici porticati sopra i quali si aprivano i granai e in più c'era la caldiera per la colla. Nella relazione si fa riferimento anche ai terreni situati vicino ai portegalli, ossi agli edifici porticati, i quali erano protetti da un muro costruito sugli argini del Meschio. Nella cartiera poi esistevano sedici balconi a piano terra e una piccola finestra nel sottoscala che dava nel cortile[164].

Il contratto con il Lioni avrebbe dovuto durare per 20 anni, ma al momento dell'inizio dell'affittanza le condizioni della cartiera erano tali da impedire la produzione. Tre anni dopo Benetto Sarcinelli, forse impegnato in altre faccende che nulla avevano a che vedere con il mondo della carta, decise di vendere lo stabilimento allo stesso nobile Domenico Lioni, già proprietario della cartiera piccola[165].

Francesco Alberti e la conduzione Galvani

Con l'acquisto della cartiera da parte di Domenico Leoni di fatto si concretizzò, anche se per un brevissimo periodo, il sogno inseguito da Bernardo Sarcinelli di riunire sotto un solo nome le due cartiere fondate nel 1640 da Giovanni Maria Rizzardi[166].

Dopo aver appianato i crediti che il Leoni vantava su Benetto Sarcinelli, grazie all'acquisizione della cartiera grande, il nobile cenedese non attese molto tempo prima di liberarsi di un edificio che probabilmente gli creava non pochi problemi di gestione. Il 16 settembre 1798 infatti, appena sei mesi dopo, Domenico Leoni cedette la cartiera a Gio. Francesco Alberti realizzando un guadagno di circa L. 3.000[167].

Alberti, definito come mercante provatissimo, acquistò in sostanza un edificio esterno e uno interno oltre a tutte le fabbriche diroccate coperte de coppi; i canali facenti parte della cartiera, il cortile, l'orto e i terreni di pertinenza della cartiera.

Nel contratto di compravendita si fa riferimento ad una stima eseguita prima della transazione ma purtroppo tale prezioso documento non si trova più allegato alla pratica notarile.

Nello stesso anno in cui il nobile Lioni vendette la cartiera grande, diede ad affitto quella piccola a Zuanne, Nicolò e Gio Batta, padre e figli Raccanelli. Nel contratto intercorso tra le parti, si fa preciso riferimento che la cartiera era provvista di cilindro olandese, elemento questo che permetteva di produrre carta con maggior facilità oltre che in tempi ridotti[168]. La precisazione di tale dettaglio nel contratto, mancante invece in quello relativo alla vendita della cartiera grande, ci fa supporre che quest'ultima ne fosse sprovvista e che quindi producesse carta ancora con tecnologie tradizionali[169].

Le notizie relative alla conduzione della cartiera nel periodo in cui questa era di proprietà Alberti non sono moltissime. A differenza dei suoi predecessori che abitavano a Ceneda o nelle immediate vicinanze, e che quindi ricorrevano ai servigi dei notai del luogo, Francesco Alberti, essendo veneziano e trattando i suoi affari soprattutto nella città lagunare, non fu solito rogare i suoi contratti nella cittadina pedemontana. Diventa quindi assai difficile rintracciare qualche documento relativo a questo periodo storico, in quanto il fondo notarile veneziano consta di un numero tale di buste da rendere improba l'impresa di visionarlo tutto. Nell'appendice documentaria vengono comunque riportati alcuni documenti di primo Ottocento, tra cui la stima della cartiera piccola, che in qualche modo possono dare una visione sulla strutturazione di una cartiera in quel periodo.

Prime notizie utili riferibili alla gestione Alberti le troviamo solo dieci anni dopo l'acquisizione della cartiera grande. Dalle cedole compilate in occasione della stesura del censo provvisorio del 1808[170], si apprende che Alberti era proprietario nel cenedese di due edifici di cartiera di cui uno era la cartiera Rizzardi. Oltre all'edificio più propriamente atto alla produzione di carta, lo stabilimento comprendeva anche le stanze dove venivano ospitati i lavoratori, quelle occupate dal capo cartiera e quelle riservate ad Alberti quando si trovava a Ceneda[171].

Nulla però si dice nel censo provvisorio sulla conduzione della cartiera ed è solo il censimento industriale del 1818 a colmare questa lacuna. In esso infatti si dice che la cartiera Alberti alla Rizzarda era di istituzione rimotissima, aveva quattro tine e un cilindro; produceva otto risme di carta al giorno e traeva gli stracci di cui abbisognava dal territorio del Friuli. Nella cartiera erano impiegati in tutto 46 operai di cui 18 erano uomini e i restanti 28 erano donne e fanciulli. La cartiera Alberti produceva in tutto 9.280 risme di carta all'anno di otto tipi diversi[172], che smerciava quasi esclusivamente nel porto di Trieste. Dal confronto con i dati rilevati nelle altre cartiere del comprensorio trevigiano, risulta che la cartiera Alberti era in assoluto quella che produceva il maggior reddito[173].

