Talvolta nelle situazioni conflittuali ci si trova di fronte a un bivio: affrontare l’altro cercando di risolvere la questione con giustizia o dimenticare gli eventi accaduti voltando le spalle. La denuncia interviene nel momento in cui la richiesta di risarcimento morale ed economico è particolarmente necessaria.
In certi casi si può intervenire giuridicamente ricorrendo a un processo, per ottenere verità e giustizia, ma in caso di guerra invece? Denunciarne i responsabili è mai giovato a qualcosa?
Esattamente da questo punto di vista emerge la voce di noi giovani e con essa le nostre parole di critica, sia nei confronti del passato sia per ciò che riguarda le vicissitudini attuali.
Nel 1937 la nostra voce è stata sostenuta da qualcun altro: un artista che ha avuto il coraggio di denunciare le atrocità della Guerra civile spagnola con la sua mano e la sua tavolozza monocromatica. Il suo nome è Pablo Picasso e l’opera d’arte in questione è Guernica. Il quadro, presentato all’Esposizione Universale di Parigi del 1937, mostra gli istanti di panico e terrore del bombardamento alla città di Guernica, inflitto dalle forze franchiste sostenute dal regime nazista. Durante i momenti drammatici della Guerra Civile spagnola, il pittore non ha esitato ad accusare la dittatura di Francisco Franco e le violenze contro i cittadini innocenti, sostenendo costantemente e convintamente una posizione politica repubblicana e antifascista. Guardato con scherno e indifferenza dalla Germania hitleriana e dall’Italia di Mussolini, il quadro di Picasso ha sortito i suoi effetti tra le folle consapevolizzando e sconcertando la popolazione europea. Ancora oggi, a distanza di anni, Guernica rimane un manifesto ideologico contro tutte le guerre che lascia ampio spazio alla libera interpretazione.
Il personaggio femminile rappresentato sulla sinistra, mentre volge il suo grido d’aiuto al cielo e stringe il figlio morto tra le braccia, non ricorda per caso una cittadina palestinese che tenta di sopravvivere a un attacco militare a Gaza? Le guerre continuano a ripetersi senza sosta e, sebbene l’arte abbia tentato più volte di essere una voce per tutti quei popoli che da sempre chiedono giustizia e liberazione, rimangono una questione tuttora irrisolta.
Come fece Pablo Picasso, anche oggi moltissimi ragazzi mostrano il loro dissenso verso le guerre: attraverso proteste, forme di ribellione, avvisi sui social e raccolte fondi alcuni cittadini del mondo stanno alzando la voce e denunciando le atrocità delle guerre. Denunce che però non sembrano essere ascoltate: le proteste vengono represse anche con la violenza, le università si rifiutano di interrompere i progetti con gli stati colpevoli dei crimini e la censura a livello mediatico è sempre maggiore. Le voci soffocate di ragazzi e ragazze di tutto il mondo dimostrano come, nonostante le molteplici accuse, i governi preferiscano mantenere un clima di tensione e paura per rivendicare la loro egemonia politica ed economica.
Linda Brogin e Laura Simonato