Big Sid Biberman
(1930-2013)
Anche questo scritto è il testo di un articolo che è stato pubblicato da "Moto Storiche e d'Epoca" alcuni anni or sono, ed anche questo l'ho integrato, anche con immagini che mi ha mandato Matthew Biberman, il figlio di Sid.
Non ho avuto la fortuna di conoscere Big Sid se non per lettera, anzi per e-mail.
Scriveva a piccole frasi secche, con tanti punti: tanti piccoli concetti ben ordinati ed allineati, esattamente come fa chiunque abbia passato la vita a smontare, ordinare e rimontare i tanti pezzi di un motore da motocicletta, specie se quel motore ha scritto sopra “Vincent”.
Sidney Biberman, in tutto il mondo noto come Big Sid, è morto nel giugno 2013 all’età di 82 anni: è stato uno dei più grandi esperti di moto Vincent, una autentica icona del mondo motociclistico, che si è guadagnato il rispetto e la stima di migliaia di appassionati. Chiamato "big", grande, per la sua statura di circa 2 metri per quasi 150 kg di peso, cominciò a lavorare da ragazzo nella macelleria del padre, portando dentro di se una profonda passione motociclistica.
Con i primi guadagni riuscì a comprare una Vincent Rapide rossa, una delle 117 prodotte in "Chinese Red", che ovviamente curava personalmente, cominciando a sviluppare la competenza tecnica per la quale, poi, sarebbe divenuto noto in tutto il mondo. Senza dimenticare, peraltro, di partecipare alle gare di accelerazione, molto in voga a quei tempi, aperte sia a moto stradali che a "drag bikes", mezzi specifici, profondamente modificati. E la voglia di cambiare mestiere e mettersi a coltivare il proprio sogno covava potente nell'animo di Big Sid...
A 23 anni, nell’ottobre 1953, durante il servizio militare che stava svolgendo in Europa, una licenza gli permise di visitare la fabbrica Vincent a Stevenage, dove capitò proprio durante l’annuale raduno del Vincent Owners Club, ed ebbe modo di conoscere Philip Vincent. IL commiato di PCV alla fine del colloquio, “Make us proud”, ovvero “Rendici orgogliosi” sarebbe stata, da quel momento in poi, un punto di riferimento per Big Sid.
Al ritorno a casa scoprì che la sua Vincent Rapide rossa, lasciata in custodia a degli "amici", era stata praticamente distrutta spingendola oltre il limite nelle gare di accelerazione, e, letteralmente in lacrime, spinse quel che ne restava fino a casa. Usando i pezzi che aveva acquistato in Europa la ricostruì, portandola a livello di una Black Lighning - la versione racing delle bicilindriche - stradale, una moto che, coma racconta lui stesso in una intervista del 1976 a MPH, il club magazine del Vincent Owners Club, "... raggiungeva le 130 miglia orarie (210 kmh) in terza...".
Non contento di ciò, dopo poco usò la sua moto come base per realizzare una drag bike a metanolo, chiamata "The Rattler", che sarebbe diventata famosa negli USA. "Rattler" vuol dire "chiassone", "rumoroso", ma nello slang americano indica anche il serpente a sonagli, col suo scatto fulmineo: cosa che a quella moto riusciva benissimo, tanto che vinse oltre 40 gare, battendo vari record, ma nessuno di essi ufficialmente omologato. E questo restò un cruccio per Big Sid: ma lo avrebbe risolto, con l'aiuto di suo figlio Matthew, molti anni dopo.
Finalmente, poco tempo dopo, Big Sid aprì la propria officina, diventando un punto di riferimento, non solo negli USA, per tutti i Vincenteer, ma anche per gli appassionati di altre marche: da "Big Sid's Motorcycle Accessories" a Norfolk, in Virginia, si vedevano ciclomotori, si riparavano moto e si preparavano motori, Vincent in particolar modo, ma di tutti i generi, incluse le pluricilindriche giapponesi. C’era sempre qualcosa di interessante da vedere, smontato ed in corso di lavorazione, fosse stato una Vincent, una Brough o una Laverda: Sid era un vero appassionato ed un grande meccanico, come oggi - forse - ne restano pochissimi, capace di diagnosticare "ad orecchio" la errata fasatura di un albero a camme o di centrare il giusto getto da montare solo guardando una candela.
Nella sua officina capitavano moto di ogni genere, puntualmente sistemate al meglio da questo "gigante buono", descritto in una delle tante interviste come "... una combinazione di gentiluomo e di uomo gentile...", che per portare le moto per bambini - anche quelle sistemava con amore - in officina, non faceva altro che sollevarle sotto un braccio come un semplice pacchettino.
