Anisakis e Anisakiasi ( o Anisakidosi )
L’anisakis è un parassita presente in tutti i tipi di pesce, la cui ingestione può avere effetti negativi sulla nostra salute. Si trova comunemente in pesci di largo consumo, come il pesce azzurro, motivo per cui non è raro riscontrare casi di anisakiasi nel genere umano.
L’incidenza di questo fenomeno appare in progressivo incremento rispetto al passato, soprattutto grazie all’affinamento delle tecniche diagnostiche e all’approfondimento dell’esperienza clinica ed immuno-allergologica in materia, ma anche per l’aumento dell’invalsa abitudine, progressivamente diventata quasi consuetudine, del consumo ordinario di prodotti ittici crudi o poco cotti, basti pensare alla “moda del sushi” che spopola. In ragione della stessa, ad oggi sono riportati oltre 20.000 casi di anisakiasi riscontrati in tutti i continenti a dispetto del passato in cui si riscontravano maggiormente nei paesi Asiatici dove il consumo del pesce crudo è una prassi. Oggigiorno anche nel Mediterraneo il parassita è estremamente diffuso, e vi sono specie di pesci, quali lo sgombro e il pesce sciabola, che raggiungono il 70-100% di infestazione nel pescato.
Paradossalmente, la sua presenza testimonia un buono stato di salute dei mari: «L’anisakis spesso è più presente in aree marine incontaminate e protette. Quindi, prima bufala da sfatare, è quella che il nematode sia sinonimo di prodotto di scarsa qualità, poco fresco, pescato in acque poco pulite. Mal fatto potrebbe invece essere il trattamento cui gli operatori sottopongono pesci e cefalopodi. Infatti, le larve si trovano nelle viscere che, se non vengono immediatamente e correttamente eliminate, se le lasciano “sfuggire”. È così che l’anisakis può migrare nelle carni e arrivare fino a noi, consumatori di quel pesce
L’origine , le cause e i sintomi princiali dell’anisakiasi
La prima segnalazione di infestazione umana da Anisakis simplex risale al 1876 ad opera dello zoologo tedesco Rudolf Leuckart. Nel 1958 Ishikura e Asanuma descrissero il primo caso di localizzazione intestinale a seguito dell'assunzione di pesce crudo in un pescatore. Il primo caso europeo invece risale al 1960 ad opera del ricercatore olandese P.H. Van Thiel il quale definì come “very unusual finding” il riscontro del parassita nell'intestino di un paziente suo connazionale, operato per addome acuto a seguito dell'ingestione di aringhe affumicate “a freddo”.
Dal 1962 tale patologia, universalmente indicata come “anisakiasi”, " è stata descritta in migliaia di pazienti, anche grazie allo sviluppo delle tecniche endoscopiche.
Il primo caso accertato nel nostro paese è stato descritto a Bari nel 1996. In Italia, nonostante la grande diffusione delle larve di Anisakis nella fauna ittica dei nostri mari, le radicate tradizioni culinarie (che prevedono tecnologie quali marinatura e/o affumicatura), l'anisakiasi umana è stata descritta solo in alcune decine di casi dal 1996 a tutt'oggi. I casi clinici italiani sono stati riscontrati prevalentemente nelle regioni centro meridionali, quali Puglia, Abruzzo, Molise e Sicilia, mentre solo pochi casi sporadici sono occorsi in altre regioni quali Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Toscana, Marche, Lazio e Campania.
La malattia si contrae per ingestione di pesce di mare crudo o poco cotto. Le larve penetrano nella mucosa del canale gastrointestinale, causando dolore addominale e talvolta vomito. Nei soggetti che subiscono l’infezione possono anche insorgere reazioni allergiche causate dall’attivazione di risposte immunitarie nei confronti dei nematodi intestinali. Dai vari studi si evince che la specie più coinvolta nelle anisakiasi sia Anisakis simplex.
