Intervista alla dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo Aldo Moro, con 1800 alunni, 260 docenti e 50 collaboratori
Quale era il suo più grande sogno da bambina e quando nella sua vita ha deciso di diventare dirigente scolastica?
“Il mio più grande sogno da bambina era fare la maestra: da piccola in famiglia avevo delle regole ed essendo figlia unica ero da sola a giocare, così il mio gioco preferito era usare le bambole come alunne e “insegnare” loro. Mi interessavano i metodi dei docenti per insegnare ed ero affascinata dal concetto che l’essere maestra rappresentava. Mi dicevano tuttavia che non sarei mai stata una maestra, poiché erano tempi in cui le maestre non lavoravano, io non ho ascoltato le loro parole, e a 20 anni, dopo aver conseguito il diploma e dopo aver superato un concorso, sono entrata di ruolo come docente. Non ho mai smesso di amare il mio lavoro. Il diventare preside non è stata una cosa che avevo “programmato”, semplicemente sono cresciuta e così anche le mie ambizioni lavorative. E così quando sono stata pronta, sono diventata dirigente”.
Qual è stato il suo percorso di studi? Che materia insegnava?
“Ho frequentato l’istituto magistrale e, dopo aver conseguito il diploma, mi sono laureata alla Facoltà di Pedagogia. In seguito mi sono iscritta a vari percorsi di formazione e ottenuto qualche master, perché anche quando si è raggiunto un titolo di studio, bisogna continuare a studiare e documentarsi per ottenere risultati migliori. Ho iniziato ad insegnare in una scuola primaria. Ho sempre insegnato in classi che andavano dalla prima e alla quinta e mi è piaciuto tantissimo soprattutto insegnare ai bambini a leggere e scrivere: penso che sia una delle cose più belle che si possa fare; mi piace anche sperimentare i vari approcci didattici. Per qualche anno ho fatto la maestra unica, ma il mio ambito era un po’ più orientato verso le materie letterarie. Nonostante ciò ho provato ad insegnare anche matematica, cercando le strategie didattiche più idonee per guidare nell’apprendimento anche i bambini più piccoli”.
Ricorda un bambino, un ragazzo o una situazione particolare che le è rimasto nel cuore?
“Innanzitutto i miei alunni li ricordo sempre tutti con molto piacere. I primi che ho avuto mi trasmettevano tanta tenerezza, infatti loro mi hanno aiutata ad acquisire sicurezza durante tutto il mio percorso da insegnante. Di alunni ne ho avuti tanti, ma li ricordo tutti, soprattutto coloro che hanno avuto maggiori difficoltà nell’apprendimento. All’inizio della mia carriera nell’ambito dell’istruzione elementare non c’erano diagnosi ed esperti in sostegno dei ragazzi, quindi si cercava di aiutarli da soli, un rapporto diretto tra alunno e maestra. Oggi, invece, chiunque ne necessiti ha diritto ad approfondimenti. Ricordo un ragazzo in particolare che aveva tante difficoltà a scuola, oggi invece ha fatto il suo buon percorso di studi, ciò mi ha resa davvero orgogliosa. Ovviamente ricordo anche i ragazzi che amavano venire a scuola, che quando insegnavo alla scuola primaria mi chiedevano costantemente l’argomento della lezione di quel giorno, ma mi faceva piacere. Ogni tanto li rivedo, ad esempio recentemente ho incontrato un ragazzo che è diventato un mediatore linguistico: mi ha positivamente commossa l’averlo rivisto tanti anni dopo, è davvero un’emozione unica”.
Quali sono gli aspetti meno piacevoli e quali quelli più piacevoli dell’essere preside?
“Per quanto ami il lavoro del dirigente, gli aspetti meno piacevoli sono sicuramente tutti quelli legati alla burocrazia: dover stare dietro ad un computer, protocolli, firme, date, tutto ciò è veramente troppo, e molto spesso questa serie di adempimenti non vengono percepiti dall'esterno.
Questa è la parte più brutta, è proprio un accanimento un po’ troppo forte, che ruba davvero molto tempo a tutta la parte bella di questo lavoro: il rapporto con gli alunni, il sostenere i docenti nel fare bene il loro lavoro, il piacere di organizzare le attività didattiche, il tutto per far sì che la scuola possa aiutare tutti gli alunni a crescere bene ed a imparare”.
Cosa farà quando andrà in pensione, le mancherà la scuola? A che cosa si dedicherà nel tempo libero?
“Quando andrò in pensione ho un paio di cose che mi piacerebbe fare: innanzitutto viaggerò perché devo recuperare tutti i viaggi che non ho potuto fare.
