ATTUALITà

fabio's geochallenge: CLASSIFICA

di Fabio (3C)

Grazie a tutti quelli che hanno partecipato al ROUND 3 della GeoChallenge! Dopo la terza partita la classifica provvisoria vede al primo posto a pari merito continuano a essere i seguenti alunni:

Martina (3C, Secondaria "A.M. Dogliotti")

Giulia (2D, Secondaria "A.M. Dogliotti")

Alessandro (3A, Secondaria "A.M. Dogliotti")

Alberto (3B, Secondaria "A.M. Dogliotti")

Una risposta esatta vale 2 punti; una risposta parziale 1 punto; una risposta errata 0 punti. Per vedere la classifica (provvisoria) completa apri il seguente file: CLASSIFICA DOPO IL ROUND 3

fabio's geochallenge: ROUND 4

di Fabio (3C)

NOI DONNE POSSIAMO VOLARE

di Marica, Martina e Sofia (3C) e classe 3C

L’8 marzo 2021, per la classe 3aC della scuola secondaria Dogliotti, è stata una giornata un po’ speciale. In occasione della Giornata internazionale della donna, Martina, Marica e Sofia sono salite in cattedra e hanno autogestito una lezione di educazione civica. Hanno proposto un argomento interessante e lo hanno esposto alla classe, concludendo la lezione con un confronto collettivo e con un esperimento sociale. L’articolo che successivamente hanno scritto ha visto la luce dopo una prolungata riflessione, per superare i limiti delle ricorrenze ufficiali e intraprendere un percorso condiviso in direzione delle pari opportunità.

Prof.ssa Alessandra Lotto

Come ben sapete, l’8 Marzo è la Giornata internazionale della donna. Su questo argomento siamo tutti egualmente presi in causa, abbiamo il dovere di conoscere la storia, dobbiamo evolvere e portare a compimento un’impresa che le femministe iniziarono ben prima di noi, tenendo a mente che il nostro obiettivo è il raggiungimento delle pari opportunità. A proposito di “conoscere la storia”, sapete perché è proprio l’8 Marzo la festa della donna? La festa della donna, comunemente è associata a un incendio, sviluppatosi nella fabbrica tessile Triangle a New York, che per la precisione si verificò il 25 Marzo 1911. In questa occasione morirono 146 persone, soprattutto operaie immigrate dall’Italia e dall’Europa dell’est, le quali avevano chiesto migliori condizioni di lavoro e salari più equi.

Un altro importante evento storico si verificò qualche anno più tardi, l’8 marzo 1917, all’epoca del Primo conflitto mondiale. In questa giornata in Russia, e precisamente a Pietrogrado (l’attuale San Pietroburgo), numerose tessitrici e le dipendenti del deposito dei tram manifestarono contro il regime dello zar Nicola II. Accanto a queste donne, che chiedevano pane e pace, si unì anche un gruppo di operai. Una settimana dopo questa manifestazione, la monarchia sarebbe crollata e la rivoluzione bolscevica avrebbe annientato i resti del vecchio regime zarista.

Queste sono le due vicende più significative, che ispirarono l’istituzione Giornata internazionale della donna, ma attualmente quali sono le condizioni di vita delle donne nel mondo? Purtroppo ancora oggi in molti casi le pari opportunità ancora non ci sono, quindi dobbiamo mettere il nostro impegno per raggiungere un obiettivo che riguarda tutti.

A titolo d’esempio vogliamo parlarvi di un argomento tanto semplice quanto importante, ovvero gli assorbenti femminili. Lo sapevate che in Italia l’IVA sugli assorbenti, tamponi e coppette mestruali è del 22%? E che in questa maniera vengono considerati beni di lusso? Nel nostro Paese si considerano le mestruazioni, una cosa naturale che hanno tutte le donne in età fertile, un lusso. Facendo un giro per il mondo da un lato possiamo vedere il Regno Unito che ha completamente eliminato l’IVA sugli assorbenti, mentre all’opposto vediamo anche casi critici come quello dell’India.

Ed è proprio in India che con questo articolo vi vogliamo portare. In questo Paese, soprattutto nelle aree rurali, le mestruazioni e tutto ciò che ruota intorno ad esse sono un grande tabù. Nel 2019 Netflix ha lanciato un documentario che parla proprio di tutto questo. Il filmato è stato girato in un villaggio nei pressi di Delhi e si parla di quanto sia difficile la vita delle donne nelle zone rurali e perciò più arretrate dell’India. Se da noi gli assorbenti vengono equiparati ai beni di lusso, laggiù se ne trovano pochissimi, o perlomeno è ciò che accadeva prima della scoperta di Arunachalam Muruganantham. Questo imprenditore indiano ha inventato una macchina per produrre assorbenti igienici a basso costo e, a nostro parere, rappresenta l’incarnazione della battaglia per le pari opportunità. Grazie alla sua invenzione rivoluzionaria molti aspetti della vita femminile sono cambiati: tante donne provenienti dalle aree più arretrate del paese hanno iniziato a lavorare e a sostentare la famiglia con un vero reddito, cosa per noi scontata, laggiù impensabile. Una donna intervistata al minuto 20.49 del documentario racconta che, grazie al suo lavoro si è conquistata il rispetto del marito, perché adesso guadagna e non si limita a stare in casa. Successivamente una ragazza, dopo aver messo da parte il primo gruzzoletto, racconta di aver fatto un regalo al fratello, sorprendendolo, e ribaltando stereotipi di genere purtroppo difficili da sradicare. In molti luoghi è ciò che ancora accade: dopo il menarca, molte ragazze sono costrette ad abbandonare la scuola, dal momento che è difficoltoso trovare luoghi appartati dove cambiare il panno, che spesso è un vecchio straccio sempre troppo sporco e non igienico. Questa macchina inventata da un uomo è un piccolo passo verso l’emancipazione femminile, che ci dà un grande insegnamento: soltanto insieme possiamo cambiare il mondo e abbattere i tabù delle mestruazioni che ancora circolano nel 2021.