Quando le larve di questa, penetrano nella parete dello stomaco o dell’intestino, tendenzialmente muoiono. Tuttavia, la loro presenza può dare origine a diversi sintomi che si manifestano entro poche ore dall'ingestione delle larve e che generalmente comprendono:
Dolore addominale;
Nausea;
Vomito;
Diaerrea;
Febbre;
l’Anisakiasi o Anisakidosi può decorrere in forma acuta o cronica ed è potenzialmente in grado di generare quattro diverse condizioni cliniche:
La sindrome gastrica, sia in forma acuta ( la più frequente) che cronica è caratterizzata sul piano sintomatologico da dolori di stomaco progressivamente montanti e associati a turbe digestive con nausea, vomito, talvolta febbricola;
La sindrome intestinale, caratterizzata da una massa infiammatoria che si sviluppa nell’intestino e i sintomi vengono spesso scambiati con la malattia di Crohn; sia la forma gastrica che intestinale sono clinicamente evidenti dalle prima 12 ore fino a 7 giorni dopo dal consumo del pesce crudo;
La sindrome extra-gastrointestinale o ectopica dove oltre ai sintomi di quella gastrica cronica, la larva riesce a migrare anche in sedi lontane da quella iniziale determinando nell'uomo la cosiddetta sindrome da “larva migrante”colpendo la cavità addominale, duodeno, esofago, parete addominale, pancreas, fegato, lingua, polmone, gangli linfatici ecc... Una volta penetrata in una di queste sedi può determinare una reazione da corpo estraneo che può evolvere come flemmone, ascesso, o più frequentemente, come granuloma;
La sindrome allergica, dove ai sintomi sopra menzionati possono associarsi quelli della Sindrome Orticaria Angioedema (SOA), quali pomfi transitori e pruriginosi (orticaria) ed aree edematose che interessano il derma e il tessuto sottocutaneo, angioderma. I soggetti più sensibili possono addirittura manifestare sintomatologia anche solo manipolando pesce infetto non eviscerato o respirando allergeni che si diffondono nell’aria.
La diagnosi dell’Anisakiasi
La diagnosi di anisakiasi non è semplice, poichè la storia del paziente può apparire aspecifica e trarre in inganno un osservatore non informato, inoltre avendo sintomi sovrapponibili, spesso può essere confusa con altre patologie come quella della sindrome di Crohn. Naturalmente poggia sull’osservazione clinica dei sintomi, partendo da un’accurata raccolta anamnestica finalizzata a verificare intanto l’eventuale ingestione di prodotti ittici a rischio, per proseguire poi con la conferma della diagnosi che di norma si effettua con un’endoscopia, oppure per via chirurgica se il verme si è già annidato nelle pareti dell’apparato digerente.
Per essere più specifici, possiamo anche differenziare la diagnosi dell’anisakiasi gastrica da quella dell’anisakiasi intestinale.
Nella prima, come già detto, si parte innanzitutto su un’accurata analisi storica del paziente cercando di capire se ha consumato di recente del pesce crudo, si procede poi avvalendosi di altri due elementi:
Gastroscopia . Attraverso la quale è possibile osservare direttamente la larva, che normalmente misura circa 1-3 cm in lunghezza. La mucosa gastrica mostra un rigonfiamento edematoso attorno all’area di penetrazione del parassita. Le larve nella maggior parte dei casi vengono ritrovate nella grande curvatura dello stomaco.
Esami di laboratorio che mostrano le seguenti caratteristiche
Globuli bianchi elevati;
Eosinofili aumentati;
Anticorpi contro l’Anisakis.
Può anche essere utile l’utilizzo della TAC addominale per escludere altre cause.
I criteri diagnostici più importanti partono sempre dall’indagine di una storia di ingestione di pesce crudo o poco cotto.
