Bath

BATH 29 SETTEMBRE - 5 OTTOBRE 2019

29.09 – L’ARRIVO

Ritrovo ore 8:00 in aeroporto, presto. Vogliamo essere sicure di avere tutto il tempo necessario. Facciamo check-in senza intoppi, procediamo per i controlli. Siamo in anticipo, ci fermiamo al bar e chiacchieriamo piacevolmente. Ci avviamo verso il Gate dove, poco dopo, ci raggiunge un gruppo nutrito di ragazzi delle scuole medie, piuttosto rumorosi: stanno partendo per un viaggio studio in Inghilterra con i loro professori. Ci viene da ridere, lo definiamo un momento catartico. Non invidiamo i nostri colleghi coi quali scambiamo qualche battuta. Una volta in aereo, abbiamo modo di confrontarci con loro: sono della nostra stessa zona (Arcisate) e staranno in Inghilterra per una settimana. I ragazzi fanno chiasso, sono eccitati all’idea di prendere l’aereo, ci fanno sorridere.

Dopo una discesa e un atterraggio piuttosto turbolenti, ci troviamo a Gatwick. Decidiamo di fermarci per pranzo, troviamo solo Costa, una catena famosa in Inghilterra. Proviamo il Mac&Cheese, abbiamo voglia di qualcosa di caldo. Dobbiamo attendere il treno e ci perdiamo in un angolo del locale, tra chiacchiere e telefonate ai cari. Ci confrontiamo, ci chiediamo cosa ci aspetterà domani, se le nostre presentazioni sono adeguate. Ognuna l’ha fatta a modo suo, focalizzandosi su aspetti diversi. Parliamo delle nostre esperienze come insegnanti, delle nostre scuole, di come viene affrontato il tema dei bisogni speciali, della differenza a riguardo tra il sistema italiano e quello inglese. Qualcuno tra noi è più ferrato sul tema, qualcun altro sull’inglese e conveniamo che siamo un gruppo eterogeneo ma ben assortito, ci completiamo.

È ora di prendere il treno, molto affollato. Saliamo su uno degli ultimi vagoni e troviamo un ragazzino che urla col padre. Inizialmente pensiamo stia solo facendo i capricci, poi ci rendiamo conto che è in difficoltà. Ha esternazioni di rabbia, richiede molto spazio intorno a sé e il padre, imbarazzato, fa di tutto per placarlo e contenerlo anche fisicamente. Ci rendiamo conto che forse non è la strategia giusta, che quel ragazzo ha bisogno di sfogare la rabbia e l’energia. Ci chiediamo se forse non sia uno di quei ragazzi con bisogni speciali di cui parleremo domani. Facciamo parallelismi con alcuni dei nostri studenti, ci raccontiamo esperienze passate. Anche da questo momento quotidiano scaturiscono riflessioni interessanti. Il confronto ci arricchisce.

Proseguiamo il viaggio, cambiamo treno a Reading. Un treno molto più tranquillo, con i posti riservati. Ci accoglie la campagna inglese, con il cielo che sembra non finire mai, carico di nuvole che però ogni tanto lasciano spazio a dei piacevoli raggi di sole dorati. Mucche, pecore, cavalli. Notiamo con piacere che qui l’autunno si sta già facendo spazio tra i colori. Iniziamo ad accusare la stanchezza ma guardiamo dal finestrino e sorridiamo. Ci diamo consigli per passeggiate domenicali nella nostra zona, suggestioni che scaturiscono da ciò che vedono i nostri occhi. Non vediamo l’ora di arrivare.

Bath ha una stazione bellissima, iniziamo subito a fare foto per immortalare il nostro arrivo. Stupite dalla stazione, ci chiediamo quali altri gioiellini architettonici ci riservi la città e decidiamo di raggiungere l’hotel a piedi. Il tragitto è lievemente in salita, ma non ci pesa perché ci fermiamo ad ogni angolo a fotografare la bellezza di questa città piena di storia. Siamo ancora col naso all’insù quando si avvicina un passante chiedendoci se ci siamo perse e ci dà indicazioni con un accento molto British e una gentilezza che ci spiazza.

In hotel ci accoglie una ragazza solare dai lineamenti asiatici. Sono tutti gentili qui. Ci facciamo consigliare un posto dove mangiare un piatto caldo, stanche dalle ore di viaggio. Optiamo per un pub, abbiamo voglia di mangiare qualcosa di tipico. Il locale è ampio, arioso. Anche chi di noi desiderava da tempo provare il fish & chips viene accontentato, qualcun altro preferisce provare la birra e trascorriamo la serata ridendo. A letto presto, domani ci attende questa nuova avventura.

30.09 – FIRST DAY

Oggi è il nostro primo giorno e come delle scolarette che iniziano la scuola, ci svegliamo presto, con la paura di arrivare in ritardo. Ci avviamo per tempo, troviamo la piazza senza difficoltà, ne abbiamo qualcuna in più per trovare l’edificio. Chiediamo informazioni, ormai l’abbiamo capito che qui sono molto gentili e disponibili. Suoniamo, nessuna risposta. Siamo in anticipo di qualche minuto, non ci sembra vero di non dare seguito allo stereotipo tale per cui gli italiani sono sempre in ritardo. Suoniamo ancora, nessuna risposta. Cerchiamo tra i documenti, pare sia segnalato anche un altro edificio, ci avviamo. È ormai passata l’ora dell’incontro, ci agitiamo. Arriviamo alla porta, apre dopo un’ora. Ci decidiamo a recuperare il numero di Andrew, il nostro riferimento per il corso, e chiamiamo. Bastava che suonassimo.

Ci accoglie Louise, collega di Andrew. Ci sorride amichevolmente, è molto dolce. Ci guida al secondo piano della Royal Literary & Scientific Institution, dove troviamo ad attenderci Andrew, Frank, due colleghe croate, un collega ceco e un ittiosauro. Poco dopo ci raggiunge un’altra collega ceca, il gruppo è al completo. Dopo le informazioni introduttive, siamo pronti. Si parte.

Quali saranno gli obiettivi del corso? Di certo imparare nozioni sul sistema educativo inglese e sviluppare materiali da usare in classe, ma anche vedere come visitare la città può essere un’ottima risorsa didattica. La visita di due scuole sarà anche centrale del nostro percorso. Non da ultimo, migliorare le nostre capacità linguistiche e promuovere lo sviluppo culturale. Ci spiegano che ciò che apprenderemo dev’essere tradotto in qualcosa di reale, concreto, da portare nelle nostre classi, ai nostri ragazzi.

Il secondo step della mattinata è rompere il ghiaccio presentandosi. Non dovremo, però, presentare noi stesse, bensì un altro partecipante al corso. Lavoreremo in coppie e ovviamente veniamo abbinate ognuna con un corsista straniero. Abbiamo la spinta per mettere alla prova le nostre abilità linguistiche. Ci viene chiesto anche di imparare una parola o frase nella lingua del nostro compagno. Ci mettiamo al lavoro, inizia il brusio. Scopriamo quindi che, nonostante il gruppo ristretto, abbiamo background molto diversi. La rappresentanza ceca è formata da due dirigenti, quella croata da due docenti delle scuole superiori. Chi parla svariate lingue, chi ci aiuta con qualche frase in italiano, chi lavora in una scuola marittima, chi è più giovane, chi è sposato e ha dei figli, chi è alla prima esperienza internazionale, chi è già navigato. Proviamo a pronunciare queste frasi così strane, ridiamo. Il ghiaccio è rotto. Pausa caffè.

Dopo esserci sincerate che tutti abbiano gradito gli amaretti di Gallarate portati in dono, l’ittiosauro sempre lì a scrutarci dall’alto della parete, ci tuffiamo nella seconda parte della mattinata. Il sistema scolastico inglese. Una presentazione molto densa di nozioni, siamo tutti concentrati. Facciamo molti parallelismi. L’istruzione è fortemente politicizzata e per questo è spesso soggetta a cambiamenti. Come non ritrovarsi. Si parla poi di school management, vengono introdotte delle figure che facciamo fatica a capire perché non fanno parte del nostro sistema. Chiediamo chiarimenti. Impariamo che ciascuno studente ha un tutor con il quale si incontra fino a due volte al giorno. Viene accompagnato e supportato nel suo lungo percorso scolastico. Non è solo, ma c’è un gruppo seguito dallo stesso tutor composto da ragazzi di età diverse. Si crea una sorta di famiglia, ci si aiuta a vicenda, non si è mai soli. In Inghilterra la valutazione è molto importante, i ragazzi sono continuamente sottoposti a verifiche ed esami. La scuola stessa è soggetta a esami da parte di organizzazioni nazionali. La maggiore si chiama Ofsted, ci vengono spiegati i criteri e soprattutto fatti degli esempi pratici. Ci sentiamo sature di informazioni, per fortuna un altro caffè ci guida verso l’ultima parte della mattinata.

