DIVAGAZIONI

LA BICICLETTA

Per il mio cinquantesimo compleanno mi hanno regalato una bicicletta.

Non me l'aspettavo. E' stata una vera sorpresa.

Una bici di quelle che si fanno oggi: 15 rapporti del cambio, sellino anatomico, ruota anteriore con sospensioni; insomma, una vera bellezza.

Ho fatto un giretto davanti al garage, giusto per provare a pedalare, poi l'ho attaccata al gancio col proposito di fare un bel giro alla prima giornata libera di questa, insolitamente grigia e fredda, primavera.

La domenica successiva sembrava il giorno ideale: moglie e figlia fuori città per una gara sportiva. Ero solo. Il cielo grigio ma senza pioggia. Pensavo a quello che facevo da ragazzo, in preda alle smanie adolescenziali: partivo dal centro della città puntando diritto alla periferia e pedalavo inoltrandomi in quartieri sconosciuti fino a quando la periferia cedeva finalmente ai primi campi coltivati. Allora, oramai completamente perso e privo di punti di riferimento, andavo un po' a zonzo sulle stradine di campagna. Solo quando la luce del cielo cominciava a scemare, iniziava il viaggio di ritorno.

Cercavo di seguire a istinto una direzione contraria a quella dell'andata e, prima o poi, succedeva sempre di incontrare una strada conosciuta o un cartello o un edificio, che mi indicavano l'esatta direzione.

Così, presi la mia bici nuova fiammante e mi preparai a riassaporare vecchi sapori e aromi dimenticati.

Ben presto, uscito dalle antiche vie del centro, con i palazzi di diversi stili ed epoche, mi ritrovai nella periferia grigia e anonima, fatta di lunghe vie diritte, di palazzi orrendi, di fabbriche chiuse e talvolta abbandonate, di cemento e di asfalto. Un paesaggio che forse, in fondo in fondo, mi piaceva.

Ero già perso, come una volta, e passavo da vie il cui nome era per me privo di qualsiasi significato. Mi resi anche conto che, negli ultimi anni, la periferia doveva essere cresciuta in modo esponenziale. Da ragazzo, in poco più di un'ora, ero già in aperta campagna. Ma forse, un elemento non secondario era, ora, la mia lentezza e pesantezza di cinquantenne. In effetti non ero minimamente allenato, da tempo non pratico alcuna attività fisica e la stanchezza cominciava a farsi sentire.

Più che altro per una questione di puntiglio, decisi che avrei pedalato fino a vedere i primi accenni di campagna: un prato, un filare di pioppi, o qualcosa del genere.

Continuai, pigiando sui pedali con ostinazione, anzi, con più vigore, visto che la luce del cielo cominciava già a diminuire annunciando la sera imminente.

Pensai che forse avevo inconsapevolmente girato in tondo e il fatto di non vedere il sole per il cielo coperto non mi aiutava ad orientarmi.

Cercai di mantenere il più possibile una direzione precisa ma la giornata già plumbea cominciò a perdere luce così rapidamente che fui costretto ad accendere il fanale. L'attrito della dinamo rendeva ancora più faticosa la pedalata. Non volevo mollare proprio adesso che il giro di boa, la meta provvisoria, doveva essere imminente.

Pedalavo nervosamente, senza piacere e senza guardarmi intorno, tutto teso, per uno di quegli scatti di cattivo umore che mi capitavano sempre più di frequente negli ultimi anni. Oramai era praticamente buio ma io pensavo: è impossibile che la campagna si sia ritirata così lontano, che la periferia sia cresciuta in questi anni in modo così mostruoso ed abnorme. Che ogni campo, ogni prato, ogni canaletta per l'irrigazione siano stati coperti di asfalto e di cemento. Che ogni filare di pioppi sia stato abbattuto, e pedalavo, in preda ad una cieca ostinazione che irritava prima di tutto me stesso.

Quando il freddo intenso della notte cominciò ad entrarmi nelle ossa e, per quanto io pedalassi con energia, non riuscii più, non dico a sudare, ma nemmeno a mantenere quel poco di calore che mi restava in corpo, capii che la periferia non avrebbe mai avuto fine, che mai più avrei saputo o potuto tornare indietro e che, presto, avrei visto cambiare l'architettura: che le fabbriche avrebbero ceduto il posto alle villette con giardino, e poi ai palazzi moderni, e infine ai viali storici tipici del centro di un'altra città a me totalmente sconosciuta.

-------------------------------------------------------------

Ci facciamo una figura retorica.

Exordium

«Io, lo studente che non sa niente, lo boccio! Punto!»

Oramai ne sono assolutamente certo: i folletti esistono. La Regina delle Fate, Oberon, Fiordipisello, Teladiragno, Fiordisenape, ma soprattutto Robin Goodfellow ovvero Puck, il diavoletto maligno e/o pasticcione, che screma il latte, che guasta la birra, che toglie lo sgabello da sotto il sedere delle signore, che fa impazzire lo stallone nitrendo «in guisa di giovane puledra»,che ti fa digitare il tuo numero di telefono al posto del codice segreto del postamat, lui, deve esistere. E anche se non esiste è come se esistesse, perché non c’è altra spiegazione, non ci sono altre possibilità. Solo lui può mettere sempre la chiave che mi serve all’ultimo posto del mazzo, la penna che cerco nell’ultimo cassetto, lasciare nella cucitrice solo l’ultima cambretta, far finire l’inchiostro della stampante quando ho una fretta maledetta e non ho cartucce di ricambio. Solo lui può far partire tutto un treno con un minuto di anticipo quando io arrivo sul binario con solo trenta secondi di anticipo. Solo lui può aver messo qualche polverina magica sulla lingua dello stimabile e stimato professore, dell’apprezzabile e apprezzato uomo di cultura, del brillante e responsabile esperto, dell’efficiente organizzatore e avergli fatto dire la banale frase sopra riportata. Non c’è altra possibile spiegazione. Da quando ho capito questa cosa ho capito anche tutta una serie di conseguenze o corollari di questo incontrovertibile dato di fatto. Il primo corollario è che i bocciati, dalla scuola o dalla vita, sono in genere dei gran simpatici e che non è quasi mai vero che non sanno niente: sanno altre cose, oppure quello che sanno non lo vogliono, o non lo possono, dire. In effetti questa è la costante, il bocciato tipico è uno che se la cava male con le parole. Solo adesso capisco perché il mitico professore di storia della musica (non lo stesso di prima, un altro, ma cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia) quando metteva i suoi due, tre, quattro in pagella e il direttore gli chiedeva angelico: «Come mai?» Il serafico rispondeva immancabilmente: «Diciamo che questo ragazzo non ha il dono dell’eloquenza. Ah! Ah!».

Così ho capito perché Purcell e il suo librettista, dopo averci sparato nelle orecchie una ouverture che finisce tutta tronfia nella tonalità ufficiale dei re, delle regine e delle cerimonie solenni (Re maggiore), corre subito a presentarci il bocciato tipico: uno «scu – scu – scurvy poet» non solo fallito e ubriaco, ma anche (con una scelta che si deve solo alla musica) balbuziente.

Che l’Opera sia una metafora della vita?

Propositio

«La settima tonalità – re maggiore – è per sua natura un po’ aspra e ostinata; è la più adatta alle cose guerresche, rumorose, movimentate. Tuttavia nessuno può negare che se al clarino (= tromba) si sostituisce il flauto e al posto del timpano si mette il violino, anche quest’aspra tonalità può introdurre a cose delicate. Il buon padre Kircher non ha posto questa tonalità fra le sue dodici, e neppure viene accolta fra i modi greci, e questo è uno dei difetti della musica antica.»[1] Così si esprime uno dei più grandi musicisti e teorici (i musicologi, fortunatamente, non erano ancora stati inventati) del periodo barocco, in uno degli innumerevoli trattati che si occupano, anche, di retorica musicale.

La musica, tutta la musica, non solo quella rinascimentale o barocca ma anche quella di Eminem o dei Pink Floyd, è piena di figure retoriche. La differenza è che al rockettaro non gliene frega niente di saperle riconoscere e nominare a parole (le usa e basta), mentre dal 1416 in poi, anno di riscoperta del trattato Intitutio oratoria di Quintiliano, centinaia e centinaia di trattati di retorica e di retorica musicale sono stati pubblicati in Europa. Per secoli i musicisti l’hanno studiata, applicata e talvolta insegnata. Spesso era una delle materie del curriculum scolastico. Insomma, fino alla fine del XVIII° secolo, e in molti casi anche dopo, è stato un codice di comunicazione largamente conosciuto, condiviso e praticato. Scopo di questo percorso dentro The Fairy Queen è quello di giocare un po’ con le figure retoriche e i principi di questo codice allo scopo di scoprire una chiave di lettura che certamente Purcell e i suoi ascoltatori utilizzavano e che magari ci può tornare utile anche quando ascoltiamo Ligeti o Casadei.

Innanzi tutto la retorica a cosa serve? A convincere, a farsi capire meglio, a commuovere ed emozionare l’ascoltatore. Chi la usa oggi? In pratica tutti, ma quelli che ne sono più consapevoli sono di solito gli esperti di marketing, i pubblicitari, i preti, i politici, i sindacalisti, i conferenzieri, gli scrittori, i poeti, ecc. oltre ovviamente a tutti quelli che sono specializzati nell’usare le parole per raccontare palle (mi astengo prudentemente dal fare l’elenco delle professioni connesse a quest’ultima pratica).

Uno dei tanti trattati racconta più o meno così le parti del discorso (verbale o musicale che sia):

Exordium: è la parte iniziale del discorso o del brano o dello spettacolo. Deve colpire e catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Con le parole si possono dire cose spettacolari o scherzose o strane: il bellissimo libro del giornalista Tiziano Terziani In Asia comincia così: «Diventai giornalista perché alle corse podistiche arrivavo sempre ultimo.» (anche lui nella famiglia dei bocciati). Nella musica si possono usare figurazioni virtuosistiche e/o imprevedibili come ad esempio l’inizio della celebre Toccata e Fuga in re minore BWV 565 di J.S.Bach. Nella commedia dell’arte (che si regge sulle regole della retorica) gli attori entrano in scena con acrobazie, salti, grida, ecc. L’exordium del Film Harold e Maude (1971) di Hal Ashby è uno dei più spiazzanti che io ricordi. Una volta, in classe, da uno dei ragazzini più irrequieti e scatenati al quale avevo chiesto di dire qualcosa che nessuno si aspettava da lui, qualcosa di sorprendente per i compagni, insomma un tipico exordium, è arrivata la seguente risposta: (i compagni avevano fatto improvvisamente silenzio e lui si guardava in giro in cerca di un’idea, poi, tutto di un fiato) «La potenza di una potenza è una potenza che ha per base la stessa base e per esponente il prodotto degli esponenti» Crollò poi sulla sedia esausto fra gli applausi frenetici dei compagni.

Nei programmi televisivi «che fanno audience» (giochi, quiz, ecc.) l’exordium tipico è una zoomata su una bella ragazza vestita quanto basta per affrancare una lettera. Quest’ultima particolare strategia era rigorosamente classificata dagli antichi come captatio benevolentiae.

Propositio: è quando l’oratore espone la sua tesi, il suo argomento. In musica è quando appare il tema principale, la parte A dell’aria col da Capo, la fuga contrappuntistica dopo la toccata improvvisativa. Al cinema o in teatro è quando cominci a capire qualcosa di cosa sta succedendo: ad esempio chi sono i buoni e chi sono i cattivi. In TV quando il conduttore di quiz formula finalmente le domande di rito.

Confutatio: è quando l’oratore prende in considerazione le possibili obiezioni alla sua tesi, gli argomenti che in realtà non centrano con il suo. In musica è quando appaiono materiali sonori nuovi e contrastanti con quelli precedenti della propositio: i divertimenti nella fuga, la parte B nelle forme tripartite (liedform), ecc. Nelle storie è l’evento imprevedibile che improvvisamente fa cambiare direzione alla storia. Ad esempio Puck che mette il succo magico sugli occhi di Lisandro invece che su quelli di Demetrio combinando uno dei suoi soliti pasticci. In Il favoloso mondo di Amelie (2000, di Jean Pierre Jeunet) è il ritrovamento casuale di un album di strane fototessere che cambia tutta la storia. Colpo di scena si chiama a teatro.

Confirmatio: nelle discussioni di una tesi è quando, dopo aver smontato tutte le obiezioni del correlatore (o contro relatore) il candidato riconferma la correttezza e la bontà dei propri argomenti eventualmente aggiungendo nuovi sviluppi dello stesso materiale. In musica è il ritorno della parte A nell’ABA, la ripresa nella forma sonata, gli stretti nella fuga, ecc. Sono Oberon e Puck che rimettono a posto gli amori incrociati provocati, per il nostro divertimento, sulla scena. Gran parte dei dibattiti politici sono una regolare alternanza di Propositio del ministro di turno, Confutatio da parte dell’oppositore di turno, Confirmatio del ministro, ulteriore confutatio, ulteriore confirmatio, ecc. fino a quando tutti parlano sopra tutti, tutti, in un vero e proprio climax, dicono la loro contemporaneamente e nessuno più li sta a sentire. A quel punto si manda la pubblicità (anticlimax).

Peroratio: quando oramai l’oratore di turno ti ha convinto, è certo che voterai per lui o che ti iscriverai alla sua associazione o sindacato, o che sottoscriverai la polizza vita che ti propone, allora, può fare sfoggio di bravura e buttarsi in un finale travolgente, imprevedibile, brillante, virtuosistico. Ritorna un po’ il clima iniziale dell’exordium, libero, acrobatico, fantasioso. Nei concerti di musica classica è la parte dei bis, quando, con il pubblico oramai completamente sedotto, si può anche suonare in maniche di camicia o suonare le musiche più strane e strampalate. In un concerto del clavicembalista Sergio Vartolo la perorazione finale è stata l’esecuzione di per Elisa di Beethoven eseguita al clavicembalo da clavicembalista (con i fraseggi barocchi e i ritornelli più fioriti di una serra della Liguria) in omaggio «a tutti i pianisti che suonano col pianoforte la musica scritta per clavicembalo». Un’ora dopo il concerto il pubblico discuteva ancora se era giusto o no suonare Beethoven in quel modo.

Dentro in questo, che è solo una delle tante possibili dispositio del discorso retorico (anche se, a dire il vero ci si discosta poco da questo schema semplificabile in exordium, narratio e conclusio) troviamo poi le figurae che caratterizzano l’elocutio. Secondo Roland Barthes (1972) e tutta la tradizione trattatistica le figure retoriche sono necessarie perché la comunicazione normale è «neutra, opaca, e deve quindi essere colorita, ornata, fiorita: pertanto la funzione della retorica è introdurre nel discorso colores, lumina e flores, “bellezze” che ricoprano la nudità del linguaggio prosaico.»[2]

Questa idea che il linguaggio, qualsiasi linguaggio, vada fiorito, ornato, reso elegans quando è troppo simplex è una costante della musica rinascimentale, barocca e classica; come sanno bene tutti gli esperti delle prassi esecutive più antiche. Innumerevoli sono i trattati per «ben fiorire» quanto scritto in partitura. La parola fiore è presente in tutte le sue varianti e sfumature[3] Abbiamo perfino la documentazione di una fioritura eseguita dallo stesso Purcell. «Nell’ode Hail Bright Cecilia (1692), il famoso ‘Tis nature’s voice venne cantato da Purcell stesso con «fioriture incredibili» che sono per fortuna giunte fino a noi. Le parole dell’arioso trattano del potere della musica di “esprimere passioni” cosa di cui Purcell fornisce qui un esempio da manuale.»[4]

Alcune figure retoriche.

Anadiplosis: si ha quando la fine di una frase viene ripetuta all’inizio della frase successiva. «Qual è la scintilla che fece scoppiare la prima guerra mondiale? La scintilla che fece scoppiare la prima guerra mondiale fu…»

Anaphora: si ha quando l’inciso o la parola iniziale viene ripetuta all’inizio di frasi successive. Sia in musica che in retorica raramente si trovano più di tre ripetizioni. E’ quello che Leonard Bernstein chiamava il trucchetto «Attenti! Pronti!Via!» cioè si sente una cellula melodica, si sente la sua ripetizione esatta, la terza volta viene ripetuta con varianti e/o aggiunte e si va da un’altra parte. Gli esempi nella musica classica e in tutto il repertorio tonale sono continui e onnipresenti. A pagina 81 della partitura[5] (Dover) Sara canta una anaphora bellissima ripetendo tre volte la parola «soft». Dopo la terza volta la melodia prosegue oltre diversamente. Da manuale. La parte dei violoncelli e contrabbassi di pag. 36 fa lo stesso giochetto su delle armonie che sono esattamente il «giro di do» delle canzonette di oggi.

Aposiopesis: in retorica indica un’improvvisa interruzione del discorso, in musica si ha quando tutte le voci tacciono. Nell’opera ce n’è una meravigliosa: quella a pag. 61 dove le lunghe pause evocano il sonno di Titania e ci fanno ascoltare il silenzio. Semplicemente geniale. Purtroppo l’aria è stata tagliata nella riduzione di Opera Domani.

Ellipse: sia in retorica che in musica indica l’improvvisa interruzione del discorso e il passaggio a qualcos’altro. La scena del poeta ubriaco ne è piena perché ogni volta che si passa dal canto del poeta a quello delle varie fate la scrittura musicale cadenza e cambia radicalmente figurazioni. (pagg. 18-19, 21, 22)

Anabasi - Gradatio – Auxesis – Climax: salita graduale (Climax = scala) verso l’acuto che in musica, come tutti sanno, è convenzionalmente posto in alto.

A pag. 25 questa figura, anziché essere usata per innalzare gli animi verso il cielo, è usata per descrivere il dolore sempre più acuto dei pizzicotti mollati dalle fate al poeta.

Una anabasi molto efficace si trova a pag. 29-30 dove le fate incitano, salendo gradualmente verso l’acuto, il poeta a confessare. Raggiunto il picco segue una catabasi o anticlimax (vedi dopo): un perfetto arco melodico che non lascia al poeta nessuna via di scampo.

