DataChildMap:

la nascita del progetto attraverso le parole della professoressa Juliana Elisa Raffaghelli

Il progetto si racconta...

Se l'avvento iniziale di Internet e delle tecnologie è stato caratterizzato da forte entusiasmo,ben presto hanno cominciato ad avanzare problematicità intrinseche da affrontare. Ricercatrice e  appassionata studiosa delle potenzialità e delle tossicità dei mezzi tecnologici è la professoressa Juliana E. Raffaghelli, coordinatrice del progetto DataChildMap, recentemente intervistata su alcune questioni fondamentali che hanno portato alla nascita del progetto!

Chi è Juliana?

Sono professoressa e ricercatrice presso l'Università di Padova, Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Educazione e Psicologia Applicata (FISSPA). La mia attività accademica si concentra principalmente sulla ricerca educativa. Da diversi anni sono coinvolta in progetti legati allo sviluppo professionale di insegnanti ed educatori nel campo delle tecnologie educative.

Concentrandomi in particolare sul grande potenziale di questi strumenti digitali, nei primi anni 2000 ho osservato come diverse comunità di insegnanti in tutto il mondo fossero in grado di utilizzare le tecnologie per connettersi, partecipare a discussioni e arricchire le loro conoscenze reciproche in contesti globali e interculturali. Come anticipato, tuttavia, l'uso delle tecnologie mi è sembrato complesso, percettivo di un grande potenziale, ma altrettanto di rischi sostanziali: a partire dal 2015, ho iniziato ad esplorare la teoria critica e socio-tecnica legata ai mezzi tecnologici, focalizzandomi sull'invasività e pervasività dei dispositivi, sulle crescenti sfide legate alla gestione delle identità digitali e della privacy, e sul complesso fenomeno della dataficazione.

Cosa intende per "Datificazione"?

La dataficazione si riferisce all'estrazione e all'elaborazione massiccia di dati per profilare gli individui, offrendo loro prodotti personalizzati con l'obiettivo di orientare l'attenzione dell'utente verso ciò che viene presentato e di incoraggiare l'acquisto di prodotti consigliati.

Sebbene possa sembrare una strategia di marketing funzionale e positiva, una volta catturata l'attenzione, vengono attivati processi inconsci che minano l'autonomia dell'individuo. L'utente, infatti, perde gradi di libertà, specialmente in termini di capacità decisionale su ciò che desidera fare e su chi desidera essere all'interno del mezzo tecnologico.

La situazione peggiora considerando il fatto che l'uso delle tecnologie oggi non è più limitato a alcuni momenti della giornata, ma stiamo addirittura parlando del post-digitale: un post-digitale caratterizzato da un vero e proprio "vivere" all'interno del mezzo tecnologico.

Dunque, la domanda fondamentale da porsi è: chi estrae questi "big data"? 

Come afferma la ricercatrice Jose Van Dijck (e come confermato nel campo dell'educazione molti altri grandi ricercatori come Ben Williamson, Carlo Perrotta, il mio amico Pablo Rivera) viviamo in una società "platformizzata" , intendendo una società caratterizzata da tecnologie create da organizzazioni monopolistiche, le cosiddette "G.A.F.A.M" (Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft): ecco i  principali estrattori dei nostri dati. Queste grandi organizzazioni, infatti, raccolgono continuamente dati creando, attraverso sperimentazioni avanzate,  potenziali proposte sempre più sofisticate per il pubblico.

Una delle ultime strategie coinvolge l'intelligenza artificiale generativa: uno sviluppo tecnologico che, attraverso l'estrazione da internet di immagini e testi pubblici e l'elaborazione basata su modelli come il Natural Language Processing (Elaborazione di Linguaggio Naturale) e i Language Models, riesce a proporre risposte percepibili come umane e\o a produrre -generare, appunto!- beni “su misura” come libri, file audio, ecc. 

Si tratta di un contesto in continua e rapidissima evoluzione, in cui si affacciano questioni etiche difficili da affrontare. In primis, aspetti estremamente complessi riguardano privacy e manipolazione, a cui ovviamente neanche i bambini sono esenti.



Qual è la relazione tra bambini e tecnologie?

Il tema del rapporto tra tecnologia e bambini è stato apertamente affrontato fin dai primi anni 2000, un periodo caratterizzato da un intenso entusiasmo riguardo al significativo sviluppo cognitivo che i mezzi tecnologici possono offrire ai più piccoli. È in questo contesto che vengono creati giocattoli intelligenti e applicazioni appositamente progettati per potenziare lo sviluppo motorio, emotivo e cognitivo nei bambini. Un famoso esempio è Baby Einstein, una linea statunitense di prodotti multimediali come video, libri e giocattoli che offre attività interattive per gli infanti.