In linea generale sappiamo poi che la carta prodotta a Ceneda tra il 1818 e il 1840 portava tutta la filigrana I.M., ossia Isidoro Mori, tranne quella prodotta nello stabilimento di Valentino Wasserman che aveva le iniziali V.W. Questo sta a indicare che le cartiere del distretto cenedese erano tutte condotte da Isidoro Mori[174].

L'ultimo capitolo della cartiera Rizzardi si apre con l'acquisto della stessa da parte di Andrea Galvani, avvenuto prima del 1838.

È interessante aprire una parentesi su questo personaggio che, appartenente ad una ricca famiglia di cartai pordenonesi, molto contribuì a migliorare le tecniche di produzione della carta.

Il Galvani nacque a Cordenos nel 1797 e si formò presso il liceo classico di Treviso. Probabilmente spinto da esigenze famigliari, si laureò a Padova prima in giurisprudenza e poi, seguendo una sua passione, in matematica[175]. Andrea Galvani fu uomo di grande inventiva ed intelletto visto che in pochissimi anni riuscì a farsi riconoscere diversi brevetti per la produzione della carta tra cui, nel 1818, quello per una macchina che serviva per pulire gli stracci senza l'uso del sapone, e nel 1846 quello che soverchiò l'uso degli stracci nella produzione cartaria introducendo lo sfruttamento della polpa di alcune specie d'albero[176].

Sappiamo che Andrea Galvani non seguiva i suoi interessi nella cartiera Rizzardi direttamente da Ceneda, curati da un suo agente, certo Pietro Polazet[177].

Andrea Galvani morì nel 1855 e i suoi eredi continuarono l'attività nella cartiera Rizzardi ancora per più di mezzo secolo. Tra il 1826 e il 1892 questa venne indicata come opificio di media struttura: era infatti provvista di 5 mantici idraulici da 40 cv., aveva quattro tini e trenta dipendenti che alloggiavano all'interno della cartiera. I Galvani continuarono a produrre carta alla Rizzarda fino al 1895, dopodichè cedettero l'intero complesso ai Dalla Colletta che ne fecero la sede per la loro ditta di produzione di manufatti per pavimentazioni[178].

La considerazione che si può fare a questo punto è che con ogni probabilità, la struttura creata da Rizzardi nel 1640, comprensiva dell'edificio a corte e quello posto più a nord, oggi costeggiato dalla pista ciclabile, sia rimasta immutata per oltre duecento anni e che le superfettazioni esistenti oggi tra questi due corpi di fabbrica siano invece di un periodo più recente, compreso tra la cessione dell'attività dei Galvani e l'insediamento nella cartiera dei Dalla Colletta.

Le trasformazioni avvenute nei secoli nella cartiera Rizzardi comunque non devono essere state poche. Esse furono dovute sia alle esigenze di riadattamento conseguenti alle divisioni attuate tra i molti eredi Rizzardi, che agli interventi che con ogni probabilità dovettero fare di volta in volta per riportare in buone condizioni una struttura che, come emerge in vari occasioni dai documenti, si trovò spesso a patire uno stato di precarietà.

Bibliografia:

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Mazzotti Giuseppe, Le ville venete, Treviso 1953

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Mattozzi Ivo, Produzione e commercio della carta nello stato veneziano settecentesco. Lineamenti e problemi, Bologna 1975

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Spadavecchia Fiorella, La carta, in Dal museo alla città. Itinerari didattici 4, Venezia 1983, pp.115-138

Mattozzi Ivo, Un processo di accumulazione di capitale manifatturiero: le cartiere di Ceneda nel primo ‘600, in Studi Trevisani n. 7, dicembre 1988, pp. 105-129

Da Ros Ido, L’industria vittoriese dal 1866 alla fine dell’800, in Il Flaminio n. 5, maggio 1990, pp. 115-121

Tranchini Eugenio, Le cartiere vittoriesi tra il XVII e il XIX secolo: appunti di storia economico-sociale, Vittorio Veneto 1991

Brunetta Ernesto, Treviso in età moderna: i percorsi di una crisi, in Storia di Treviso. L’età moderna, Venezia 1992, pp. 3-136

Mattozzi Ivo, Una cartiera, molte storie, in Acque e cartiera nel parco di San Valentino, Pordenone 1997, pp. 13-25

