DALLE CAMPAGNE COLONIALI ALLA GRANDE GUERRA
Nel 1871 il Regio Esercito Italiano adottò le stellette metalliche sul colletto quale distintivo di appartenenza alle Forze Armate. Esse furono quindi sovrappo ste alle fiamme cremisi. Il Corpo fu riorganizzato in 10 reggimenti su 3 o 4 bat taglioni.
Nel 1883 vennero costituiti ulteriori due reggimenti e questo ordinamento venne mantenuto sia pure con alcune varianti fino alla fine della 2a Guerra Mondiale.
I dodici reggimenti vennero formati come segue (i motti vennero concessi negli anni che seguirono la la Guerra Mondiale):
1° reggimento: 1°, 7°, 9° battaglione (motto ictus impetuque primus);
2° reggimento: 2°, 4°, 17° battaglione (motto nulli secundus);
3° reggimento: 18°, 20°, 25° battaglione (motto maiora viribus audere);
4° reggimento: 26°, 29°, 31° battaglione (motto Vis, animus impetus);
5° reggimento: 14°, 22°, 24° battaglione (motto nulla via impervia);
6° reggimento: 6°, 13°, 19° battaglione (motto certamina victurus adeo).
7° reggimento: 8°, 10°, 11° battaglione (motto celeritate Ac virtute);
8° reggimento: 3°, 5°, 12° battaglione (motto velox ad impetum );
9° reggimento: 28°, 30°, 32° battaglione'(motto invicte, acrjter, celerrime);
10° reggimento: 16°, 34°, 35° , battaglione (motto in flammis flammae);
11° reggimento: 15°, 27°, 33° battaglione (motto Quis ultra?);
12° reggimento: 21°, 23°, 36° battaglione (motto victoria nobis vita).
LE CAMPAGNE COLONIALI IN ERITREA 1884-1896
Dopo alcuni anni di vita di guarnigione, il corpo fu chiamato a partecipare alle campagne coloniali. Alla fine del 1884, il governo italiano iniziò la penetra zione in Eritrea, venendo presto in contatto con l'impero d'Etiopia una delle poche nazioni africane dell'epoca ancora indipendenti. Il 5 febbraio 1885 le trup pe italiane sbarcarono a Massaua sul mar Rosso. Tra di essi figurava il "Bat taglione bersaglieri d'Africa" composto da 4 compagnie appartenenti al 1°, al 4° al 7° e all'8° Reggimento e comandato dal Ten. Col. Emilie Putti.
Ben presto le ostilità tra i ras abissini e le forze italiane divennero una realtà.
Alla fine del 1887 Ras Alula, capo degli Hamasien, intimò alle truppe italia ne di ritirarsi da Saati. Il comandante italiano, Magg. Boretti, ovviamente rifiutò e sostenne l'urto dei nemici che vennero sconfitti con molte perdite il 25 gen naio 1887.
II giorno seguente, Ras Alula, tese un imboscata con 10.000 guerrieri ad una colonna di fanteria, forte di 500 uomini nella località di Dogali, tra Moncullo e Saati. I fanti combatterono per diverse ore fino ad esaurire le munizioni e poi, inastate le baionette continuarono la lotta fino alla fine. Il comandante della colonna, Ten. Col. De Cristoforis, 21 ufficiali e 418 militari caddero sul campo. Solo pochi scampati, quasi tutti feriti, riuscirono a raggiungere Moncullo per dare la tragica notizia. Dall'Italia giunsero altre truppe e tra queste altri due battaglio ni bersaglieri così costituiti:
2° battaglione su 4 compagnie del 1°, 3°, 4°, 6° reggimento;
3° battaglione su 4 compagnie del 9°, 10°, 11°, 12° reggimento.
Questi nuovi battaglioni, aggiuntisi a quello già operante in Eritrea, costitui rono un reggimento che fu posto agli ordini del Col. Oreste Baratieri.
La guerra proseguì con l'occupazione italiana di Cheren. Nel 1890 il gover no italiano e quello etiopico firmarono un trattato con cui il Negus riconosceva il possedimento italiano sull'Eritrea.