Rimaniamo sole, la delegazione italiana è quella maggiormente interessata ad esempi pratici relativi ai bisogni educativi speciali. Incontriamo Catherine, insegnante della scuola che visiteremo domani. Con grande sorpresa (e in parte disappunto) scopriamo che in Inghilterra esiste ancora la divisione tra scuole speciali e scuole normali. In Italia è stata abolita da tempo. Catherine ci spiega che a volte è fondamentale per soddisfare i bisogni di tutti, per quanto svariati possano essere. Le nostre domande sono numerose, i confronti con il nostro sistema sorgono spontanei. È uno scambio arricchente, proprio perché si parte da presupposti diversi. Altra diversità che troviamo fondamentale è il fatto che i disturbi comportamentali non sono riconosciuti come tali. Secondo l’approccio inglese, dietro a delle esternazioni di comportamento si nasconde un disagio di altra natura. Un ragazzo iperattivo, ad esempio, può avere difficoltà a livello sensoriale. Si chiedono: cosa sta cercando di comunicarci con il suo comportamento? Siamo veramente curiose di scoprire com’è questa scuola.

Pausa pranzo, siamo stanche. Questo, però, non ci ferma dal conoscere gente del posto, intenta a mangiare un English Breakfast nel tavolino di fianco al nostro. “Possiamo fare una foto per i nostri studenti?” Ride. Ci chiede se siamo insegnanti di cucina. Dopo aver provato altri sapori rispetto a quelli a cui siamo abituati, torniamo nuovamente al meeting point. Oggi visiteremo la città, scoprendo come può diventare uno spunto didattico. Forse scampiamo la pioggia. Facciamo qualche selfie, iniziamo la nostra visita. Andrew ci racconta tantissimi aneddoti e ci dà informazioni di ogni tipo, da usare in tantissime materie. Bath è una città molto verde, ma scopriamo che è sempre stata molto inquinata a causa dell’utilizzo del carbone. Storia, la rivoluzione industriale. Ci troviamo davanti al Royal Crescent, la pietra con cui è costruito è porosa. Scienze, chimica. Il nome Royal deriva dal fatto che la regina Vittoria in persona visitò questo sito ma non volle ritornare a Bath perché un cittadino era stato molto scortese nel commentare il suo abbigliamento. Assist sulla storia della monarchia inglese. L’edificio, poi, è costruito in stile georgiano con dei chiari rimandi allo stile neoclassico. Arte, architettura. Crescent in inglese vuol dire “a forma di mezzaluna”. Matematica. E così via, lungo tutta la città. Impariamo la leggenda sulla sua origine, sia essa romana o barbarica; scopriamo che nel Settecento diventò una sorta di Las Vegas inglese, aperta a molti passatempi, più o meno leciti. Attraversiamo Gay Street, una via che si percorreva in maniera appunto gaia, molto contenta, dopo aver mangiato e bevuto. Passiamo il museo di Jane Austen, parliamo della natura idrogeologica del suolo. Le mura romane, i bagni. Ci ripromettiamo di visitarli, sia quelli antichi che quelli moderni. Fino ad arrivare alla famosa Pump Room.

Qui il nostro giro si ferma, siamo arrivati. “Dove?” In questo locale dall’aria perfettamente inglese, dove ci viene servito del tè estremamente profumato e il tipico Bath scone, un dolce da farcire con burro alla cannella. Godiamo di questo momento ristoratore dopo i nostri giri per la città. Ci sembra tutto così British. Abbiamo perfino un’orchestrina che ci allieta mentre approfondiamo la conoscenza dei nostri colleghi stranieri e ci rilassiamo insieme agli organizzatori. Perfino in attesa per i servizi riusciamo a farci attrarre da un arazzo, da due teche che mostrano come l’alfabeto si sia evoluto nel tempo, pensiamo a come potremmo sfruttarlo in classe. Siamo delle insegnanti incorreggibili.

Dopo un’oretta molto piacevole insieme ai nostri nuovi amici, usciamo. La pioggia è scesa solo ora fortunatamente. Ci rendiamo conto che l’abbazia è ancora aperta, ne approfittiamo per dare uno sguardo al suo interno. Ha un’architettura gotica, è molto imponente. Le vetrate sono immense, molto colorate. Siamo estremamente grate di avere questa opportunità. Ancora stanche, ci dirigiamo verso qualche vetrina, acquistiamo souvenir per i nostri cari. Non ci attardiamo, sappiamo che ci aspetta un briefing sulla giornata. Ci raduniamo nella hall, confrontiamo i nostri appunti e i nostri ricordi, ripercorriamo la nostra giornata insieme, commentando, confrontandoci e ridendo di qualche aneddoto. Ci concediamo un bicchiere di vino con del formaggio, gentilmente offerto dall’hotel. Let’s call it a day. Si va a nanna, domani la sveglia suona presto.

1.10 – FOSSE WAY SCHOOL

Sveglia all’alba, il pullman che ci porterà alla Fosse Way School parte presto. Incontriamo Andrew alla stazione che ci dà tutte le indicazioni e ci augura una buona giornata. Il viaggio è purtroppo più lungo del previsto a causa di un brutto incidente. Qualcuno ne approfitta per recuperare preziosi minuti di sonno, qualcun altro si agita per il ritardo, qualcun altro ancora si attiva per avvisare la scuola e l’organizzatore. Notiamo che ci sono diversi studenti sul pullman ma nessuno di loro è rumoroso, forse sono troppo stanchi, forse sono abituati. Di certo non lo siamo noi a tanta calma, i nostri sono spesso molto più effervescenti.

Arriviamo, ci danno dei badge da visitor e seguiamo percorsi diversi divisi in 3 gruppi in base a diversi ordini di scuole. Anna, Marcella, Marika nel primo gruppo, Emanuela nel secondo. Proseguiamo con il tour della scuola, iniziamo dai più grandi. La scuola per loro è di tipo tecnico, imparano dei mestieri pratici che poi potranno svolgere da adulti. Entriamo in una common room provvista anche di uno spazio allestito come se fosse una casa. Qui ci sono dei compiti quotidiani (fare il letto, lavare i piatti, stendere) da portare a termine a rotazione. Proseguiamo verso la classe di arte, di musica, di cucina, la palestra e poi per i diversi gradi di scuola.

Gli spazi sono molto ampi, i banchi modulari disposti a L in diversi gruppi. Ogni classe ha la LIM ma anche lavandino e ante. In alcune aule vediamo anche postazioni singole per evitare che i ragazzi si distraggano. Sono disposte in modo tale che gli studenti abbiano a sinistra il lavoro da svolgere, al centro il lavoro da fare (che ha difficoltà progressiva), a destra il lavoro svolto. Questo dà loro l’idea di compito finito, concetto molto importante. Ogni aula ha poi accesso diretto all’esterno, spesso con un giardino privato. Questo permette ai ragazzi di sfogare le energie tra una lezione e l’altra senza disperdersi troppo o correre pericoli. Ci fanno anche notare l’esistenza di una “quiet room”, una stanza praticamente asettica con solo una sedia al suo interno. I ragazzi che ne sentono la necessità, possono ritirarsi in questo luogo tranquillo e sfogare eventuali sentimenti, calmarsi. A volte, ci spiegano, alcuni di loro posso sentirsi sovraccaricati dagli stimoli ambientali e hanno bisogno di rifugiarsi qui. Ogni presenza viene accuratamente registrata. Proviamo sentimenti contrastanti alla vista di questa stanza.

