L'espressione "fuga dei cervelli" (in inglese human capital flight, o spesso brain drain) indica l'emigrazione verso Paesi stranieri di persone di talento o alta specializzazione . Tale termine, riferito al cosiddetto "capitale umano", che rievoca quello della "fuga dei capitali", si ha quando non vi è scambio di risorse intellettuali tra i paesi, ma solo drenaggio, fuga. Ed è proprio quello che sta avvenendo in Italia, in cui questo fenomeno aumenta di proporzione di anno in anno fino a configurarsi come una perdita che coinvolge un’intera generazione di giovani. Questo fenomeno è non solo perdita di persone, ma anche di risorse, e quindi di progresso: infatti, le innovazioni prodotte dai giovani talenti italiani sparsi nel globo terraqueo, non sono proprietà dell’Italia che dovrà comprarle, con un calcolo economico drammaticamente passivo. Questa massiccia fuga di cervelli (circa 550.000 italiani tra i 18 e i 34 anni in 13 anni) ha comportato una perdita stimata in 134 miliardi di euro di capitale umano per il nostro Paese.
Un dato che evidenzia un problema strutturale profondo, riferito sia al sud, in cui l’emegrazione è ormai un fatto congenito, sia al dinamico nord che ha perso circa 180 mila giovani in soli cinque anni (dati ISTAT).
Il fenomeno non è legato solo all’economia ma anche alla capacità dell’Italia di attrarre e trattenere i giovani più qualificati: il 40% di chi parte è laureato.
Ma cosa spinge i giovani a lasciare l’Italia?
In primo luogo, la ricerca di opportunità lavorative più stimolanti e diversificate (25%), in cui le competenze acquisite, possano essere valorizzate al meglio. In Italia, le aziende hanno scarsa propensione ad assumere giovani, richiedendo un’esperienza minima e manifestando la troppa qualificazione dei laureati. A questo proposito l’Ocse evidenzia il nuovo fenomeno del brain waste, lo spreco di cervelli, cioè il mancato riconoscimento delle competenze e lo spostamento di personale altamente qualificato verso impieghi che non richiedono l’applicazione delle cognizioni per cui sono stati formati.
In secondo luogo, la possibilità di accedere a percorsi formativi di alta qualità e la necessità di una formazione continua e di un aggiornamento costante che è spesso carente nel contesto italiano.
Infine, il desiderio di una migliore qualità della vita legata a stipendi più elevati.
Le statistiche offrono un quadro chiaro: i giovani italiani che hanno scelto di emigrare lamentano carenze significative in diversi ambiti dalle deboli politiche giovanili alle carenti infrastrutture digitali. Si pensi che solo l’1,2% del PIL, contro una media europea 2,3% va alla ricerca, considerandola più una spesa che un investimento. Andando in controtendenza rispetto alle politiche europee, anche il governo Meloni ha scelto di ridurre le spese per università e ricerca, secondo un nuovo schema di distribuzione del FFO ( fondo di finanziamento ordinario) che premia le grandi università e penalizza particolari settori, con una evidente ostilità nei confronti di certe innovazioni tecnologiche che rasenta l’oscurantismo. (A tale proposito va ricordato che a capo della cosiddetta “Commissione algoritmi”, che si occupa di IA, siede frate Paolo Benanti esponente del clero, fortemente ideologizzato e radicalizzato)
Immagine tabella pil paesi europei sulla ricerca.
Altro punto a sfavore dell'Italia sono i servizi alla famiglia e il welfare. Basta osservare la tabella per capire che il motto Dio -patria- famiglia è solo propaganda
tabella spese per famiglia
E poi, c’è l’idea diffusa, anche documentata purtroppo, di quanto in Italia, per fare carriera, non sia necessario avere un bagaglio di conoscenze e di competenze ragguardevoli (lauree, corsi di perfezionamento, dottorati di ricerca, master, pubblicazioni), ma conoscenze e amicizie importanti. Si persegue solo l'interesse della propria famiglia, dei propri amici, del proprio tornaconto a discapito della collettività, in barba alle regole del vivere sociale e al senso civico. A questo comportamento è ovviamente legato il fenomeno corruttivo tant’è che il presidente dell’Autorità nazionale dell’anticorruzione, Raffaele Cantone nel 2016 diceva «Siamo subissati di segnalazioni su questioni universitarie, spesso soprattutto segnalazioni sui concorsi», e che la corruzione sia «un sistema anticoncorrenziale che nega spazi all’innovazione e al merito»
Nonostante tutte queste difficoltà l’Italia conserva un fascino innegabile, legato principalmente al suo ricchissimo patrimonio culturale. Arte, storia e bellezza dei paesaggi continuano ad affascinare sia gli italiani e non. Ma non basta essere il “Bel Paese”, occorre diventare anche un Paese dalle alte prestazioni, avere capacità di innovare democraticamente, ed attrarre giovani menti.
La fuga e lo spreco dei cervelli è la misura di quanto un Paese stia smarrendo la visione del proprio futuro, ha detto Rita Levi Montalcini; può passare l’idea che l’Italia sia destinata alla mediocrità, avviata verso il declino, in cui i giovani talenti, come i piccoli indiani della filastrocca di Agatha Christie: “e poi non ne rimase nessuno”, vengono ammazzati uno ad uno da un sistema che la fa sempre franca.
La classe dominante, ha chiamato i giovani in tutti i modi: “bamboccioni, sdraiati, cinici, pigri, senza prospettive. Sono tutte definizioni assegnate dall’alto, per nascondere e mistificare la mancanza di visione del futuro. Essi non colgono l’indignazione dei molti che sono rimasti, evidenziata dalle parole della giovane studentessa di Padova Emma Ruzzon che all'inaugurazione anno accademico 2024/25 riporta il motto gramsciano come punto da cui ripartire:
-Istruiamoci, agitiamoci e organizziamoci-
-Alessandro Baffoni 3A Astrofisica