Benvenuti a tutti!
In questa sezione lo spazio è dedicato al vostro desiderio o bisogno di comunicare con “l’altro” attraverso lo strumento della lettera.
Chi è “l’altro”? Chiunque voi vogliate: un amico, una persona reale, una persona immaginaria, un’idea, un concetto astratto, un oggetto concreto, un personaggio del passato, un personaggio di fantasia, una celebrità dello sport, del cinema, della musica… non ci sono limiti al vostro desiderio di comunicare!
Se andate su Classroom al corso #tiscrivodacasa (codice corso nw6iryr) troverete una descrizione del corso e le istruzioni per l’invio del vostro materiale.
Ogni settimana vi lascerò nello stream del corso qualche suggestione da cui poter prendere spunto, ma siete liberi di ignorarle e di seguire la vostra ispirazione.
Caricate su "Lavori del corso" le vostre lettere e vedrete i vostri lavori pubblicati su questa piattaforma.
Qui sotto trovate la lettera all’ Italia scritta dal nostro ex alunno Stefano Martire, un buon modo per iniziare!
Buon lavoro!
prof.ssa Chiara Filippini
di Stefano Martire
Cara Italia,
indirizzo questa breve lettera a te e non so bene a chi sto scrivendo; se alle vie e ai palazzi delle tue città, se ai mari e ai venti che ti tengono giovane, se alle anime impotenti che la popolano in questo momento o se forse, più probabilmente, a quell’inscindibile soluzione di tutto quanto detto sopra che da sempre mi incanta, mi fa sentire a casa e che ora malinconicamente mi manca.
Come probabilmente facevi tu, stavo aspettando la primavera, il sole e i fiori del mio giardino quando, senza alcun serio preavviso, è invece arrivato un secondo atipico inverno. Impreparata come noi, un freddo tutto nuovo ti ha travolta e ti sei cristallizzata come un fiocco di neve. Ora non ti muovi più.
La festa sempreverde che erano le tue strade si è chiusa da un giorno con l’altro e io non capisco più cosa è casa e cosa è pericolo, trincea. I nostri buffissimi modi di salutare sono diventati schiaffi, e l’igiene che anche in terre molto lontane contraddistingue il nostro—alto—senso di civiltà una paranoia da George Orwell.
So che la sofferenza viene sempre per portare qualcosa di buono e che il più delle volte per queste gioie bisogna aspettare molto tempo—anche molto oltre la fine del male. Nei momenti bui però, e questo fin da subito, ciò che rimane sembra brillare più intensamente, rivelandosi in tutta la sua indispensabilità. L’effetto, mi sembra, è ancora più significativo se la sofferenza è condivisa (nei qual casi, magari, a brillare è proprio chi ci sta accanto). E allora chissà che questo gelo inaspettato non abbia come conseguenza doppiamente inaspettata il rafforzamento dei legami di quella soluzione a inizio lettera. Chissà che tutti gli abbracci che ci daremo tra qualche settimana non saranno solo in numero molti di più, per recuperare, ma anche molto più sinceri e consapevoli del gesto.
Spero di tornare presto a fare colazione nelle caffetterie del centro, guardando fuori dalla finestra le persone che corrono con i libri e le valigette in mano, alla distanza reciproca che preferiscono. Nel frattempo ti penso forte, tutti i giorni, che mi sembrano oramai tutti uguali e dei quali ho perso il conto ma non importa: perché se la mattina quando mi alzo sto bene attento, ti sento.
Per sempre tuo,
👽🇮🇹
Stefano Martire
di Alice Bonati
6 apr. 20
Cara Scuola,
mi rivolgo a te, variegato e colorato insieme di persone di diverse età e diversi ideali, accomunate dall’amore per la conoscenza. In questi giorni di distanza forzata ho potuto rendermi conto dell’importanza che rivesti nella mia vita: ogni mattina, ben sei giorni su sette, l’impegno che mi sono assunta con te mi spinge a lasciare il mio caldo e comodo letto, a prepararmi e ad affrontare i 10 chilometri che ci separano. Talvolta, lo ammetto, la tentazione di tornare a dormire è stata forte, ma se ci ripenso sono quasi contenta del senso di colpa che mi ha pervaso ogni volta che ho pensato di rimanere a casa e che mi ha convinta a non interrompere la mia routine. Per quanto la didattica a distanza possa funzionare, le giornate senza di te sono vuote. Durante i nove mesi che trascorro nelle tue aule ogni vacanza mi sembra una manna dal cielo, ma ora sarei ben contenta di tornare da te.
Tra i tuoi corridoi ho conosciuto molte delle persone che riempiono la mia quotidianità: ho avuto la fortuna di capitare in una classe serena e coesa, in cui nessuno viene lasciato indietro e tutti sono pronti a fare il tifo l’uno per l’altro. Ho incontrato ottimi insegnanti, che fanno del loro lavoro una missione, e qualcuno in particolare riveste un ruolo importante per me non solo sul piano educativo, ma anche personale.