Un collaboratore, Stan Ellefson, che ha lavorato con lui per quasi 16 anni, ricorda così l'officina: "... In quale altro posto potresti mai appendere la giacca su una Indian del 1929, lavorare su una Ariel Square Four del 1932, usare una Vincent per andare a pranzo, poi collaudare su strada una Kawasaki Turbo, e tutto nella stessa giornata?".
Suo figlio, Matthew, professore di Letteratura Inglese nell’Università di Louisville, crebbe tra le moto, sviluppando la stessa passione paterna, ed è stato proprio Matthew a dare inizio all’ultima, forse più bella e intensa, avventura motociclistica di Big Sid.
Nel 2000, a 70 anni, Big Sid vende l'azienda e va in pensione, ma pochi mesi dopo, come molti quando lasciano il lavoro di una vita e non hanno più orizzonti, subisce un grave attacco cardiaco, che lo obbliga ad un delicato intervento di bypass, dal quale esce prostrato da una profonda depressione. Quando Big Sid confessa a suo figlio che non ha più voglia di vivere, e che attende solo la fine, Matthew, impulsivamente, gli promette che appena sarà uscito dall’ospedale costruiranno una Vincati, moto ibrida composta da un motore Vincent bicilindrico integrato in una Ducati 750 GT.
La Vincati venne basata su di un motore Vincent Rapide bicilindrico di 998 cc modificato con vari pezzi della Black Lightining da corsa, tra cui l'albero a camme, teste con rapporto di compressione 10:1, condotti di aspirazione da 32 mm e carburatori Amal Mk. 1: il mezzo, peraltro, conserva una notevole elasticità di marcia grazie ad una sapiente opera di alleggerimento del volano, ridotto di oltre un chilo rispetto all'originale.
La frizione Vincent fu sostituita da una multidisco prodotta dallo specialista australiano Neal Videan, che aveva realizzato la prima Vincati ed ha contribuito a molte delle successive, e fu aggiunto un avviamento elettrico lasciano comunque il classico kick starter.
La storia della costruzione della Vincati, ma anche della vita di Big Sid e del come si sia ricostruito e rinsaldato il rapporto, fino ad allora difficile come in tanti altri casi, tra padre e figlio, è stata scritta da Matthew. Il libro, purtroppo mai tradotto in italiano, è diventato un classico tra gli appassionati; la moto ha ottenuto l’attenzione di riviste come Cycle World e Classic Bike, e nel 2009 ha vinto il premio dell’American Motorcycle Association per il miglior “cafè racer” moderno dell'anno.
Ma Big Sid, assieme a Matthew, non si è fermato alla Vincati. Infatti, usando il telaio della Rapide da cui avevano prelevato il motore usato per la Vincati, ed adattandovi un motore Vincent Comet, i due hanno realizzato una drag bike chiamata "Tina". Basata su una Rapide C del 1953, monta un monocilindrico Comet 499 cc del 1950 maggiorato a 600 aumentandone l'alesaggio di 6 mm, pistone modificato per raggiungere un rapporto di compressione di 9.5:1, testata a doppia candela, albero a camme Andrews ed un cambio a 4 marce Norton Atlas.
L'ultima drag bike costruita dai due Biberman, padre e figlio, è stata Lola: una Rapide C modificata con pezzi Black Lightning, anch'essa nata da una Rapide C del 1953 rimasta smontata per anni dentro una cassa.
Tina
Lola
Big Sid è rimasto attivo fino alla fine: oltre a svolgere restauri e riparazione di moto d'epoca, Vincent ma non solo, era affascinato dalla meccanica in generale, ma, in autentico stile rinascimentale, era curioso dell'arte e della letteratura: spesso, mentre lavoravano su una moto e con le mani sporche di grasso, padre e figlio discutevano di letteratura inglese o ascoltavano qualche opera lirica. Appassionato di foto, ha lasciato a Matthew un grande archivio di immagini, oltre ad avere scritto tanti articoli per varie riviste ed aver raccolto molte delle sue esperienze in "Vincents with Big Sid", pubblicato nel 1998.
Nel giugno 2013, purtroppo, un nuovo attacco cardiaco, stavolta fatale: tutto il mondo motociclistico lo ha pianto, e, tra i tanti articoli "in memoriam" a lui dedicati, una rivista americana di moto d'epoca, dall'evocativo nome di "Iron and Air Magazine", ovvero "Rivista di ferro ed aria", ha scritto "... le persone vanno e vengono, ma poche lasciano una impressione duratura come Sid...". Per quel poco che ho potuto conoscerlo, non posso che confermarlo.
Un fraterno abbraccio a Matthew, a sua moglie Gabriella ed ai due nipotini di Big Sid, Lucy, futura proprietaria della Vincati, e l'ultimo nato, che porta il nome del nonno, anche se non sembra.
Infatti: l'ultimo nipote di Big Sid si chiama Vincent.