Nel frattempo però in Sudan, la rivolta del Mahdi aveva già provocato la caduta di Khartoum e i successivi sviluppi della rivolta sudanese portarono a scontri di confine con la colonia italiana. Dal giugno 1890 al luglio 1894, le forze italiane combatterono ad Agordat, Halat (dove si distinsero reparti del Reggimen to Bersaglieri) e Sarobetì. Nel 1894 gli Italiani, entrati in Sudan, occuparono Kassala, la base principale dei Dervisci nell'est del Sudan dopo averne sconfitta la guarnigione, forte di 1600 uomini.
Ma lo scontro con l'Etiopia era solo rimandato; infatti a causa di differenze di interpretazione del trattato di Uccialli sulla sovranità dell'Etiopia, la guerra divampò nuovamente nel 1895.
Le forze italiane sconfissero le bande di Ras Mangascià a Coatit ed a Senafé dove i battaglioni di Ascari comandati da due ufficiali dei Bersaglieri, il Capitano Prestinari e il Maggiore Hidalgo, si portarono benissimo e furono decorati al valore.
Le sconfitte subite da Ras Mangascià indussero allora l'Imperatore Menelik a marciare con un esercito di 150.000 uomini contro il piccolo corpo di spedizio ne italiano.
Gli Etiopi erano armati di fucili a ripetizione acquistati in Belgio, in Francia e, pare incredibile, in Italia! Altrettanto incredibilmente, il governo italiano fornì a Menelik un carico di 4 milioni di cartucce da fucile, poche settimane prima del l'inizio delle ostilità. Sebbene questa campagna finì tragicamente per l'esercito italiano, la responsabilità della sconfitta non può essere attribuita alle truppe che fecero il proprio dovere con coraggio. Le responsabilità semmai vanno ricercate nelle carenze dei comandi. La preparazione della campagna fu piuttosto affret tata e le forze ne risentirono. Le unità mobilitate inviate in rinforzo erano forma te da personale raccogliticcio, tratto da diversi reparti e spedito in colonia senza il necessario periodo di amalgama.
Le truppe sbarcate in Eritrea, si videro costrette a consegnare in magazzino il nuovo fucile mod. 91 a ripetizione di cui erano dotate e vennero riarmate con
il vecchio fucile Verterli 80/87 dotato di un serbatoio di 4 cartucce.
Agli inizi della campagna (7 dicembre 1895) Ras Makonnen avanzò con 40.000 uomini verso l'Amba Alagi, un avamposto italiano dove la guarnigione italiana, comandata dal Magg. Toselli, era forte di soli 1.600 uomini. L'ordine di ritardare il nemico e ripiegare, inviato dal comando, non giunse mai a destinazio ne e così il battaglione Toselli resistette sul posto fino alla fine cadendo sul campo insieme al suo comandante. Poi gli Etiopici assediarono il forte di Macallè dove la guarnigione italiana, guidata dal Magg. Galliano resistette per 45 giorni, abbandonando il forte solo dietro ordine di Roma. Intanto due battaglioni Bersaglieri agli ordini del Col. Antonio Stevani, il 25 febbraio attaccarono e sconfissero alcune bande abissine a Mai Maret. Dopo questi combattimenti, il comandante delle forze italiane in Eritrea, Gen. Baratieri, (già comandante del reggimento bersaglieri), spinto dalle pressioni che giungevano da Roma per una rapida decisione del conflitto, ordinò l'avanzata su Adua.
Le forze italiane vennero divise in quattro colonne, guidate dai generali Ellena, Arimondi, Dabormida, e Albertone. La decisione sull'azione fu presa in un tempestoso incontro nel corso del quale Baratieri non riuscì a imporre piena mente la sua visione ai propri comandanti subordinati. Il piano prevedeva di marciare separatamente verso Abba Garima, una località a pochi chilometri da Adua, e poi riunirsi per colpire il nemico. Poiché Baratieri non si attendeva uno scontro prima di essere giunto ad Abba Garima, non ci fu alcuna ricognizione a lungo raggio. Un altro grave errore fu quello di aver lasciato a Massaua gli eliografi che avrebbero consentito il collegamento tra le colonne. Oltre a ciò, le carte topogra fiche distribuite agli ufficiali erano così imprecise che i comandanti ebbero note voli difficoltà di orientamento. Durante la marcia notturna due delle quattro colonne sbagliarono strada e persero il collegamento con il resto delle forze. La colonna di Albertone avanzò ben oltre l'allineamento previsto dal piano, ingag giò il combattimento col nemico in condizioni di inferiorità e provocò l'attacco abissino.
