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è con grande gioia che vi presentiamo “La Scienza”, dove potrete parlare di ciò che sapete e scoprite ogni giorno. Non abbiate paura di parlare delle curiosità più stravaganti sul mondo; è per questo che noi siamo qui.
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Oltre a tutto questo, ci saranno delle rubriche ricorrenti, che renderanno unica ogni edizione:
Medicina; scoprite di più su come siamo fatti all’interno e su come mantenerci sani;
NexTech: tecnologie del futuro; i fatti più moderni e le invenzioni più innovative, dalla macchina alla velocità della luce ai viaggi su Marte;
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La redazione della “Scienza”
Il caporedattore P.M. 3C
Un’eruzione stellare osservata per la prima volta vent’anni fa nascondeva un segreto che gli astronomi hanno appena decifrato: avrebbe generato un’enorme quantità di metalli preziosi, compreso l’oro. Dietro quel lampo di luce, una magnetar potrebbe aver forgiato una parte non trascurabile degli elementi più pesanti della galassia.
Non è la prima volta che si cerca di risalire all’origine dei metalli pesanti presenti sulla Terra. Per anni, la comunità scientifica ha guardato con attenzione alle collisioni tra stelle di neutroni: a seguito di questi scontri si verificano eventi catastrofici che generano ambienti ideali per la formazione di elementi più pesanti del ferro.
Tuttavia, le frequenze di queste collisioni non bastavano a spiegare le quantità osservate di oro, platino, uranio e simili nell’universo.
Un nuovo studio del Center for Computational Astrophysics, pubblicato su The Astrophysical Journal Letters, cambia lo scenario. I ricercatori hanno identificato nei giganteschi flare dei magnetar, ovvero stelle di neutroni con campi magnetici estremi, una fonte significativa di questi elementi.
Il flare del 2004, riesaminato con modelli aggiornati, avrebbe prodotto una quantità di metalli pesanti pari a un terzo della massa terrestre.
Ma come si crea l’oro in questi eventi? Tutto ruota attorno all’r-process, un meccanismo nucleare rapidissimo che richiede una concentrazione eccezionale di neutroni liberi. È proprio ciò che accade quando la crosta di un magnetar viene scagliata nello spazio da un’esplosione energetica. I nuclei instabili formati in quel caos iniziano a decadere, dando vita a elementi stabili e preziosi.
Il dettaglio che più colpisce è che queste esplosioni avvengono ancora, e potrebbero aver avuto un ruolo decisivo nell’arricchire le galassie fin dai primi miliardi di anni.
Non è raro svegliarsi un giorno, cercare di allacciare un laccio delle scarpe, provare un dolore nella parte bassa della schiena e sentirsi improvvisamente molto più vecchi di ieri.
Stranamente, anche se invecchiamo quotidianamente, gli scienziati hanno scoperto che il corpo umano sembra attraversare due fasi di invecchiamento rapido: una volta intorno ai 44 anni e un'altra quando si raggiungono i 60 anni.
Utilizzando 108 volontari, che hanno consegnato ai ricercatori campioni biologici di ogni tipo, gli scienziati hanno monitorato il cambiamento dell'inventario di varie sostanze biochimiche e microbi a seconda dell'età. Per ragioni non chiare ai ricercatori, sia gli uomini che le donne sembrano subire un cambiamento importante verso la metà dei 40 anni: cambia il modo in cui il nostro corpo gestisce le malattie cardiovascolari e il modo in cui smaltiamo alcol, grassi e caffeina. Poi, quando entriamo nei 60 anni, il nostro corpo subisce cambiamenti (tra le altre cose) nella regolazione immunitaria e nel metabolismo dei carboidrati.
Anche se non è ancora chiaro quanti di questi cambiamenti siano influenzati da cambiamenti nello stile di vita (le persone tendono a bere molto di più attorno ai 40 anni) spesso stressanti, piuttosto che puramente biologici, il fatto che invecchiamo a scatti è comunque affascinante e del tutto inaspettato.
Le proteine sono essenziali per la vita e la comprensione della loro struttura può facilitare la comprensione della loro funzione.