Oltre a ciò, mi piacerebbe scrivere per i bambini, svolgere qualche attività di volontariato, dedicarmi alla cucina, al sole, al mare.
Sicuramente la scuola mi mancherà, però sono anche consapevole che una persona deve essere disposta a capire quando ormai il percorso è quasi finito e, a livello professionale, quando è ora di passare il testimone ad un altro”.
Nella sua carriera qual è il progetto più bello che è riuscita a realizzare?
“Ci sono dei progetti, delle attività della scuola che sono visibili a tutti, per esempio mettere degli arredi, modulare e attrezzare i laboratori mi è piaciuto molto.
La parte più bella sono tanti microprogetti che vengono attuati e non si vedono.
Alunni che sono magari in difficoltà e si riesce con il docente, con gli esperti e con i genitori a portarli da una situazione negativa a svolgere un percorso scolastico dignitoso e positivo, e di queste belle esperienze ne ho fatte tante, mai da sola, ci vuole sempre il contributo e il supporto di ruoli diversi”.
Cosa pensa riguardo al progetto del giornalino scolastico?
“Il vostro progetto mi piace tantissimo, nella scuola dove facevo la maestra ne ho fatti tanti di giornalini, si usavano i ciclostili e l’ho sempre visto come uno strumento di espressione degli alunni, che diventano protagonisti della scuola e che fanno sentire la loro voce.
Il vostro giornalino mi piace in modo particolare perché rispecchia i tempi di oggi, quindi anche il canale di comunicazione che avete utilizzato; quello digitale.
Richiede delle competenze veramente alte, quindi questa voglia di farsi sentire, di raccontare in modo così efficace tra ragazzi, mi sembra molto valido e spero che continui.Verrà inserito nel piano dell’offerta informativa in modo tale da diventare un'esperienza che vada avanti negli anni”.
C’è una frase o un motto che ha un particolare significato morale per lei che usa per darsi forza?
“La prima frase che per me ha un particolare valore morale e personale è una frase di Kant: ‘Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me’. Questa frase mi piace perché la cosa importante nella vita, qualsiasi ostacolo vi si presenti davanti, è essere a posto con la propria coscienza: tutti sbagliamo ma se lo si fa in buona fede non si avrà mai nulla da temere. Certe volte bisogna solo seguire la propria volontà.
Invece per quanto riguarda la scuola, la frase che preferisco dirmi alle volte è un detto africano: ‘Per educare un bambino ci vuole un intero villaggio’”.
Quali sono le doti più importanti per aver successo nel lavoro? Ha dei consigli da darci?
“Sicuramente nell’ambito lavorativo, bisogna saper fare bene il proprio mestiere: bisogna impegnarsi al massimo, bisogna conoscere bene in che cosa consiste, in alcuni casi bisogna anche studiare costantemente. Il mio consiglio è quello di non sottrarsi, l’altra chiave, secondo me è quella di collaborare con il gruppo, non è mai uno solo che riesce a far funzionare le cose, bisogna essere in gruppo, ognuno poi con la propria competenza, ma da soli non si va mai da nessuna parte: collaborate, interagire, convivete con delle regole”.
di Giulia Cislaghi, Alessia La Paglia, Asia Pagani, Sofia Tore.
La memoria si coltiva fin da giovanissimi. E così gli studenti e le studentesse della scuola secondaria di primo grado Simone da Corbetta hanno risposto con entusiasmo all’appello di ANPI (Associazione nazionale partigiani italiani) a partecipare, con un loro contributo creativo, alla mostra dedicata alla Festa della Liberazione, e aperta in sala delle Colonne (municipio di Corbetta) a fine aprile.
Anpi ha proposto un’esposizione tematica dedicata agli scioperi del '43/'44 ed alla deportazione e tra i tanti lavori proposti, si sono potuti ammirare anche i disegni dei ragazzi e delle ragazze, incentrati più sulla giornata della memoria, ma decisamente significativi. “Attraverso i loro disegni non ci hanno regalato solo i loro pensieri, ci hanno regalato la certezza che sapranno raccogliere il testimone di custodi della memoria e la speranza di un futuro migliore”, ha dichiarato ANPI in un post.
Una collaborazione nata qualche mese fa, quando l'associazione ha allestito la mostra sui triangoli blu nella biblioteca della scuola Aldo Moro 8articolo sul primo numero di Praticamente) ed ha proposto il film “Un sacchetto di biglie” alle terze medie. In quel frangente, infatti, aveva chiesto ai ragazzi di produrre disegni o riflessioni proprio per arricchire l’esposizione del 25 aprile.
di Redazione