Notiamo anche che le classi sono composte da pochi alunni, solo 8. Questo permette di focalizzarsi sui bisogni di ognuno di loro. Ci colpisce, inoltre, trovare così tanti insegnanti in ogni classe. Scopriamo che oltre all’insegnante di classe possono esserci diversi assistenti. Tutti estremamente competenti e preparati. Dopo una dolce pausa, assistiamo ad una lezione di inglese, i ragazzi hanno tra i 14 e i 15 anni. Stanno lavorando su una ballata, viene chiesto loro di richiamare i concetti delle precedenti lezioni. Oggi dovranno travestirsi da personaggi e mettersi in posa, riproponendo i momenti principali della storia. L’insegnante farà delle foto e creerà dei fumetti che poi loro stessi dovranno completare. Il tavolo si riempie di oggetti scenici, come parrucche, gilet, cappelli. Nessuno è forzato a partecipare se non se la sente. I ragazzi si divertono un mondo e ci divertiamo anche noi a vedere il loro entusiasmo, commentiamo cercando di non disturbare.

Pausa pranzo. In corridoio incontriamo sempre ragazzi che si spostano autonomamente tra gli spazi, questa cosa ci colpisce molto. Siamo anche colpite emotivamente dalla realtà che abbiamo visto finora, i ragazzi hanno disabilità di ogni tipo. Confrontiamo le idee a riguardo mentre pasteggiamo con i nostri compagni di corso. Scuole differenziate oppure no? Il confronto culturale è importante, impariamo che in Croazia e in Repubblica Ceca esistono scuole di questo tipo. Ci chiediamo cosa si intenda veramente per inclusività, dove debba essere tracciata la linea di demarcazione. Conveniamo sul fatto che si tratta di un tema estremamente delicato e difficile da gestire.

Nel pomeriggio altra lezione di inglese ma con una fascia di età inferiore, dai 10 agli 11 anni. La poesia. L’insegnante recita e scrive alla lavagna una poesia scherzosa che riguarda i suoi alunni. È in rima e invita i suoi studenti a riflettere su questo. Ora tocca a loro scrivere un componimento, col supporto di un vocabolario. Per svolgere il compito vengono divisi in 3 gruppi con gradi diversi di difficoltà e di autonomia. La lezione viene interrotta dall’assemblea. Tutti gli studenti della secondaria si ritrovano e viene loro mostrato un video sulle 20 parole da dire più spesso. Grazie, per favore, sei grande, ce la farai. Pensiero positivo, gentilezza, rispetto reciproco. Alcuni di loro, poi, ricevono dei premi per essersi distinti in alcune materie, sport o gentilezza nei confronti dei compagni. Sono tutti super entusiasti quando vanno a ritirare le caramelle di premio. Abbiamo il sorriso stampato sulle labbra.

Un ultimo incontro con Catherine che ci dà le ultime informazioni sulle esperienze che abbiamo vissuto oggi nelle varie classi. Come viene considerato l’autismo, possibili approcci. Come organizzare gli spazi, consigli utili. Le nozioni sono tante e noi siamo ormai sopraffatte dalla stanchezza, ma non riusciamo a smettere di sorridere nel pensare come questi ragazzi vengano preparati ad affrontare il futuro, il mondo là fuori. Ci auguriamo che ci sia un sistema sufficientemente adeguato ad accoglierli. Ci ricordiamo di Abdullah che ha voluto subito giocare con noi, coinvolgendoci immediatamente con i suoi occhi grandi color nocciola. Ci chiede di cantare “Old MacDonalds” ma la conosciamo solo in italiano. E così in coro ci ritroviamo a cantare “Nella vecchia fattoria” tenendo un cavallo in mano e guardando lo stupore negli occhi del piccolo Abdullah, meravigliato dalla lingua in cui abbiamo cantato la sua canzone. Ci ricordiamo di Cai, ragazzino molto simpatico e molto vivace che non manca di rimarcarci più volte che lo stiamo disturbando per poi chiederci i nostri nomi e iniziare a raccontarci tutto quello che sta facendo ora, che ha fatto nelle scorse lezioni e che troviamo in mostra sulla parete. Ci ricordiamo di Summer, ragazzina dolcissima e biondissima con un nome solare, proprio come lei. Come dimenticare, infine, il ragazzino che ogni volta che ci incontrava in corridoio (non poche) ci ripeteva: “I know you” puntandoci il dito contro e ridendo.

Ci avviamo alla fermata dell’autobus, chiacchieriamo con i nostri amici internazionali. La stanchezza, purtroppo, gioca brutti scherzi e iniziamo a ridere cantando alcune canzoncine per bambini, improvvisando qualche passo. Scherziamo, ci prendiamo in giro a vicenda. Ci serve qualche momento di leggerezza. Questa atmosfera ci accompagna per tutto il viaggio in pullman, ci sembra quasi di essere studenti di rientro dalla gita. Percorriamo il tragitto a piedi fino all’hotel dove ritroviamo le nostre colleghe croate con le quali prendiamo un aperitivo che ci permette di rilassarci e confrontarci su tantissimi argomenti. La figura dell’insegnante nei rispettivi paesi, com’è vista dalla società, come si accede alla professione, quanto si guadagna. Il costo della vita, differenti lavori. Ma poi anche la geografia del paese e le sue bellezze, consigli per le vacanze. Il cibo, il vino. Comprendiamo a fondo il significato di scambio culturale.

Con la voglia di girare ancora un po’ il mondo, decidiamo di mangiare tailandese. Chi lo conosce, chi lo prova per la prima volta: è un successo per tutti. Torna qualche canzoncina, tante risate. E di nuovo molti discorsi su metodi ed esperienze di insegnamento. Ormai la chiacchiera ci viene facile e ci confrontiamo anche su temi personali. Avendo esaurito le energie, ci rendiamo conto che forse è il caso di andare a letto.

2.10 TERZO GIORNO

Oggi il ritrovo è alle 9:30, orario più rilassato. La prima parte della mattinata è dedicata al feedback riguardo alla nostra visita di ieri alla Fosse Way School. Si tratta di una discussione e ci vengono date delle frasi guida in modo da non andare fuori tema lasciandosi trasportare dai discorsi: “La mia prima impressione della scuola è stata…; in particolare ho notato…; sono stato sorpreso di...; ho imparato che…”.

L’impatto iniziale con la Fosse Way School è stato quello di un ambiente estremamente amichevole, quasi rilassato. Sappiamo bene, però, che in realtà la pressione sugli insegnanti e il lavoro che hanno da svolgere è enorme, l’abbiamo già capito ieri. Nonostante ciò, la scuola è sembrata a tutti pervasa da un clima positivo. A tal proposito, viene introdotto il concetto di Positive Reinforcement: a nessun ragazzo viene mai detto “No, hai sbagliato” ma si cerca di focalizzare l’attenzione su ciò che di positivo ha fatto “Ottimo tentativo, ma magari…” Un altro aspetto fondamentale in questa scuola sono le emozioni, alle quali viene dato molto spazio. Gli insegnanti stessi hanno ben presenti i bisogni di ogni singolo studente. Sicuramente aiuta il fatto che le classi siano formate da pochi alunni e che gli insegnanti siano altamente preparati, non solo da un punto di vista didattico. Si parla dell’assemblea alla quale abbiamo assistito, 3 parole: positività, premio, condivisione. Praticamente una comunità all’interno della quale ognuno ha il diritto di sentirsi riconosciuto in quanto individuo, con le proprie emozioni e necessità. Bello. Discutiamo anche del fatto che si cerca di dare agli studenti un senso di realtà, viene insegnato loro qualcosa di concreto. Un altro insegnamento molto importante in ambito anglosassone è il pensiero critico. Così si conclude la prima parte della mattinata.

Dopo la pausa caffè, Louise ci presenta un compito da svolgere: creare un percorso didattico basato sulla città di Bath e su ciò che abbiamo appreso finora in questo corso. Dovremo poi presentare il nostro lavoro durante l’ultimo giorno. Siamo libere di gironzolare per la città e prendere ispirazione dalle sue bellezze storiche che l’hanno resa patrimonio dell’Unesco. Ci serviranno per il nostro progetto. Fuori c’è un sole bellissimo che rende gli edifici ambrati. Nel parco gli anziani giocano alla petanque, ci fermiamo a guardare e chiacchierare con loro. Abbiamo mille idee, il brainstorming inizia già mentre camminiamo. Ci ritroviamo a passare più di un’ora nella hall dell’hotel a parlare del nostro progetto, siamo dei vulcani di idee. Chi è più pratico, chi fa collegamenti con quanto visto e sentito, chi cerca di unire i diversi ordini di scuola. Ovviamente diamo spazio all’inclusione e ai bisogni speciali. È tardi! Andiamo a pranzo, ordiniamo qualcosa di veloce. Fortunatamente i nostri piatti arrivano subito… peccato che forse la stessa fretta nell’ordinare ha fatto sì che ci arrivasse un toast con JAM invece che con HAM! Ridiamo, ridiamo tantissimo e ci rendiamo conto di come anche un piccolo errore linguistico possa creare delle incomprensioni non da poco.