Quest’anno, il Premio Nobel per la Chimica è stato assegnato a diversi ricercatori coinvolti nello studio di queste catene di amminoacidi alla base di gran parte dei processi biochimici. In particolare, due dei tre destinatari del prestigioso premio – Demis Hassabis e John Jumper, entrambi di Google DeepMind – sono stati insigniti del Nobel per aver creato AlphaFold, un innovativo sistema di intelligenza artificiale“in grado di prevedere la struttura 3D e le interazioni di tutte le molecole della vita con una precisione senza precedenti”
Q8W3K0: una potenziale proteina resistente alle malattie delle piante. Crediti www.alphafold.ebi.ac.uk
Questo strumento è stato in grado di prevedere la struttura di quasi tutti i 200 milioni di proteine di cui gli scienziati hanno scoperto l’esistenza, il che significa che ora gli scienziati hanno uno strumento in grado di capire in modo rapido e accurato quali tipi di proteine sono coinvolti nei processi biochimici.
Questa tecnologia può rivelarsi utile su molti fronti, ad esempio, in campo medico, può essere d’ausilio per studiare la trasmissione di alcune malattie, come la Malaria, e identificare un modo per fermarla, per comprendere i meccanismi alla base della resistenza agli antibiotici, e per lo sviluppo di nuovi farmaci.
Le previsioni di AlphaFold sono rese disponibili gratuitamente attraverso l’AlphaFold Protein Structure Database, e hanno già fornito a più di 2 milioni di scienziati e ricercatori provenienti da 190 paesi un potente strumento per fare nuove scoperte.
Gli Articoli della Redazione di Scienza dell'Edizione 2023/2024
UN BATTERIO GIGANTE SFIDA LE LEGGI DELLA BIOLOGIA
Normalmente quando si parla di batteri immaginiamo organismi minuscoli, visibili solo sotto la lente del microscopio. Ma gli scienziati hanno scoperto un gigantesco batterio di colore bianco così grande da essere visibile a occhio nudo. Il suo nome è Thiomargarita magnifica per le sue dimensioni e per i granuli di zolfo contenuti nella cellula che le conferiscono una lucentezza perlacea.
Il batterio gigante, che raggiunge più o meno le dimensioni di un ciglio, è un’unica cellula batterica, mentre i batteri giganti precedentemente scoperti, alcuni dei quali arrivano a formare filamenti lunghi qualche centimetro, sono composti da centinaia fino addirittura a migliaia di cellule.
Il T. magnifica è stato trovato sulle foglie sommerse di mangrovia nei Caraibi. Il batterio è stato individuato nel 2022 per la prima volta dal biologo Olivier Gros.
I BATTERI NON SONO SEMPLICI
La ricercatrice Petra Anne Levin, non coinvolta nella scoperta, non è sorpresa di tali dimensioni: “Il principale messaggio che possiamo ricavarne è che non dovremmo sottovalutare i batteri considerandoli organismi semplici, perché questa è una visione obsoleta”, afferma. “I batteri sono in grado di adattarsi all’infinito, e in realtà dovremmo aspettarci di vederne di varie dimensioni”.
Nel 1999, Teske e altri scienziati hanno scoperto un batterio di sorprendenti dimensioni, che hanno chiamato Thiomargarita namibiensis. Quel batterio ha detenuto fino al 2022 il record del batterio più grande mai scoperto, ma il suo simile trovato nei Caraibi è oltre 50 volte più grande.
LA GRANDE EPIDEMIA STA COLPENDO IL MONDO
I Coronavirus, così chiamati per la caratteristica forma a coroncina visibile al microscopio, sono una famiglia di virus che causa infezioni negli esseri umani e in una varietà di animali, tra cui uccelli e mammiferi come cammelli, gatti e pipistrelli. Si tratta di virus molto diffusi in natura, che possono causare un comune raffreddore o malattie più gravi come la sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la sindrome respiratoria acuta grave (SARS). A oggi, sette Coronavirus hanno dimostrato di essere in grado di infettare l'uomo.
Virus di questo tipo colpiscono prevalentemente le cellule epiteliali del tratto respiratorio e gastrointestinale.
Il contagio avviene principalmente attraverso il contatto stretto con una persona malata. La via primaria sono le goccioline del respiro (droplet) delle persone infette tramite la saliva (tossendo e starnutendo), contatti diretti personali e le mani (toccando con le mani contaminate bocca, naso o occhi). Normalmente le malattie respiratorie non si trasmettono con gli alimenti, che comunque devono essere manipolati rispettando le buone pratiche igieniche ed evitando il contatto fra alimenti crudi e cotti. Secondo i dati attualmente disponibili, le persone sintomatiche sono la causa più frequente di diffusione del virus. Il rischio di contrarre il virus da una persona asintomatica esiste ma non è ancora stato quantificato con certezza. Il periodo di incubazione fra contagio e comparsa dei sintomi è stimato fra uno e 14 giorni.
U.M. 3H