Crippa Flavio, Vita, lavoro e ricchezza dalle acque. Il parco di archeologia industriale di S. Valentino, in Acque e cartiera nel parco di San Valentino, Pordenone 1997, pp. 27-43

Zanatta Ernesto, La manifattura della carta nel trevigiano. Una tradizione secolare, dattiloscritto, Treviso 1998

Mattozzi Ivo, Le cartiere nello stato veneziano: una storia tra strutture e congiunture (1450-1797), in Mulini da carta. Le cartiere dell’Alto Garda. Tini e torchi fra Trento e Venezia, Verona 2001, pp. 97-162

Gasparini Danilo, Cartiere e cartai nel trevigiano tra XVI e XIX secolo, in Cartai e stampatori in Veneto, Brescia 2001, pp. 55-77

Panciera Walter, le cartiere del Veneto occidentale (1550-1850 ca.), in Cartai e stampatori in Veneto, Brescia 2001, pp. 37-53

Foto

Nello stemma di sinistra è ancora possibile vedere lo scudo della famiglia Rizzardi (Foto Archivio Storico Trevigiano)

Mappa del 1613 in cui sono riportati tutti i mulini lungo il corso del Meschio (ASVE)

[1] (Mazzotti 1953, p. 738)

[2] Idem.

[3] Mattozzi 2001, p. 132

[4] Nello stesso periodo anche la cartiera di Battaglia, nel territorio padovano, risultava un ottimo investimento per i nobili veneziani come i Bragadin, i Giustinian e i Contarini; la produzione di questa cartiera andava a coprire quasi per intero il fabbisogno dell'università patavina, sia nella fornitura di carta da scrivere che da stampa (Panciera 2001, pp. 41, 45)

[5] La domanda di questo tipo di carta proveniva soprattutto dal levate e dalla Sicilia (Mattozzi 2001, p. 132)

[6] Con Belloni si diede inizio a quello che Ivo Mattozzi definisce "processo di accumulazione di capitale manifatturiero" nel cenedese (Mattozzi 1988, p. 105)

[7] Il Livenza costituiva una delle principali vie di comunicazione tra le terre dell'Alto Trevigiano e Venezia ed era percorribile fino a Portobuffolè anche con imbarcazioni di discreta portata.

[8] Sia Carlo Contarini che Israel Conegliano, assieme al fratello Geremia, li troveremo spesso legati agli interessi di Gio. Maria Rizzardi.

[9] Mattozzi 1988, p. 115

[10] Mattozzi 2001, p. 133

[11] Mattozzi 1988, p. 115

[12] Idem.

[13] Mattozzi 2001, p. 158

[14] Lunardo Mocenigo e i suoi successori continuarono per lunghissimo tempo ad avere relazione con la produzione cartaria. Alla stessa famiglia veneziana apparteneva infatti lo stabilimento di Serravalle alla Negrisiola, del quale mantenne la proprietà fino al 1817, quando venne poi venduto a Pietro Garatti (Tranchini 1991, p. 45)

[15] Mattozzi 1988, p. 117

[16] Bertella lo troveremo in seguito impegnato nella conduzione delle cartiere di Rizzardi.

[17] (Mattozzi 2001, p. 158). Il toponimo della località dove viene aperto il nuovo opificio, lascia pochi dubbi sul fatto che nelle sue vicinanze esistesse una segheria o che la cartiera stessa possa essere stata avviata riconvertendo una struttura precedentemente adibita a tal uso.

[18] Mattozzi 1975, p. 8

[19] Mattozzi 1988, p. 120

[20] Giovanni Maria Rizzardi era un mercante di carta con negozio a Rialto, all'insegna di San Zuanne (ASVE, Bruzonico, b. 1124, cc. 141-ss.)

[21] Bressanini era un esperto mastro cartaio, già impegnato nella conduzione della cartiera affidata dalla Compagnia della Carta a Civran (ASTV, Artico, b. 1462, c. 79)

[22] La supposizione che il terreno acquistato da Rizzardi fosse nelle vicinanze della cartiera che aveva preso ad affitto da Carlo Contarini, nasce dal fatto che proprio quel terreno, posto alla Siega come per la cartiera Contarini, sia stato motivo di disputa tra il Contarini stesso, che voleva vantare un diritto di acquisto, e il canonico Leoni. Grazie alla decisione del Leoni che volle far passare a pubbliche stride la compravendita del Rizzardi, passate tacite, rese possibile a Rizzardi di mantenere la proprietà su quel terreno (ASTV, Artico, b. 1468, fasc. Atti civili 1629-1637, 12 maggio 1636)

[23] ASTV, Artico, b. 1468, fasc. Atti civili 1629-1637, 21 marzo 1635.

