Voci di corridoio

Visita alla mostra
"Triangolo blu"

Intervista ad un alunno di prima media

Il 27 gennaio ricorre la Giornata della Memoria e anche la nostra scuola media, come ogni anno, ha omaggiato le vittime della Shoah, sensibilizzando gli alunni sulla conoscenza dei fatti e favorendo il processo intellettuale della formazione critica del pensiero personale.

La scuola secondaria di primo grado Simone da Corbetta e l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (ANPI) di Corbetta hanno allestito una mostra presso la scuola primaria Aldo Moro, dal titolo “Triangolo blu”, visitata da numerose classi della città. Ve la raccontiamo attraverso l’esperienza di un alunno di prima media, Matteo.

Perché la mostra si chiama "Triangolo Blu"?

“Come ci hanno spiegato Beatrice e Donatella, le nostre simpatiche guide, Triangolo Blu è purtroppo un simbolo nazista che indica gli apolidi e i repubblicani spagnoli deportati ai lager durante l’epoca nazista. Nell’aula abbiamo trovato diversi pannelli con vari titoli, tra cui 'Il giardino dei giusti', poi un cartellone che mi ha maggiormente colpito raccontava dei campi di concentramento di Auschwitz e degli apolidi”.


Raccontaci qualche dettaglio dell'esposizione

“C'erano tanti pannelli collegati gli uni con gli altri. Il tragitto era segnalato dalla presenza di diverse frecce rosse poste sul pavimento, che talvolta erano sostituite da fogli sui quali vi erano scritte parole che, a causa del loro importante significato, suscitavano in me e penso anche nei miei compagni una moltitudine di riflessioni. Su questi pannelli di color nero scuro c’erano diversi cartoncini tra i quali vi erano oggetti molto importanti per gli ebrei e che potevano sembrare delle fonti provenienti dal campo di concentramento di Auschwitz: scarpe, valigie, pentole, forchette. Sono rimasto colpito alla vista di alcuni sassi accumulati in un angolo e le due signore, in modo gentile, ci hanno raccontato che erano per gli ebrei molto importanti poiché venivano utilizzati per ricordare un defunto. Abbiamo visto anche la rappresentazione della guerra civile spagnola repubblicana, in seguito alle alleanze fra Francia, Germania, Italia e Spagna che poi hanno portato alla Seconda Guerra Mondiale. Infine abbiamo concluso questa nostra bellissima esperienza con la visione di un cartellone: 'Il giardino dei giusti' all'interno del quale vi erano diverse immagini di persone importanti per la storia che avevano compiuto atti puri. Chi voleva ha potuto lasciare una piccola frase per ricordare questa esperienza significativa che vale veramente la pena fare. Io ho scritto sul libro che l'indifferenza non è un valore e non ci deve essere, poiché ognuno è uguale agli altri”.


Cosa ti ha colpito maggiormente?

“Le grandi frasi significative scritte nei cartelloni. Inoltre questi colori un po' scuri hanno messo in evidenza la fondamentale importanza di quella ingiustizia che ancora oggi è il razzismo. Alla memoria dei morti che si ricordano in questa giornata e per tutte le persone che hanno combattuto per avere i beni che noi oggi abbiamo con facilità”.


Che messaggio vorresti diffondere dopo questa esperienza?

“Non dobbiamo dimenticarci di Auschwitz e di quel periodo brutto che hanno vissuto le vittime dell’olocausto. Non fu un fatto devastante solo per la quantità enorme di persone uccise, ma fu terribile il modo in cui vennero deportati, maltrattati e sfruttati. Le parole scritte da Primo Levi nella poesia 'Se questo è un uomo' sono a mio parere fondamentali. L'autore stesso, essendo ebreo, ha vissuto la medesima situazione di altri milioni di ebrei ad Auschwitz. Vorrei sottolineare il modo in cui conclude la poesia, minacciando coloro che hanno ragionato in modo così inumano, da pensare che un ebreo possa essere diverso da un cattolico. Una mia compagna di classe, invitata dalle professoresse, ha letto il testo di Primo Levi e noi, qui, ve la proponiamo…


Voi che vivete sicuri

nelle vostre tiepide case,

voi che trovate tornando a sera

il cibo caldo e visi amici:

considerate se questo è un uomo

che lavora nel fango

che non conosce pace

che lotta per mezzo pane

che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna,

senza capelli e senza nome

senza più forza di ricordare

vuoti gli occhi e freddo il grembo

come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

stando in casa e andando per via,

coricandovi alzandovi;

ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

la malattia vi impedisca,

i vostri nati torcano il viso da voi.

10 gennaio 1946”.


Alessia La Paglia

La nostra strada verso la certificazione di inglese

Intervista alla docente madrelingua Jennifer Lowe

Ogni anno decine di studenti studiano con impegno per conseguire la certificazione Cambridge di lingua inglese prevista per la scuola secondaria di primo grado Simone da Corbetta, il livello A2 dell’esame Ket (Key English Test). A supportarli è sempre disponibile la docente Jennifer Lowe, madrelingua qualificata, che abbiamo intervistato, per far conoscere un progetto scolastico del terzo anno.


In cosa consiste il suo progetto per noi e da quanto tempo lo porta avanti? Cos’è dal suo punto di vista il Ket?