La Curvatura BioMedica, che mi offre la possibilità unica di approfondire gli argomenti di mio interesse e di visitare dei reparti ospedalieri, mi ha fatto conoscere lo straordinario mondo della Medicina che spero possa diventare, un giorno, il mio mondo.
Einstein disse che: “L'istruzione è ciò che resta dopo che uno ha dimenticato tutto quello che ha imparato a scuola”, perché tu non hai solo la funzione di trasmetterci nozioni, ma anche e soprattutto di formarci come persone.
Dunque grazie, Scuola, e a presto.
Alice
di A. Pepe
Alle mie memorie
(Un giorno)
Io vi vorrei lasciare
Ad essiccare, sotto la veranda
Delle nuvole e chiare
Ombre, ove un mattino senza timore
Di sbagliare, s’apriranno alla strada.
di Francesca Brizzi
Città mia,
forse ti aspetteresti qualche elogio, quelle parole di rito che sono solite nelle occasioni formali, ma io sono tua figlia e mi hai fatto della tua stessa pasta: niente fronzoli, per noi, né tempo da sprecare, chè in mezzo a mille cose da fare mi hai insegnato ad essere diretta, ecco forse concisa non ci riesco come tu vorresti, ma almeno ci provo.
Quindi te lo dico: i forestieri non ti conoscono. Quando parlo di te sanno pochissimo: i più ti immaginano ancora e solo come la patria del tondino, una città fredda e squallida, figlia di Efesto cesellatore, ma troppo dura per apprezzare le lusinghe di Venere. Alcuni, quelli che magari hanno qualche anno in più sulle spalle, per le tue X giornate del 1849, ti ricordano come la Leonessa d'Italia, ma è solo un'immagine confusa nella loro memoria, che suscita rispetto, a volte, ma per lo più un misto di diffidenza e paura. Ti vedono crudele, “beverata nel sangue nemico”, immaginano i tuoi artigli accecanti, ma non le tue ferite. E quanto hai combattuto, per la libertà e la giustizia, da quando scegliemmo di diventare romani fino ad oggi? Quanto è arrivato vicino al tuo cuore la scheggia della bomba del 28 maggio del 1974? Il tuo ruggito di rabbia e di impotenza, il tuo grido di madre dai figli sventrati è arrivato fino a me, che non ero neanche nata. Ma tu sei predatore paziente ed hai saputo aspettare, notte e giorno, affamata di giustizia. Altri avrebbero preferito dimenticare, ma tu no, hai gettato in intere generazioni di tuoi figli il sale dell'amarezza e del disgusto, rendendoci insopportabile andare avanti fino a quando non fosse stata fatta giustizia. E di questo ti ringrazio.
Eppure, anche i tuoi figli ti conoscono poco. Un po' ti danno per scontata. Un po' ti trascurano, come capita di fare con un vecchio amico che sappiamo ci sarà sempre per noi, nel momento del bisogno. Un po' però, è anche colpa tua. Fai fatica a mostrarti davvero, sei proprio come i tuoi palazzi, che all'esterno appaiono sobri, dignitosi, quasi austeri nelle loro razionali architetture, ma basta oltrepassare il portone per essere accolti in un mondo di acque, di giardini e di bellezza.
Sei una donna guardinga che non ama dare confidenze agli sconosciuti, ma se credi di avere davanti qualcuno che lo merita, allora doni tutta te stessa. Forse in altre epoche ti comportavi così per non suscitare invidia, o perchè non volevi che Venezia ti tassasse troppo, o, semplicemente, per difenderti da malintenzionati.
Ma le mura sono abbattute da quasi 150 anni e non si addice a chi ha, come te, l'animo del commercio, chiudere porte, tu che hai sempre costruito ponti. A te, che hai sempre insegnato a chi ti abita i tuoi valori, tanto che i tuoi nuovi figli sono di tutti i colori della terra pur parlando il dialetto, chiedo: scopriti Brescia. Mostra il sorriso abbagliante dei tuoi denti candidi di Botticino, il guizzare delle vene d'acqua che animano i tuoi muscoli tonici, i fianchi morbidi delle tue colline, cinti dal verde manto dei vigneti e degli uliveti. Insegnaci con le tue mani robuste e il balenio dei tuoi occhi di ferro ad apprezzare la tua bellezza.
di Alice Bonati
(*Phyllis è la bambina che nel 1936 scrisse ad Albert Einstein la lettera che trovi nel link sopra. Ecco la domanda di Phyllis: gli scienziati pregano?)
19 aprile 2020
Cara Phyllis,
mi permetto di rispondere alla domanda che rivolgesti, quasi un secolo fa, a colui che poi passò alla storia
come uno dei più grandi e famosi uomini di scienza, Albert Einstein.