Torniamo “a scuola”, ci aspetta un preside che ci parlerà della leadership e della gestione di una scuola in Inghilterra. Ci colpisce il fatto che gli insegnanti promuovano le attività svolte sul sito web e su Twitter almeno una volta la settimana. Trattiamo l’argomento degli esami Key Stage e notiamo molte somiglianze con le nostre prove Invalsi: ci chiediamo se forse questo sistema di valutazione introdotto da qualche anno in Italia non abbia preso ispirazione dagli inglesi. Si parla del concetto di Academy. Prima le scuole dipendevano dai finanziamenti e dalle direttive del Council. Col tempo, però, i fondi sono venuti a mancare e si sono create delle associazioni di scuole che si supportano a vicenda, anche economicamente. Inoltre, il preside ci spiega quanto sia difficile prendere decisioni, in quanto è sempre necessario prendere in considerazione il contesto. Si parla, poi, di comportamento e di regolamento. Anche qui il focus è sulla positività. La gentilezza è fondamentale, anche nelle regole per gli adulti (tenere il contatto visivo, aprire la porta, dire grazie, ecc…). Non si tratta solo di punizioni, ma anche di premi, a partire da piccoli adesivi.

Si parla infine di Emotion Coaching: le emozioni dei ragazzi devono essere riconosciute. Se ad esempio uno studente picchia un compagno, invece che dire “Non devi farlo” si dice “Capisco la tua rabbia, è un’emozione legittima, la riconosco. Al tuo posto probabilmente avrei sentito la stessa emozione, PERÒ non possiamo andare in giro a picchiare chi ci pare”. Come possiamo risolvere questo problema della rabbia la prossima volta? Ogni emozione è legittima, va bene anche sentirsi tristi a volte. Si tratta di un progetto proposto da un docente che si è interessato al tema e ha chiesto al dirigente di approfondirlo. Ne è nata una piccola rivoluzione, sia all’interno della scuola che con gli altri istituti all’interno dell’accademia. Tutto gli insegnanti hanno appreso questa tecnica e cercato di cambiare il modo di approcciarsi ai problemi e alle emozioni degli studenti. Il miglioramento del benessere globale di chi la scuola la vive è stato tangibile. Siamo colpiti da questo racconto, ci piacerebbe molto applicare questa tecnica con i nostri ragazzi e sicuramente approfondiremo il tema.

Usciamo, è stato un pomeriggio molto interessante. È presto, c’è ancora il sole, che si fa? Andiamo alle terme romane! Siamo ancora dei vulcani attivi riguardo alle idee per il nostro progetto. Sicuramente riguarderà le terme, ma come possiamo parlarne se non le abbiamo viste? Ci raggiunge la collega croata che si unisce al gruppo. Iniziamo la visita, da subito tenendo un occhio aperto sugli elementi didattici. Sono perfino presenti degli audio per bambini, con la spiegazione fatta da un personaggio dell’antica Roma. Ogni cosa che vediamo, ogni passo che facciamo, ogni scambio di conversazione è sempre diretto al target: i nostri ragazzi. Qui si vede come le acque venivano pompate nelle stanze, ecco una cartina della città romana. I resti dei palazzi, i vestiti. Fun facts: le maledizioni, le monete, le pettinature (le influencer dell’antica Roma), la siesta, le terme come momento di ritrovo. Ci colpisce, poi, trovare plastici per non vedenti: please, touch! La testa di Minerva per capire com’è fatta la statua nella teca. E poi ci divertiamo. Lanciamo qualche moneta nella fontana sperando che ci porti fortuna, beviamo l’acqua (non proprio profumata) delle terme, c’è scritto che fa bene. E ridiamo, ridiamo, ridiamo. Trascorriamo un pomeriggio davvero piacevole insieme.

Nello shop delle terme troviamo un libro che ci sembra perfetto per il nostro progetto. Corriamo in hotel e cerchiamo di dare ordine a tutte queste idee. I nostri studenti dovranno viaggiare nel tempo e nello spazio, grandi e piccoli. I ragazzi della secondaria guideranno i bambini della primaria in questa avventura attraverso canzoni, drammatizzazioni, frasi in inglese, giochi. Quali personaggi? Il principe barbaro Bladud, i romani, Beau Nash, la regina Vittoria. Una caccia al tesoro in tutta Bath, per scoprirla, imparare la sua storia ma soprattutto divertirsi.

Ognuna di noi ha la propria esperienza, il proprio bagaglio culturale, la propria creatività. Ormai abbiamo imparato un po’ a conoscerci, passiamo tanto tempo insieme. Oggi, poi, è stato particolarmente esplosivo con tutte le idee che ci sono venute, ci siamo perfino inventate le parole di una canzone! È bellissimo vedere come ognuna pensi ai propri ragazzi, al proprio modo di fare lezione, di stare in classe, al proprio grado di istruzione, alla propria specialità. Siamo davvero un gruppo ben assortito e ci ispiriamo a vicenda, il brainstorming è potente. Quanta ricchezza, quanto potenziale. Abbiamo deciso che questa unità di apprendimento vogliamo realizzarla anche a casa. Sarebbe bellissimo lavorare tra le nostre scuole e far sì realmente che i grandi insegnino ai più piccoli. Se si possono oltrepassare i confini nazionali, perché non farlo anche a livello locale? Speriamo che questa esperienza di Erasmus ci avvicini, anche geograficamente, l’una all’altra. D’altronde serve anche a questo, no?

Lavoriamo fino a tardi, è stata una giornata estremamente intensa. Siamo stanche, abbiamo fame. Fortunatamente il nostro hotel si trova proprio in centro. Facciamo giusto 200 metri ed entriamo in un locale tipico. Ordiniamo pie di carne e garlic bread, ci concediamo una degustazione di sidri. Con nostra sorpresa, anche le colleghe croate hanno scelto questo posto. Ci spostiamo in un tavolo più grande, condividiamo la serata tra chiacchiere e una bella cena tipica. Abbiamo dei nuovi amici.

3.10 – BATH ACADEMY – WELTON PRIMARY SCHOOL

Oggi siamo divise in due gruppi. Marika ed Emanuela della secondaria visiteranno la Bath Academy, Anna e Marcella della primaria invece andranno a Radstock alla Welton Primary School, il cui dirigente ci ha fatto la presentazione ieri. È la prima volta che veniamo divise ed è strano non trascorrere la giornata tutte insieme. Anna e Marcella dovranno anche affrontare la sfida linguistica, ma è sicuramente un ottimo banco di prova e siamo sicure che ce la faranno.

BATH ACADEMY

La Bath Academy è una scuola privata alla quale si rivolgono studenti che hanno avuto difficoltà nel sistema mainstream ma anche stranieri che si trasferiscono in Inghilterra oppure ancora adulti che vogliono riprendere gli studi. Ci sono anche gruppi di alunni stranieri (principalmente italiani) che vengono qui per una settimana o due a seguire delle lezioni per migliorare il proprio inglese. I classici viaggi studio o stage all’estero. Prima di iniziare il giro della scuola, assistiamo ad una presentazione. Torna il concetto di pastoral support ovvero di tutoring per ogni singolo studente. Inoltre, il numero di studenti in ogni classe è estremamente ridotto e questo permette un approccio più personalizzato. Viene, poi, dato molto spazio all’insegnamento dell’inglese come seconda lingua proprio perché molti degli studenti sono stranieri. Il vicepreside fa presente che alla Bath Academy la formazione continua dei docenti è estremamente importante per imparare nuove metodologie didattiche da applicare in classe. Nel pomeriggio incontreremo il preside. Fun fact: è stato un monaco di clausura in Toscana per molti anni. È quindi una persona molto calma e premurosa, si interessa personalmente di ogni singolo studente. Il vicepreside ci fa notare che ciò è molto importante perché il feeling del dirigente pervade tutta la struttura della scuola e questa calma si respira.

