Racconti brevi e poesie

Preghiera al Sole

Il Sole stava percorrendo il suo ultimo tratto. Ormai si ergeva basso nel cielo e allungava le ombre, sfigurando l’immagine di uomini e animali. il cielo si tingeva sempre più di rosso, ma ben presto sarebbe stato ricoperto d’inchiostro.

Tutto era tranquillo e si avviava al riposo, dalle dolci colline verdeggianti bagnate dal Sole, agli alberi alti dal fusto sottile che salutavano il giorno al ritmo del vento. Anche il torrente si faceva via via più tranquillo, catturando sulla sua superficie la luce.

Il silenzio era rotto qua e là dal canto degli uccelli, che si univano al coro di pace.

In tutto quel colore solo una cosa stonava: una casa in pietra, col tetto in paglia, circondata di ghiaia e con l’aria decadente.

Di fronte ad essa un giovane contadino rastrellava il frumento un poco per volta. Il corpo era piegato sul lavoro, i muscoli tesi evidenziati dalle maniche tirate fin sui gomiti. Aveva un bel volto dai lineamenti gentili, ma tipici di un uomo temprato dalla vita. Gli occhi, come i capelli erano scuri, risaltati dalla barba incolta. Nel suo sguardo non si leggeva fatica, nemmeno dolore, a quel punto era incapace di provarne. Gli restava solo da sognare un piatto caldo che non sarebbe giunto quella sera o nel prossimo avvenire.

Qualche metro lì vicino sedevano due donne anch’esse chine sul lavoro.

La più giovane era adagiata su una sedia, con il vestito composto di stracci che le lasciava i piedi scoperti. Il volto era di modesta bellezza, ma gentile, con profonde occhiaie ad incorniciare gli occhi verdi e le labbra carnose screpolate.

La vecchia accanto a lei se ne stava, invece, accasciata per terra. Il tempo non era stato clemente e l’aveva lasciata piena di rughe, magra, senza la minima traccia della donna che era.

Aveva raccolto i capelli striati di grigio in un’acconciatura veloce come la compagna, così da non essere intralciata nel lavoro.

Se ne stavano rintanate sotto a un portico, colmo di pentole, pale e rastrelli, tenuti insieme da intricate ragnatele, ma sotto la polvere e il ciarpame si intravedevano rocce narranti ognuno una storia. Raccontavano il sangue e il sudore versati per impilare, una sopra l’altra, così da innalzare, la struttura.

Tutto in quella casa portava sulle spalle il fardello di una storia, anche i suoi abitanti, anche il cane da caccia ormai troppo vecchio per stare in piedi.

Era in quel clima che le donne filavano con le mani callose, ma dotate. Ad ogni giro del fuso tessevano una preghiera; chiedevano non denaro, ma abbastanza cibo per superare l’inverno ancora lontano e per far sì che i figli e i figli dei loro figli potessero crescere. In quella tela c’era anche la speranza, un giorno, di poter guardare il paesaggio che li circondava così da vedere la pura bellezza.

Ascoltando quelle suppliche il Sole sparì dietro l’orizzonte, lasciando il mondo alla notte e promettendo a quei poveri uomini la rinascita in un giorno migliore.

Elena Notari 3B

Speranza...

Quando lo sconforto ti porta via

la mia soluzione è non arrendersi comunque sia.

Se ad un certo punto pensi che la situazione non possa migliorare

l’unica soluzione è continuare a sperare.

Se si dice che la speranza è l’ultima a morire

ricordati di non disperarti per non “appassire”.

In questo periodo ho capito che le piccole cose che fanno la differenza

non potranno mai essere sostituite da quelle secondarie ovvero la concorrenza.

Se dovessi dire qual è la peggior malattia esistente

sceglierei la solitudine ovviamente.

Però nella nebbia c’è sempre un faro che ti illumina la via

per arrivare alla tua meta qualunque sia.

Anonimo