Fu così che il Negus Menelik con circa 100.000 uomini potè attaccare ed annientare separatamente le quattro colonne in 4 combattimenti separati al colle Chidane Meret, nel vallone di Mariam Sciavitù, sul monte Raio e sul colle Ebbi Arienni. Sebbene gli Italiani inflissero più di 17.000 perdite al nemico, ne sub irono, per contro 7.900.
I due battaglioni bersaglieri (Magg. De Stefano e Ten. Col. Compiano) che presero parte alla battaglia, combatterono con la brigata Arimondi sul monte Raio. Entrambi i battaglioni ebbero un combattimento d'incontro con i guerrieri etiopici sulla cima di monte Raio. Quaranta bersaglieri della la cp. del 2° btg., scalato il picco roccioso di Mariam Combur, morirono tutti nel combattimento corpo a corpo che si sviluppò con il nemico nel tentativo di tenere il possesso della cima.
Il resto del battaglione sostenne lo scontro sparando a tiro rapido contro le ondate nemiche e infliggendo loro perdite pesantissime. Alla fine, esaurite le munizioni, il battaglione combattè alla baionetta fino a quando non venne spaz zato via. Il Tenente Colonnello Compiano venne ucciso mentre, già ferito, si bat teva con la sciabola.
Con lui caddero altri 43 ufficiali dei due battaglioni, che vennero distrutti. Gli Abissini chiamarono Adua "la battaglia dei leoni contro i leoni". Questo non impedì loro di evirare molti prigionieri e di amputare una mano e un piede agli ascari eritrei fatti prigionieri.
Dopo la battaglia l'avamposto di Adigrat venne circondato dagli Abissini, ma il suo comandante, il maggiore Marcello Prestinari resistette per più di un mese fino all'arrivo di una colonna di soccorso.
Il disastro di Adua inflisse un danno enorme al prestigio italiano e costrinse Roma a firmare un trattato che riconosceva l'indipendenza dell'Etiopia. Il gene rale Baratieri finì di fronte ad un tribunale militare, ma venne assolto.
le spedizioni a creta e in cina
Nel 1897 l'Italia inviò a Creta un corpo di spedizione per riportare la pace dopo i violenti scontri tra la popolazione greca e i Turchi. Il corpo di spedizione com prendeva anche unità francesi, britanniche, germaniche, austro-ungariche e russe.
Il contingente italiano era basato sul 12° btg./8° rgt. bersaglieri, comandato dal Ten. Col. Brusati, che sbarcò a Suda il 25 aprile 1897.
Durante la permanenza a Creta la popolazione turca insorse contro il contin gente britannico che presidiava la fortezza di Candia (l'attuale Iraklion), ucciden do 3 ufficiali, 37 militari di truppa e ponendo sotto assedio il forte con circa 8000 assalitori. Il battaglione bersaglieri, venne incaricato dal comando multinaziona le di portare aiuto alla guarnigione assediata.
Un reparto di 400 bersaglieri si imbarcò a Canea e sbarcò di notte su una spiaggia non presidiata a 17 km dal forte. Dopo una marcia celere durata solo due ore giunse inaspettato al forte prendendo di sorpresa i Turchi e liberando dall'as sedio la guarnigione. La popolazione greca di Creta soprannominò i bersaglieri "palicari" dal nome dei soldati dell'eroe nazionale greco Georges Castrioto.
Dopo la composizione della crisi nel dicembre 1898, il corpo di spedizione fece ritorno in Italia.
Nel 1900 in Cina scoppiò una violenta ribellione contro le potenze europee. La setta nazionalista dei "Boxers" appoggiata dal governo imperiale cinese e dai sacerdoti tentò di arginare la penetrazione europea nel Paese uccidendo missio-nari, commercianti e cinesi convertiti alla religione cristiana. Iniziata la rivolta, i boxers assediarono il quartiere delle legazioni a Pechino dove erano ubicate le ambasciate europee, quella giapponese e quella statunitense.