Nella seconda parte della mattinata assistiamo a diverse lezioni di lingua inglese. Purtroppo non troviamo riscontro delle nuove metodologie didattiche, in quanto nella maggior parte dei casi vengono svolti degli esercizi sul libro di testo. Si tratta comunque di esercizi di listening e speaking e questo rende la lezione molto partecipata, anche grazie al numero esiguo di studenti. L’altro elemento che salta all’occhio è il fatto che viene insegnata la cultura oltre alla lingua, proprio perché molti degli studenti sono stranieri. Gli inglesi sono un popolo particolarmente assertivo, odiano dire di no alle persone. Vengono quindi lette alcune frasi come ad esempio “Well, actually, I’d rather you didn’t” che successivamente sono inserite in contesto e ripetute in un role play. Ci spostiamo poi in un’altra classe in cui troviamo un gruppo di ragazzi italiani. Sono qui in viaggio studio, sono di Roma. Scambiamo con loro qualche battuta, accenniamo ad aiutarli nello svolgere gli esercizi. Questa lezione è più interattiva e anche in questo caso si parla di cultura, in particolare di cibo.

Ora di pranzo. C’è chi insiste per mangiare noodles, essendo grande amante della cucina asiatica. In maniera molto paziente viene accontentata. Si chiacchiera, il pasto è rinfrancante dato il freddo della giornata. Giusto il tempo di sentirsi nel gruppo Whatsapp per confrontarsi e di nuovo alla Bath Academy per gli incontri pomeridiani. Scopriamo che anche il sistema scolastico inglese è in continua evoluzione, che i criteri di ammissione alle università stanno cambiando per permettere a più persone di accedervi. Questo, però, pone dei grossi problemi relativi al livello di istruzione. Inoltre, le università più facoltose diventano sempre più chiuse e i prezzi sempre più alti. Ciò scoraggia gli studenti meno abbienti e in questo modo la mobilità sociale diventa sempre più difficile.

Incontriamo, poi, Penny, la coordinatrice BES e DSA (SEND, Special Educational Needs and Disabilities). È lei che si occupa di tutto: in particolare, crea un profilo di apprendimento per ogni studente con bisogni speciali. In questo documento si specificano le necessità dell’alunno, ma anche e soprattutto le sue forze, gli elementi dai quali gli insegnanti possono partire per agevolare il suo apprendimento. Vengono fornite ai docenti anche delle strategie da utilizzare in classe. Ci stupisce apprendere che gli insegnanti non hanno alcun tipo di preparazione specifica riguardo ai bisogni speciali, ma è proprio Penny a dare loro le informazioni a riguardo. Alcuni dei bisogni più diffusi che si presentano, inoltre, non riguardano l’apprendimento ma purtroppo la salute mentale. Gli studenti vengono supportati anche in caso di fobia della scuola, di ansia sociale, di dispersione scolastica, di solitudine, sempre più accentuata dall’utilizzo dei social media.

La giornata finisce prima del previsto e abbiamo un po' di tempo a disposizione per riposare un pochino, aspettando il ritorno di Anna e Marcella. Ci si rilassa, si lavora. Chi decide di andare a visitare il museo di Jane Austen, chi ha necessità di fare shopping. Finalmente le nostre compagne arrivano.

WELTON PRIMARY SCHOOL

Andrew ci aspetta alle 8 davanti alla stazione ferroviaria accanto allo spiazzo dei taxi. Sarà lui ad accompagnarci in macchina fino alla scuola primaria. Noi siamo agitate, emozionate e molto curiose. Durante il tragitto a piedi fino alla stazione non abbiamo fatto altro che immaginare questa nuova scuola partendo dalle informazioni che ieri John Snell, il suo Preside, ci ha spiegato.

Andrew ci accoglie con un sorriso e presto iniziamo a chiacchierare mentre la campagna scorre intorno a noi. Ci racconta della ferrovia che un tempo collegava i piccoli centri abitati, del suo villaggio di origine, dell’economia della zona e del traffico sempre presente su queste strade. Finiamo perfino a parlare di politica con tutte le sue preoccupazioni per la Brexit e per ciò che il primo Ministro sta facendo.

Poi quando oramai stiamo per arrivare, ci ricorda di osservare molto bene ciò che troveremo in questa nuova scuola e di provare a confrontarlo con ciò che abbiamo visto alla Fosse Way school.

Arriviamo davanti ad una piccola porta blu. Prendiamo coraggio e suoniamo il campanello. Nella nostra mente intanto passano molte domande: cosa vedremo oltre questa porta? Come sarà organizzata questa scuola? Ci saranno degli aspetti simili alle nostre scuole?

La porta si apre e subito capiamo che comunque sia organizzata questa scuola si distingue per la cordialità e l’ospitalità. Tutti ci rivolgono parole gentili e sorrisi incoraggianti. Arriva anche John, il preside della scuola, che con un sorriso e una stretta di mano ci chiede di aspettarlo per qualche minuto all’interno del suo ufficio. I bambini stanno entrando a scuola e lui vuole essere lì con loro per salutarli e augurare loro buongiorno.

Quando John torna, si informa sulle nostre scuole. È curioso di sapere dove si trovano, come sono, quanti bambini ci sono e quali risorse offrano. Si informa anche su dove i nostri alunni possano giocare perché, ci ricorda, per lui il gioco è un elemento fondamentale della vita di ogni bambino. Presentiamo allora le nostre scuole usando anche google maps perché lui vuole vedere, conoscere. Durante la nostra chiacchierata arriva un alunno che timidamente si affaccia sulla porta dell’ufficio. John lo vede, lo saluta per nome e lo inviata ad entrare. Ha portato due attestati per attività svolte al di fuori della scuola e orgoglioso appoggia tutto sulla scrivania. John legge a voce alta, lo guarda, gli fa i complimenti per i risultati raggiunti e gli consegna un target. Il bambino torna alla sua giornata scolastica con gli occhi luminosi e con passo leggero. È contento che tutti i suoi sforzi siano stati riconosciuti.

Riprendiamo a chiacchierare. Apprezziamo molto l’uso dei target per sottolineare gli aspetti positivi e i piccoli successi. Scherziamo sui nostri piccoli progressi linguistici e sulla possibilità di avere anche noi il nostro piccolo target.

È arrivato il momento di vistare la scuola. Così John ci accompagna per quello che a noi, almeno all’inizio, sembra un dedalo di stanze. Entriamo in ciascun ambiente della scuola e per ognuno ci informa sul suo uso e sull’età degli alunni presenti. Le stanze scorrono una dopo l’altra ciascuna con i suoi visi di bambini sempre sorridenti che mostrano stupore quando ci vedono e vengono informati sulla nostra nazionalità. Qualcuno accenna un saluto per poi tornare al suo lavoro scolastico, qualcuno invece ci osserva in silenzio con gli occhi sgranati, altri sono impegnati a concludere il proprio lavoro.

Arriviamo nella classe dei più grandi: gli Eagles. Qui a due alunni, Tom e Garesmitha, viene chiesto di accompagnarci in mensa. Si presentano timidamente e con un sorriso ci dicono che ci vedremo presto. Li lasciamo al loro lavoro scolastico.

In ogni classe in cui entriamo ci stupisce la ricchezza di colori e di materiali presenti. Vorremmo fermarci in ogni stanza, guardare i cartelloni alle pareti, i materiali a disposizione dei bambini, ma John non ha molto tempo. Ha infatti un impegno a Londra così ci rassicura dicendoci che avremo tutto il tempo di guardare nel pomeriggio. Prima di lasciarci per dedicarsi ad altri impegni, ci accompagna a visitare gli spazi esterni. È orgoglioso di avere un giardino molto grande nel quale i bambini possano giocare in modi diversi: con la sabbia, con il fango, liberamente, con i giochi installati nel prato, sugli alberi, con gli arredi dismessi. Ci colpisce ancora una volta la varietà presente. Ognuno è libero di organizzarsi come meglio crede e anche, perché no, di sporcarsi. Ci viene subito spontaneo il confronto con la realtà italiana e condividiamo le nostre osservazioni con John. Si stupisce quando capisce che in Italia molti dei suoi giochi non vengono proposti e del rapporto a volte complicato con le famiglie degli alunni.