Interrogatio: già nota alla simbologia del canto gregoriano e alla teoria del ‘500 (Calvisius). In genere si afferma che la domanda viene posta una seconda più in alto della sillaba precedente. Carissimi, nello Jephte, non viene mai meno a questo principio e perciò si guadagno la fama di perfetto «oratore musicale». In Purcell le due fate che, a pagina 25, chiedono: «what, what?» lo fanno quasi sempre su intervalli ascendenti; esattamente come accade alla normale prosodia del parlato quando si fa una domanda. A Messina anche quando si fa una affermazione, il che spesso induce i turisti nordici a rispondere a domande che, in realtà, non sono mai state formulate.

Parenthesis: Mattheson sostiene che quei punti del discorso che l’oratore pronuncia a voce più bassa debbano venire trattati analogamente anche dal compositore, magari scrivendo una frase nel registro più grave di quella determinata voce. A pag. 25, quando il poeta si arrende ai pizzicotti e decide di confessare («I do, I do, I do confess») le ultime tre parole sono cantate scendendo di registro, proprio come qualcuno che oramai è rassegnato ad ammettere la triste verità.

Parafrasi: spezzettamento e amplificazione del discorso, serve soprattutto a ribadire un pensiero o a sottolineare un contrasto. Esempio tratto da Forkel: [6]

A pagina 10, nella seconda battuta dell’ouverture del primo atto, la seconda tromba risponde alla prima parafrasando elegantemente quello che la prima tromba ha appena fatto sentire. A pagina 21, il poeta, sulla terza ripetizione (Anaphora) di «We must play» la parola play viene fiorita con un vocalizzo a ritmo puntato che, da un punto di vista musicale, è anche una parafrasi e un ampliamento dei due segmenti melodici precedenti.

Paronomasia: per Forkel «E’ quella figura che ripete una frase, ma non tale e quale, bensì con qualcosa di nuovo che gli dà più forza. Queste aggiunte possono essere singoli suoni oppure venire espresse da una dinamica più forte o più piano.»

In molti casi i brani di Purcell si concludono con la melodia principale, inizialmente cantata dal solista, ripetuta da tutto il coro. A pag 162-163 il Cinese canta «Thus the gloomy world At first began to shine»l La frase viene ripetuta poche battute dopo ma sulla parola gloomy il vocalizzo è diverso e più ricco ritmicamente e melodicamente; appaiono dei ritmi puntati quasi a voler sfidare in una gara di agilità la tromba solista che subito dopo tenterà di rispondere a questa “provocazione”.

Sinonimia: e una sorta di ripetizione variata nella sua disposizione. Esempio tratto da Forkel[7]

A pag. 104-105 le semicrome per terze parallele fra violini e trombe spostandosi una terza sotto sono il caso tipico.

Imesis o Suspiratio: Si ha quando con pause si spezza la parola come per un singhiozzo:

Esempio da Vogt[8]:

A pag. 150, Dopo il primo O di «O let me weep» c’è la tipica suspiratio di dolore. Invece nel «tu – tu – turn me round» di pag. 22 le pause che spezzano la parola turn servono solo a far ridere: è la balbuzie del poeta che sta lavorando, non la sua sapienza oratoria.

Durezza o Parrhesia (= licenza) Per Burmeister, si ha Parresia quando, in brani polifonici, ad un accordo di quinta, che deve essere giusta e perfetta in tutte le parti, si aggiunge per pura licenza una dissonanza come una settima o altro.

A pag. 41 C’è una parrhesia da far svenire: i violini suonano insieme do e re mentre i bassi suonano si. Tutto è in qualche modo giustificabile ma quel do dissonanza che non risolve neanche nella battuta dopo e che viene ribattuto più e più volte sembra proprio seguire il consiglio di Giovanni Battista Fasolo quando scrive in partitura «Fatte godere le ligature[9]» cioè fate godere all’ascoltatore le dissonanze tenendole il più possibile.

Un’altra durezza molto bella e molto espressiva si trova a pag. 53 quando Alison canta la parola Your su un sol che frigge di languore contro l’accordo di la bemolle dell’accompagnamento.

Anticlimax - Catabasis: (= discesa) è una frase musicale che scende verso il grave.

A pag. 27 la confessione del poeta («I am a scu – scu – scurvy poet») avviene su una catabasi perfetta che scende gradualmente verso il registro grave coprendo l’estensione di una intera ottava. Più sconsolato e perdente di così non si potrebbe.

Circulatio – Kyklosis (= circolo, circolarità) Figura che dovrebbe illustrare un testo riferito a una qualsiasi circolarità, rotondità, ecc. nel corso della sua storia avrà successivi sviluppi sia nel numero di note che la compongono (dall’iniziale mezzo circolo di quattro con la seconda e la quarta sulla stessa altezza – a otto, sedici e più note.) non lontana è l’apparizione del Groppo o Gruppetto che è un abbellimento musicale che ancora oggi gli studenti devono dimostrare di conoscere agli esami di teoria e solfeggio.

Sembra una cavolata e invece Purcell gli è fedelissimo: a pag. 19 sulla parola around; a pagina 21,22 sulla parola round; a pag. 124 sulla parola return; a pag. 135 sulla parola round; a pag. 168 ancora sulla parola round; a pag. 191 sulla parola turn;

Exclamatio – Ecphonesis: di solito è l’intonazione di una nota scritta a partire da una terza o una quarta sotto.

A pag. 150, dopo la prima o del lamento, la seconda presenta sempre questo abbellimento che è la cristallizzazione e la trasposizione musicale di uno dei comportamenti più naturali della voce: raggiungere una altezza gradualmente partendo da un tono di voce leggermente più grave. (Il famoso portamento proibito da tutti i direttori di coro).

Messa di voce: Tosi, nel suo Opinioni de cantori antichi e Moderni (Bologna, 1723) dice: «Coll’istesse lezioni gl’insegni l’arte di metter la voce, che consiste nel lasciarla uscir dolcemente dal minor piano, affinché vada a poco a poco al più gran forte, e che poscia ritorni col medesimo artificio dal forte al piano. Una bella messa di voce in bocca a un professore , che ne sia avaro e non se ne serva che sulle vocali aperte, non manca mai di fare un ottimo effetto.».

C’è solo l’imbarazzo della scelta. Ogni volta che una nota è abbastanza lunga per poterla fare ecco la messa di voce. In assoluto l’abbellimento più gettonato di tutto il periodo barocco. Esempi a pag. 16,17,38,54,82,87,140,141,143.

Confutatio

Il Maestro si trovava nella sua auletta, all'interno della grande biblioteca scolastica. Stava leggendo il Corriere del giorno prima e sorseggiava una lattina di cocacola. Gli allievi erano tutti fuori a lavorare per lui sullo schedario della biblioteca. Era solo. Alla sua destra, alla sua sinistra e alle sue spalle scaffali stracolmi di preziosissimi volumi lo lasciavano del tutto indifferente: stava leggendo le notizie sportive. Attorno a lui un silenzio di tomba. Fu forse solo per riempire un poco quel silenzio un po' sinistro che il Maestro cominciò a dondolarsi appena sulle due gambe posteriori della sedia. Quanto bastava per produrre un lieve cigolio a 69 di metronomo. Le preziose rilegature in pelle dei volumi lo osservavano immobili e corrucciate.

In particolare era il ponderoso volume del "Transilvano" di Girolamo Diruta (nella prestigiosa edizione ,rilegata in cartone e tela rossa con borchie di ottone dorato) ad essere infastidito da quel rumoroso (ogni quattro cigolii della sedia un sorsetto di coca per marcare il tempo forte della battuta) lettore sportivo. Per di più il volume era pericolosamente sporgente, visto il formato molto grande, e da quella posizione di equilibrio instabile non sopportava di vedere quel dondolio esaperante esattamente sotto di lui.

Fu proprio mentre il Maestro voltava pagina con la mano sinistra e sorseggiava un goccetto tenendo la lattina con la destra che la notizia di un gol strepitoso provocò un piccolissimo errore nell'operazione della deglutizione. Sulle prime non successe niente. Il Maestro restò immobile qualche secondo, lo sguardo fisso in avanti. Era come se il tempo si fosse fermato. Dopo di che, fece uno scatto all'indietro con la testa, mollò la pagina di giornale, accartocciò la lattina con la mano destra, le gambe della sedia scivolarono in avanti, la nuca del Maestro batté in rapida successione tre mensole dello scaffale alle sue spalle, la cocacola che ancora era nel cavo orale fu scaraventata con uno spruzzo da Guiness dei Primati verso il soffitto e si depositò in modo indelebile su tutti gli incunaboli, i trattati, le cinquecentine, e i liber usualis.

Il celebre "Transilvano" non resse. Offeso e incattivito, macchiato e umiliato come non gli era mai capitato dopo la prima edizione del 1593, si lasciò andare e piombò perpendicolarmente sul cranio dell'intruso. Rimbalzò e ricadde, aperto a pagina 69, sulla pancia da eclisse del Maestro. Il dolore riportò alla coscienza il Maestro, che lesse la prima riga: "Quarto tuono: rende l'armonia lamentevole, mesta, dogliosa. E' di sua natura commuovere al pianto."

Ahi, ahi, ahiahiahiahiahi, iahiiii.

Emilia Fadini suddivide le figure retorioco-musicali in:

1) imitative («iconiche»)

2) espressive («indicali»)

3) simboliche.

«Mentre quelle al n.3 per essere “lette” implicano la conoscenza delle convenzioni su cui si basano e in qualche modo si rifanno alla prassi della musica reservata, le altre esigono anche nell’esecuzione un adeguamento al loro significato, che sarà evidente nel primo caso, più complesso nel secondo»[10]

Qualsiasi testo sulla comunicazione verbale e non verbale si vada a consultare si scopre che molte figure retoriche sono sostanzialmente isomorfe con comportamenti vocali o motori che la psicologia ha ampiamente studiato e catalogato.

Si veda ad esempio il seguente grafico che illustra i risultati di una ampia ricerca e che mette a confronto in questa pagina i profili di intonazione della voce tipici dell’espressione della paura e della tristezza.[11]

Come se non bastasse, molte figure retorico-musicali elencate dai trattati antichi sono sostanzialmente dei termini tecnico musicali come Fuga, imitatio, mutatio toni (modulazione), accento, rubato, sincope, ecc. i cui significati si possono tranquillamente leggere su qualsiasi testo di teoria musicale.

Il rischio è che l’analisi retorica si riduca a una banale attribuzione di etichette verbali preconfezionate al materiale musicale.

L’unico modo per capire la retorica è usarla, magari per giocare.

Confirmatio

In un libro di Stefano Benni ho trovato la seguente iperbole, un poco sgradevole, ma che gli appassionati di musica capiscono al volo: «…e produsse un rutto lungo come il Bolero di Ravel.» La retorica non funziona solo nel linguaggio aulico ma anche nelle parole quotidiane, nelle banalità, negli insulti, nei modi di dire, ecc. e in musica è lo stesso: tutte le musiche, belle o brutte che siano, e innumerevoli suoni sono attraversati dalla retorica.

Quasi ogni figura retorica può essere trasformata in un gioco sonoro.

Aposiopesis: «Lo storico Verneuil racconta come facevano nel secolo XIX i nuotatori a disincagliare una nave insabbiata. "Immaginate 500 negri che nuotano intorno alla nave e contemporaneamente cantano un motivetto; all'ottava battuta del canto si tuffano tutti insieme sott'acqua e continuano a cantare mentalmente il motivo in fondo al mare. Alla dodicesima battuta danno insieme una forte spinta alla nave, e alla sedicesima risalgono in superficie". Proviamo anche noi questo esercizio, naturalmente… all'asciutto. Scegliamo un canto noto. A un segno improvviso dell'insegnante tutti devono cantare mentalmente. A un altro segno riprendono a cantare a voce alta. Saremo capaci di riprendere al punto giusto?»[12]

In altri testi questo è chiamato il gioco del tunnel (si entra nel tunnel e la radio non trasmette più la canzone) ed è un efficace modo per verificare l'efficienza del proprio orecchio interiore. Applicabile ovviamente a tutti i canti di The Fairy Queen.

Ellipse: in un giro di improvvisazioni si può chiedere a ciascuno di produrre (con la voce, con il corpo, con gli strumenti) qualcosa di diversissimo dall'improvvisatore immediatamente precedente. Si lavora per contrasto e, contrariamente a quello che si pensa, è molto difficile e faticoso sostenerlo a lungo. Il nostro cervello è programmato per lavorare più sulla variazione che sul contrasto.

Parrhesia: aggiungere dissonanze dove non sono scritte è una attività bellissima. Provate a cantare una canzone stonando apposta, sbagliando gli accordi di accompagnamento volutamente. In qualche caso la musica migliora di molto.

Anabasis e Catabasis: Delalande[13] ci ha fatto riflettere sul fatto che il bambino che mima con la mano il volo dell'aereo produce con la voce non una simulazione del vero suono dei motori ma una curva melodica che è esattamente quella disegnata dalla mano nell'aria. Questa convenzione culturale è così forte che nei film di guerra, quando l'aereo si butta in picchiata, noi vogliamo sentire un glissando discendente (come Billy il coyote quando cade nel burrone) anche se questo non succede assolutamente nella realtà.

Andare su e giù per l'estensione vocale, oltre a essere un bell'esercizio, si presta a molte varianti agendo sui vari parametri agogici dinamici e timbrici. Composizioni musicali lunghissime e complicate (Come il Clavicembalo ben Temperato di J.S.Bach o Al gran sole carico d'amore di Luigi Nono) si basano su delle anabasi tonali o intervallari che abbracciano l'intero piano dell'opera.

Exclamatio, accento, messa di voce, ecc. L'universo degli abbellimenti è enorme e, oltre a conoscere e praticare quelli giusti, che non sono quasi mai quelli che ci insegnano a lezione di solfeggio, possiamo creare una cartella personale di abbellimenti di nostra propria invenzione: in fondo anche quelli del passato sono stati inventati da qualcuno e in qualche caso si sa addirittura da chi, come per il tremoletti di Claudio Merulo, l'aspiration e la suspension di Couperin. I più pestiferi potranno elaborare degli "abbruttimenti", volutamente contorti e antimusicali, da usare nelle musiche che non sopportano.

In fondo ogni suono che produciamo racconta una storia. Talvolta microscopica come quella che produce il suono della pagina di un libro che viene girata. Ma anche questa microscopica storia ha un suo carattere ed è ben diverso girare le pagine di un libro con rabbia, con gioia e curiosità di andare avanti, con noia e stanchezza. Anche il più banale colpo di tosse ci racconta qualcosa su chi è, cosa prova e cosa vuol farmi capire o sentire, chi lo produce. Provate a fare una anabasi di colpi di tosse, oppure a produrre due colpi di tosse con in mezzo una suspiratio: vi si spalancherà un mondo.

Se prendiamo un’intera opera come The Fairy Queen di storie come queste, a base di suoni, di parole, di danze, di gestualità, di ambienti, di situazioni ecc. ne troviamo un’infinità. L’opera è un piccolo mondo che, con la scusa di raccontarti una vicenda strampalata di fate, poeti ubriachi, re, regine, folletti, spiriti vari, ti racconta invece il grande mondo con tutti i suoi tic e le sue seduzioni, le sue bellezze e le sue idiozie.

L’opera è una metafora del mondo.

Peroratio

«Le dodici ha scoccato la ferrea lingua della mezzanotte!

A letto, amanti – è quasi l’ora delle fate.

Temo che domattina nel letto ci scorderemo

di quanto a lungo questa sera abbiamo vegliato.

Questa recita terribilmente grossolana ha bene ingannato

il pesante passo della notte. Dolci amici, a letto.

Questa festa noi continueremo per quindici giorni

con baldorie notturne e nuovi splendori»[14]

[1] Johann Mattheson, Das neu-eröffnete Orchestre (La nuova orchestra, ovvero universale e fondamentale avviamento affinchè un gentiluomo possa farsi un concetto completo dell’eccellenza e dignità della nobile musica, possa formarsi il gusto, comprendere i termini tecnici e perciò possa ragionare a dovere di questa squisita scienza, composta da J.Mattheson Secr. Con aggiunte del signor maestro di cappella Keiser. Amburgo, a spese dell’autore, 1713. Vol. I, capitolo secondo.

[2] Ferruccio Civra, Musica Poetica, 1991, UTET, pag. 36

[3] Dai Fiori Musicali di G. Frescobaldi, 1635, alle Sacre odorifere rose tra le verdi foglie della musica, di O. Mellini, 1620, e poi G. Calestani, Sacrati fiori musicali a otto voci, Parma 1603; Leon Leoni, Sacri fiori […] Mottetti a una, due, tre a quattro voci, 1622; Bonachelli, Corona di sacri gigli a una, due, tre, quattro e cinque voci, 1642; e così via fino alle Ensaladas degli organisti spagnoli.

[4] Manfred F. Bukofzer, La musica barocca, Rusconi, 1982, pag. 298.

[5] Tutti i numeri di pagina si riferiscono alla partitura più facilmente reperibile in commercio delle edizioni Dover.

[6] In Johann Nikolaus Forkel, Allgemeine Literatur der Musik […], 1792.

[7] In Johann Nikolaus Forkel, Allgemeine Literatur der Musik […], 1792.

[8] in Mauritius Johannes Gregorius Vogt, Conclave Thesauri magnae artis musicae, Praga, 1719

[9] in Giovanni Battista Fasolo, Annuale che contiene tutto quello che deve fare un organista per rispondere sl Choro tutto l’anno, Venezia, 1645.

[10] Emilia Fadini, Appunti per una analisi retorica della musica per tastiera del primo ‘600, in I quaderni della scuola civica di Milano, n.16, Dicembre 1988, pag.10.

[11] Luigi Anolli – Rita Ciceri, La voce delle emozioni, Franco Angeli, 1992, pag. 325.

[12] Carlo Delfrati, Progetti sonori 3, Morano, Napoli, 1990.

