Per RicordArci è un po' come un'opera postuma: esce dopo molti anni dalla morte dell'artista. Nel nostro caso l'artista è il Circolo Cittadino dell'Arci di Spoleto......la sua storia, dalla nascita alla morte.
Continuando con questa similitudine, ho pensato che il curatore di una mostra di un pittore scomparso dovrebbe, al fine di rendere leggibile l'intero cammino dell'artista, trovare un filo conduttore che unisca tutte le opere esposte. Dalle prime realizzate negli anni giovanili, ancora scolastiche, alle ultime, più mature e rappresentative del suo stile.
Allora, nel nostro caso, qual'è il filo conduttore? Che cos'era che portava Marcello Monaco e il sottoscritto a proiettare, con un 18 mm scassato, in mezzo ad un campo di grano a Castel Ritaldi, davanti ad una platea di contadini attoniti, l'Invasione degli ultracorpi di Don Siegel? Oppure che cos'era che spingeva Sandra Musci e Moreno Orazi a girare mezza Italia per promuovere una mostra di Sol Lewitt? Che cosa legava la mostra organizzata da Mario Lucidi sui fumetti di Tex Willer e di Diabolik con l'organizzazione di un corso di mimo condotto da un certo Tarak Hammam di Roma? Che cosa c'entrava l'organizzazione di un torneo di bigliardino con la passeggiata Spoleto – Monteluco chiamata “4 passi per il sole” contro le centrali nucleari, entrambi realizzati insieme a Mauro Benedetti?
Verrebbe subito da dire che erano tutte operazioni “di sinistra”. Sicuramente, ma mi sembra riduttivo e un po' troppo sbrigativo. L'essere di sinistra a Spoleto poteva significare anche aderire al progetto Scuola di Polizia, visto che era voluta dal P.C.I. , ma noi eravamo fortemente contrari! Essere di sinistra a quei tempi significava pure essere favorevoli al nucleare perché i partiti della sinistra storica erano perlopiù filo- nuclearisti ( salvo poi appoggiare il referendum dietro l'onda mediatica del disastro di Chernobyl), mentre noi eravamo talmente contrari da essere fra i promotori del referendum!
Che cosa ci spingeva allora a sacrificare gran parte del nostro tempo libero dei (1)“migliori anni della nostra vita”? Non erano i soldi, tutti prestavamo la nostra opera gratuitamente. Non era certamente la gratificazione: eravamo osteggiati un po' dappertutto, a destra, al centro e a sinistra. A destra e al centro per ovvi motivi politico-ideologici insormontabili.
Per quanto riguarda la sinistra tradizionale, il PSI ci considerava il braccio culturale del Partito Comunista che tentava di fare proseliti nelle loro file e quindi per carità.... Nel PCI , fatte le debite eccezioni, eravamo considerati da una parte, quella più popolare, compagni con la puzza sotto il naso, poco affidabili perché sempre li a protestare, sempre pronti a spaccare il capello in quattro........da gran parte della componente del PCI più intellettuale eravamo invece visti come dei parvenu e quindi estranei al loro ambiente.
Chi militava poi nella sinistra cosiddetta rivoluzionaria, per lo più nostri coetanei, ci guardava dall'alto verso il basso, come a dire: voi con i vostri mediocri tentativi pseudo-culturali tentate di fregare le masse proletarie con i corsi di fotografia, con lo specchietto della rassegna cinematografica. In realtà fate lo stesso gioco del potere capitalista perché li volete confondere con falsi miti pseudo-rivoluzionari. Il vostro è un disegno astuto: cercate di distoglierli dalla vera lotta proletaria per farne dei morbidi contestatori .... siete più pericolosi dei democristiani, siete voi il vero nemico!…..... Quindi?
A mio avviso quello che legava ogni cosa che si faceva, che ci dava la forza per superare le mille difficoltà e tutte le incomprensioni era la voglia di esserci, di contare, di farsi sentire. Di non subire scelte calate dall'alto, di essere i protagonisti e non le comparse. In altre parole di essere partecipi della vita che ci scorreva intorno....di lasciare il segno. Ecco che allora tutto ha un senso logico. A chi ci diceva che era inutile protestare, che avevamo anche troppa libertà, che adesso c'era la democrazia......a chi, all'interno del PCI , tentava di azzittirci con le regole del “centralismo democratico” si poteva rispondere citando alcuni versi di un grande artista e intellettuale di quei tempi: Giorgio Gaber.
Chi, meglio di questi versi - che vorrei farvi ascoltare dalla bocca del suo autore - divenuti un inno generazionale, ha rappresentato pienamente le nostre aspirazioni:
(2)“.......Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia,
che ha diritto di votare e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà.
La libertà non è stare sopra un albero
non è neanche avere un'opinione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.”
Ecco che allora la realizzazione di questo libro acquista un valore in più. Non è solo una (legittima) operazione nostalgica, non è neanche solo l'analisi di quei momenti politico-storici dal punto di vista di una remota periferia italiana. Questa storia l'abbiamo raccontata per continuare ad esserci seppure in un altro modo, ma anche, e qui sono sicuro di parlare a nome di ciascuno di noi, per le giovani generazioni, per i nostri figli, quelli biologici e quelli degli altri su cui esercitiamo una qualche paternità sociale. Rivolgendomi a tutti loro, che si affacciano ad affrontare la vita da adulti, che rappresentano il futuro e la speranza per una vita migliore, consiglio di avvicinarsi a questo libro con quello spirito che animava le nostre azioni. Di prendere anche da queste pagine lo spunto affinché, così come tentammo di fare noi, non ci si appiattisca sempre sulle decisioni degli altri. Di capire che in una vera democrazia non esiste la delega in bianco. La delega può diventare spesso anche connivenza! Non ci si può solo lamentare dei politici corrotti, delle disgrazie economiche e ambientali che affliggono il nostro Paese se ognuno di noi, nel suo piccolo e con i propri mezzi e comportamenti, non lotta contro il malcostume e la deriva morale pericolosamente raggiunta in questi ultimi anni.
Che ognuno, nel bene e nel male, ragioni con la propria testa senza temere errori, perché soprattutto da quelli si impara a vivere....e quindi attualizzando un po' i versi di Gaber.... ai giovani direi..:
la libertà non è stare sopra un albero....
non è neanche avere 1000 amici su facebook
non sta in un tatuaggio trasgressivo
o in un taglio capelli cresta-corta-sfumatura-laterale
…. la libertà è partecipazione
Roberto Rapastella
- I migliori anni della nostra vita è una canzone scritta da Maurizio Fabrizio e Guido Morra e cantata da Renato Zero nel 1995
- tratto da “La Libertà” di Giorgio Gaber
presente negli album:
Dialogo tra un impegnato e un non so 1972-'73
Far finta di essere sani 1973
da : www.giorgiogaber.it