Mentre parliamo arriviamo nella mensa dove condivideremo il pranzo con i bambini della scuola. John scherza sulla qualità del cibo delle mense scolastiche e sul fatto che mangeremo gli spaghetti alla bolognese che, molto probabilmente, non avranno nulla degli spaghetti alla bolognese. Noi ridiamo e lo rassicuriamo sulla qualità delle mense scolastiche italiane. Siamo contente e grate di questa possibilità che ancora una volta ci fa sentire parte della scuola che stiamo visitando.

Il giro della scuola è quasi finito. John ci informa della presenza di una piccola area della scuola dedicata ad ospitare i bambini di età inferiore ai 4 anni. Non sono molti ma vengono offerte loro diverse opportunità. Ci scambiamo brevi commenti sulle analogie con la scuola dell’Infanzia italiana tornando all’interno dell’edificio.

Dopo aver percorso una breve ma ripida scala dai colori tenui, arriviamo all’aula degli insegnanti. John ci invita ad usarla liberamente e ogni qualvolta ne sentiamo l’esigenza. È attrezzata con il tutto necessario per una pausa caffè e pranzo. È qui che gli insegnanti si rilassano chiacchierando tra di loro durante la pausa pranzo degli alunni affidati alle cure e alla sorveglianza degli assistenti alla mensa. Notiamo un piccolo stanzino pieno di materiale scolastico. John ci spiega che la scuola provvede a fornire la maggior parte del materiale scolastico a ciascuno studente.

È tardi per il Dirigente che dovrà prendere il treno per la Capitale. Ritorniamo nel suo ufficio. Trova comunque il tempo di scriverci l’organizzazione oraria e di abbozzare una mappa della scuola. Si scusa, scherza con noi e i suoi collaboratori sulle sue capacità “cartografiche”. Ci ringrazia per le informazioni che gli abbiamo dato durante la visita insieme a lui sul sistema scolastico italiano e ci saluta sperando di rivederci prima che la nostra giornata alla Welton School finisca.

Noi ci sentiamo cariche di informazioni così decidiamo di andare in aula insegnanti per una pausa caffè. Notiamo che accanto allo stanzino del materiale per gli studenti, ce n’è un altro. Qui le pareti sono stipate di scatole trasparenti etichettate e di libri. Capiamo subito. Ci troviamo di fronte ad un deposito di materiale didattico pronto all’uso a disposizione di tutti i docenti. Ci fermiamo e riflettiamo su quanto nelle nostre scuole sia diffusa questa pratica.

Usciamo dallo stanzino e notiamo una lavagna bianca sulla quale sono scritti gli impegni della settimana per i docenti. Guardiamo più attentamente e ci accorgiamo di una scritta di John accanto ad un foglio appeso. È la stampa di una mail che ha ricevuto dall’agenzia OFSTED dove riceve i complimenti per il clima di collaborazione presente nella scuola. Accanto John ha scritto: “Well done Team!”. Ancora una volta ci rendiamo conto quanto ogni successo sia valorizzato e condiviso all’interno della scuola.

È il tempo dell’intervallo. La scuola passa dal silenzio ad un vivace chiacchiericcio e vociare di bambini. La maggior parte di essi si riversa negli spazi esterni. Alcuni corrono, altri giocano sui giochi installati, altri ancora si mettono gli stivali per andare a giocare nel boschetto. Alcune bambine compagne di Garesmitha, si avvicinano a noi con sguardo incuriosito e iniziano a coinvolgerci nei loro discorsi. Emilie in particolare ci dice orgogliosa di conoscere l’Italia e di esserci stata quest’estate in vacanza. Ci divertiamo insieme e presto ci ritroviamo ad insegnare loro alcune parole in italiano che vengono pronunciate con un forte accento inglese.

Assistiamo alle lezioni dell’ultima parte della giornata ma il suono della campanella interrompe le nostre osservazioni. È tempo della mensa. Non facciamo in tempo a recarci nella classe degli Eagles che incontriamo Garesmitha e Tom che sorridendo ci dicono di seguirli in mensa. Arriviamo. Lo spazio prima vuoto è ora gremito di bambini seduti intorno ai tavoli secondo la propria età. Garesmitha e Tom ci fanno sedere nel loro tavolo dove rincontriamo le bambine di stamattina che ci salutano con entusiasmo. Mangiamo tutti insieme: loro il pranzo portato da casa, noi il cibo della mensa. I bambini intorno a noi chiacchierano della loro giornata mentre consumano il loro pranzo. Ognuno sceglie cosa mangiare tra ciò che ha a disposizione. Poi, una volta finito di pranzare, ripongono il loro cestino ed escono a giocare in giardino. Abbiamo finito di mangiare anche noi e i nostri accompagnatori decidono di mostrarci a modo loro la scuola. Ci portano in giardino dove ci spiegano cosa possono fare nelle diverse parti. Sono contenti ed orgogliosi della loro scuola. Ci tengono a mostrarci lo stagno della scuola chiuso da due cancelletti nello spazio del boschetto. Garesmitha corre quindi dalla maestra per recuperare la chiave mentre noi parliamo con Tom. Provano ad aprire il lucchetto ma la chiave non vuole saperne di girare. Li rassicuriamo abbiamo capito che il loro stagno è bellissimo. Si vede già attraverso la recinzione e, scherziamo, non vorremmo spaventare troppo le rane. Sorridendo torniamo all’interno della scuola, dove salutando le nostre due guide, incontriamo gli altri docenti. Saliamo in aula insegnati per condividere un caffè e qualche chiacchiera.

Il tempo passa veloce ed è già ora delle lezioni del pomeriggio. L’aula insegnanti si svuota progressivamente e ognuno torna alla propria classe e ai propri alunni. Scendiamo anche noi e giriamo per le varie classi osservando le attività che i bambini svolgono. Ci colpisce la durata di ciascuna attività e il modo in cui lo spazio viene utilizzato. Troviamo il modo di scambiarci ancora qualche impressione con i colleghi inglesi, su come gestiscono i compiti da assegnare per casa, sul rapporto con le famiglie, sulle attività svolte.

Girando per le classi notiamo alcuni bambini con bisogni educativi speciali e osserviamo quali accorgimenti siano stati utilizzati. Ci rendiamo conto di come questo ambiente assomigli molto per alcuni aspetti alla nostra realtà scolastica.

La giornata di scuola è finita. Per i bambini è tempo di andare a casa e anche per noi è tempo di tornare in albergo. Ringraziamo tutto il personale della scuola che ci ha accolto e che ci ha permesso di visitare la scuola. Abbiamo ancora qualche minuto di tempo per pensare a tutto quello che abbiamo visto durante la nostra giornata prima che Andrew arrivi al parcheggio.

La pioggia cade fitta ma lenta sul paesaggio e sulla macchina e noi ci ritroviamo a raccontare con entusiasmo ad Andrew tutto ciò che abbiamo visto e imparato oggi. Confrontiamo le visite delle due scuole tra loro. Il viaggio passa veloce e ci ritroviamo così nuovamente al punto di partenza di stamattina: la stazione.

Salutiamo Andrew e ci incamminiamo verso l’albergo con ancora negli occhi le immagini dei bambini e dei colleghi incontrati oggi, gli spazi visitati e i materiali. Ci chiediamo se le nostre compagne di viaggio abbiano avuto una giornata così ricca come la nostra e non vediamo l’ora di incontrarle per di scambiarci le nostre esperienze.

Ci accordiamo per cena e decidiamo di provare The Raven, un pub tipico consigliatoci da Andrew. L’atmosfera che si respira in questo locale è davvero autentica: dalla tappezzeria, alla moquette, all’odore caratteristico, alla quantità di birre alla spina. Noi siamo stanche ma anche entusiaste nel raccontarci le nostre giornate. Prendiamo una zuppa, stupendoci per l’ennesima volta di quanto le temperature siano sempre eccessive qui in Inghilterra: quando il cibo è caldo è davvero bollente, quando è freddo è praticamente ghiacciato. Non tutte se la sentono di bere birra o sidro e con grande coraggio si dirigono al bancone a chiedere una bottiglia d’acqua. La reazione del barman passa dall’interdetto al raccapricciato, quasi offeso. Ridiamo anche di questo, abbiamo imparato che nei pub è quasi un oltraggio non bere birra.