[24] ASTV, Artico, b. 1462, cc. 69 tg.-ss

[25] ASTV, Artico, b. 1463, cc. 85-87

[26] Mattozzi 1988, p. 125

[27] ASTV, Artico, b. 1463, cc. 85-87. Da sottolineare che inizialmente il Rizzardi investe solamente i suoi soldi nelle imprese cenedesi senza curarli personalmente. Non è infatti un caso che nel 1636 quando Contarini presenta la sua protesta per far annullare il contratto di compravendita con Leoni, sia l'agente di Rizzardi, tale Iseppo Loschi, a riceverlo (ASTV, Artico, b. 1468 , fasc. Atti civili 1629-1637, 13 aprile 1636)

[28] BCVV, Estimi, b. 94 c. 59.

[29] ASTV, Artico, b. 1467, cc. 110-111

[30] ASTV, Artico, b. 1467, cc. 108-109

[31] La cartiera piccola di la dal Meschio era situata dove oggi sorge l'ex lanificio Cini, mentre la cartiera grande di qua dal Meschio è la nostra cartiera.

[32] ASTV, Artico, b. 1466, cc. 92-93

[33] Giovanni Maria Rizzardi e Margherita Piccinelli ebbero cinque figli maschi, Bernardo, Zuane, Zuan Angelo, Pietro e Marcantonio, e cinque femmine, Veronica, Caterina, Cecilia, Maria e Angela.

[34] Dei figli maschi nominati da Gio. Maria nel suo testamento, sembra risultare che solo Pietro porterà avanti il patronimico dei Rizzardi, ma nè lui nè suo figlio concorreranno alla conduzione delle cartiere. Sappiamo di certo che Giovanni Maria, figlio di Pietro, farà affari a Venezia ma rimane da verificare se il Giovanni Maria Rizzardi intestatario di licenza di stampa concessa a Venezia tra il 1700 e il 1705, sia veramente il diretto discendente della famiglia che ha avviato le cartiere nel cenedese.

[35] Il nobile Bragadin di cui Margherita Rizzardi era debitrice è lo stesso che con Giustinian e Contarini gestirono la cartiera di Battaglia.

[36] Ai giudici dell'Esaminator, tra le altre cose, competeva l'alienazione delle proprietà e di altre obbligazioni per Venezia e il Dogado.

[37] ASVE, Bruzonico, b. 1124, cc. 141-ss.

[38] A rigor di logica, a sottoscrivere il contratto d'affitto avrebbe dovuto essere il figlio maggiore dei Rizzardi, Bernardo ma, considerata la sua presenza registrata negli atti del notaio Bruzonico, rogante nella città di Venezia, è da ritenere che egli fosse impegnato nella risoluzione di affari che il padre aveva ancora nella città lagunare. Bernardo dovrebbe comunque risultare già deceduto ad una data antecedente il 19 ottobre 1653, cronologia riguardante il testamento materno in cui egli non compare.

[39] ASTV, Artico, b. 1466, c. 162

[40] Vendere a livello francabile significava cedere in tutto e per tutto un bene, con la possibilità però di poterlo riscattare nei termini contrattuali, che potevano a loro volta essere rinnovati.

[41] Dallo stesso atto apprendiamo che la cartiera in quel momento è affittata a Giacomo Gallina (ASVE, Bruzonico, b. 1124, cc. 141-ss).

[42] Bernardo dal Legname era il marito di Laura Piccinelli, sorella di Margherita Rizzardi.

[43] ASVE, Bruzonico, b. 1124, cc. 59tg.-61

[44] ASVE, Bruzonico, b. 1124, cc. 106-107

[45] ASTV, Artico, b. 1466, cc. 126tg.-128.

[46] Nel contratto d'affitto si dice che a Sarcinelli toccherà sanare il buco nella rosta, mentre a Margherita sarà fatto obbligo di mantenere la rosta stessa e i canali, e fornire tutte le attrezzature che servivano per la conduzione della cartiera, come i forcoli, i deschi, gli scagni, ecc. Margherita concede inoltre a Sarcinelli l'uso del suo fuso per pressare la carta. (ASVE, Bruzonico, b. 1466, cc. 128tg.-132).

[47] Il lissaro era il luogo in cui avveniva la lisciviatura degli stracci, ossia venivano lavati e sgrassati prima di essere pestati. Da descrizioni successive della cartiera, è da ritenere che questo ambiente si trovasse al piano terra, a destra dell'ingresso principale della cartiera.

[48] La caldiera era il luogo in cui veniva preparata la colla, sciogliendo in carniccio ossia le frattaglie animali. Per la sua pericolosità (ricordiamo che in quel periodo gli edifici erano fatti in buona parte di legno), questo locale doveva trovarsi esternamente alla cartiera, forse nell'orto o nella parte più isolata dell'isola in cui era costruito l'impianto.