[13] François Delalande, Le condotte musicali, CLUEB, Bologna, 1993.

[14] William Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, Garzanti, 1977, pag.187.

_______________________________________________________________________________________

Didattica dell’analisi (francesco bellomi)

INTRODUZIONE

Come già illustrato da Mario Baroni nel Bollettino del g.a.t.m. del secondo semestre 1995, lo scopo del presente capitolo è quello di passare in rassegna i più interessanti articoli dedicati alle metodologie e alle proposte di insegnamento dell’analisi musicale.

Sebbene questo possa essere considerato un settore strategico per la diffusione dell’analisi e, al tempo stesso, un settore delicatissimo nel quale, in un certo senso, si gioca con il futuro della disciplina, è sconcertante vedere quale esiguo numero di pubblicazioni sia specificatamente dedicato alla Didattica dell’Analisi Musicale.

Fortunatamente è possibile prendere in considerazione un certo di pubblicazioni che, pur non essendo specificatamente dedicate alla didattica dell’analisi musicale, offrono, per la struttura utilizzata, per lo stile narrativo, per la disposizione del materiale, per il taglio metodologico scelto, ecc., un ricco campionario di vere e proprie strategie di insegnamento applicate all’analisi. Manca quasi sempre, è vero, una riflessione consapevole e articolata sulla didattica dell’analisi. [Riflessione che aveva caratterizzato un vecchio numero di Analyse Musicale (4° trimestre 1985) con articoli assolutamente fondamentali da questo punto di vista.] Tuttavia è possibile estrarre da articoli e saggi pubblicati nelle annate 1998 e 1999, una sorta di griglia classificatoria che permette di orientarsi fra le strategie e le metodologie didattiche messe in atto, esplicitandone il senso e gli scopi più o meno sottintesi.

Ecco le principali tipologie:

L’eserciziario, o esercitazione guidata, che attraverso una successione di attività, strutturate talvolta in ordine progressivo di difficoltà, punta alla costruzione di abilità e capacità analitiche: R. MURRAY SCHAFER (1998) offre un esempio, didatticamente splendido, in tal senso. Anche Antonio GIACOMETTI (1999) offre, all’interno di un testo centrato sull’insegnamento della composizione musicale, diverse proposte di attività analitiche funzionali all’apprendimento della pratica compositiva.

L’analisi-racconto, di una ricerca o di un percorso di studio analitico, che offre al lettore una sorta di narrazione, talvolta molto coinvolgente, delle fasi del lavoro. Spesso questa impostazione è utilizzata con l’intenzione, esplicita, implicita o solo apparente, di ricostruire le fasi e le procedure del lavoro creativo di un certo autore. Il lettore ha come la sensazione di osservare i fatti ”dall’interno” della mente del compositore: D. Kern HOLOMAN (1999), John COHEN (1999) e, in modo meno palese, gli altri saggi pubblicati nel vol. VI° n° 1 di Musurgia (intitolato La génétique des œuvres) si muovono in questa direzione. Una menzione a parte va fatta per il volume Le regole della Musica BARONI DALMONTE JACOBONI (1999) che non punta affatto alla ricostruzione dei processi mentali dell’autore analizzato ma alla fondazione di una vera e propria grammatica compositiva di carattere generale a partire dal caso particolare di Giovanni Legrenzi. L’articolo di Emanuele FERRARI (1999) è centrato invece sulla analisi dell’interpretazione di una particolare esecuzione delle variazioni Goldberg senza peraltro affidarsi a nessuna precisa metodologia analitica[fb1] .

La tesi analitica è in sostanza il classico saggio che, attraverso un percorso analitico strutturato secondo le più diverse metodologie, intende dimostrare un assunto iniziale. Spesso la struttura espositiva è proprio quella classica del discorso retorico (Exordium, Propositio, Confutatio, Confirmatio, Peroratio). Sandro PEROTTI (1998) offre, oltre a consuete strategie didattico-analitiche un interessante esempio metodologico, che vede nella pratica della orchestrazione stilisticamente mirata del brano analizzato, il concretizzarsi di una “analisi musicale applicata” crocevia di tutte le operazioni analitiche, compositive, e comunicative. Anche il personalissimo testo di Salvatore SCIARRINO (1998) offre al lettore notevoli spunti di riflessione utilizzando come procedura didattica privilegiata la comparazione analitica fra diversi ambiti percettivi (sonoro e visivo prevalentemente). Andrea ESTERO, (1999) analizza la Sonata op.1 di Berg alla luce del concetto di “figura fondamentale” [Grundgestalt] di Schönberg. Con un criterio espositivo simile Steffen A. SCHMIDT (1999) affronta il problema di una teoria funzionale del ritmo musicale che arrivi a “distinguere tra figure temporali simultanee ma qualitativamente differenti, che interagiscono reciprocamente su piani distinti.”

Il metodo analitico applicato. Generalmente si tratta del caso meno interessante dal punto di vista didattico ma di quello più rigoroso dal punto di vista della metodologia analitica utilizzata. L’applicazione di una certa metodologia, generalmente condivisa a livello accademico, ad un particolare oggetto sonoro produce, in diversi casi, articoli e saggi il cui unico obiettivo didattico sembra consistere nella riconferma della funzionalità del metodo analitico stesso. (vedi schede)

Il resoconto di una esperienza didattica che ha messo in gioco operazioni e concetti analitici. Diversi articoli apparsi su MusicaDomani si muovono in questa direzione ma, la netta prevalenza nell’attenzione verso la ricaduta didattica piuttosto che la riflessione sulle strategie didattiche pertinenti all’analisi stessa, porta a considerare questi contributi di chiara competenza della rubrica Analisi nella Didattica. Mario MUSMECI (1999) tocca il problema di un approccio analitico alla modulazione all’interno di un corso di armonia sperimentale. Invece nel Quaderno Pedagogico 3 allegato ad Analisi n°30 troviamo diversi contributi imperniati sulle strategie pedagogico-didattiche nell’insegnamento musicale. L’analisi, pur essendo raramente chiamata in causa esplicitamente, appare qui una sorta di “sfondo” sul quale innestare tutte le attività musicali.

La ricerca sulle ricadute didattiche dell’uso dell’analisi.

Particolarmente interessanti, in questo ambito, alcuni articoli apparsi sul n. 141 del Bullettin Council for Research in Music Education. (vedi schede).

Segnaliamo, oltre alle schede successive, JOHNSON CH. M., (1999) “The Performance of Bach: Study of Ritmic Timing by Skilled Musicians” interessante per le implicazioni didattiche connesse all’analisi computerizzata del “timing”.

LOUHIVUORI J., (1999), “Memory Strategies in Writing Melodies” illustra invece i probabili processi (inevitabilmente analitici) compiuti dalla mente di uno studente impegnato a trascrivere al computer una serie di melodie fatte ascoltare in coppia (cioè due melodie sovrapposte). L’intenzione dell’autore è quella di dare un contributo allo studio sul funzionamento della memoria nella percezione melodica.

Materiali didattico-analitici di interesse generale.

Ad esempio “Organizzazione delle altezze nello spazio temperato” Luigi VERDI.

SCHEDE LIBRI

BARONI M. - DALMONTE R. JACOBONI C., (1999), Le regole della musica, EDT, Torino.

L’obiettivo è quello di formulare la “grammatica” di un dato repertorio (arie di Legrenzi) in modo tanto completo e razionale, che perfino un computer possa utilizzarla. Il computer è in questo caso usato unicamente come strumento di verifica della correttezza e funzionalità delle regole. L’operazione di esplicitazione delle abitudini compositive “intuitive” che ne consegue, risulta essere di enorme valenza didattica ed offre all’analista-didatta uno strumento di straordinaria efficacia pedagogica, focalizzata soprattutto sulle regole della costruzione melodica: un terreno tanto importante e strategico quanto poco esplorato e analizzato. La metodologia utilizzata dagli autori su Legrenzi viene poi “testata” su altri repertori lasciando presagire ulteriori rilevanti sviluppi. Chiarezza e completezza espositive sono completate da riferimenti bibliografici sempre puntuali e pertinenti.

MURRAY SCHAFER R., (1998), Educazione al suono –100 esercizi per ascoltare e produrre suono, Ricordi, Milano.

Molti degli esercizi di percezione proposti nel testo sono in realtà dei veri e propri esercizi di analisi del suono e del “paesaggio sonoro”. La semplicità dell’approccio e la capacità di mettere in moto raffinate operazioni percettive con i più semplici mezzi ne fanno un testo didatticamente straordinario, anche per la possibilità di essere usato nelle più diverse fasce d’età e di competenza musicale. Dal punto di vista dell’impostazione teorica: nessuna novità rispetto al celeberrimo Il paesaggio sonoro.

PEROTTI S., (1998), Johannes Brahms – Variazioni e fuga su tema di Händel, op.24 – Analisi e orchestrazione, Ensemble ‘900 Diastema, Treviso.

Una dettagliata analisi che illustra meticolosamente gli elementi tematici, armonici, ritmici, strutturali e di coesione del brano, è completata da una sorta di conseguenza creativa: una orchestrazione (in stile brahmsiano) dello stesso. Una sorta di applicazione pratica, con intenti chiaramente didattici, di quanto rilevato nella prima parte del volume.

VERDI L., (1998), Organizzazione delle altezze nello spazio temperato, Ensemble ‘900 Diastema, Treviso.

Un’indagine completa e ricca sulle proprietà combinatorie delle altezze nel sistema temperato. Un testo che offre numerose piste di ricerca e validi strumenti di lavoro agli analisti interessati prevalentemente al ricchissimo mondo della musica del XX secolo. Una sorta di trattato sulle proprietà geometriche di tutte le possibili combinazioni di altezze.

FRANCESCATO E., (1998), La rappresentazione mentale della musica e l’istruzione strumentale in età precoce, L’Autore Libri, Firenze.

Sebbene l’obiettivo del testo non sia indirizzato specificatamente all’analisi ma all’insegnamento della pratica strumentale, la metodologia adottata offre notevoli spunti di riflessione all’analista-didatta. L’uso della Generative Theory of Tonal Music di Lerdahl e Jackendoff come strumento utilizzato per analizzare le canzoni di Willems, l’importanza data ai criteri di segmentazione, la rilevazione di alcune strutture-tipo all’interno del repertorio considerato, la centralità del momento analitico come creazione di una rappresentazione mentale fondamentale nella comunicazione musicale, l’ampiezza e completezza della trattazione, infine l’attenzione alle concrete ricadute didattiche del quadro teorico offerto, rendono assolutamente interessante la lettura del testo.

SCIARRINO S., (1998), Le figure della musica da Beethoven a oggi, Ricordi, Milano.

Pur essendo un testo nato da un ciclo di conferenze tenute dall’autore l’impostazione è palesemente didattica: i capitoli si intitolano Lezioni. L’importanza di un approccio “globale” ai saperi (analitici e non) è più volte sottolineato dall’autore. Il metodo analitico privilegiato è quello della comparazione fra ambiti espressivi, tecnici e scientifici diversi. Particolarmente frequenti sono i confronti fra musica e arti visive. L’estrazione di processi di accumulazione, processi di moltiplicazione, trasformazioni genetiche, esplosione di micro eventi a partire da un evento generatore (little bang), rottura del principio di continuità temporale (forma a finestre), avviene quasi sempre attraverso questa sorta di “analisi comparativa” che è al tempo stesso uno dei punti di forza del libro ma anche il limite metodologico del testo. Segnaliamo il particolare interesse del testo per chiunque voglia approfondire la personalissima poetica di questo autore.

GIACOMETTI A., (1999), Linguaggi e forme per inventare. Una propedeutica alla composizione con proposte di applicazione didattica, Rugginenti, Milano

L’intero approccio di Giacometti alla materia muove da una pratica analitica costantemente integrata alla pratica compositiva. L’articolazione del materiale su tre grandi aree: pentafonica, modale, minimalista, è dovuta allo scopo pratico del volume, che lo vedrebbe come testo ideale per la scuola di Elementi di Composizione per Didattica ma non solo. Sebbene il testo, qua e la, abbandoni un felice spirito di sperimentazione e ricerca per risentire di qualche eccesso di zelo nel fornire indicazioni prescrittive al lettore, è senz’altro apprezzabile lo sforzo di inserire l’analisi musicale come strategia chiave all’interno di un percorso didattico funzionale e didatticamente convincente.

YOUNG S. – GLOVER J., (1998), Music in Early Years, The Falmer Press, London

L’obiettivo del testo è quello di offrire a insegnanti, genitori ed educatori materiali utili per l’integrazione della musica nell’esperienza quotidiana dei bambini dai tre agli otto anni. In questo contesto non si parla esplicitamente di didattica dell’analisi ma molte proposte operative implicano inevitabilmente l’utilizzo, sia pure ad un livello elementare, di concetti e strategie analitiche. L’attenzione alla centralità del bambino, l’approccio olistico ed integrato ai vari aspetti del fare musica (analisi compresa), l’invenzione di un corso di “precomposizione” [pre-composition stage] nel quale il bambino possa esprimere valutazioni qualitative e analitiche sul suo operato attraverso strategie adeguate, rendono questo testo un ottimo strumento di lavoro per chi fosse interessato al ruolo dell’analisi nell’insegnamento musicale fin dalla più tenera età.

GLOVER J. – YOUNG S., (1999), Primary Music: Later Years, Falmer Press, London.

Concepito come una guida per gli insegnanti di musica che operano con bambini dai sette agli undici anni il testo utilizza in più punti alcune strategie analitiche (ad esempio una comparazione fra le diverse tecniche vocali utilizzate nei canti bulgari, nel Cantico dell’estasi di Ildegarda von Bingen, nei dischi di Maria Carey, ecc.) con lo scopo di sviluppare l’individualità vocale e quindi musicale di ciascun bambino. L’accento è quindi posto sulla attività creativa e conseguentemente sulla capacità di autovalutazione e di valutazione degli elaborati musicali. Capacità valutativa che, esercitata attraverso l’ascolto critico, sviluppa inevitabilmente abilità e strategie anche di tipo analitico. La presenza di validi suggerimenti operativi collegati ad un piano organico di lavoro, un’ottima bibliografia e discografia, rendono il libro assolutamente interessante.

SCHEDE ARTICOLI

TASCHERA L. (a cura di) (1999). Allegato ad Analisi, n. 30, X Sett. 1999; Quaderno Pedagogico 3.

I vari interventi di questo Quaderno pedagogico n.3 sono caratterizzati da una attenzione comune verso i problemi e le strategie connesse all’insegnamento della pratica musicale di base. In questo quadro non mancano riferimenti all’utilizzo dell’analisi all’interno dell’educazione musicale. La ricerca, da un lato, di metafore e sinestesie e, dall’altro, dell’associazione musica\movimento sono indicate in diversi contributi come pratiche didattico-analitiche particolarmente appropriate al contesto dell’educazione musicale di base. Pure l’importanza di un approccio didattico globale ed integrato, all’interno del quale la pratica analitica sia un elemento non eludibile, è più volte sottolineata.

FREED-GARROD J., (1999), “Assessmen in the arts: Elementary-Aged Students as Qualitative Assessors of Their Own and Peer’s Musical Composition”, Bullettin Council of Research in Music Education, 139, 51-63.

Il punto di partenza è che “la valutazione è una parte integrante del processo educativo” ma chi deve valutare cosa? L’autore fornisce ad un gruppo di studenti alcuni strumenti per poter valutare qualitativamente le proprie composizioni musicali e quelle dei propri compagni di corso. Le composizioni sono state elaborate dagli studenti sulla base di una consegna data in un clima rilassato e non competitivo. I vari comportamenti messi in atto da insegnante e alunni durante il lavoro sono accuratamente rilevati descritti e analizzati. L’analisi delle composizioni è condotta attraverso questionari riprodotti in appendice all’articolo. Molto interessante, nelle domande proposte, la capacità di innestare le nozioni di teoria musicale e le osservazioni analitiche in un contesto di interazione di gruppo dove, ad essere in gioco non ci sono solo i risultati musicali, ma anche e soprattutto il complesso di azioni e relazioni che ha portato a quel risultato. Unico dato non in linea con precedenti ricerche è la presenza di autovalutazioni sul proprio brano tendenzialmente più alte rispetto alla valutazione media espressa sullo stesso pezzo dai compagni: di norma succede esattamente il contrario.

AUH M.S.- WALKER R., (1999), “Compositional Strategies and Musical Creativity When Composing With Staff Notation Versus Graphic Notations Among Korean Students”, Bulletin Council for Research in Musich Education, 141, 2-9.

La ricerca esamina diverse strategie creative adoperate da due gruppi di studenti: il primo invitato a comporre utilizzando la grafia tradizionale, il secondo utilizzando grafie intuitive, pittoriche, o comunque non tradizionali [Graphic Notation]. Una volta finito il lavoro compositivo gli autori analizzano attraverso un questionario le modalità operative utilizzate dai due gruppi. I risultati suggeriscono che l’uso della notazione non tradizionale ha indotto gli studenti ad utilizzare una maggior quantità di diverse strategie compositive rispetto a quelli che hanno utilizzato la notazione tradizionale. Anche in questo caso il questionario utilizzato rivela un vero e proprio strumento analitico di valutazione qualitativa. Quasi mai nel questionario si chiede esplicitamente il riconoscimento di strutture musicali, tuttavia, le operazioni mentali di valutazione che gli studenti sono invitati a compiere, presuppongono la messa in gioco di autentici processi analitici.

BARRETT M., (1999) “Modal Dissonance: An Analisys of Children’s Invented Notations of Known Songs, Original Songs, and Instrumental Composition”, Bulletin Council of Research in Music Education, n. 141, 14-20.