“Ormai sono circa 25 anni che preparo studenti per le varie certificazioni Cambridge, ma qui, nel vostro Istituto porto avanti il progetto KET da circa 7-8 anni. Queste certificazioni aiutano a sviluppare competenze che hanno un'utilità pratica nella vita di tutti i giorni e riflettono l'esperienza di parlare, scrivere e comprendere testi in un paese anglofono o dialogare con persone di altre nazionalità con le quali l'unico mezzo di comunicazione è la lingua inglese. A volte dico ai miei studenti di non vivere i vari esercizi come prove, ma come reali situazioni in cui si potrebbero trovare. Ad esempio, immaginate di trovarvi in Inghilterra e di perdere il cellulare; l'abilità di saper scrivere un messaggio in inglese per dire a tutti che avete perso il cellulare e comunicare come vi possono contattare se lo dovessero trovare, è il fondamentale importanza. Poi, con una certificazione, potete dimostrare concretamente la vostra preparazione“.


Perché sceglie di venire ad insegnare ai ragazzi della nostra scuola?

“Amo insegnare e stare in contatto con gli studenti, al fine di veder crescere le loro capacità”.


Quali pensa siano i fili conduttori che legano la lingua inglese alla vita di tutti i giorni? Pensa che la lingua inglese possa essere rilevante nell’educazione civica?

“Nel mondo di oggi non si può prescindere dalla conoscenza della lingua inglese, che è fondamentale nella vita di tutti i giorni, dal lavoro, al turismo, al semplice navigare in internet per divertimento. Il mondo sta diventando sempre più interconnesso, pertanto imparare culture e modi di vita nuovi è sempre utile e rappresenta un accrescimento culturale. L'educazione civica consente di inserire nella formazione dei ragazzi lezioni sull'educazione digitale; chi naviga in internet lo sa bene che la lingua inglese la fa da padrone, perciò conoscerla bene è anche utile per poter interpretare correttamente eventuali segnali di pericolo che possono venire dalla rete".


Perché consiglia ai giovani di imparare bene l’inglese? Qual è il suo consiglio per studiare inglese in maniera ottimale, per chi potrebbe fare fatica?

“Innanzitutto perché servirà per il loro futuro ma, soprattutto, imparare una nuova lingua insegna un nuovo modo di pensare. Chi fa un po' fatica non si deve preoccupare, perché con dedizione e applicazione sicuramente potrà ottenere bei risultati. Il mio consiglio è di unire i propri interessi allo studio della lingua. In altre parole, se ad uno studente piace disegnare fumetti manga, gli consiglierei di guardare tutorial e leggere articoli sull'argomento in inglese. In tal modo la lingua diventa un mezzo per apprendere qualcosa che ci piace e che non è fine a se stessa… come un gioco!”.



Alessia La Paglia



C'è chi dice no... al bullismo

Vincenzo Vetere, fondatore dell'Associazione contro il Bullismo Scolastico, incontra gli alunni della nostra scuola


Nella mattinata di giovedì 3 febbraio si è svolto per alcune classi un incontro su un argomento di grande attualità e che riguarda spesso da vicino noi ragazzi: il bullismo. Ci siamo collegati a distanza, per le limitazioni legate alla pandemia, con Vincenzo Vetere, 27 anni, fondatore dell’ACBS (Associazione Contro il Bullismo Scolastico). Oggi Vincenzo lavora nella sicurezza informatica, ma ha un passato doloroso da raccontare: da bambino e da ragazzo è stato spesso vittima di bullismo da parte dei suoi compagni di classe. La stessa cosa accadde anche al fratello, preso di mira proprio perché portava il suo stesso cognome. Vincenzo alle scuole superiori ha conosciuto anche un’altra forma di bullismo, quello che passa dal web. Alcuni ragazzi che frequentavano il suo stesso istituto arrivarono addirittura a creare un profilo Facebook per prenderlo di mira.

Oggi Vincenzo, oltre al lavoro, dedica molto tempo a portare nelle scuole la sua testimonianza per sensibilizzare i ragazzi e aiutare chi come lui oggi si trova a essere vittima di questo odioso fenomeno ad alzare la testa. Denunciare, secondo Vincenzo, è fondamentale, perché il silenzio rende complici.

Al termine dell’incontro la mia classe ha rivolto alcune domande a Vincenzo. Ecco cosa ci ha risposto.

1. Quanti ragazzi hanno chiesto aiuto all’ACBS?

Un numero preciso non c’è, ma da Marzo 2021 ad oggi ci sono stati più o meno 170 richieste di aiuto e uno studio su 220 studenti ha detto che il 30% di questi si dichiara vittima di bullismo.

2. Come ti è venuto in mente di agire e dedicare il resto della tua vita a combattere il bullismo?

Un giorno sentii la notizia di un ragazzino che si era suicidato perché vittima di bullismo. Feci una ricerca e scoprii che in Italia non esistevano molte associazioni contro il bullismo. Dopo anni di formazione, decisi così di mettere in piedi la mia personale associazione.

3. Vi è mai capitato di vedere e conoscere bulli “pentiti”?

Negli ultimi anni abbiamo visto diversi casi di ragazzi pentiti, ma la strada da compiere è ancora lunga e passa soprattutto da educazione e prevenzione. Non bisogna avere paura di parlare di bullismo.

4. Ci sono più casi di cyberbullismo o di bullismo “tradizionale”?

Possiamo dire 50 e 50. Anche se sono in crescita i fenomeni di cyberbullismo che poi si traducono in casi di bullismo al di fuori del mondo virtuale.

5. In che fascia d’età ci sono più casi di cyberbullismo?

Sono in aumento i casi anche tra i più piccoli, sin dalla seconda, terza classe della scuola primaria, quando teoricamente i bambini non dovrebbero nemmeno avere accesso ai social network.


Per chi volesse saperne di più rimandiamo al sito dell'ACBS: www.acbsnoalbullismo.it


Elena Degli Innocenti