A partire dal 2010, tuttavia, gli studiosi hanno iniziato a indagare gli utilizzi impropri delle tecnologie, identificando problemi significativi legati a bambini e adolescenti: alta sovraesposizione, ambienti online tossici, cyberbullismo, sexting e dipendenza sono solo alcuni dei temi più comunemente riscontrati. Una soluzione parziale ad alcune di queste difficoltà (in particolare dipendenza e sovraesposizione) è stata proposta dallo psichiatra Serge Tisseron: con la sua regola  "3-6-9-12", evidenzia le fasi di età più adatte per introdurre determinate funzioni dei media digitali ai bambini più piccoli, consentendo loro di sviluppare le loro competenze senza distrazioni.

Sebbene numerose posizioni critiche sconsigliano completamente l’esposizione agli schermi nei primi tre anni di vita del bambino, non sono da ignorare i risultati positivi di sviluppo ottenuti attraverso un utilizzo responsabilmente supervisionato del mezzo digitale.

Secondo l'Associazione Italiana di Pediatria  (cfr. L’uso delle tecnologie digitali nei bambini da 0 a 6 anni - Save The Children - Rete Zero - Sei), il rapporto tra i bambini molto piccoli e la tecnologia rimane estremamente complesso: si sconsiglia una elevata esposizione agli schermi, ma si promuove l'acquisto di giocattoli intelligenti per l'apprendimento motorio, emotivo e cognitivo.

I servizi educativi per la prima infanzia rappresentano sicuramente il luogo migliore  per comprendere l'uso di tali strumenti. Infatti, per garantire una comprensione approfondita dei complessi fenomeni tecnologici e delle esperienze delle famiglie, è essenziale una competenza approfondita da parte degli educatori.


È proprio svelando la complessità di questi contesti che il progetto DataChildMap potrebbe generare in modo creativo opportunità mirate a potenziare le competenze e le identità professionali degli educatori della prima infanzia.


Ci racconti della nascita del progetto: com'è nato DataChildMap?

Il progetto DataChildMap è nato nel 2022 attraverso la collaborazione di un gruppo di lavoro interdisciplinare composto da tre professori del Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata (FISPPA) dell'Università di Padova: la sottoscritta, coordinatrice del progetto; la professoressa Emilia Restiglian, specializzata in pedagogia, e il professor Marco Scarcelli, esperto in sociologia. Durante le nostre discussioni, abbiamo compreso la necessità di approfondire lo studio delle questioni legate alla privacy, allo sharenting e alla datafication nel contesto della prima infanzia in Italia. Abbiamo anche riconosciuto la mancanza di ricerche che pongano gli educatori al centro dell'attenzione...Gli educatori, figure professionali che svolgono e svolgeranno un ruolo fondamentale, anche come intermediari tra Stato e normative!

Il gruppo di lavoro centrale è ora integrato dai preziosi contributi di studentesse di dottorato e di studentesse universitarie.

Attraverso questo gruppo di ricerca, DataChildMap mira ad esplorare come le tecnologie e le relazioni tra dispositivi digitali, bambini, famiglie ed educatori stiano evolvendo costantemente. E, necessariamente, evidenzia la necessaria professionalità educativa per navigare in tali cambiamenti. Infatti, il ruolo degli educatori come professionisti è sempre più impattante dal punto di vista di policy-making:  gli educatori sono in prima linea a fronteggiare problematiche sempre più complesse legate al mondo digitale (si veda a tale proposito il documento di lavoro dell’OCSE). Attraverso proposte di regolazione del comportamento dell’industria dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie in relazione alla prima infanzia, gli educatori possono influenzare profondamente il rapporto persona-tecnologia. 

La rilevanza di uno sviluppo professionale come educatori sociali è già stata attentamente esplorata nel contesto italiano (mi riferisco in particolare al lavoro di  Maria Ranieri e al suo gruppo di lavoro). Tuttavia, dato che le competenze degli educatori dell'infanzia e della prima infanzia (ECEC) costituiscono un settore in evoluzione continua (la mia cara collega Emilia approfondirà sicuramente meglio l’argomento), è necessario rafforzare la formazione iniziale e continua su questi argomenti. 


Ed eccoci qui con DataChildMap!


Essendo cittadini attivi e professionisti, gli educatori potrebbero partecipare a processi di sviluppo che influenzano la formulazione delle politiche e delle normative per controllare gli impatti negativi delle tecnologie, come Internet of Toys o l'industria dell'intelligenza artificiale, in relazione alla prima infanzia. Gli educatori possono anche influenzare significativamente la relazione tra famiglie e tecnologia, contribuendo a far evolvere l'intera società verso scenari tecnologici più equi e bilanciati. Il progetto, incentrato su una questione in continua evoluzione, mira a motivare gli educatori a riflettere in modo critico e a diventare una risorsa professionale fondamentale nella comunità, partecipando attivamente al dibattito socio-politico riguardante il consumo mediatico e il rapporto  persona-tecnologia.


L'obiettivo finale di DataChildMap è generare un miglioramento autentico e un arricchimento della professionalità, dei servizi per la prima infanzia e del dialogo con le famiglie. 

Questo risultato, grazie all'impegno, alla collaborazione e alla passione del nostro gruppo di ricerca, sembra avvicinarsi sempre di più!

                                Intervista a cura di Romina Malghera e Maria Valentini