Oltre a questo, gli esami più importanti sono:
TAC addominale
L’ecografia addominale
Esami di laboratorio. Come nell’anisakiasi gastrica anche qui troveremo un aumento dei leucociti e degli eosinofili e il ritrovamento di anticorpi contro il parassita
dati i sintomi particolarmente aspecifici, spesso l’infestazione da Anisakis può essere confusa con:
appendicite acuta,
ileite (infiammazione dell’ileo, un tratto dell’intestino),
malattia infiammatoria intestinale,
ulcera peptica.
Sindrome di Crohn. Ecc..
CURA
Se non dovessero insorgere particolari sintomi o complicanze, l’anisakiasi può essere trattata con cure mirate alla riduzione della sintomatologia dell’infezione, attendendo che questa si risolva da sola grazie al nostro sistema immunitario ed infatti una gran parte dei casi si risolve spontaneamente con la morte dei parassiti anche se i sintomi possono persistere per un po’ successivamente alla morte di questi. Nelle altre casistiche, l’unica possibile terapia risolutiva dell’anisakidosi, consiste nella rimozione del parassita dall’organismo, mediante endoscopia (cioè attraverso la gastroscopia) o attraverso un intervento chirurgico: la rimozione fisica del parassita è l’unico metodo sicuro per alleviare il dolore e per eliminare la causa del disturbo.
Sono stati infine riportati casi di efficacia di una terapia non chirurgica a base di albendazolo.
PREVENZIONE
Il miglior intervento per ridurre il rischio Anisakis resta la prevenzione.
Diventa essenziale in tal senso applicare opportunamente le direttive espresse dal legislatore e fornire una conoscenza adeguata dei rischi associati a questo parassita, non solo agli operatori di settore, ma anche al consumatore. Oltre alla parte legislativa, assume notevole importanza, al fine di circoscrivere il problema, un’azione diretta sulla popolazione dando rilievo a:
educazione e informazione sulla sicurezza alimentare soprattutto sui pericoli derivanti dal consumo di pesce crudo anche attraverso lo sviluppo di programmi di informazione di diverso genere, come divulgazione di opuscoli informativi che insegnino semplici norme pratiche per consumare il pesce in sicurezza;
preferire il pesce cotto al pesce crudo;
controllare che non ci siano parassiti quando si pulisce il pesce;
se si desidera effettuare preparazioni a crudo o semi cotte del pesce, preoccuparsi di congelarlo preventivamente a -20° per 24 ore, se parliamo di abbattitori professionali; a -18° per 96 ore, se parliamo di congelatori “casalinghi”, o acquistare il pesce già abbattuto dal commerciante;
durante l’acquisto di preparazioni gastronomiche a base di pesce crudo, informarsi se il prodotto è certificato o aver cura di leggerne l’etichetta per valutarne la conformità alle Leggi in materia;
Se si è soggetti allergici astenersi totalmente dal consumare pesce crudo (sushi, sushimi, carpacci, alici marinate, etc.) in quanto si può incorrere in pericolosi anafilassi;
Tenere a disposizione i presidi medici atti a fronteggiare lo shock anafilattico, previa consultazione con il medico di famiglia
Esiste una forma di anisakiasi professionale?
Un aspetto emergente in medicina del lavoro, è quello legato all’esposizione professionale al parassita in soggetti addetti alla lavorazione del pesce per la preparazione dei cibi, alla sua conservazione, inscatolamento e cottura. Gli studi analizzati mostrano infatti una relazione esistente tra manifestazioni allergiche e sensibilizzazione ad Anisakis nei lavoratori esposti ai prodotti della pesca, addetti alle pescherie, pescatori, addetti alla lavorazione del pesce e addetti alla ristorazione, riscontrando in tali soggetti non poche problematiche allergologiche. Inoltre sono segnalate reazioni asmatiche, derivanti dalla inalazione di particelle del parassita, durante la lavorazione di farine a base di pesce. L’estremo interesse di recenti pubblicazioni sull’argomento, che hanno evidenziato la possibilità della formazione di granulomi a livello polmonare, rappresenta un ulteriore stimolo alla ricerca e all’approfondimento.