[49] Il tendador era invece il luogo in cui venivano stesi i fogli di carta ad asciugare. Con buona approssimazione possiamo affermare che tale ambiente, di discrete dimensioni e con ampie aperture per permettere un buon circolo di aria, doveva trovarsi sul lato nord della struttura.

[50] Da documenti successivi, troviamo infatti che in quegli stessi anni Contarini acquistò a livello francabile la cartiera piccola.

[51] Margherita fa specifica richiesta di essere impiegate nel lissaro o nel tendador in quanto i lavori che si svolgevano in questi due ambienti erano riservati alle donne.

[52] Nel testo si usa in termine "cavar le giozze".

[53] La Repubblica Veneziana era molto fiscale in materia di boschi e di legname in genere. I roveri in particolare costituivano materia prima sia per la costruzioni edilizie che per la costruzione navale, così la Dominante decise di regolamentarne il taglio e concedere delle licenze ad hoc per i proprietari di mulini. I mulini, specialmente quelli da carta, subivano nel tempo gravi deterioramenti delle parti strutturali lignee così a cadenza regolare i proprietari o chi deteneva la licenza, doveva inoltrare richiesta all'ufficio dei Patroni e Provveditori all'Arsenale, per poter ottenere il legno necessario alle riparazioni (per mulini a tre ruote, per esempio, era concesso il taglio per non più di tre roveri). La regolamentazione del taglio dei roveri veniva gestita attraverso un catastico dei mulini in cui accanto al nome dell'intestatario della licenza veniva riportata la data del taglio del legno. È interessante analizzare i periodi che intercorrono tra una richiesta e l'altra perchè da questo dato si possono dedurre i periodi di attività dei vari mulini. Unico limite di questo fondo archivistico è che gran parte del materiale che lo costituiva è andato perduto e quindi per la zona di Treviso, per esempio, è possibile aver notizie solo per il periodo compreso tra il 1687 e il 1740 circa.

[54] ASTV, Sacello, b. 1991, 10 aprile 1655

[55] Dal matrimonio tra Veronica Rizzardi e Gio Batta Sarcinelli nasceranno quattro figli: Bernardo, Raffael, Antonio e Caterina. I primi due avranno grande merito nel rimettere assieme i pezzi dell'eredità Rizzardi.

[56] ASTV, Leoni, b. 1664, fasc. 1658-1659, 3 giugno 1659

[57] ASTV, Leoni, b. 2021, c. 142

[58] BCVV, Estimi, b. 94, c. 216 tg.

[59] Vedi a riguardo i 350 ducati che il Conegliano anticipa per coprire il debito che ancora esisteva con gli eredi di Isaac Grazzini (ASTV, Munari, b. 1782, fasc. 1664 II, cc. 32 e 88)

[60] Mattozzi 1975, p. 71

[61] ASVE, Giudici del Mobile, Sentenze a leze, b. 501, c. 71

[62] ASTV, Munari, b. 1784, fasc. 1666 I, c. 75

[63] Nonostante la prassi volesse che ad ogni inizio e ad ogni fine di locazione gli edifici di cartiera venissero stimati, in modo da poter valutare se ci fossero stati dei miglioramenti o dei peggioramenti, in questo caso si specifica che la cartiera non sarebbe stata stimata. (ASTV, Munari b. 1787, fasc. 1669 II, c. 89). Purtroppo, nel caso della cartiera Rizzardi-Gavani, poche sono le stime rintracciate.

[64] ASTV, Mnari, b. 1787, fasc. 1669 II, c. 171

[65] Negli atti consultati a questa data non si fa più alcun cenno agli altri figli di Margherita, a parte Pietro che però non gode di grande considerazione da parte della madre. È quindi da ritenere che buona parte della sua prole, comprese le figlie Veronica e Caterina, sia già deceduta.

[66] ASTV, Munari, b. 1791, fasc. I, c. 300

[67] ASTV, Leoni, b. 2025, fasc. 1673, c. 3

[68] Francesco Dall'Acqua sposò Caterina, Girolamo Beltramon Cecilia, Nicolò Brunelli Maria Rizzardi

[69] ASTV, Pietropaolo, b. 2805, fasc. 1673, c. 58

[70] ASTV, Mondini, b. 2256, fasc. 1675, c. 41

[71] È evidente che Pietro Rizzardi non dava sufficienti garanzie a Bernardo tanto più che in quegli stessi anni Margherita si troverà costretta a pagare una cauzione al vescovo di Ceneda per ottenere la liberazione del figlio. Questo spiegherebbe anche il motivo per cui la stessa Margherita abbia preferito far entrare negli affari di famiglia il figlio più giovane Marcantonio, piuttosto che Pietro.