Ben presto una forza di intervento multinazionale a cui presero parte truppe giapponesi, statunitensi, russe, britanniche, francesi, tedesche, austro-ungariche e italiane salpò verso la Cina. L'esercito italiano inviò un reggimento di formazio ne comandato dal colonnello dei bersaglieri Vincenzo Garioni, su un battaglione di fanteria, uno di bersaglieri (Magg. Luigi Agliardi) e una compagnia mitraglie ri che, salpato da Napoli il 19 luglio 1900, giunse a Ta-Ku, vicino a Tien-Tsin il 29 agosto.
Il battaglione bersaglieri era composto dalle seguenti compagnie:
lla Compagnia del 2° Reggimento;
8a Compagnia del 4° Reggimento;
T Compagnia del 5° Reggimento;
T Compagnia dell'8° Reggimento.
Il Comando di battaglione era composto da personale tratto da vari reparti.
Il supporto logistico alla spedizione venne sottostimato e ciò causò problemi alle truppe sul terreno. Comunque i bersaglieri attaccarono e occuparono il forte di Chan-ai Kouan, tenuto da truppe regolari cinesi il 2 settembre 1900 e assunse ro il controllo della località di Tu-Liu otto giorni dopo. Il battaglione bersaglieri mantenne il controllo della località per consentire ad un'unità del genio britanni co di distruggere l'arsenale. Nell'ottobre seguente le truppe italiane presero parte all'occupazione di Pao Ting Fu insieme a altri contingenti alleati.
Nel 1901, dopo la fine della rivolta e l'occupazione di parte del porto fluvia le di Tien-Tsin (che divenne possedimento italiano fino al 1943) il corpo di spe dizione rientrò in Patria.
LA RIORGANIZZAZIONE DEL CORPO ALL' INIZIO DEL SECOLO
Negli ultimi anni dell'800 il Capitano Camillo Natali, in servizio alla Scuola militare di Parma, costituì e addestrò una "compagnia sperimentale ciclisti" che si comportò brillantemente durante le manovre del 1899. Così nel 1905 in ogni reggimento venne costituita una compagnia ciclisti. Le prime biciclette militari furono prodotte dalla ditta "Carraro", poi fu introdotta in servizio quella prodot ta dalla "Bianchi", chiamata Mod. 12, che si caratterizzava per il fatto di essere pieghevole e di consentire di appendere equipaggiamento ed armamento ad appositi attacchi.
Nel 1910 ciascun reggimento costituì un battaglione ciclisti che prese il numero del relativo reggimento. I battaglioni ciclisti furono formati su base ter naria trasformando in ciclisti le quarte compagnie dei tre battaglioni appiedati di ciascun reggimento. La 4a compagnia dei battaglioni a piedi fu contratta a qua dro e di previsto completamento in caso di mobilitazione.
Nel 1909 il Regio Esercito adottò una nuova uniforme, il cui scopo era quel lo di rendere meno visibili le truppe sul terreno e di fornire un più pratico e moderno vestiario ai militari. La nuova "grìgio-verde" venne introdotta insieme ad un nuovo equipaggiamento in cuoio dello stesso colore.
I bersaglieri anche su questa uniforme mantennero il copricapo speciale e il fez sull'uniforme da fatica. Per gli ufficiali e i sottufficiali venne adottato un chepì grigioverde, simile per foggia al modello blu turchino già in distribuzione.
L'armamento non subì sostanziali modifiche e consisteva del fucile a ripeti zione mod. 1891. Nei reggimenti bersaglieri, i battaglioni a piedi erano dotati del fucile da fanteria mentre il battaglione ciclisti era armato con il moschetto da cavalleria.
Durante la I^ Guerra Mondiale questa regola venne sostanzialmente seguita anche se con diverse eccezioni.
Gli Ufficiali erano armati con la nuova pistola automatica "Glisenti" mod. 1910, e successivamente, durante la guerra, con la ben più affidabile Beretta mod. 15. Entrambe le armi erano camerate per la cartuccia 9 mm Glisenti, una versione depotenziata della 9 mm parabellum.