Margaret BARRETT (1999) analizza le scritture inventate da bambini non istruiti musicalmente e non ancora capaci di scrivere (4-5 anni di età). Ai bambini è richiesto di inventare queste scritture durante l’ascolto di canzoni ben note o originali “per poterle poi ricordare” o di annotare le proprie originali composizioni. Lo studio dimostra, anche dal confronto con una precedente ricerca, che i bambini sono abili nel discriminare e tradurre graficamente diversi parametri (dinamica, patterns, profilo melodico) quando i brani sono eseguiti da strumenti o quando le parole hanno riferimenti alla testura musicale. Al contrario la presenza di parole prive di riferimenti ai fatti musicali spinge più spesso ad una rappresentazione pittorica del testo scollegata dai comportamenti musicali. Nel caso di notazione di brani strumentali originali prevale la rappresentazione grafica dello strumento utilizzato.

L’uso della scrittura diventa in molti casi citati un vero e proprio strumento analitico elementare, e la strategia utilizzata per questa ricerca è esemplare per chi è interessato all’insegnamento dell’analisi già a cinque anni.

BAMBERGER J., (1999) "Learning from the Children We Teach", Bulletin Council of Research in Music Education, 142, 48-74.

Ancora una volta la strategia utilizzata è quella che consiste nel fare inventare ai bambini la notazione per trascrivere delle sequenze melodiche o delle melodie da suonare con le campane utilizzate nel metodo Montessori. L’analisi delle notazioni inventate dai bambini dimostra che essi compiono sul materiale musicale delle vere e proprie operazioni analitiche (ad esempio segmentando sulla base della struttura ritmica e del profilo melodico). L’obiettivo della ricerca è quello di verificare se è possibile “aiutare gli studenti a muoversi naturalmente e tranquillamente in mezzo a livelli di struttura, tipologie di elementi e modalità di rappresentazione, considerando le figure musicali, i motivi, le azioni da una parte, e l’altezza gli intervalli le durate dall’altro lato”. Viene illustrato anche un software che offre ai bambini la possibilità di lavorare sul suono mostrando sulla stessa schermata, con grafie non tradizionali, i vari aspetti (ritmici, melodici, ecc.) dei loro elaborati, L’unità di percezione, descrizione e lavoro che ne deriva è considerata un elemento importante nella strategia educativa. I risultati della ricerca fanno capire che “imparare come guardare ai nostri postulati [analitici] attraverso gli occhiali dell’invenzione infantile ci insegna a vedere importanti e profondi aspetti della struttura musicale che potrebbero d’altro lato rimanerci nascosti”.

MORRISON S. J. - YEH C.S., (1999), "Preferences Responses and Use of Written Description among Music and Nonmusic Major in the Unites States, Hong Kong, and the People's Republic of China", Journal of Research in Music Education, 47\1, 5-17.

Lo studio confronta le preferenze espresso verso alcune esempi musicali da diversi gruppi di ascoltatori di tre nazionalità (Stati Uniti, Hong Kong, Cina) e indaga le somiglianze e le differenze nelle preferenze espresse per iscritto dai tre gruppi. I risultati mostrano che nel gruppo degli ascoltatori americani c’è una presenza più consistente di osservazioni di tipo analitico mentre negli altri gruppi la valutazione è legata più ad aspetti associativi che ad aspetti strutturali.

RALSTON J., (1999), "The Development of an Instrument to Grade the Difficulty of Vocal Solo Repertoire", Journal of Research in Music Education, 47\2, 163-173.

Nell’articolo si descrive uno strumento metodologico costruito per misurare la difficoltà esecutiva di una melodia vocale senza accompagnamento. Gli elementi analizzati e misurati dallo strumento sono: estensione, tessitura, ritmo, frasi, profilo melodico, funzioni armoniche e pronuncia. Lo strumento è anche in grado di verificare l’abilità degli insegnanti di canto nel determinare il grado di difficoltà di una melodia ed è stato testato con insegnanti con diversi livelli di esperienza. Un caso interessante di procedure analitiche applicate per uno scopo didattico molto preciso e ben delimitato.

MAWER D., (1999), "Brindging the divide: embedding voice-leading analysis in string pedagogy and performance", British Journal of Musica Education, 16\2, 181-195.

L’articolo illustra le benefiche ricadute didattiche dell’adozione dell’analisi schenkeriana (con particolare attenzione all’analisi della struttura melodica) sull’insegnamento dello strumento musicale. L’attenzione dell’autore è focalizzata sulla pedagogia del violino e della “performance”. L’utilità di un approccio integrato all’analisi della struttura melodica e alla pratica strumentale viene dimostrato scientificamente attraverso una vera e propria ricerca sperimentale che confronta i risultati di un gruppo di studenti partecipanti al training analitico-compositivo con quelli di un gruppo di controllo. Numerosi grafici analitici illustrano chiaramente la metodologia utilizzata. Molto interessante, dal punto di vista didattico, l’idea di innestare la metodologia analitica schenkeriana sulla chironomia e notazione kodaliana (la urlinie 3 2 1 diventa m r d, l’urlinie 8 7 6 5 4 3 2 1 diventa d’ t l s f m r d) con lo scopo di esplicitare la struttura melodica e le funzioni tonali in modo facilmente utilizzabile da tutti gli studenti.

KENNEDY M. A., (1999), "Where does the music came from? A comparison cas-study of the compositional processes of a high school and a collegiate composer", British Journal of Musica Education, 16\2, 157-166.

Due compositori professionali e il ricercatore analizzano le somiglianze e le differenze fra due composizioni fatte scrivere appositamente per l’occasione da due compositrici: una, di 17 anni, appartenente ad una “high school” (equivalente grosso modo al nostro liceo) e una “collegiate composer” (compositrice universitaria) di 25 anni. Le informazioni vengono raccolte nella ricerca attraverso interviste, osservazioni e analisi dei documenti. L’articolo conclude illustrando le implicazioni didattiche della ricerca e le possibili conseguenze sul piano delle strategie di insegnamento della composizione. Ad esempio l’opportunità, già realizzata da molte scuole moderne, di utilizzare una grande sala suddivisa in tante piccole stanze insonorizzate dotate di pianoforte o tastiere dove i compositori principianti possono elaborare le loro composizioni, ascoltare, registrare, lavorare in gruppi o coordinati con altri, e dove l’insegnante gira per assistere o offrire suggerimenti quando è necessario. Nell’articolo non sono illustrate in maniera precisa le strategie analitiche adoperate e l’accento è piuttosto sul confronto delle diverse strategie compositive rilevate e sulle conseguenze didattiche della ricerca.

McMILLAN R., (1999), "To say something that was me': developing a personal voice through improvvisatin", British Journal of Musica Education, 16\3, 263-273.

Un gruppo di studenti universitari australiani iscritti alla School of Music of the Victorian College of the Art a Melbourne, Frequenta per tre anni un corso di improvvisazione di chiara impostazione jazzistica. L’articolo illustra il tentativo di portare ciascun studente a sviluppare una propria personale “voce” (nel senso lato di stile, tecnica, personalità, ecc.) nell’attività improvvisativa. A questo fine viene incentivata l’improvvisazione a partire da pezzi originali degli stessi studenti. I singoli pezzi eseguiti in un concerto, alla fine del terzo anno di corso, vengono brevemente analizzati con uno stile molto descrittivo e poco scientifico, ma funzionale allo scopo della ricerca. Le conclusioni sottolineano l’importanza didattica e culturale, per ciascuno studente, di poter sviluppare una propria personale “voce” improvvisativa.

NIELSEN S.G, (1999) "Learnig strategies in instrumental music pratice", British Journal of Musica Education, 16\3, 275-291

L’articolo illustra una ricerca svolta su due studenti organisti impegnati a identificare le strategie di ascolto utilizzate nello studio di un difficile brano per l’esecuzione. I risultati sono basati sulle informazioni raccolte attraverso verbali redatti sia durante che dopo le sessioni di studio. Tutte le sessioni sono state anche videoregistrate. I risultati mostrano come gli studenti utilizzano strategie di ascolto per selezionare e organizzare le informazioni e per integrarle con la loro esperienza precedente. Lo studio dei comportamenti utilizzati mostra che essi sono spesso il frutto di saperi implicitamente analitici: ad esempio nella segmentazione dei frammenti musicali che vengono ripetuti durante lo studio, oppure nelle modificazioni della struttura ritmica funzionale allo studio tecnico, ecc. Nessuna precisa metodologia analitica viene richiamata o descritta nell’articolo ma l’analisi, come strategia integrata ad altre da utilizzarsi nello studio strumentale, è implicita e si dimostra presente anche nella dimensione più libera e “intuitiva” del lavoro di studio dei musicisti.

FLOIRAT B. JANIACZYK A. LIGETI D. MEEÙS N. POINLOUP I. RAGOT M.L. STER M., "La gamme double française et le méthode du si", Musurgia vol VI n. 3\4, 29-44.

L’articolo ricostruisce, con ricchezza di esempi e grande chiarezza, la lunga e talvolta problematica fase di passaggio dalla pratica didattica della solmisazione a quella del solfeggio “assoluto”. Un argomento ancora fortemente attuale data la convivenza dei due sistemi nella situazione italiana: solfeggio assoluto nei conservatori e in alcune scuole di musica, solmisazione, do mobile e metodi affini, in altre scuole e nell’insegnamento musicale di base. Gli stessi conflitti e le stesse motivazioni pro o contro le due pratiche sono illustrati e commentati dagli autore attraverso un campionario di esempi e di testimonianze storiche che abbraccia tre secoli (dal 1500 al 1700). L’accento è ovviamente sulla situazione francese, situazione che peraltro interessa, o dovrebbe interessare, particolarmente il didatta italiano visto che il modello dei corsi di solfeggio dei conservatori italiani è stato proprio quello francese.

Il punto nodale delle diverse fazioni di didattica del solfeggio sembra essere stato proprio un problema squisitamente analitico: la (presunta) maggiore difficoltà nel riconoscimento della tonalità d’impianto di un brano, nel caso di utilizzo della solmisazione e, d’altra parte, la (presunta) mancanza di consapevolezza delle funzioni tonali in chi viene dalla scuola del solfeggio assoluto. Salomonica la posizione di Rameau che, pur dichiarando la sua preferenza per il solfeggio relativo (solmisazione, do mobile, ecc.) offre al lettore una tavola delle 12 tonalità maggiori e minori e gli stessi consigli pratici ancora oggi perfettamente in uso per il riconoscimento delle stesse.

SADAÏ Y., (1999), "Le rationalisme mystique d'Arnold Schoenberg: une relecture du Traité d'harmonie", Musurgia vol VI n. 3\4, 59-73.

Qualche volta vale la pena di segnalare le perle nere. L’articolo in questione “fa le pulci” al manuale di armonia di Arnold Schoenberg ripetendo cose e osservazioni che in Italia erano già state scritte e pubblicate almeno quarant’anni fa. Effettivamente è vero: alcune prescrizioni del manuale di armonia (raddoppio della fondamentale nella triade sul VII° grado, attribuzione della funzione di dominante alla settima di sensibile in secondo rivolto, interpretazione della sesta eccedente, ecc.) sono prive di fondamenti nella letteratura tonale. L’autore dell’articolo illustra con dovizia di particolari tutte queste prescrizioni o impostazioni sbagliate e le mette a confronto con le dichiarazioni di intenti di Schoenberg, là dove si dichiara di rifarsi alle leggi della natura, all’insegnamento dei grandi autori, ecc. Ne esce un’immagine schizofrenica di Schoenberg, considerato grande compositore (nelle ultime dieci righe dell’articolo) ma un povero imbecille, degno di “essere spiegato attraverso discipline che si occupano dello studio della personalità", come autore di questo trattato, letto e chiosato come se fosse stato pubblicato oggi. Nessuna sensibilità per il contesto culturale e teorico dell’epoca in questione, per le strategie didattiche generali adottate e per le mille altre cose non sbagliate e forse geniali che Schoenberg ha scritto nel suo trattato.

FELZ N., (1999), "Igor Strawinsky - L'oiseau de feu - Dexuiéme suite 1919", Musurgia vol VI n. 3\4, 89-108.

L’articolo è un buon esempio di approccio molto semplice e scolastico all’analisi musicale. Dopo una introduzione di carattere storico l’autrice segnala, con numerosi esempi musicali, le più importanti relazioni intervallari utilizzate da Stravinsky nella costruzione di armonie e temi: l’alternanza di terze maggiori e minori (lied-armonie), la terza maggiore più due seconde minori nell’intervallo-quadro del tritono, la presenza di un materiale di origine popolare fortemente diatonico, ecc. Niente di sconvolgente dal punto di vista metodologico-analitico ma un modello formale ed espositivo molto efficace e facilmente metabolizzabile dai neofiti dell’analisi musicale.

DELCAMBRE-MONPOËL M., (1999), "György Ligeti, Kammerkonzert: troisieme et quatriéme mouvements", Musurgia vol VI n. 3\4, 109-127.

Uno dei pezzi più celebri e giustamente analizzati della letteratura del 900 viene qui raccontato secondo il più tradizionale approccio analitico, la “descrizione densa”. Una ricca raccolta di informazioni sulle strutture ritmiche, armoniche, timbriche, sulla texture, ecc. che però non arrivano a cristallizzarsi in una teoria interpretativa unitaria e metodologicamente rigorosa. L’interesse dell’articolo sta nella ricchezza di informazioni e nella relativa semplicità di impostazione che lo rendono un ottimo modello per uno studente alle prese con il suo “compito d’analisi”.

HOLOMANN K.D., (1999), "Berlioz au travail", Musurgia vol VI n.1, 7-32.

Uno degli strumenti più forti di divulgazione per una disciplina è quello che Oliver Sachs chiama “romanzo clinico”. Un testo che, assieme alla rigorosità delle informazioni scientifiche, si offra al lettore accendendo la sua curiosità e inchiodandolo alla poltrona con un’abilissima tecnica narrativa. Il saggio di Holoman è uno splendido esempio di “analisi-racconto” dove, accanto ad una rigorosissima indagine sui manoscritti di Berlioz ,trova posto una felice capacità di raccontare e di far ragionare il lettore alle prese con il difficile compito di ricostruire la genesi di un’opera musicale. L’analisi musicale in senso stretto è solo uno degli elementi che concorrono nelle operazioni induttive e deduttive dell'autore ma l’appropriatezza degli esempi e dei confronti fra diverse varianti degli stessi elementi melodici o armonici, la felice scelta degli esempi musicali, l’efficacia di alcune osservazioni, danno al lettore l’illusione di trovarsi fisicamente di fronte al materializzarsi dell’opera musicale. Uno strumento didattico splendido anche se, in questo caso, lontano dalle metodologie analitiche rigorose più in voga nel mondo accademico e scientifico.

COHEN J., (1999), "À propos des modéles compositionnels de J. C. Lobe", Musurgia vol VI n.1, 33-40.

Sarebbe possibile assistere alla nascita di un’opera musicale così come, nello studio di un pittore, si può assistere alla nascita di una opera grafica? Solo di recente la psicologia della musica ha cominciato ad indagare il difficile terreno dei processi creativi ed a osservarli “dal vivo”. Un musicista di tre secoli fa, Johann Christian Lobe (1797-1881), era già convinto dell’enorme importanza didattica e culturale implicita nell’osservazione e analisi del processo creativo attraverso gli appunti e le varianti. Nel suo Breviario dei musicisti (1851) espone, con un linguaggio vagamente filosofico ed iniziatico ma comprensibilissimo, i principi di questa “attenzione” ai meccanismi della creazione. I momenti forti del suo approccio sono: Analizzare (osservare e regolamentare), Comporre (meditare, annotare, organizzare), tutti opportunamente corredati da consigli ed osservazioni pratiche ai giovani compositori che sono tutte molto sensate e “profumate” di un senso di autentica poesia. Quasi commovente. Il breve articolo di COHEN racconta questo piccolo miracolo d’intelligenza e di poesia quasi in punta di piedi.

PEREIRA DE TUGNY R. (1999), "Au comincemente était l'esquisse. À propos de Constellation-Mirroir de Pierre Boulez", Musurgia vol VI n.1, 41-62.

L’autore analizza la struttura seriale di Constellation-Miroir, il “formante” centrale della terza sonata per pianoforte di Pierre Boulez, alla luce degli schizzi preparatori recentemente messi a disposizione dalla fondazione Paul Sacher a Bâle. L’obiettivo non è affatto quello di prendere coscienza dei principi unificatori e del loro uso ma, al contrario, quello di “sapere in che modo e attraverso quali scelte estetiche il compositore ha preso tutte le sue decisioni in qualunque fase del proprio lavoro e per ciascun dettaglio. E’ per questo che, se gli schizzi possono dare un numero importante di informazioni concernenti la creazione del materiale, è altrettanto vero che possono dire molte altre cose attraverso le cose che sono taciute, o che perlomeno non sono evidenti in primo piano.” L’analisi è condotta seguendo la terminologia e i principi costruttivi ampiamente illustrati da Boulez stesso in Pensare la musica oggi.

DECROUPET P., (1999), "Cherché, mais aussi, ... trouvé. Gruppen de Stockhausen à travers ses equisses", Musurgia vol VI n.1, 63-76.

La composizione di Gruppen, iniziata nel settembre 1955 annotando l’armatura ritmica integrale dell’opera, le porzioni temporali e la ripartizione spaziale, fu ripresa e completata dall’autore dopo un’interruzione di circa un anno. I cambiamenti di destinazione strumentale (inizialmente il pezzo doveva essere eseguito da tre orchestre pre-registrate) spingono l’autore ad una serie di cambiamenti scrupolosamente documentati e analizzati nell’articolo. Il risultato è una analisi della struttura seriale del lavoro molto sintetica ma precisa, ma soprattutto corredata dallo studio degli schizzi preparatori. Un approccio che fa vedere bene: “l’importanza delle decisioni ad hoc in un universo musicale che è considerato molto spesso regolato esclusivamente dal calcolo e da rigide strategie pre-compositive.” Altri aspetti non meno importanti sono: la possibilità di “vedere certe esitazioni del compositore […] di vedere anche come certe soluzioni dipendo dall’evoluzione di un progetto e dalla concretizzazione progressiva delle idee, […] di comprendere come le differenti tappe della gestazione siano lontane dal tracciare un percorso lineare a senso unico.” In questo senso: “non ci sono [in questo approccio analitico all’opera] punti di verità definitiva ma delle interpretazioni parziali, suscettibili dei revisione.”