[72] ASTV, Munari, b. 1792, fasc. II, c. 181

[73] ASTV, Munari, b. 1793, cc. 76-80

[74] ASTV, Munari, b. 1797, cc. 151-153

[75] Domenico Sordina, o Gian Domenico come si trova in alcuni documenti, era figlio di Marco Sordina, mercante egli stesso di carta, annoverato tra i più importanti gestori della cartiera di Battaglia.

[76] ASTV, Munari, b. 1797, c. 163

[77] ASTV, Munari, b. 1797, cc. 187-189

[78] Margherita per l'occasione nomina un nuovo procuratore. Nel documento viene ribadito che la cartiera grande aveva quattro ruote, una probabilmente era una ruota matta che serviva per il batticarta, mentre la cartiera piccola del Contarini ne aveva solo tre (ASTV, Munari, b. 1797, c. 155)

[79] ASTV, Munari, b. 1797, cc. 187-189

[80] In base all'entità del capitale dotale, in seguito gli eredi del Rizzardi ebbero modo di dividersi lo stabilimento di carte: a ognuno infatti toccò un follo, tranne che a Cecilia a cui andò parte della casa alla cartiera.

[81] ASTV, Munari, b. 1798, c. 131

[82] ASTV, Melsio, b. 2286, fasc. 1680, c. 63

[83] ASTV, Munari, b. 1798, c. 18

[84] ASTV, Melsio, b. 2286, fasc. 1680, cc. 61-ss.

[85](ASTV, Melsio, b. 2286, fasc. 1680, c. 88). Il procuratore nominato fu Antonio Sarcinelli, fratello di Gio Batta, e zio di Bernardino e Raffael, principali fautori nella ricostituzione del patrimonio Rizzardi.

[86] ASTV, Melsio, b. 2286, fasc. 1680, c. 95

[87] Con quella clausola testamentaria a Pietro venne di fatto impedito di vendere, alienare o ipotecare qualsiasi bene facente parte della dote di Margherita.

[88] Margherita lasciò precise indicazione affinché tutti i suoi mobili fossero custoditi dalla figlia Cecilia fintanto che la nipote Margherita non si fosse maritata.

[89] In alcuni documenti si precisa che Giacomo Collò era nipote di Margherita. Ciò che non è stato possibile però verificare è il livello di parentela che sussisteva tra i due. Un'ipotesi del tutto personale è che il Collò fosse stato figliastro di Bernardo dal Legname visto che alcune volte viene citato come Giacomo Collò dal Legname.

[90] ASTV, Melsio, b. 2286, fasc. 1681, c. 6

[91] ASTV, Lotti, b. 2199, fasc. 1681, c. 18)

[92] ASTV, Lotti, b. 2199, fasc. 1681, c. 36

[93] Non è stato possibile ricostruire con precisione quando e come Sarcinelli, Brunelli e Dall'Acqua siano riusciti a francare la cartiera in quanto negli anni che seguirono alla divisione, un intreccio di eventi e di nomi fa perdere in parte il filo delle proprietà.

[94] Pur essendo il follo di ragione di tutti i fratelli Sarcinelli, di fatto sarà sempre e solo Bernardo ad occuparsene. Raffael Sarcinelli contribuirà poi generosamente al riacquisto dei vari pezzi di cartiera, affidandone comunque la gestione al fratello prima e alla nipote Veronica poi.

[95] ASTV, Melsio, b. 2286, fasc. 1681, c. 63.

[96] ASTV, Melsio, b. 2286, fasc. 1682, c. 27

[97] Gli stessi Serravalle chiederanno anche ai coniugi Beltramon di poter sistemare la casa in modo da disporre di maggior spazio (ASTV, Melsio, b. 2286, fasc. 1682, c. 37).

[98] Nel catastico dei mulini redatto dai Provveditori e Patroni all'Arsenale Sordina infatti compare come unico intestatario dell'intera cartiera e ne manterrà l'intestazione fino al 1732. Dall'analisi delle date di rinnovo delle licenze si possono fare interessanti considerazioni sulle condizioni della cartiera. Si può infatti notare che tra il 1695 e il 1707, non venne presentata alcuna richiesta per tagliare alberi e nemmeno tra il 1715 e il 1732, ossia per ben 17 anni. È probabile che in questi intervalli la cartiera sia stata inattiva oppure abbia lavorato a ritmi ridotti in quanto, i mulini da carta subivano una maggior usura rispetto ad altri tipi di mulini. (ASVE, Provveditori e Patroni all'Arsenale - Catastico mulini, b. 619 c. 213 tg.)