LA CAMPAGNA DI LIBIA
Nel 1911 il governo italiano informò la Sublime Porta che l'Italia era costretta ad occupare la costa libica e le principali città per proteggere i residenti italianiche vi risiedevano, le cui vite e proprietà erano minacciate dalla popolazione arabo. 1 Turchi ovviamente non concessero il permesso e così la guerra tra Italia e Impero ottomano prese l'avvio. Le truppe italiane sbarcarono a Tripoli, Homs, Misurata, Bengasi, Dema e Tobruk. L'esercito italiano iniziò questa campagna con due divisioni per un totale di circa 35.000 uomini, comprendenti due reggi menti bersaglieri, l'8° e l'I 1°, ciascuno dei quali era composto da: Comando di reggimento;
3 battaglioni a piedi (il battaglione "ciclisti" rimase in patria); compagnia mitraglieri; salmerie.
Ciascun reggimento aveva una forza di 54 ufficiali e 1868 tra sottufficiali e truppa.
L' 11 ° reggimento bersaglieri (comandato dal Col. Gustavo Farà) sbarcò a Trìpoli il 12 ottobre 1911 e occupò il fotte di Mesri, il villaggio di Menni e la località di Sciara Sciat. Il 23 ottobre i reparti turchi attaccarono il reggimento da est e, nel frattempo, irregolari arabi assalirono da tergo le posizioni del reggimen to che fu costretto a combattere su due fronti per più di 14 ore, in scontri feroci all'arma bianca. Al termine della giornata entrambi gli attacchi erano stati respin ti anche se a costo di gravi perdite (circa 400 caduti e 200 feriti).
I combattimenti di Sciara Sciat furono tra i più duri della campagna e gli irre golari arabi si abbandonarono a massacri indiscriminati di feriti e prigionieri caduti nelle loro mani. Le compagnie bersaglieri, quando ripresero il pieno controllo del settore, trovarono i cadaveri dei propri commilitoni crudelmente mutilati.
Il reggimento venne ricompensato con la medaglia d'oro al valore militare per la bella condotta nella giornata di Sciara Sciat. Questo episodio rese tuttavia più crudele il conflitto e anche le truppe italiane applicarono la rappresaglia sui ribelli catturati.
Il 4 dicembre il reggimento fu impiegato in un'incursione contro Ain Zara, presidiata da unità turche. L’ 11° effettuò l'avvicinamento nelle ore notturne, marciando 11 ore nel deserto e all'alba attaccò i Turchi, prendendoli di sorpresa e occupando in breve il villaggio.
L'8° reggimento, agli ordini del Colonnello Giovanni Maggiotto, sbarcò ad Homs il 21 ottobre 1911 e occupò la città. Si spinse successivamente verso l'in terno conducendo incursioni nel deserto verso Ras El Mergheb e Lebda, dove attaccò e sconfisse i Turchi. Per queste azioni il reggimento fu ricompensato con una medaglia di bronzo al valore militare.
Nella primavera del 1912 l'11° reggimento, unitamente al 28° battaglione del 9° bersaglieri, appena affluito dall'Italia, prese parte a diverse azioni contro le truppe turche a Sidi Said e a Zuara.
Sull'altro fronte della Guerra Italo Turca, quello Egeo, il 4° reggimento ber saglieri, agli ordini del Col. Iginio Maltini, sbarcò a Rodi il 4 Maggio 1912 sconfiggendo facilmente la locale guarnigione turca e occupando l'isola.
La campagna di Libia continuò per tutto Tanno contro le bande di irregolari arabi che operavano continue scorribande contro gli avamposti italiani, che rispondevano con incursioni e contrattacchi. Il 23 marzo del 1913 ad Assaba, in uno di questi scontri, due battaglioni dell' 11° reggimento bersaglieri attaccarono alia baionetta e distrassero una grossa formazione di guerriglieri arabi, guada gnando un'altra medaglia di bronzo al reggimento.
Alla fine della guerra la maggior parte delle truppe rientrò in Italia, ma la parte più interna della Libia continuò ad essere poco sicura causa delle bande di guerriglieri che continuavano la guerra contro gli infedeli.
Pertanto in Libia rimasero diverse unità dell'Esercito e tra queste i seguenti reparti bersaglieri:
1° reggimento: 1°, 7°, 9° battaglione;
2° battaglione /2° reggimento ;
22° battaglione/50 reggimento;
3° battaglione /8° reggimento;
15° battaglione/11° reggimento;
A Rodi rimase il 4° reggimento (26° e 31° battaglione; gli altri battaglioni rientrarono in Italia).