Punto di vista assolutamente fondamentale in qualsiasi contesto didattico e pedagogico.

BÉNIMÉDOURÈNE E., (1999), "Contamination et réemploi musical chez Haendel", Musurgia vol VI n.1, 77-88.

L’articolo illustra, attraverso chiarissimi esempi musicali, la tecnica dell’”autoprestito” nella musica di Haendel. In realtà Haendel ricorse numerose volte a dei “trapianti” dove un pezzo originale viene inserito, senza cambiamenti o adattamenti, in un nuovo contesto. L’interesse dell’articolo è invece puntato su quei casi dove questo “trasferimento” comporta delle trasformazioni. In alcuni casi il pezzo origine è di altro autore e quindi si tratta di un vero e proprio “prestito” più che “autoprestito”. Molto interessante nell’analisi degli esempi la capacità di esplicitare la tecnica elaborativa di Haendel che punta spesso ad inserire accanto e insieme al materiale originale delle nuove figurazioni accessorie: una tecnica che probabilmente deve molto alla pratica dell’improvvisazione. Particolarmente efficace un esempio che illustra il processo di “fusione” di due differenti temi (uno proprio e uno di Porta) in un’unica figurazione tematica “nuova”: una sorta di “manipolazione genetica” del materiale musicale. Questa tecnica compositiva di Haendel viene messa in relazione con il concetto di imitazione molto in voga nel periodo barocco grazie anche alla onnipresenza della retorica. L’articolo chiude riflettendo sulla concezione “organica” della musica. Concezione che sembra essere messa in discussione dalla presenza di questi materiali eterogenei all’interno delle opere haendeliane. Forse i criteri unificatori forti dipendono maggiormente dalla tonalità, dalla misura, dalla strumentazione. Sebbene la parola didattica non sia mai adoperata, si può osservare che l’articolo offre (involontariamente) uno spaccato sulle tecniche di insegnamento della composizione in auge nel periodo barocco (ma non solo). Tecniche largamente basate sull’imitazione dei maestri e sulla elaborazione di pezzi originali a partire da modelli dati.

MERCADANTE G., (1999), "Costellazioni sonore nel firmamento di Webern", Musica Domani, 113, 28-28.

Gli alunni di una terza media di Palermo analizzano il terzo movimento del quartetto op. 5 di Anton Webern.

La segmentazione del brano e l’articolazione figura-sfondo emergono gradualmente attraverso ripetuti ascolti e un lavoro di traduzione grafica degli eventi sonori. La comparazione con musiche di altri autori permette di portare alla luce ulteriori elementi della struttura compositiva. Al termine del lavoro emerge: “il carattere unitario, la necessità logica, la coerenza compositiva” del brano.

Didattica dell’analisi (francesco bellomi)

Nel panorama delle riviste dell’anno 2000 nemmeno un articolo è dedicato esplicitamente alla didattica dell’analisi. Detto questo il presente capitolo potrebbe considerarsi concluso se non fosse che diversi articoli, pur puntando ad altri obiettivi, illustrano, più o meno esplicitamente, diverse strategie didattiche connesse a varie pratiche analitiche.

In verità alcune questioni di didattica dell’analisi sono poste nella rubrica “Confronti e Dibattiti” del n° 115 di Musica Domani dedicata a “Analisi musicale: il difficile dialogo fra musicista musicologo e ascoltatore” con interventi di Leonardo Taschera, Bruno Bettinelli, Fiorella Cappelli e Mario Baroni. Dato però che il curatore di tale confronto è stato il sottoscritto, buona educazione vuole che sia qualcun altro a fornire eventualmente una scheda di lettura.

SCHEDE

FLOWERS P. J. (2000), “The Match between Music Excerpts and Written Descriptions by Fifth and Sixth Graders” Journal of Research in Music Education, 48/3, 262-277

La ricerca vede impegnati quattro gruppi di studenti, due frequentanti il quinto grado e due frequentanti il sesto grado (equivalenti elle età di 10 e 11 anni circa). A uno dei due gruppi di ciascun livello vengono impartite per quattro giorni lezioni dove vengono forniti strumenti utili per una descrizione verbale della musica. Le indicazioni riguardano l’uso di metafore ed emozioni, elementi di analisi musicale, le descrizione degli elementi temporali. Nell’esperimento tutti gli studenti coinvolti sono invitati a descrivere a parole per iscritto sei frammenti musicali molto diversi per stile e carattere. Le descrizioni sono poi analizzate sotto vari punti di vista e confrontate. I risultati mostrano che non ci sono differenze statisticamente significative fra le descrizioni fornite da chi ha ricevuto i quattro giorni di formazione e chi no, tranne per il fatto che i tredicenni istruiti nei quattro giorni menzionano molti più elementi musicali rispetto ai coetanei che non hanno ricevuto nessuna istruzione. Infine un gruppo di dieci esperti legge le descrizioni e cerca di abbinarle alle musiche alle quali si riferiscono, i risultati sono analizzati statisticamente. Nonostante i risultati sembrino deludenti per quanto riguarda l’utilità di una formazione specifica, i procedimenti analitici utilizzati dagli studenti per redigere le loro descrizioni risultano estremamente interessanti. Dopo ciascun incontro preliminare si nota nelle descrizioni dei due gruppi coinvolti un significativo aumento di attenzione agli aspetti metaforici ed emozionali (I° incontro preliminare), agli elementi di analisi musicale (II° incontro preliminare) e alla descrizione della struttura temporale dei brani (III° e IV° incontro). I risultati della ricerca non mostrano un significativo sviluppo nelle descrizioni fra gli studenti del quinto e del sesto grado. Inoltre l’analisi delle descrizioni non incoraggia l’idea che un maggior numero di parole utilizzate descrivano meglio e più accuratamente il brano in questione. Vi è una tendenza generale ad usare in eccesso i soli termini musicali che si conoscono a discapito di una efficace differenziazione tra una descrizione e l’altra. L’interesse della ricerca per la didattica dell’analisi consiste nell’aver focalizzato l’attenzione dei rilievi analitici non solo sulla tradizionale analisi musicale ma anche, e in modo sistematico, sugli aspetti metaforici ed emozionali cioè, secondo una citazione proposta dall’autrice, su quella “buona sostanza che viene spesso gettata via”.

HOLAHAN J. M. – CLARK SAUNDERS T. – GOLDBERG M. D. (2000), “Tonal Cognition in Pattern Discrimination: Evidence from Three Population”, Journal of Research in Music Education, 48/2, 162-177.

Nella ricerca vengono confrontati tre gruppi, 24 studenti di musica in un college, 24 studenti non di musica (età media 20,8 anni), e infine una cinquantina di bambini di prima elementare (età media: 6,8), impegnati nell’ascolto di coppie di melodie tonali in tonalità maggiori. Gli studenti del college ascoltano complessivamente 48 coppie di melodie i bambini partecipano solo ad una parte del test ascoltando un sottoinsieme di sole 16 coppie. Ogni melodia è composta di tre diverse altezze. Ciascuno deve indicare se le due melodie presentate sono uguali o diverse utilizzando due tasti di una tastiera di computer. Le melodie non uguali differiscono per una sola altezza. Viene misurata la precisione e la velocità nello svolgimento del compito. I risultati mostrano che gli studenti musicisti danno sempre le migliori prestazioni. Invece, sorprendentemente, i bambini sono appena meno accurati degli studenti non musicisti. Confrontando le risposte degli studenti musicisti e non musicisti del college si vede che i non musicisti sono vicini alla precisione dei musicisti nel riconoscere l’identità dei due patterns. Quando i due patterns sono diversi l’accuratezza dei musicisti è molto maggiore di quella dei non musicisti. Osservando invece la velocità di risposta si vede che i musicisti sono sempre più veloci dei non musicisti con una differenziazione che vede il riconoscimento dell’identità dei motivi mediamente più veloce che non il riconoscimento della differenza. Infine i bambini sono sempre più lenti nelle loro risposte rispetto agli studenti sia musicisti che non. Nella discussione conclusiva gli autori interpretano i risultati attribuendo la maggior accuratezza e velocità di risposta dei musicisti allo sviluppo delle capacità cognitive dovuto sia all’età che ai diversi percorsi di studio musicale intrapresi. Anche in un compito analiticamente elementare come quello di questa ricerca è possibile, come gli autori fanno nella discussione conclusiva, formulare diverse ipotesi sui possibili meccanismi di ascolto interiore (“inner hearing” e “audiation”) messi in gioco. Ipotesi che meriterebbero di essere sviluppate attraverso ulteriori ricerche.

PAYNTER J. (2000), “Making progress with composing”, British Journal of Music Education, 17/1, 5-31.

Il lungo articolo riprende il tema fondamentale delle opere di questo autore ben noto in Italia grazie a due testi fondamentali (Suono e Silenzio e Suono e Struttura): l’importanza della attività creativa, intesa come ascolto, esplorazione, improvvisazione e composizione, nel curriculum scolastico degli studenti non solo di musica ma di qualsiasi indirizzo di studi. “La creatività dovrebbe essere il cuore di ogni area affettiva ed emotiva del curriculum” e non solo “perché è una parte essenziale dell’educazione musicale ma anche perché è benefica per il generale sviluppo dell’immaginazione e dell’inventiva”. Nel corso dell’articolo viene intrapresa una analisi comparativa di un pezzo pianistico di Schumann (Eusebius n. 5 dal Carnaval op.9) e di un pezzo (Dance) composto da un gruppo di giovani studenti compositori. Nei due pezzi vengono osservate e descritte le strutture tematiche, le testure utilizzate, il piano tonale, il ruolo della sezione aurea nelle proporzioni dei vari segmenti, il carattere e il senso musicale. Le analisi sono ovviamente molto sintetiche e poco “scientifiche” ma molto efficaci dal punto di vista comunicativo e fortemente funzionali alla finalità didattica dell’articolo. Un ottimo esempio di come l’analisi deve entrare ed integrarsi con il lavoro creativo dello studente in modo agile e funzionale. Conclude l’articolo una appassionata discussione sul ruolo dell’insegnamento della storia della musica nella comprensione dei fatti musicali. La posizione di Paynter consiste nel rimettere al centro dell’attenzione la musica, il manufatto sonoro, piuttosto che le informazioni storiche ad esso più o meno collegate. Un modo di pensare che privilegia, nel percorso verso la conoscenza, la manipolazione diretta dei materiali sonori ridimensionando l’importanza attribuita, in un passato anche recente, al corpo delle conoscenze sulla musica.

KELLET M. (2000), “Raising musical esteem in the primary classroom: an exploratory study of young children’s listening skills”, British Journal of Music Education, 17/2, 157-181.

L’articolo indaga in che modo si sviluppano i livelli di attenzione musicale nell’ascolto in bambini compresi fra i sei e gli otto anni di età. Si tratta di una ricerca qualitativa sulle modalità con cui i bambini rispondono alla musica, su come percepiscono loro stessi in relazione alla musica e sui fattori affettivi messi in gioco nella autostima musicale. A causa delle difficoltà riscontrate dall’autrice nell’utilizzare il linguaggio verbale in bambini così piccoli viene proposta una indagine che usa solo stimoli non verbali.

La classe (24 bambini) di viene divisa in tre gruppi di otto bambini. A ogni bambino viene dato un set di colori, patters grafici (generate da un computer) e testure (imbottitura a bolle antiurto come quella comunemente utilizzata negli imballaggi, stoffa di cotone, velluto, cuoio morbido, carta lucida, seta, sacco e carta vetrata). Una piastra di registrazione viene applicata sotto ogni elemento. I bambini ascoltano una serie di frammenti musicali della durata di un minuto circa ciascuno. Durante l’ascolto i bambini sono invitati a toccare l’elemento che ritengono in accordo con la musica che stanno sentendo. Un computer registra, attraverso le piastre, come e quanto i bambini toccano gli elementi. Ai bambini viene detto che non ci sono risposte giuste o sbagliate e viene molto enfatizzato il loro ruolo di “esperti”.

All’attività di scelta segue un momento di discussione con una intervista, uno a uno, semistrutturata durante la quale i bambini possono parlare delle ragioni connesse alle loro scelte. I risultati studiati statisticamente mostrano che le attività di scelta durante l’ascolto aumentano l’attenzione focalizzata al brano, che tutti hanno partecipato alle attività in modo positivo e gratificante, che le risposte date nelle varie fasi (la ricerca è durata un intero trimestre) rivelano un miglioramento nei livelli di ascolto, che l’attività non verbale struttura le risposte verbali date successivamente, che l’interazione sociale del gruppo migliora. Aumenta inoltre l’autostima musicale dei partecipanti in particolare per i soggetti che inizialmente percepivano se stessi come “non musicali”. Viene inoltre illustrato dettagliatamente il caso di uno dei partecipanti. Nella scelta degli abbinamenti i bambini mostrano di compiere dei procedimenti analitici sulla musica e la metodologia usata, che privilegia un approccio non verbale, offre un ottimo esempio di come tali abilità analitiche possono essere messe in gioco, descritte, studiate e sviluppate anche in bambini di soli sei anni.

BURNARD P. (2000), “Examining experiential differences between improvisation and composition in children’s music-making”, British Journal of Music Education, 17/3, 227-245.

Lo studio vuole descrivere qualitativamente: (a) il tipo di esperienza improvvisativa e compositiva di un gruppo di ragazzi (12 anni) non musicisti di una scuola Inglese osservando, in incontri settimanali per una durata complessiva di sei mesi, in che modo essi svolgono queste attività; (b) considerare le modalità con cui improvvisazione e composizione sono in relazione chiedendo ai ragazzi di riflettere su cosa è improvvisazione e composizione. Vengono svolte interviste approfondite, raccolte informazioni e registrate esecuzioni che poi sono analizzate fino ad avere una mappatura delle differenti modalità di esperienza dei ragazzi nei confronti delle due attività. L’analisi dei dati è focalizzata su quattro aspetti: (1) tempo, (2) corpo, (3) relazioni, (4) spazio. Il punto di partenza delle comparazioni è il linguaggio usato dai ragazzi nelle sessioni registrate e nelle interviste. La prima comparazione riguarda i comportamenti temporali utilizzati nel contesto improvvisativo e compositivo. La seconda comparazione riguarda il particolare orientamento dei movimenti del corpo e i gesti usati nella costruzione di una performance immediata oppure di un brano già realizzato. La terza comparazione indaga le interazioni tra l’individuo e gli altri (musical-social activity). La comparazione finale riguarda i rapporti spaziali fra suonatori e il territorio circostante nel quale viene decisa la totalità degli elementi aggiunti alla performance.

I risultati mostrano che i ragazzi differenziano bene, sia in termini di linguaggio, sia nelle loro azioni, sia nei risultati musicali, improvvisazione da composizione anche se le due attività non sono distinte nettamente ma disposte su un continuum con un passaggio graduale attraverso le seguenti tre relazioni: (1) sono due forme distinte e implicano attività orientate diversamente; (2) sono due attività collegate in maniera funzionale; (3) sono indistinguibili. Inoltre si dimostra che i ragazzi possono parlare eloquentemente della propria esperienza musicale quando la loro creatività è favorita e le loro convinzioni sono rispettate. Inoltre risulta opportuno incoraggiare la naturale capacità dei ragazzi per la creatività musicale in un modo che sia autentico e avventuroso, irripetibile e imprevedibile tanto quanto prevedibile e ripetibile. La ricerca mostra anche, in maniera indiretta, alcune strategie analitiche che gli studenti adoperano parlando dei loro comportamenti musicali.

MELLOR L. (2000), “Listenig, language and assessment: the pupil’s prospective”, British Journal of Music Education, 17/3, 247-263.

L’articolo indaga il linguaggio usato da 154 bambini, dai 9 ai 13 anni, nella valutazione delle loro proprie composizioni e per quelle dei propri compagni. Uno degli scopi della ricerca è quello di verificare come i bambini usino le nozioni di altezza, durata, dinamica, tempo, timbro, testura e struttura definiti dal programma statale inglese (National Curriculum). Il compito compositivo viene presentato in modo aperto. Per non influenzare le risposte di ascolto il compito non è svolto in un ordine consequenziale di incontri. Il punto di partenza è una melodia senza riferimenti extra-musicali. Le attività di composizione sono organizzate individualmente. Ogni studente ha a disposizione una tastiera con cuffia. Ai ragazzi viene chiesto di sceglie un proprio timbro da quelli della tastiera ma di non usare i ritmi e gli accompagnamenti già predisposti nello strumento. Gli studenti lavorano sui loro brani in tre lezioni di 15 minuti e poi eseguono il loro brano registrandolo. Per molti studenti questo lavoro compositivo è una esperienza nuova. Infine, nella settimana conclusiva, gli studenti sono invitati a valutare le proprie composizioni. Essi ascoltano le registrazioni dei propri pezzi, danno un voto fino a 10 e scrivono le ragioni della loro valutazione. I risultati vengono catalogati e utilizzati per una analisi sia quantitativa che qualitativa. L’analisi qualitativa è sviluppata secondo cinque categorie: elementi musicali, stile, carattere, valutazione della composizione, valutazione dell’esecuzione. I risultati mostrano che l’uso di un vocabolario tecnico può non mettere in evidenza la comprensione dei fatti musicali. Viceversa, in assenza di un vocabolario tecnico, è possibile comunque comunicare il senso della musica attraverso un linguaggio non tecnico e ricco di metafore. Non mancano riferimenti all’influenza dei rapporti sociali nelle risposte e un ampia trattazione delle espressioni non tecniche utilizzate dai ragazzi. Particolarmente interessante per l’autrice il confronto fra le risposte di due gruppi di ascoltatori. Il primo gruppo individua un ampio numero di percezioni usando un linguaggio sia tecnico sia emotivo. Il secondo gruppo, che utilizza solo le nozioni tecniche del National Curriculum: “sembra chiudere le orecchie alla musica e usare le nozioni tecniche come etichette”.

BURNARD P. (2000), “How Children Ascribe Meaning to Improvisation and Composition: rethinking pedagogy in music education”, Music Education Research, 2/1, 7-23.