[99] ASTV, Munari, b. 1802, fasc. I, c. s. n.

[100] ASTV, Munari, b. 1803, fasc. II, c. 132

[101] In particolare era la cucina ad avere problemi tanto che fu necessario sostituire una trave (ASTV, Munari, b. 1803, fasc. II, c. 121)

[102] ASTV, Munari, b. 1803, fasc. II, c. 131

[103] ASTV, Melsio, b. 2287, fasc. 1685, c. 70

[104] ASTV, Melsio, b. 2287, fasc. 1687, c. 77

[105] Geremia Conegliano apparteneva a quella famiglia di ebrei, tra tutti ricordiamo Isreal, già incontrata nelle vicende di Gio. Maria Rizzardi

[106] ASTV, Melsio, b. 2287, fasc. 1687, cc. 75-76

[107] ASTV, Melsio, b. 2287, fsc. 1687, c. 73

[108] Altre cause in cui era prevista la sospensione degli affitti erano la scarsità d'acqua, la rottura degli alvei del fiume e gli incendi.

[109] ASTV, Melsio, b. 2287, fasc. 1687, c. 11

[110] ASVE, Provveditori e Patroni all'Arsenal, Catastico mulini, b. 619, c. 214

[111] ASTV, Munari, b. 1809, fasc. I, cc. 52-54

[112] ASTV, Munari, b. 1809, fasc. I, c. 49

[113] In genere si usa il qm., che sta per quondam, quando la persona a cui si riferisce è deceduta.

[114] ASTV, Munari, b. 1815, fasc. I, cc. 161-162

[115] ASTV, Munari, b. 1815, fasc. I, cc. 164-165

[116] Il primo contratto sottoscritto tra Bernardo Sarcinelli e Anzola Dall'Acqua, risaliva al 18 giugno 1700 (ASTV, Munari, b. 2472, fasc. 1706, c. s.n.)

[117] Spesso nei documenti, a partire da metà Seicento, la località in cui sorgeva la cartiera dei Rizzardi, veniva identificata come alla Rizzarda

[118] ASTV, Munari, b. 2469, fasc. 1701, c. s.n.

[119] Sordina in quel periodo doveva tra l'altro una discreta somma di denaro al nobile veneziano e quindi vide probabilmente nella possibilità di rimettere le mani sulla cartiera la soluzione per garantire una continuità di approvvigionamento di carta per il suo negozio (ASTV, Munari, b. 2472, fasc. 1706, c. s.n.)

[120] Daniel Beltramon è nipote da parte di marito di Cecilia Rizzardi.

[121] ASTV, Munari, b. 2472, fasc. 1706, c. s.n.

[122] ASTV, Munari, b. 2473, fasc. 1714, c. s.n.

[123] BCVV, Estimi, b. 95, c. 204 tg.

[124] Non è stato possibile risalire con esattezza al grado di parentela tra Giacomo Collò e Antonia Collò Bertozzi, ma è probabile che i due fossero fratelli (BCVV, Estimi, b. 95, c. 395)

[125] ASTV, Munari, b. 2473, fasc. 1710

[126] ASTV, Munari, b. 2473, fasc. 1710, c. s.n.

[127] ASTV, Melsio, b. 2293, fasc. 1710, c. 47

[128] ASTV, Berettini, b. 2891, fasc. 1711-1713, c. s.n.

[129] È stato possibile appurare nel corso della ricerca che Bernardino Sarcinelli era solito rivolgersi al notaio Antonio Leoni qm. Giovanni, rogante a Ceneda dal 1710 e il 1757, per sbrigare i suoi affari. Purtroppo però, pur comparendo il suo nome nei registri dei notai i cui atti erano in deposito presso l'Archivio di Stato di Treviso fino a metà del Novecento, non è stato possibile rintracciare l'attuale collocazione di tali atti.

[130] ASTV, Bertoia, b. 3003, prot. III, cc. 14 tg. - 15

[131] I Cinque Savi alla Marcanzia, organo amministrativo della Repubblica veneziana, si occupavano del controllo sul commercio marittimo e terrestre.

[132] ASTV, Bertoia, b. 3003, prot. IX, c. 39

[133] ASVE, Quarantia Civil Nova, b. 571

[134] Purtroppo non è stato possibile risalire da chi il Catuzotto abbia avuto le stanze e in che periodo ne sia entrato in possesso.

[135] ASTV, Bertoia, prot. X, c. 8

[136] La figura di Raffael Sarcinelli, per buona parte della ricerca, è apparsa come marginale, ma in realtà il suo apporto nella ricostituzione della cartiera grande è stato fondamentale (ASTV, Melsio, b. 3517, prot. 1741-1753, c. 127)

[137] ASTV, Melsio, b. 3503, fasc. 1733, c. s.n.