4.10 – LAST DAY

Anche l’ultimo giorno è arrivato. Sembra pazzesco. La mattinata sarà incentrata sul feedback delle visite alle scuole e sulla presentazione dei nostri progetti. Ci verrà poi dato l’attestato e ci saluteremo.

La discussione sulla Bath Academy si concentra su quanto già abbiamo notato ieri: classi piccole e personalizzazione dei percorsi, il focus sulle forze degli studenti con bisogni speciali e non solo sulle loro necessità, i problemi linguistici con studenti non madrelingua, il feeling del dirigente che permea tutta la struttura della scuola. La discussione è animata, abbiamo imparato a conoscerci anche con i colleghi cechi e croati e lo scambio è stimolante. Si parla poi della Welton Primary School che solo Anna e Marcella hanno avuto la possibilità di visitare. Qui vengono ripresi dei concetti che erano emersi dopo la visita alla Fosse Way School: la politica contro il bullismo, il rinforzo positivo cercando di valorizzare anche ciò che di positivo gli studenti fanno, il coaching emotivo di cui ci aveva parlato il preside della scuola, la differenziazione dei compiti che ha successo grazie anche all’elevato numero di docenti presenti in ogni classe. Il confronto ci arricchisce. Pausa caffè. Ci prepariamo per le nostre presentazioni. Andrew rimane stupito dall’orario in cui gli abbiamo mandato l’email con la bozza finale del nostro progetto (molto tardi la notte scorsa). Ha dato un’occhiata al PowerPoint, non vede l’ora della nostra esposizione.

Inizia il gruppo dei nostri amici croati e cechi. Essendo loro maggiormente interessati al tema della leadership, avevano un compito diverso dal nostro. Fingendosi presidi di una scuola inglese, dovevano migliorarne alcuni aspetti in modo tale da ricevere “Ottimo” dall’ispezione Ofsted, l’organo che si occupa di valutare le scuole inglesi. Compito decisamente più tecnico del nostro. Prima di iniziare a mostrare lo svolgimento del progetto, però, a turno fanno la presentazione delle loro scuole. Jelena e Nina, le colleghe croate, lavorano nella stessa scuola secondaria, un istituto tecnico marittimo a Spalato. Le foto della città sono bellissime, è sul mare. La scuola possiede anche una nave e dei simulatori coi quali gli studenti possono fare pratica. La scuola di Lenka, vicepreside ceca, è un istituto di design e fotografia. Ci mostra alcuni dei lavori dei suoi studenti e le attrezzature che usano. Jiri, infine, è un preside, anche lui proveniente dalla Repubblica Ceca, non lontano da Praga. Il suo istituto comprende studenti dai 5 ai 18 anni e ci colpisce in particolar modo il fatto che sia intitolato a Leonardo Da Vinci.

Nel frattempo, però, noi ci agitiamo. Abbiamo concentrato tutte le nostre energie sulla creazione del percorso didattico e sullo svolgimento del compito, non siamo pronte a presentare le nostre scuole. Marika è l’unica che ha il computer a portata di mano, così, mentre gli altri spiegano, inizia un lavoro frettoloso (e il più silenzioso possibile) per aggiungere delle slide che presentino i nostri istituti. Non è facile, veniamo da realtà diverse, ma partendo dal PowerPoint della sua scuola, la collega di Lonate cerca di aggiungere il maggior numero di progetti che siano condivisibili da tutte. Due foto di presentazione del territorio e incrociamo le dita, l’altro gruppo ha finito. Tocca a noi.

Iniziamo con la caccia al tesoro, è un successone. Guidiamo i nostri spettatori attraverso la città, attraverso le attività ludiche e inclusive che spieghiamo con lo stesso entusiasmo con il quale le abbiamo create. Il nostro PowerPoint è pieno di immagini, coinvolge tutti. E ovviamente ci divertiamo un mondo mentre esponiamo. Cantiamo le canzoni dei Beatles a cui abbiamo cambiato le parole, simuliamo una teiera (Marcella) che versa il tè nelle tazzine (Anna, Emanuela e Marika). Gli altri ridono, cantano con noi, hanno il sorriso stampato sulle labbra durante tutta l’esposizione. Riceviamo i complimenti da parte di tutti, siamo al settimo cielo. Speriamo di riuscire a mettere in atto davvero il progetto, di riunire le nostre scuole sotto il segno di questo Erasmus. Parliamo del nostro territorio, ne siamo fiere. Esponiamo poi i progetti che condividiamo maggiormente, come l’internazionalizzazione con progetti Erasmus ma anche Clil e l’insegnamento di diverse lingue, l’integrazione di studenti di nazionalità diversa (di cui ci è stato chiesto in precedenza durante la mattinata), il teatro come momento sociale (non solo per gli studenti ma anche per i docenti stessi), l’attenzione all’inclusione degli alunni con bisogni speciali e la differenza con il sistema anglosassone, vari progetti aggiuntivi legati all’educazione ambientale ma anche alla gentilezza. Ce l’abbiamo fatta ed è andata benissimo.

È arrivato il momento della consegna dei certificati. Ci emozioniamo un po’, ci scattiamo un sacco di foto a vicenda mentre a turno ognuno di noi va a stringere la mano ad Andrew e Louise e a ritirare l’attestato. Scattiamo la foto di rito tutti insieme…ne scattiamo un’altra un po’ più informale, facciamo un selfie. E così ci salutiamo. Che tristezza. “Venite a trovarci, manteniamo i contatti”. Speriamo davvero di poter incontrare nuovamente i nostri amici in futuro.

Si torna al volo in hotel, Anna, Marcella e Marika hanno prenotato il biglietto per andare a Stonehenge, Emanuela invece trascorrerà il pomeriggio in maniera più rilassante tra le vie della città alla volta della biblioteca. Il pranzo è come sempre occasione di scambio: parliamo delle nostre impressioni sulla mattinata, commentiamo della tristezza dei saluti, ci scambiamo idee di attività didattiche e confrontiamo i progetti in atto nelle nostre scuole. Ancora una volta, capiamo che l’Erasmus è uno scambio internazionale ma anche nazionale.

Meno male che abbiamo deciso di mangiare in un bar proprio di fronte alla fermata dell’autobus per Stonehenge, siamo quasi in ritardo. Proviamo a fare un selfie davanti al pullmino ma non ci riusciamo. Dopo vari tentativi (e risate), scende dall’autobus la collega croata che ci scatta la foto. Si parte. Mentre sfreccia su e giù per i colli, l’autista ci spiega cosa vediamo fuori dal finestrino. Attraversiamo le campagne nei dintorni di Bath, il paesaggio è stupendo. Le pecore hanno “la faccia” nera e sono completamente immobili. Forse stanno facendo i casting per il presepe. Ci siamo posizionate in fondo, come gli studenti che sanno che faranno rumore durante il viaggio e così è.

Arrivati. Purtroppo pioviggina. Ci vengono date le indicazioni per l’audioguida e per gli autobus che ci porteranno fino al sito storico. Mentre ci avviciniamo, la pioggia aumenta. Iniziamo il percorso sentendoci quasi in un posto magico, spirituale. La pioggia aumenta ancora, non riusciamo a finire di ascoltare gli audio, siamo troppo impegnate a evitare che l’ombrello si ribalti per il vento mentre i nostri pantaloni sono ormai bagnati. Cerchiamo di fare qualche foto e di proteggerci il meglio che possiamo per poter rimanere ancora un po’ ad ammirare l’imponenza e la sacralità di questo posto. Purtroppo il tempo peggiora ulteriormente e decidiamo di dirigerci al bar, girandoci ancora una volta per dare un ultimo sguardo alle pietre che si stagliano contro il cielo grigio.

Un tè caldo è quello che ci vuole per rinfrancarci. Marcella, che è riuscita diligentemente a finire di ascoltare l’audioguida, spiega pazientemente la storia e il significato di questo sito. Siamo davvero meravigliate. Ci raggiungono le colleghe croate con la stessa necessità, trovare un po’ di conforto al caldo. Trascorriamo un’oretta piacevole con le nostre amiche, parliamo della settimana, di quello che ci aspetta a casa, della poca voglia che abbiamo di tornare alle preoccupazioni della vita reale. È stata proprio una bella esperienza, immersiva e intensa. Torniamo sull’autobus, scherziamo ancora un po’ concedendoci di tornare studentesse per un’oretta tra canti e balli accennati.