L’articolo ripropone nella sostanza la stessa ricerca illustrata nell’articolo della stessa autrice intitolato “Examining experiential differences between improvisation and composition in children’s music-making”, e pubblicato sul British Journal of Music Education, 17/3, 227-245. (vedi scheda) In questo caso l’articolo è corredato anche da alcuni schemi grafici realizzati dai ragazzi per illustrare il rapporto fra improvvisazione e composizione.

LAPIDAKI E. (2000) “Stability of Tempo Perception in Music Listening”, Music Education Research, 2/1, 25-44.

A tre gruppi di ascoltatori di differente età (adulti, adolescenti e preadolescenti) sia musicisti che non musicisti viene chiesto di ascoltare sei diverse composizioni in diverse versioni nelle quali è modificata la velocità. Agli ascoltatori viene chiesto di indicare quella che ritengono la corretta velocità modificandola attraverso l’uso di un software di facile uso fino ad ottenere il risultato “corretto”. Per la prova non ci sono limiti di tempo. I risultati mostrano che la velocità iniziale proposta dallo stimolo ha un effetto dominante sul giudizio degli ascoltatori: un tempo iniziale lento generalmente evoca scelte piuttosto lente, e cosi via. Tuttavia un ristretto numero di adulti, soprattutto musicisti, dimostra una eccezionale abilità nel giudizio sulla velocità e nel mantenimento della stessa velocità anche in prove successive svolte a distanza di tempo. L’autore parla di una sorta di tempo assoluto paragonabile all’orecchio assoluto nella percezione delle altezze. Nello studio dei dati vengono prese in considerazione e commentate molte possibili variabili: l’età, il retroterra musicale, lo stile musicale, la familiarità con gli esempi musicali, la familiarità con lo stile, le preferenze per i pezzi proposti. Riguardo all’ultima variabile ad esempio appare evidente una maggior stabilità nelle scelte di velocità per lo stesso brano se il brano in questione piace all’ascoltatore. Per quanto riguarda la familiarità con lo stile si vede un incremento e un mantenimento delle attribuzioni di tempo corrette se lo stile è familiare all’ascoltatore, eccetto che per la musica contemporanea. Secondo l’autore la corretta percezione dell’agogica è un elemento fondamentale nella percezione musicale e nella attività creativa. In conclusione si vede come molti ascoltatori non sono precisi nell’assegnazione dell’agogica ad un brano ripetuto a distanza di tempo e si afferma: “Veramente tutto varia nelle abilità con le quali la nostra percezione estetica lavora. Dopo tutto, non siamo metronomi.” Sebbene la ricerca punti ad un elemento estremamente circoscritto come il riconoscimento ed il mantenimento della “giusta” velocità in un brano, la strategia analitica utilizzata risulta particolarmente efficace per il coinvolgimento diretto dell’ascoltatore nel focalizzare un determinato parametro e per la relativa facilità di raccolta e comparazione dei dati.

DESEQUELLES A. C. (2000), “Quel discours auiord’hui pour l’analyse des oevres musicales?” Analyse Musicale, 35, 40-45.

L’articolo, che si pone su di un livello di riflessione filosofico piuttosto che operativo è imperniato sulla (presunta) opposizione fra un discorso analitico di tipo scientifico e un discorso “vitalistico”. Opposizione che l’autore propone di superare attraverso un discorso analitico “interpretativo” che integri “l’esame rigoroso dell’organizzazione di un’opera con il sentimento e l’energia che essa emana”. Proposito senz’altro condivisibile anche in sede di didattica dell’analisi.

HALAY B. (2000), “Du standard de jazz à ses versions improvisèes: une relation dialectique. L’exemple de Body and Soul”, Analyse Musicale, 36, 53-69.

Il saggio, piuttosto ampio e articolato, pur presentando un approccio analitico molto tradizionale, offre un buon modello con un piano di lavoro facilmente utilizzabile da uno studente alle prese con un “compito di analisi”. Si inizia esaminando il contesto storico e sociale che vede l’apparizione degli standard jazzistici prendendo in considerazione il ruolo svolto dalla commedia musicale, dalle canzoni dal cinema e dalle costrizioni connesse alla improvvisazione collettiva nelle jam-session. In una seconda parte si affrontano le problematiche terminologiche ed estetiche, come ad esempio la definizione di standard e l’analisi delle sue varie tipologie, il ruolo dello standard nella composizione, nell’interpretazione e nella improvvisazione, l’uso dello standard come modello. Si affronta infine l’analisi di Body and Soul premettendo una storia di questo fortunato standard, analizzando brevemente il testo verbale e approdando infine all’analisi comparativa dello standard così come è trascritto sul Real Book con quattro diverse sue interpretazioni (Louis Amstrong, Benny Carter, Thelonious Monk, Sarah Vaughan). La comparazione riguarda sostanzialmente le diverse armonizzazioni del brano alla luce delle trasformazioni generali del linguaggio armonico nella storia del jazz. Nonostante la quasi totale assenza di attenzione ad altri aspetti musicali (ritmo, melodia, ecc.) la chiarezza espositiva e la ricchezza di informazioni rende l’articolo un buon esempio di pratica analitica. Una interessante bibliografia commentata chiude come utile appendice l’articolo.

MENNESSON C. (2000), “György Ligeti: Études pour piano; les illusions acoustiques comme matériau d’une écriture”, Analyse Musicale, 36, 76-93.

Anche in questo caso non ci si affida rigidamente a nessuna particolare metodologia analitica ma vengono presi in considerazione una serie di aspetti molto interessanti sia per l’esecutore che per il compositore e lo storico. Dopo alcune informazioni preliminari sulla genesi degli studi si affronta il tema fondamentale dell’articolo che è quello delle illusioni acustiche in musica e in particolare in quest’opera di Ligeti. Attraverso anche diverse citazioni dagli scritti di questo compositore si passano in rassegna illusioni melodiche, illusioni ritmiche, e, brevemente, altri tipi di illusioni acustiche. L’intera raccolta dimostra di essere così un insieme di studi su vari tipi di illusione acustica: illusione di linee (Escalier du diable, Columna Infinita, Vertige), illusione di volumi (Vertige, Columna Infinita), illusione di polifonia (Der Zauberlehrling), illusione di timbro (Galamb borong), illusione di fuga (Automne à Varsovie), illusione di distanza (Fanfares), illusione di metri differenti (Automnes à Varsovie, Entrelacs), illusione di ritmi (Touches bloquée), ecc. L’attenzione analitica si concentra sullo studio n. 6 (Automne à Varsovie), un brano che si ispira allo spirito della scrittura fugata presentando lo stesso materiale tematico attraverso sovrapposizioni a diverse velocità. Vengono prese in esame le polarità armoniche, la struttura del soggetto e delle sue trasformazioni, il modo attraverso il quale si raggiunge una sorta di illusione di polifonia, le illusioni ritmiche. In un ampio paragrafo conclusivo si affrontano le specificità tecniche e strumentali degli studi. Molto ricche la bibliografia e la discografia. L’interesse didattico dell’articolo non risiede tanto nelle metodologie analitiche utilizzate quanto nella capacità di fornire poche ma chiare informazioni analitiche utili sia dal punto di vista interpretativo, che da quello compositivo e storico.

GUYE J. PH. – GOUTTENOIRE PH. – DEMANGE É. (2000), “Le Quatuor de Debussy: recherches analytiques et estétiques”, Analyse Musicale, 37, 32-46.

L’approccio analitico al brano di Debussy è molto tradizionale e, dopo la consueta breve introduzione di carattere storico, si passa ad illustrare dettagliatamente le metamorfosi tematiche all’interno del primo movimento. Si conclude fornendo una mappa delle polarizzazioni sia tematiche che modali. Un esempio interessante di come un modello “descrittivo” di analisi, poco propenso a fornire chiavi di lettura rischiose o avventurose, sia ancora ampiamente praticato anche fuori dai conservatori musicali italiani.

HALAY B. (2000), “Body and Soul” (1930). Musique de John Waldo Green, paroles de Robert Sour, Edward Heyman et Franck Eyton”, Musurgia, VII/4, 131-143.

E’ lo stesso articolo pubblicato anche sul numero 36 di Analyse Musicale con il titolo: “Du standard de jazz à ses versions improvisèes: une relation dialectique. L’exemple de Body and Soul” (vedi scheda).

ROPERS D. (2000), “Improvisation: le jazz comme modèle. Du bepop au free jazz – Analyses”, Musurgia, VII/4, 107-129.

Più che di una vera analisi si tratta di un rapido exursus focalizzato su alcuni stilemi melodici, armonici e ritmici tipici di alcuni momenti ed alcuni importanti musicisti della storia del jazz. Un lavoro forse utile a chi vuole individuare alcuni degli stilemi ricorrenti utilizzati da Charlie Parker, Miles Davies e Ornette Colemann.

DRATWICKI A. (2000), “Une typoloie des «Passages» dans le concerto pour piano romantique (1800-1849): l’exemple de Johann Nepomuk Hummel (1778-1837)”, Musurgia, VII/2, 25-40.

L’idea è intrigante, si prendono i “passaggi” cioè gli episodi di transizione nella scrittura pianistica del concerto per piano e orchestra, in Hummel in particolare. Le osservazioni analitiche non vanno più in la di una sorta di descrizione dei tratti ricorrenti individuati nei vari esempi considerati. Didatticamente funzionale l’idea di restringere il campo di ricerca ad un ambitus volutamente limitato.

GUT S. (2000), “L’ Échelle à double seconde augmentée: Origines et utilisation dans la musique occidentale” , Musurgia, VII/2, 41-60.

Nell’articolo vengono presentati numerosi esempi musicali, tratti tutti da musiche di List e di Debussy, contenenti l’intervallo di seconda eccedente. Le numerose osservazioni analitiche per quanto interessanti non riescono a coagularsi in una teoria unitaria. Una sorta di breve campionario di seconde eccedenti accuratamente conservate sotto spirito e archiviate con etichette esplicative. Non sarà inutile ricordare al lettore italiano che Serge Gut è il compilatore della voce analisi del DEUMM. Le assonanze metodologiche fra questo articolo e la voce citata sono evidenti.

ROTILI P. (2000), “L’esercitazione mini-compositiva nella formazione del musicista”, Analisi, XI/33, 30-37.

L’autore dichiara di voler “contribuire a una riflessione su ciò che attiene la formazione analitica e creativa nel periodo medio degli studi, campo oggi ‘coperto’ in maniera assolutamente inadeguata alla cosiddetta Armonia complementare”. Aggiunge inoltre: “[…] sembra opportuno immaginare un tipo di analisi che contribuisca alla comprensione del fatto musicale non ricorrendo a spiegazioni eterologhe, ma cercando il consenso musicale a partire da generali modalità costitutive (ovvero categorie teoriche) dell’esperienza sonora, così come essa si è storicamente manifestata. […] Il corso sperimentale di Teoria e Analisi, grazie all’opera teorica di Marco de Natale ha da tempo compiuto questo passo […]”. Viene sottolineata l’importanza di coordinare il momento analitico con quello storico e con quello compositivo ma: “L’acquisizione di competenze analitiche presuppone un immediato ricorso a pratiche compositive? Certamente no. […] Rintracciare un accordo di settima e catalogarlo non implica per forza la capacità di scriverlo e risolverlo correttamente. […] Quale può essere l’utilità della scrittura nella formazione del giovane musicista? Due essenzialmente le sue funzioni: 1) come supporto alle acquisizioni analitiche; 2) come iniziale addestramento delle capacità analitiche.” Nella parte conclusiva dell’articolo vengono offerte delle esemplificazioni di esercitazioni “mini-compositive” funzionali a questa concezione didattica che consistono, ad esempio, nel riconoscere gli errori volutamente inseriti in un frammento musicale, nell’identificare delle varianti che cambiano il senso di un brano, nel completare frammenti incompleti, nel completare testi incompleti in uno o più aspetti categoriali (ad esempio sequenze di sole altezze prive di durata e metro), e nello svolgere esercizi dove sono date esclusivamente indicazioni verbali sulle modalità da seguire.

TOSCANI C. (2000), “IV Congresso Europeo di Analisi Musicale, intervento alla sessione di studio: L’analisi in Europa oggi: le diverse tradizioni e le prassi pedagogiche”, Analisi, XI/31, 25-29.

L’intervento di Toscani alla sessione di studio svoltasi a Rotterdam il 23 ottobre 1999 delinea un quadro sintetico della situazione italiana, afflitta dai mali ben noti nei confronti di questa disciplina: mancanza di una tradizione didattica consolidata, prevalenza dell’approccio storico, documentaristico e filologico piuttosto che teorico e analitico, separatezza dei conservatori rispetto al sistema generale dell’educazione, arretratezza dei programmi di studio, ecc. Ma viene anche tratteggiata una situazione in positiva evoluzione: la presenza dei corsi sperimentali, il riconoscimento di “Analisi Musicale” fra i settori scientifico disciplinari dell’università, ecc. Date le premesse: “L’analisi della musica molto più che una disciplina dotata di un proprio riconoscimento istituzionale, appare come uno strumento per ibridazioni metodologiche o per contaminazioni interdisciplinari. […] [Ma] se questo atteggiamento pragmatico, che collega l’analisi alle esigenze dello storico o del musicista pratico facendone essenzialmente un sussidio didattico, ha il merito di divulgare verso il basso i frutti della ricerca analitica, rischia tuttavia in primo luogo di decontestualizzare gli strumenti dei quali si serve, facendone perdere di vista i presupposti storici e ideologici che stanno alla base di ogni metodo analitico e di ogni teoria; in secondo luogo, finisce per negare dignità teorica e autonomia alla disciplina, mettendone in dubbio il valore scientifico, cioè la capacità di formulare chiare ipotesi di lavoro e processi di verifica corretti ed espliciti”.

FERRIS D. (2000), “C. P. E. Bach and the art of strange modulation”, Music Theory Spectrum, 22/1, 60-88.

L’articolo, molto ampio e ricco, focalizza una questione molto circoscritta: il modo molto personale e talvolta tonalmente strano con cui C.Ph.E. Bach compie delle modulazioni. L’attenzione è al solo fattore armonico. L’interesse didattico dell’articolo consiste nel modo di condurre la ricerca, molto attenta alla relazione con la produzione teorica del periodo e in particolare al modo con qui diversi musicisti-trattatisti (J.Ph. Kirnberger, H. C. Koch e lo stesso C.Ph.E. Bach) affrontano il problema della modulazione. Dalla ricerca emerge con chiarezza la volontà di C.Ph.E. Bach di usare la modulazione come una risorsa espressiva “locale”, piuttosto che come un elemento dell’architettura formale complessiva. Ciò succede in modo particolarmente evidente proprio nei casi di modulazioni “strane”, cioè non in linea con i consigli dei trattati e con le abitudini “modulative” della maggior parte dei compositori dell’epoca.

ANSON-CARTWRIGHT M. (2000), “Cromatic Features of Eb-Major Works of the Classical Period”, Music Theory Spectrum, 22/2, 177-204.

L’idea di fondo della ricerca è che, nelle musiche del periodo classico, esistano dei comportamenti armonici significativamente più ricorrenti nelle situazioni cromatiche che si verificano all’interno della tonalità di mi bemolle maggiore e che invece si verificano in modo assai meno ricorrente in altre tonalità. I risultati della ricerca, molto minuziosa e ampia mostrano chiaramente che per i tre compositori esaminati (Haydn, Mozart e Beethoven) è esattamente così. In particolare l’enarmonia fra si bequadro e do bemolle risulta essere uno dei mezzi più frequentemente utilizzati. Viene anche analizzato dettagliatamente lo sviluppo del primo movimento del quartetto di Haydn op. 71 n. 3, che risulta essere un brano di particolare interessante agli scopi della ricerca.

Pur non affrontando minimamente questioni di didattica dell’analisi, l’articolo offre un ottimo modello didattico di ricerca, con una efficace delimitazione del campo di ricerca e una pregevole chiarezza metodologica ed espositiva.

SMYTH D. H. (2000), “Stravinsky as Serialist: The Sketches for Threni”, Music Theory Spectrum, 22/2, 206-224.

L’autore svolge una accurata ricerca sulla struttura seriale della prima composizione interamente dodecafonica di Stravinsky. In questo lavoro l’esame degli abbozzi risulta fondamentale. Anche attraverso numerosi esempi, molto chiari e puntuali, il lettore è portato gradualmente a rendersi conto del tipo di manipolazione usato da Stravinsky nei confronti della particolare serie di questo brano. Anche il ruolo predominante di determinate altezze (il mi bemolle sopra tutto e in misura meno evidente il sol bemolle il la e il do) è spiegato attraverso le particolarità della serie e delle particolari trasformazioni scelte da Stravinsky. Infine risulta chiaro come: “Stravinsky manipola il metodo per comporre con i dodici suoni per creare risultati analoghi a quelli dei centri e delle gerarchie tonali”. Un ottimo esempio di come, anche con una metodologia molto semplice e tradizionale, il lettore può essere guidato all’interno dei processi creativi di un grande musicista con abilità e senza pesantezze. Una vera lezione di stile.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

DALLE 69 FAVOLE CON BEMOLLI

04.IL SORCIO E LA GRAZIA.

Un giorno mentre ero solo di fronte alla macchina distributrice di caffè, te, cioccolata, acqua calda, ecc. ho osservato un simpatico topo che, da sotto la porta dello scantinato, andava pian pianino a prendersi un po' di zucchero sul retro dell'infernale macchina mangia monetine.

Trattenni il fiato e lo lasciai fare. Mi era simpatico.

Casualmente un giorno chiesi al Maestro Direttore Responsabile del Buon Andamento della Scuola, Maestro Zorro, di spostare la macchina del caffè ad un piano superiore. "E perché di grazia?" mi chiese con un ineffabile sorriso a 32 denti da roditore.

Questa favola é utile a chi crede nella reincarnazione.

05.IL FILO DI ARIANNA.