[138] Veronica e Antonio erano figli di Bernardo Sarcinelli e Augusta Coletti (ASTV, Melsio, b. 3517, prot. 1741-1753, cc. 126-127)

[139] È probabile che due dei dieci figli di Giovanni Maria Rizzardi siano morti in giovanissima età se Raffael ne ricorda solo otto.

[140] ASTV, Melsio, b. 3517, prot. 1741-1753, cc. 126-127

[141] Ricordiamo che Ruzzini diventa proprietario in virtù di un titolo nuziale avuto dalla moglie Marietta figlia di Zuanne Nani che a sua volta l'aveva avuta da altro titolo nuziale in quanto sposato con Caterina Contarini (ASTV, Brescacini, b. 3371, fasc. 1743, c. 61)

[142] ASTV, Mardegani, b. 3311, fasc. 1747, c. s.n.

[143] Veronica Sarcinelli era sposata con Marino Bertoia e i due non avranno figli.

[144] ASTV, Mardegani, b. 3311, fasc. 1749, c. s.n.

[145] ASTV, Valle, b. 3412, fasc. 1743-1757, cc. 92-93

[146] ASTV, Bertoia, b. 3009, fasc. XXXIX, c. s.n.

[147] Questo Andrea Galvani era un'antenato dell'omonimo Andrea Galvani che a metà Ottocento acquistò la cartiera grande.

[148] ASTV, Munari, b. 3429, fasc. 1750-1751, c. s.n.

[149] ASTV, Bastanzi, b. 3480, fasc. testamenti

[150] ASTV, Melsio, b. 3517, prot. 1741-1753, c. 127

[151] ASTV, Bastanzi, b. 3479, prot. Quarto, c. s.n.

[152] È probabile che nel 1768 Augusta Sarcinelli fosse già deceduta visto che negli atti successivi a questa data, sono i coniugi Bertoia a comparire come unici contraenti.

[153] ASTV, Bastanzi, b. 3476, fasc. 1768, c. 3

[154] La famiglia Colletti era costituita da Domenico, canonico della Cattedrale e referente nelle questioni riguardanti la cartiera; Bartolomeo, arciprete di Ogliano; Giuseppe, arciprete di Col San Martino; Chiara ed Elena.

[155] ASVE, Beni Inculti - Processi, b. 423 fasc. Bertoia Marino

[156] il Magistrato ai Beni Inculti registrerà il traslato della cartiera ai Colletti solo nel 1783 (ASVE, Beni Inculti, b. 407)

[157] ASTV, Sarcinelli, b. 4247, protocollo primo 1768-1773, c. s.n.

[158] ASVE, Inquisitorato Arti, b. 23

[159] ASVE, Quarantia C.N., b. 571

[160] ASVE, Iquisitorato Arti, b. 25

[161] ASTV, Bontempo, b. 4459, fasc. 1032, c. 1

[162] ASTV, Bontempo, b. 4459, fasc. n. 1032, c. 31

[163] ASTV, Bontempo, b. 4460, fasc. n. 1088, c. 225

[164] ASTV, Bontempo, b. 4460, fasc. n. 1088, c. 149

[165] ASTV, Bontempo, b. 4462, cc. 12-18

[166] ASTV, Bontempo, b. 4462, cc. 12-18

[167] ASTV, Bontempo, b. 4463, cc. 217-218

[168] ASTV, Bontempo, b. 4463, cc. 281-285

[169] La frantumazione degli stracci nella lavorazione tradizionale della carta avveniva mediante pestelli che provocavano il distaccamento della polpa senza rompere le fibre. Con il cilindro olandese invece gli stracci venivano tagliuzzati in modo finissimo da delle lamelle poste sul cilindro, che girava grazie all'azione della forza motrice della ruota da mulino

[170] Il censo provvisorio fu la base per la stesura definitiva del catasto napoleonico.

[171] ASVE, Notifiche censo provvisorio, Ceneda, b. 101

[172] I nomi dei tipi di carta hanno decisamente un sapore antico: tre lune sopraffina, tre lune mercantile, leon veneziana, tre cappelli fina, tre cappelli sopraffina, da scriver fina, da scriver sopraffina e uso olanda.

[173] Fedrigoni 1964, Appendice V, Censo industriale 1818

[174] Fedrigoni 1964, p. 96

[175] Fedrigoni 1964, p. 69

[176] Fedrigoni 1964, Appendice IV

[177] Fedrigoni 1964, p. 69, nota

[178] Tranchini 1978, p. 207