Ci diamo appuntamento per una cena veloce nella hall dell’hotel, siamo troppo stanche per uscire. Qui incontriamo nuovamente Nina. La conversazione diventa più personale, non si parla più di scuola o del corso ma di noi, 5 donne intorno a un tavolo che si fanno confidenze. È un momento molto intimo, molto intenso. Nina parla italiano e spesso viene in Italia. Ci salutiamo con la promessa di ritrovarci davvero. Condividiamo una pizza neanche tanto male e si fila a letto, domani si parte.

5.10 – IL RITORNO

È passata già una settimana e ci sembra quasi impossibile che questa avventura stia terminando.

Ci troviamo alle 08.30 al bancone per fare il check-out in albergo. Aspettiamo ancora un po’ prima di avviarci a passo sostenuto verso la stazione. Non vorremmo andare ma il treno non può aspettare. Così, trascinando le nostre valigie cariche di regali, di ricordi e di risate ci avviamo per il centro di Bath. C’è ancora il tempo per fermarci ad imbucare qualche cartolina e per fare qualche foto alla città che si sta vestendo con le decorazioni di Halloween. Arriviamo alla stazione dove è iniziato il nostro viaggio e con una certa malinconia ci ricordiamo di quando, al nostro arrivo, sei giorni prima, ci siamo fotografate sotto al cartello con il nome della stazione. Ci sorprendiamo di come il tempo sia passato tanto velocemente eppure tanto lentamente. Sono successe molte cose in questi sei giorni! Abbiamo imparato a conoscerci tra di noi e a lavorare insieme, abbiamo conosciuto molte persone e abbiamo avuto l’opportunità di confrontare il nostro sistema scolastico con quello inglese.

Il treno arriva e ci costringe a concentrarci nuovamente sul presente, dobbiamo trovare il posto nella carrozza prenotata. Una volta sedute, però, ciascuna di noi rivive i ricordi e le esperienze. Sfrecciano veloci come il meraviglioso paesaggio che ci circonda.

È ora di cambiare treno. Ci aiutiamo a vicenda con i bagagli troppo pensanti da spostare. La carrozza è vuota e abbiamo quindi tutta la calma necessaria per sistemare le nostre valigie. Scherziamo ancora raccontandoci anche simpatici aneddoti personali sulle vacanze estive trascorse, proviamo a lavorare un po’ insieme sulle ultime pagine del diario di bordo. Il tempo però non è clemente con noi oggi e sembra passare troppo in fretta. Ci riesce anche difficile concentrarci e presto ci rendiamo conto di essere arrivate all’aeroporto.

Qui decidiamo di imbarcare subito il nostro bagaglio. C’è l’imbarco self-service. Così chi è più esperto di altri si premura di aiutare chi invece non ha mai avuto l’occasione di provare a farlo. Ci rendiamo conto di essere oramai un gruppo. Ognuno mette a disposizione ciò che sa fare provando ad aiutare gli altri se in difficoltà. Quante volte durante questi giorni ci siamo sostenute a vicenda, ognuna a suo modo. Ed improvvisamente ci ritroviamo a lamentarci di persone dietro di noi che a loro volta si lamentano della nostra goffaggine. Non c’è tempo però per fermarci. Dobbiamo ancora superare i rigidi controlli inglesi. Abbiamo troppi oggetti nei nostri bagagli a mano e ancora una volta ci aiutiamo dividendoci le cose. Ora siamo pronte. Ognuno di noi deposita gli oggetti e attraversa il metal dector per recarsi alla zona imbarchi. Ci siamo. C’è giusto il tempo di fermarci in un ristorante e consumare un ultimo pranzo inglese insieme. Vorremmo che questa avventura non finisse mai, ma la realtà che ci aspetta nelle rispettive scuole e case bussa prepotente. Non possiamo ignorarla ancora troppo a lungo. Ci ripromettiamo di mantenere i contatti e ci ricordiamo della possibilità di lavorare insieme a qualche progetto futuro. Sappiamo che non sarà più lo stesso, ma siamo davvero contente di esserci conosciute e di aver potuto condividere quest’esperienza.

Il volo chiama. È ora di andare. Ci avviamo verso l’imbarco del nostro volo. Si cerca ancora di scherzare ma le voci e le risate diventano un po’ più rare. Ci ritroviamo per uno strano scherzo del destino ad avere ancora una scolaresca come compagni di viaggio. Ci chiediamo cosa stiano facendo i ragazzi che abbiamo incontrato nel viaggio di andata. Il volo è in ritardo. Non ci sono posti liberi per sedersi così ci ritroviamo sedute per terra nell’area partenza del nostro volo. Non perdiamo l’occasione di passare ancora un po’ di tempo a scherzare, cantando canzoni da bambini e provando a giocare. L’atmosfera improvvisamente cambia. Ci sentiamo di nuovo bambine in gita scolastica che ridono spensierate vivendo nel presente.

Qualcuno decide di consegnare un piccolo pensiero alle proprie compagne di viaggio per ringraziarle di tutti i momenti vissuti insieme.

L’aereo è pronto, ci avviamo. Dalla scaletta che conduce all’entrata rivolgiamo un ultimo sguardo al paesaggio che ci circonda e con il pensiero torniamo alla città di Bath. Entriamo e ci sediamo ognuna al proprio posto.

C’è chi si lascia andare alla stanchezza addormentandosi, qualcun altro ne approfitta per scambiare ancora qualche parola, qualcuno ammira il paesaggio incantato che si apre sotto all’aereo. Sembra di sorvolare un mare di candide nuvole illuminate da un sole così caldo e forte che in questi giorni ci è molto mancato. Ancora una volta il tempo tiranno ci costringe a tornare alla realtà e presto il pilota ci informa che manca meno di mezz’ora all’arrivo. Ci scambiamo gli ultimi racconti coinvolgendo anche chi era addormentato. Bisogna sfruttare ogni minuto che rimane di questa esperienza.

Ecco uno scossone che ci segnala di essere atterrate. Gli sportelli dell’aereo vengono aperti ed improvvisamente realizziamo ancora una volta che questo viaggio ha una fine molto vicina. Qualcuno si sofferma sulla scaletta forse a pensare a chi l’aspetterà una volta uscita dall’aeroporto, qualcuna invece è più malinconica di altre e si affretta a raggiungere la navetta nascondendo gli occhi lucidi.

La navetta parte. Raggiungiamo gli ultimi posti di controllo dove i ragazzi si affollano rumorosi cercando i propri documenti. Sono chiassosi ma è bello sentire parlare così tante persone in italiano. Superiamo anche gli ultimi controlli e arriviamo al ritiro bagagli. Scherziamo sulla possibilità che qualche valigia si sia perduta nel viaggio. Per fortuna arrivano tutte e quattro. Ci avviamo all’uscita dove ci aspettano i parenti e le persone care che sono venute a prenderci. Siamo davvero alla fine. Ci salutiamo e ognuna si dirige in una direzione diversa con la consapevolezza e la speranza che queste quattro direzioni possano incontrarsi ancora una volta.


MATERIALI DELLE LEZIONI

Day 2 October 2019 English Education System v3 .pptx
Day 4 School Feedback October Course v3 2019.pptx
Merganser Day 1 SEND in England.pptm
School Leadership Characteristics v3.pptx
Lesson Planning Template ICT SEN and DED Sept 2017.docx
Teachers_standard_information.pdf

WELTON PRIMARY SCHOOL

Behaviour Policy Sept 2018.pdf
Homework Policy Sept 2018(1).pdf
Ofsted Report June 2019.pdf

TASK DEL CORSO

New_ITALIANS_Task 2_Bath_5.10.19.pptx
Final_ITALIANS_Task 2_Bath_5.10.19.pptx

LE NOSTRE ATTIVITA' e RISORSE UTILI

Bath Town Trail October Course updated.docx
Bath Town Trail with answers.docx
Pobble365.esempio.pdf
Risorse presentate (siti, video...).docx