Il Maestro De Negri odiava Mozart e amava Salieri. Faceva una intensa attività artistica come direttore d'orchestra, il che gli procurava ore di sonno arretrato e occhiaie abissali.

Mentre gli facevo sentire un "Coro e aria" di non-so-quale-porcheria scritta da Salieri non lo sentii più bofonchiare alle mie spalle.

Lentamente girai la testa mentre facevo una corona "ad libitum" su una provvidenziale settima di dominante.

Egli era la, nella sua poltrona, gli occhi semichiusi, il respiro cavernoso, e dalla bocca semiaperta scendeva lucente un filo di bava.

Russava lievissimamente ma a tempo: in quattro quarti.

Questa favola insegna che non sempre il pubblico silenzioso é anche attento.

06.MA QUESTA E' MUSICA?

Un giorno ho suonato, per i polli del mio pollaio, un pezzo a memoria con il piano a coda dell'aula3.

Poi ho fatto loro tre domande, come i fatidici tre desideri di tutte le fiabe.

1) Questa era musica?

Poi ho suonato lo stesso pezzo leggendo lo spartito e ho chiesto:

2) Questa é sempre musica?

Infine gli ho fatto vedere lo spartito e ho chiesto:

3) Questo spartito é musica?

RISPOSTE: 1) si

2) si

3) no

Questa favola é utile a coloro che credono che i polli siano più intelligenti delle galline.

Il pezzo era "Piano Piece for David Tudor 3" di Silvano Bussotti.

08.IL PALO.

Un giorno, mentre pensavo ai fatti miei, mi é venuta l'idea di fare un giro in biblioteca. Per andare in biblioteca si deve passare davanti alla porta dei gabinetti. Il bidello Vatusso era come al solito di guardia fuori dalla porta. Vedendo che mi avvicino con passo veloce mi fa : "Abbiamo appena pulito. Vada al piano di sopra".

Questa favola é utile a tutti coloro ai quali scappa la pipì, debbano o non debbano andare in biblioteca.

10.IL SIGNOR BIDELLO VATUSSO.

Ieri non dovevo andare in biblioteca: dovevo proprio andare al gabinetto. Ma, dato che a quell'ora stanno sempre pulendo i cessi del II° piano, sono andato a quelli del III° e ultimo piano.

Sfiga maledetta, chissà perché l'ordine delle pulizie era stato invertito e il Signor Bidello Vatusso era di guardia fuori dalla porta.

Approfitto del fatto che era distratto a guardarsi le scarpe e mi infilo lo stesso. Mi intuisce con la coda dell'orecchio e mi segue dicendomi:

"-ipì o -acca?"

"Come scusi?"

"Deve …are la pipì o la cacca?"

".....la pipì!...."

"La pipì?"

"Si"

"E' sicuro?"

"Si la pipì (boia d'un mondo cane)"

"Abbiamo appena pulito, vada al piano di sopra."

"Ma, cazzo, siamo già al piano di sopra!"

"Ah si? Beh, allora vada al piano di sotto."

Questa favola non é una favola: é tutto vero. Conservatorio di Milano, 3 aprile 1995.

11.SINFONIA DEL DESTINO.

Esame universitario. Docente Della Valle all'esaminato: "Mi analizzi lo scherzo della nona sinfonia [di Beethoven - n.d.r.]".

Ognuno apre la propria partiturina.

"Lo scherzo inizia con una cellula tematica modellata sull'arpeggio di re minore che poi caratterizzerà tutto il..."

Docente: "Guardi che lei sta parlando di un altro pezzo!"

Studente: "Ma...(rivolgendosi agli altri studenti) lo scherzo della nona non é quello che inizia con (cantando) re,la,la, la,re,re, re,..?"

Cenni di assenso degli altri studenti.

Docente: "Ma...forse.....mi sono confuso: ho aperto per errore [la partitura - n.d.r.] allo scherzo della settima."

(Impalpabili risatine mute del pubblico).

Studente:"Non si preoccupi. Sono SCHERZI che càpitano."

(Impalpabili deflagrazioni di ilarità fra il pubblico.)

Voto d'esame: 30 e lode.

Questa favola insegna che quando il destino batte alla porta é perché non sa cos'è il campanello.

12.LINGUISTICA.

L'alunno Giuseppe pizzica se stesso, i compagni, sbava leggermente e non pronuncia quasi mai le vocali.

Chiedo a tutti di pensare una parola che comincia per C e di dirmela.

Arrivato il suo turno Giuseppe scandisce: "C-G-NI".

"Come? Non ho capito."

"CG-VO-NI"

"Hai detto covoni?"

"No! C-DO-NI!"

"Forse bidoni?"

"No, no!" (sbavando a più non posso).

A quel punto Salvatore [secondo l'insegnante di italiano un maleducato semianalfabeta, dislessico, disgrafico, che non sa proprio che "roba" é la lingua italiana] mi fa: "A professo': Coglioni!"

"Si, si, si, si, si." gongola felice Giuseppe.

Questa favola é adatta a chi é convinto di sapere l'italiano. E aggiungo: Giuseppe e Salvato', sarete sempre nel mio cuore.

13.SETTE PRIMI E TRENTA SECONDI.

Il Maestro Conduca dedica a ciascun allievo 7' 30''.

Moltiplicato per i suoi 10 allievi fa un'ora e 15 minuti.

Il resto delle sue 12 ore settimanali di servizio (esattamente 10 ore e 45 minuti) le passa in corridoio attaccando bottone con: (in ordine di apparizione)

-il bidello

-i colleghi

-gli allievi

-le colonne

-le finestre

-la catena del cesso

-una macchia sul muro

-un piccione entrato per errore dalla finestra

-uno scarafaggio morente.

Finiti i possibili interlocutori inizia il suo sport preferito:

a) mangiare una caramella (é grasso)

b) gettare la carta per terra

c) chiamare il bidello

d) dire, con voce professionale: "Bidello, raccolga quella carta"

e) osservare compiaciuto il bidello al lavoro.

Questa favola illustra come alcuni siano dei veri artisti nell'arte di rompere i coglioni.

14.MELANINA.

Un bel giorno di primavera il Maestro Offroio entra in classe e trova l'alunno Casademoni in pieno sole, a torso nudo, senza scarpe, immobile come un sasso in meditazione.

"Cosa fai?" sussurra con un fil di voce.

"Mi abbronzo" risponde tranquillo Casademoni senza perdere l'immobilità

"E se dovesse entrare il direttore?"

"Tranquillo. Sono anni che studio qui e non s'è mai visto."

Questa favola insegna che quando manca la gatta, i topi si abbronzano.

15.PIOGGIA.

Prima lezione del periodo quaresimale. Facce tristi.

L'alunno Little Horse suona il "Solo di Tuba" di De La Nux davanti al suo collerico maestro. Il Maestro Syempre.

Appena concluso il brano, il Maestro Syempre insinua con una vocina di zanzara: "Per caso, durante il carnevale, non sarai andato in giro a suonare con LE ALTRE bande. Vero?"

"No, no, sono rimasto a casa a studiare." risponde Little Horse e capovolge lo strumento per appoggiarlo al pavimento.

Ed ecco, dalla campana di ottone, scende lieve una pioggia di coriandoli di tutti i colori.

LITTLE HORSE - corridoio di 80 m. in 8'' e 58 centesimi.

MAESTRO SYEMPRE - corridoio di 80 m. in 8'' e 57 centesimi con una scarpa nella mano destra.

Questa favola insegna che prima di girare il tuba é utile guardare che scarpe porta l'insegnante.

17.PAUSE E SILENZI.

Docente: "Questa é una pausa che vale quattro quarti o un intero. Questa invece é la pausa di minima e vale una metà o due quarti. Poi ci sono: la pausa di semiminima del valore di un quarto, la pausa di croma del valore di un ottavo, la pausa di semicroma del valore di un sedicesimo, la pausa di biscroma del valore di un trentaduesimo e la pausa di semibiscroma del valore di un sessantaquattresimo. Esiste anche la pausa di fusa del valore di un centoventottesimo."

Alunno: "Ma allora, che cos'è la menopausa?"

.......Silenzio.......

18.TEMPISMO.

L'alunno Rinaldi si stava preparando al diploma di organo. Come tutti gli organisti, studiava in chiesa nei tempi liturgicamente vuoti della giornata. In quelle ore in cui entra in chiesa solo qualche vecchietta in cerca di frescura e silenzio.

Una di queste simpatiche rappresentanti della terza età, colpita dal brillante virtuosismo di Rinaldi si avvicina alla consolle mentre si conclude il pirotecnico "Studio Sinfonico" di M.E.Bossi.

Dopo una pausa osserva: "Bravo, davvero bravo" e quindi chiede: "Scusi, ma ... da quanto tempo é che suona l'organo?"

"Ma... saranno....circa... dieci minuti".

Questa favola é utile a tutti quelli che ci mettono dieci anni per arrivare al diploma.

19.BOLLICINE.

Diploma di Composizione. Prova di analisi, Clausura di dodici ore. L'alunno Bemolli si é portato una borsa con i viveri. Appena entra nell'aula é preso da un attacco di gola secca (lieve claustrofobia?). Tira fuori la bottiglia dell'acqua e svita il tappo.

FFFFFFSSSSSSHSHSHSHSHS!

Lo Stenway a coda é inondato da mezzo litro di acqua piena di bollicine.

E' il PANICO.

Trentaquattro minuti e tre confezioni di fazzoletti di carta per asciugare il tutto.

Dopo di che dimentica il bere e inizia l'analisi scritta di "Jeux d'eaux".

Questa favola insegna agli studenti di composizione che l'acqua gasata fa male.

20. ANALISI.

L'alunno Peguri ha perso troppo tempo a scrivere la brutta copia. Stanno per scadere le dodici ore della clausura e sta freneticamente ricopiando in una bella copia ancora più illeggibile della brutta. E' l'ultimo rimasto: gli altri hanno già consegnato. La porta della sua aula é aperta e il bidello di turno passeggia nervosamente per il corridoio. Sono le 22,30 e sta per andare in onda la semifinale del campionato. Il bidello passeggia sempre più nervosamente e, quando passa davanti all'aula, si affaccia a guardare Peguri al lavoro. Le sue soste sulla porta dell'aula si fanno via via più frequenti e ora sono sottolineate da violente emissioni d'aria dal naso.

La punta della biro di Peguri vola sulla carta.

Alle 22,34 il bidello si avvia deciso alla porta dell'aula e ruggisce: "Peguri! Ostia dio! gheto finìo?" [Peguri, ostia dio, hai finito?]

Senza staccare gli occhi dal foglio Peguri sussurra: "Quasi!"

Questa favola é utile a chi non scrive direttamente in bella copia.

21. FUGA A TRE VOCI.

L'alunno Rinaldi é allo stremo delle forze. Non riesce ad uscire dagli stetti della sua fuga e stanno per scadere le dodici ore di clausura. La sua aula, esposta a sud, é ancora rovente per il caldo della giornata. Non ha mangiato ne bevuto.

Alza gli occhi dal leggio: un ritratto di Beethoven incazzato lo fissa dalla parete. Rimane come ipnotizzato da quello sguardo e gli sembra che quegli occhi siano l'unica cosa stabile mentre tutto il resto (il pianoforte, l'armadio, i muri, il lampadario) traballa.

Si alza e, avvicinatosi alla finestra, vede nel cortile tutti i bidelli del conservatorio che corrono verso l'uscita. Riguarda Beethoven e adesso anche lui traballa.

In un lampo afferra la chiave di tutto e grida: "Ci sono anch'io! Ehi! Sono qui!"

Questa favola é utile per chi farà esami nei giorni di terremoto.

[Questo era quello del Friuli]

22. NIENTE APPLAUSI. GRAZIE.

Diploma di composizione. Seconda prova scritta. Clausura di 36 ore. Bellissima giornata d'estate. Dalle finestre spalancate entrano i profumi e la frescura dei grandi alberi del cortile. Nelle aule vicine altri due candidati lavorano alacremente alle loro variazioni. Li sento ogni tanto suonare qualche passaggio. Verso le undici di sera non li sento più suonare ma ogni tanto battono le mani. (?) Applaudono???

A mezzanotte non reggo più, mi butto sulla branda e spengo la luce.

La riaccendo subito.

Sul soffitto centinaia e centinaia di zanzare assetate di sangue.

Comincio anch'io a "battere le mani".

Questa favola é utile agli studenti di composizione ed ai venditori di Autan.

23. FRA' GOLA.

Esame di ammissione a composizione.

M°. Padre Zerbini: "Come si chiama?"

Candidata: "F.Z."

M°. Padre Zerbini: "Ha già qualche diploma?"

Candidata: "SI, organo."

M°. Padre Zerbini: "Lei ha già scritto dei pezzi?"

Candidata: "Si, qualcuno"

M°. Padre Zerbini: "Sono stati eseguiti?"

Candidata: "No. Nessuno, per ora."

M°. Padre Zerbini:(facendo cambiare posizione ai suoi 147 chili di Carne di Dio) "Lei pensa che il mondo abbia bisogno della sua musica?"

Candidata: "Almeno quanto della sua!"

Esito dell'esame: non sufficente.

24.GRANDI PULIZIE.

I due fratelli Lizziero organizzano, nel loro paese, un ciclo di concerti. Per il concerto d'organo chiedono al parroco la disponibilità della chiesa e sono per questo convocati in canonica alle ore 16.

Nello studio del prelato siedono dall'altra parte della scrivania e parlano a turno spiegando le finalità e l'importanza dell'iniziativa. Nella sua poltrona, il parroco ascolta senza guardarli mai negli occhi e realizzando una completa pulizia del naso per mezzo delle dita indice e mignolo della mano destra.

Finita l'esposizione verbale dei fratelli Lizziero la pulizia prosegue ancora per qualche attimo nel più completo silenzio.

"Ci penserò" esclama gioviale il Ministro di Dio e stringe loro calorosamente la mano.

SCAMBIAMOCI UN SEGNO DI PACE.

25. IL SOLISTA.

Il Maestro Nervetti aveva fatto per anni la spalla al primo violino e adesso, ormai in pensione, ragranellava qualche soldo suonando ai matrimoni. Il giorno che lo incontrai per accompagnarlo all'organo era relativamente tranquillo. Arrivati al brano conclusivo, dopo l'ite missa est, i parenti e gli invitati applaudirono gli sposi e cominciarono a chiacchierare allegramente.

Al Maestro Nervetti schizzarono fuori le orbite. "Silenzio! Cristo!" sibilava mentre sviolinava smanettando a più non posso con l'archetto.

"Non sono abituato a non essere ascoltato! Silenzio! Per dio!"

La gente, più che altro stupita da quella vocina irosa e fuori tono, guardava in su verso la cantoria e poi si guardava attorno senza sapere bene cosa fare. Alla fine lo ignorarono, ma io nel frattempo avevo perso il segno e il Maestro Nervetti mi batté furiosamente l'archetto sul leggio digrignando la dentiera.

Questa favola insegna come al posto di un accompagnamento all'organo sarebbe a volte più indicato un accompagnamento alla neurodeliri.

26. CORI MULTIETNICI.

Premessa - A Bolzano, suonata la campana dell'ultima ora e svuotate le aule, gli alunni italiani insultano i compagni tedeschi, gli alunni tedeschi picchiano i camerati italiani. Italiani e tedeschi tirano sassate ai ladini.

Lezione di Esercitazioni corali.

Alunno tedesco:"Herr Prof., non poteve cantave: qvesta voce essere troppo acutissima. ah, ah."

Alunni italiani: ridacchiano.

Alunno ladino:(al tedesco) "non ci arrivi?"

Alunno tedesco: "Nein"

Alunno ladino: "Tagliati le palle!"

Questa favola insegna che l'intelligenza non ha nazionalità.

27. RAGGI X.

Il supplente Bemolli deve fare, come tutti i supplenti, una schermografia ogni due anni. Il suo medico lo consiglia di fare la Manteux così non si becca una razione inutile di raggi x. La segreteria però tira fuori il regolamento: "Lo sappiamo che la Manteux serve allo stesso scopo della schermografia, tanto é vero che gli insegnanti di ruolo fanno la Manteux e non la schermografia, ma la legge dice schermografia e noi vogliamo solo quella."

Allora il supplente Bemolli va al suo distretto sanitario, si fa fare la Manteux, prende il modulo prestampato con l'esito (negativo) della Manteux, prende una biro, nell'apposito riquadro scrive: Schermografia - Negativo, consegna il tutto in segreteria, e vissero tutti felici e contenti. Cazzo!

28.L'ALLORTO.

Vi é mai capitato un compagno di banco che polverizza le rilegature dei propri libri? A metà anno scolastico essi non esistono più e l'artefice di questo disastro prima o poi vi chiede, con le faccia di un angioletto: "La prossima settimana dovrò essere interrogato in storia della musica; mi faresti un favore?"

"Va bene prenditi pure l'Allorto. L'ho lasciato sotto il mio banco."

Dopo qualche ora mi accorgo che l'Allorto é ancora sotto il mio banco, allora gli faccio: "Prendilo pure, non mi serve. Veramente!"

E quello, con la faccia da cherubino: "A posto. Ho già preso le pagine che mi interessano."

Questa favola insegna che non tutti i mali vengono per nuocere e spiega come mai io, fortunatamente, non possiedo più il famoso testo.

29. I SIGNORI ORGANISTI.

Quando andavo a studiare sull'organo della basilica degli schiavi di Bologna lo facevo clandestinamente (grazie a delle porte lasciate aperte al momento giusto) nelle ore di chiusura della chiesa. Sul leggio dell'organo un giorno trovai questo cartello: I SIGNORI ORGANISTI SONO PREGATI DI LAVARSI LE MANI PRIMA DI SUONARE.

Sulle prime non capii lo scopo di quella singolare richiesta. La tastiera era pulita come lo sono generalmente le tastiere di tutti gli strumenti. Poi un giorno incontrai padre Fascistucci: l'estensore dell'avviso. Mi regalò undici volumi di sue musiche (sue perché scritte e pubblicate in proprio) e mi redarguì aspramente perché dissi: "O.K. padre, da oggi in poi mi laverò le mani prima di suonare."