Io ritengo che dedicare la propria vita allo studio di fenomeni fisici, all’elaborazione di formule o alla cura
delle più svariate malattie non precluda la possibilità di pregare. Infatti, anche coloro che passano la vita nei
laboratori, elaborando e sperimentando teorie e nozioni imparate sui libri di scuola, possono talvolta passare
dei momenti difficili, dal momento che spesso le scoperte più sensazionali sono arrivate solo dopo molti, molti
sbagli.
Non so dirti con certezza se gli scienziati si rivolgano a Dio, Allah o Buddha, penso che dipenda dalle
rispettive culture, ma credo che la maggior parte di loro, ogni tanto, abbia la necessità di sfogarsi con un’entità
superiore. Il metodo scientifico, infatti, si dedica a tutti quei fenomeni che possiamo osservare con i nostri
occhi, che possiamo sperimentare e verificare, ma non può curare un animo deluso o ferito.
L’essere uomini o donne di scienza non rende meno umani, non toglie aspettative o preoccupazioni, pertanto
anche se i dogmi della nostra Chiesa poco si sposano, a volte, con il progresso scientifico, non per questo
coloro che lo rendono possibile non sentono la necessità di trovare conforto nella preghiera.
Spero davvero di aver fornito una risposta esaustiva, che esprima a pieno il mio punto di vista.
Alice Bonati
di Thomas
Caro Virus,
ti volevo scrivere per raccontarti cosa ho provato dopo il tuo arrivo e su che argomenti mi hai fatto riflettere.
Vorrei partire da quello più importante, non solo per me, ma credo per tutte le persone che si trovano nella mia medesima situazione: si tratta della libertà.
Perché sì, caro virus, ci hai privato del nostro più importante diritto, della cosa che più ci sta a cuore. Non mi ero mai ritrovato in tale situazione, come credo la maggior parte di noi, e credo di non averla compresa ancora appieno data la mia giovane età; quello che so è che mi ritrovo in una situazione surreale, mai immaginata né prevista prima di febbraio.
Quante volte abbiamo guardato film o serie tv riguardanti catastrofi naturali o pandemie? Tante sì, mi sembra proprio di trovarmi in una di quelle, senza sapere come ci sono arrivato né come uscirne.
In questa quarantena mi sento un topo in trappola, privato di ogni possibilità di indipendenza decisionale su ogni piccola attività del mio quotidiano. In tutto questo, però, mi sento di trovare una piccola sfumatura positiva: catapultandoci in questa situazione, almeno per quanto mi riguarda, mi hai permesso di riflettere su questo tema, sulla nostra attuale assenza di libertà. Infatti noi abbiamo sempre reputato la nostra libertà scontata, che c’è e ci sarà sempre; ma questo non succede ovunque. Inoltre tanto spesso se ne parla, senza conoscerne il vero significato e senza darne il dovuto peso.
In questo periodo ho capito invece il vero senso di questo termine e, più o meno, la vera situazione di coloro che non godono di questo diritto. Ho capito come ci si sente a non potere decidere indipendentemente dagli altri di poter uscire di casa senza problemi, di poter vivere la solita vita quotidiana, che per noi rappresenta la normalità ma che per molti è un sogno molto lontano.
Vorrei soffermarmi poi sull’aspetto della cosiddetta “distanza sociale”. Con o senza di te, è risaputo che un problema odierno è rappresentato dal fatto che con l’avvento di internet e delle nuove tecnologie gli adolescenti hanno smesso di incontrarsi dal vivo, perdendo così la concezione di amicizia reale e sostituendola col pensiero che gli amici si trovino sui social tramite gli smartphone. Credo che la tua comparsa abbia peggiorato e peggiorerà questa situazione anche finito l’isolamento; ovviamente durante la quarantena si sono perse le relazioni concrete e ci si è abbandonati ai social e alla rete per comunicare, cosa che vista la situazione condivido appieno. Quello che mi spaventa, però, è che quando sarà conclusa la reclusione, nonostante avremo la possibilità di incontrarci, ovviamente con le dovute precauzioni, le persone provino una sorta di angoscia e paura ad uscire e che si restringano ulteriormente le occasioni di convivialità che già erano scarse.
Anche in questo caso, però, voglio trovare un aspetto positivo: credo infatti che questa reclusione ci abbia dato la possibilità di stare in famiglia per lungo tempo, cosa che con il ritmo di vita degli ultimi anni è rara da vivere. Personalmente, infatti, sono riuscito ad avere molti più contatti coi miei familiari e a condividere più momenti; nonostante qualche discussione anche data dall’agitazione provocata dalla situazione surreale, abbiamo ritrovato un senso di famiglia che forse avevamo perso.
Spero proprio che tu te ne vada presto, sia fisicamente ma soprattutto dalla nostra mente, perché voglio tornare alla nostra lecita libertà.
Thomas