"Dovrebbe lavarsi la bocca! Noi itagliani parliamo l'itagliano. Dica piuttosto 'va bene' o 'siamo daccordo'."

Questa favola si colloca in un punto a piacere fra: pulizia personale\pulizia linguistica\pulizia mentale\pulizia etnica.

30. MISTER PROTUS.

Esame di ammissione. Il Maestro Rubini chiede: "In che tonalità é questo brano?" Il candidato (diplomato in musica corale) risponde: "E' facile, è un protus trasportato alla quarta alta:"

Il Maestro Rubini: "???????????????" (deglutento e riprendendosi dallo choc) "Si, forse si può dire anche così... ma... dica meglio"

Candidato: "E' un primo modo, detto anche modo dorico che anziché avere come finalis il re ha come finalis il sol quindi é di fatto trasportato una quarta giusta sopra."

Maestro Rubini: "Ma insomma... in pratica...che cos'è?"

Il candidato intuisce il vuoto pneumatico e azzarda: "Forse lei vuole dire che questo potrebbe essere una specie di sol minore?"

Maestro Rubini. "Esatto! è sol minore!"

(Il brano era una villanella a tre voci di Orazio Vecchi.)

Questa favola é utile a chi pensa che le risposte giuste siano giuste e quelle sbagliate siano sbagliate: un giorno il Maestro Rubini vi dimostrerà che non è così.

31.PAGINA 57.

L'alunno Menestrello porta jeans a zampa d'elefante, orecchino, capelli lunghi, strani bracciali di cuoio lavorato e suona l'organo in chiesa. Suona Bach leggendo edizioni stranissime, recuperate chissà dove, che da decenni non sanno più che cosa sia una rilegatura. Al saggio di fine anno il volta-pagine deve fare un lavoro di alto virtuosismo per evitare che i fogli volino in imprevedibili direzioni. Mentre il volta-pagine Rinaldi sta sudando le fatidiche sette camice per far si che le pagine non planino dolcemente sulla testa del pubblico Il Menestrello intuisce un pericolo imminente e approfitta di un passaggio tranquillo per urlare al volta-pagine: "Cercami pagina cinquantasette!".

Questa favola è utile a tutti quelli che, nonostante il possesso del fatidico diploma, non voltano le pagine al momento giusto neanche a prenderli a gomitate nelle costole.

39.IN PRINCIPIO ERA IL NULLA.

a) Esame di ammissione al corso del Maestro Rubini:

Cantare, leggendo a prima vista, la parte di contralto di un brano polifonico mentre, contemporaneamente, si suona con la mano sinistra la parte del soprano e con la mano destra si dirige un coro immaginario battendo i quattro quarti così: 1° e 2° in giù, 3° a sinistra e 4° a destra.

b) Esame di conferma al corso del Maestro Rubini:

Cantare, leggendo a prima vista, la parte di contralto di un brano polifonico mentre, contemporaneamente, si suona con la mano sinistra la parte del soprano e con la mano destra si dirige un coro immaginario battendo i quattro quarti così: 1° e 2° in giù, 3° a sinistra e 4° a destra.

c) Esame di passaggio nel corso del Maestro Rubini:

Cantare, leggendo a prima vista, la parte di contralto di un brano polifonico mentre, contemporaneamente, si suona con la mano sinistra la parte del soprano e con la mano destra si dirige un coro immaginario battendo i quattro quarti così: 1° e 2° in giù, 3° a sinistra e 4° a destra.

d) Esame finale del corso:

Cantare, leggendo a prima vista, la parte di contralto di un brano polifonico mentre, contemporaneamente, si suona con la mano sinistra la parte del soprano e con la mano destra si dirige un coro immaginario battendo i quattro quarti così: 1° e 2° in giù, 3° a sinistra e 4° a destra.

e) Attività artistica consigliata ai futuri diplomati:

Cantare, leggendo a prima vista, la parte di contralto di un brano polifonico mentre, contemporaneamente, si suona con la mano sinistra la parte del soprano e con la mano destra si dirige un coro immaginario battendo i quattro quarti così: 1° e 2° in giù, 3° a sinistra e 4° a destra, nonchè infilarsi una scopa nel culo e contemporaneamente ramazzare la stanza prima che arrivino gli altri ospiti del manicomio.

40.COLLEGIO DOCENTI.

Nel Conservatorio di Miculo, come in tutti gli altri conservatori, il collegio dei docenti é l'organo deputato a prendere le più importanti decisioni della vita della scuola. Spesso si arriva ad una votazione finale solo dopo estenuanti discussioni. Estenuanti non perché vi siano posizioni avverse che si fronteggiano disperatamente ma estenuanti perché la maggior parte degli interventi sono fatti da partecipanti che non hanno ascoltato gli interventi precedenti essendo intenti a chiacchierare, o essendo fuori a fumarsi una sigaretta, o infine, semplicemente non avendo capito una mazza di qual'é l'argomento della discussione. Quando poi si arriva a votare, in molti casi, manca il numero legale perché la maggioranza si è rotta le palle e, dopo aver firmato la presenza di straforo, se ne va.

Ma un argomento su tutti ha fatto arrivare alle stelle l'audience del collegio docenti, provocando una furiosa discussione protrattasi per più di tre quarti d'ora. La domanda fondamentale che si poneva in tale occasione era: "I genitori degli allievi minorenni, che vengono mensilmente a colloquio con i docenti per sapere come vanno a scuola i loro figli, hanno o non hanno diritto di usare occasionalmente i gabinetti della scuola?"

Votanti: 112

Numero legale minimo: 152

Votazione per alzata di mano

Contrari: 110

Favorevoli: 1 (si scoprì poi che era un genitore capitato per errore nel collegio dei docenti)

Astenuti: 1.

Votazione non valida per mancanza del numero legale. Dal quel giorno però i gabinetti sono severamente controllati ed in essi é possibile vedere solo pura merda d.o.c. di vero docente.

42.TRATTENUTE IN BUSTA PAGA.

Al Collegio dei Docenti del Conservatorio di Miculo non si fa l'appello. C'è il foglio delle firme di presenza. All'inizio del collegio questo foglio é sul tavolo del direttore: inaccessibile.

Dopo le prime due ore di 'lettura verbale del precedente collegio' e altre amenità simili c'é di solito qualcuno che comincia a scalpitare. Il nervosismo e l'agitazione crescono gradualmente ma sensibilmente con il passare dei quarti d'ora. Ad un certo punto c'è sempre uno che con aria distratta si avvicina al tavolo del direttore e guarda con finta indifferenza il famoso foglio. Questo qualcuno é il tipico "docente da fiuto" e questa operazione si chiama: "fiutare il foglio delle firme".

Rimane così, immobile, per qualche minuto, puntando quel rettangolo di carta bianca.

Ad un certo punto il direttore, Maestro Alladro, tira su la testa dalle sue scartoffie e il docente da fiuto scatta: dice due paroline all'orecchio del direttore (che fa una breve risatina di convenienza) mentre, agilissino, con una mano depone il suo autografo al posto giusto. Il tutto si svolge in un batter d'occhio e subito dopo si guadagna velocemente l'uscita.

In sala il nervosismo si fa palpabile.

Lentamente altri docenti da fiuto seguono l'esempio e, nel giro di qualche minuto, alle spalle del direttore c'é una ordinatissima fila indiana.

In sala cominciano dei piccoli tumulti che con il loro fracasso rendono incomprensibili le parole dell'oratore di turno. Il direttore guarda stupito la sala come per dire: "Ma che cavolo succede?"

Quando più di metà dei docenti sono sul palco alle spalle del direttore in procinto di fuggire uno sconosciuto supplente alza la mano nella sala e con una vocina appena udibile dice: "Chiedo che venga fatto l'appello sulla base delle firme poste sul foglio e che, ai colleghi che dovessero risultare assenti, nonostante la firma, sia praticata la ritenuta sullo stipendio prevista per gli assenti ingiustificati. Ai sensi del D.P.R. numero.... ecc..."

In sala cala il gelo. Si sentirebbe volare una farfalla.

La fila indiana dei fuggitivi é pietrificata, sembrano tante statue di cera. Dopo alcuni interminabili secondi il direttore emette un rantolo (segno che ha avuto l'idea geniale che gli permette di riprendere a respirare) e dice:

"Veda, il collegio non può votare la sua proposta perché é ovvio che, in questo momento, manca il numero legale."

Sospiro generale.

L'oscuro supplente: (tra se e se) "..'fanculo"

53. INTERVALLO.

Il supplente Bemolli e il Maestro Annuncio Rancazzo sono nella stessa commissione. Alle 13 si stacca per il solito intervallo di mezzora. Il Maestro Rancazzo propone: "Ho trovato un bar con dei panini molto economici. Vieni anche tu?" il supplente Bemolli lo segue.

Dopo una scarpinata micidiale si entra in un posto affollatissimo, pieno di gente con la cravatta e la ventiquattr'ore, che fuma in maniera bestiale, discute di Capital Games e Blue Chips. I panini sanno da fumo di sigaretta, non c'é quello vegetariano, costano come in tutti gli altri bar.

Allora il Maestro Rancazzo, collocato nel suo ambiente ideale, inizia la sua salmodia: "Ma tu sei soddisfatto di fare l'insegnante? Io, vedi, cerco di fare altre cose, non so..., musica per il cinema, per la tv; ma a fare l'insegnante proprio mi annoio, e poi per quei miseri quattro soldi che ti danno..."

Per un po' il supplente Bemolli ascolta questo ronzio lamentoso e intanto pensa ad altro. Ma ad un certo punto gli viene da vomitare e, a nome di tutti i colleghi precari e supplenti, eleva la sua supplica: "Se non ti piace 'sto lavoro, fammi un favore personale, dai le dimissioni."

Quell'estate il Maestro Rancazzo andò in pellegrinaggio alla madonna di Medjugorie, il supplente Bemolli suonò per tutta la notte alla festa provinciale di Democrazia Proletaria.

54. DUE DITA.

Il supplente Bemolli ha un'ora vuota e decide di andare alla Ricordi per curiosare fra i libri di musica. Mentre sta scorrendo i testi del reparto "Trattati Jazz" appare alle sue spalle il Maestro Annuncio Rancazzo.

"Ti interessa il giàzz?"

"Evidentemente ..." risponde un po' infastidito il Bemolli.

"Vedo che stai guardando il trattato di De Rose, ma sai che quello li, io lo conosco, é uno che suona il pianoforte con due dita?"

Bemolli guarda il collega con aria pensierosa e poi osserva: "Caspita! Se riesce a fare quello che fa usando solo due dita deve essere di una bravura mostruosa!"

Il Maestro Annuncio Rancazzo si toglie gentilmente dalle palle e va a curiosare un po' più in là, nei cassetti di Beethoven.

59. IL GIALLO E' IL COLORE DELL'ODIO?

Una notte l'alunna Procedini sognò che all'indomani, giorno del suo diploma, c'era sciopero degli autobus. Si svegliò di soprassalto nel cuore della notte tutta sudata. Decise per sicurezza che sarebbe andata in macchina. Il mattino dopo si svegliò un po' in ritardo e con il mal di testa.

Il mal di testa aumentò gradualmente quando, arrivata nel centro storico, sfuggendo a tutte le limitazioni di traffico, non riusciva a trovare un buco dove parcheggiare. Era sempre più in ritardo.

Alla fine si liberò un posto e lei ci piombò sopra.

Non aveva ancora tolto le chiavi dalla macchina che un vigile, con le fattezze del Maestro Rubini, le toccò la spalla dicendole: "Non può parcheggiare qui la sua autovettura."

Il sangue martellava alle tempie della Procedini.

"Ma questa mattina io ho il diploma e sono già un ritardo. Lei non può capire, é un esame difficilissimo e sono già in ritardo."

"In tal caso le concedo facoltà di procurarsi della vernice gialla e un pennello e di dipingere attorno all'autovettura una striscia gialla."

"Ma... adesso?"

"Si"

Partì alla ricerca di un negozio di vernici e colori. Quando finalmente trovò un bidone da 10 Kg di vernice gialla e un pennello così caro da suicidarsi cominciò a dipingere le strisce sull'asfalto.

Ormai aveva accumulato un ritardo da treno FFSS a ferragosto e, per la fretta le strisce le venivano tutte storte.

Arrivò in Conservatorio verso le 13,30.

Non c'era più nessuno.

Incontrò sul portone solo il (vero) Maestro Rubini che, tutto sudato, stava portando in segreteria il pacco dei verbali.

"Che ci fa lei qui adesso?" chiese il Maestro Rubini.

"Sono qui per l'esame ma sono in ritardo per via delle striscie gialle..."

Il Maestro Rubini la osservò un istante, perfettamente immobile, come se stesse cercando un'informazione nella memoria. Poi disse:

"Adesso é troppo tardi, gli esami sono già finiti. Comunque non si preoccupi: anche se si fosse presentata in orario sarebbe stata bocciata. Arrivederci all'anno prossimo."

63. UNA SERA DI SETTEMBRE.

Il Maestro Offroio ha pubblicato sulla rivista "La Bustina" l'elaborazione a 4 voci di una melodia popolare. Durante l'impaginazione computerizzata però ci deve essere stato qualche problema perchè le parole della parte dei bassi sono slittate in avanti di una posizione per tutto il brano.

Il solito allievo Ombrellari porta questo brano a lezione.

I bassi intonano: "U nase radiset tembre...."

Il maestro Rubini guarda Ombrellari corrucciato. Alla fine sbotta: "Ma caro signor Ombrellari, il brano in lingua straniera l'aveva già fatto!"

"Si è vero" fa Ombrellari "Ma questa lingua straniera si chiama italiano sincopato. PE RLEPAL LEDI NOE'!"

68. PRO. SECCO DOC.

Lo studente Bemolli si iscrive all'appello per l'esame di Pedagogia Interculturale.

Il giorno dell'esame il docente arriva con un'ora secca di ritardo, non si scusa con nessuno e, dopo aver chiacchierato amabilmente per un altro quarto d'ora con i suoi collaboratori, annuncia: "Oggi farò solo i primi cinquanta ,gli altri tornino pure a casa".

Fortuna volle che lo studente Bemolli fosse il n° 49, anche perché non avrebbe potuto assentarsi un'altra volta dal lavoro.

A metà mattina arrivò un collega del docente che si mise ad esaminare i candidati nell'aula a fianco. Questo collega, non essendo della stessa materia e non avendo evidentemente mai letto i libri del docente titolare, stava sul generico. Faceva domande tipo: "Qual'é l'argomento che le é piaciuto di più?", poi inseriva il pilota automatico. Alla fine scriveva su un bigliettino il voto e lo studente portava nell'aula a fianco se stesso e il prezioso bigliettino per completare l'esame con il docente titolare.

Arrivato il turno dello studente Bemolli la sorprendente domanda fu: "Qual'é l'argomento che le é piaciuto di più?"

Bemolli comincia a parlare e il docente cade in catalessi. Lo studente dice tutto quello che sa e quello che non sa lo inventa al momento senza conseguenze apparenti sull'apparato neurologico del docente, il quale é impegnato in uno sforzo sovrumano per reprimere gli sbadigli.

Bemolli si ferma. Silenzio. Il docente, risvegliato e infastidito da quel silenzio, mastica un: "E allora?"

"E allora ho detto tutto quello che sapevo. Mi faccia qualche domanda."

Il docente con una smorfia di fastidio ed un evidente sforzo di concentrazione secerne la seconda domanda: "Che impressioni ha ricavato dalla lettura dei libri?"

Bemolli riparte, il docente reinserisce il pilota automatico ma questa volta non ce la fa più a reprimere gli sbadigli.

Mentre Bemolli parla come se lo pagassero un tot a parola, il docente prende un foglietto e ci scrive sopra: "Buono":

Lo studente, mentre continua a parlare, pensa: "Ancora un po' e mi dice di smettere."

Invece no!

Il docente a ricominciato a sbadigliare alla grande e sembra non avere progetti per il futuro immediato.

All'ennesimo sbadiglio con risucchio il Bemolli si ferma e chiede: "Scusi, per caso, la sto annoiando?"

Il docente si risveglia di colpo. Afferra una penna e sul foglietto, vicino al "Buono" ci scrive: "- - - - - - " (come alle elementari).

"Può andare grazie."

Lo studente bemolli prende il libretto e il foglietto, esce dall'aula, nel corridoio, mentre si reca nell'altra aula, estrae la biro e traccia un segno verticale su ogni segno orizzontale. Risultato: "Buono + + + + + +"

ESITO FINALE: 30 E LODE.

Dopo l'esame lo studente Bemolli va al bagno e vomita la colazione.

Sul muro qualcuno ha scritto:

"Negri bastardi fuori dall'Italia"

69. GRAN FINALE.

Un giorno il supplente Bemolli si addormentò mentre viaggiava in treno e fece questo sogno.

Entra in classe e gli alunni sono tutti intenti a discutere fra loro. Mentre compila il registro un alunno si avvicina con un libro in mano e gli fa: "Ho trovato il libro che ha citato la scorsa settimana: é forte! Mi piace un casino."

Un altro da fondo dell'aula interviene: "Anch'io l'ho cercato ma non l'ho trovato. Però cercandolo ho trovato quest'altro libro. L'ho letto un po' a salto e sembra promettente."

Un terzo si inserisce: "Proffe, l'altra volta non ho capito la differenza tra modalità e tonalità. Me la può rispiegare in trenta secondi senza fare tanto casino?"

Il supplente Bemolli si risveglia. Il treno è arrivato. Prende la borsa e scende. Sulle scale di accesso al binario mette male un piede e ruzzola giù a valanga.

Risultato: ambulanza, pronto soccorso, quattro punti per la capocciata e un piede fasciato per due settimane.

Questa favola insegna che dopo un bel sogno il ritorno alla realtà è sempre una bella botta.

P.S. Cartolina degli allievi: "Proffe, se ti volevi suicidare potevi almeno aspettare di averci promossi!"

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

DIZIONARIO VERONESE - INGLESE