I ricavi dell’associazione Sneha con la macchina finanziano l’addestramento delle donne in polizia ed un progetto ambizioso, The Pad Project su https://thepadproject.org/ Qui sotto vi alleghiamo il documentario di cui abbiamo parlato e vi invitiamo caldamente a vederlo: https://www.youtube.com/watch?v=Lrm2pD0qofM

Nella nostra classe l’8 marzo noi e tutte le ragazze della 3aC abbiamo svolto una lezione autogestita proprio su questo argomento, per cominciare abbiamo riportato i dati dell’IVA sugli assorbenti in Italia paragonandoli a quelli degli altri paesi, successivamente abbiamo fatto un esperimento sociale. Abbiamo fatto aprire degli assorbenti ai ragazzi e poi abbiamo fatto loro delle domande sul ciclo mestruale, provando ad abbattere questo tabù. Successivamente abbiamo chiesto loro come si comporterebbero in una particolare tipo di situazione: se fossi per strada e vedessi una ragazza con i pantaloni sporchi di sangue mestruale, che cosa faresti? La avviseresti? E se sì, che cosa le diresti? E se no perché? Le risposte sono state molto differenti tra loro e, nonostante l’imbarazzo iniziale, è emersa la volontà di conoscere. E tu, trovandoti in questa situazione, come ti comporteresti? Compila il questionario con le tue riflessioni. https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSflTY1ehd4K_ovG3ZeybZ9cw3JXx0Ep8VNkdkx9QEM2RuiUdQ/viewform?usp=sf_link

DACCA 24.04.2013: LE FASHON VICTIMS

di Alessandro (3A) e classe 3A

In occasione dell’ottavo anniversario dalla tragedia del Rana Plaza di Dacca, la 3aA torna a discutere sulla delocalizzazione e sulle sue conseguenze. Con questo articolo Alessandro presenta i termini della questione e raccoglie le riflessioni dei compagni. Cosa si nasconde veramente dietro la produzione degli abiti che indossiamo ogni giorno?

Prof.ssa Alessandra Lotto

Sai che città è Dacca? Dove si trova? Cosa accadde e cosa c’entrano quelle 1129 persone? Sai che cosa sia la delocalizzazione? Beh, di certo lo avrai fatto in geografia e saprai che Dacca è la capitale e la città più popolosa del Bangladesh. Con 14,4 milioni di abitanti è la decima città per popolazione del mondo. Ok, sappiamo almeno le basi, ora capiamo il terzo tassello per capire tutta la storia. La delocalizzazione è lo spostamento in altri Paesi di processi produttivi o fasi di lavorazione, al fine di guadagnare competitività abbattendo i costi. Molti produttori industriali (specialmente del settore tessile) spostano le proprie fabbriche in paesi laddove siano meno garantiti i diritti per i lavoratori e tutele per l’ambiente. In questi stabilimenti lavorano con ritmi esasperanti uomini, donne e bambini per pochissimi soldi al giorno. Dopodiché i capi d’abbigliamento vengono venduti nel resto del mondo (soprattutto occidentale) con guadagni elevati. Le persone che vengono sfruttate non possono fare nulla, perché sono indigenti e non hanno alternative. Ma quando la popolazione europea è venuta a conoscenza del fatto, non è mica stata in silenzio. Numerose sono state infatti le proteste contro queste imprese che delocalizzano in modo non responsabile, sono state fatte manifestazioni, sono stati lanciati barattoli di vernice rossa contro le vetrine. Basti pensare che per confezionare i palloni da calcio spesso vengono sfruttati bambini, avendo piccole mani che riescono a cucire accuratamente ogni esagono.

“L’uomo spesso agisce seguendo solo i suoi interessi, non pensa a ciò che potrebbe accadere, non pensa che in ballo ci sono le vite di tantissime altre persone, ma agisce egoisticamente – sostiene Angelica” Ma che cosa provoca la delocalizzazione? “Oltretutto, danneggia anche l’economia del paese di partenza, diminuiscono infatti i profitti e le ricchezze vengono concentrate nelle mani di poche persone. – aggiunge Angelica”. Importante è anche sottolineare il fatto che ci sono meno diritti, prevedendo salari bassi, orari di lavoro estenuanti e disagio generale per la società. A riguardo possiamo aggiungere: “… nei paesi più poveri questo tipo di lavori toccano perlopiù alle donne, che sono ricattate dal bisogno e non hanno la possibilità di scegliere – Lisa”.

Quindi che cosa dovrebbero fare lo Stato e cosa dovrebbe fare l’imprenditore? Dallo Stato innanzitutto, più diritti e tutele. Garantendo maggiori diritti ai lavoratori sarebbe un grande passo avanti. Dopodiché, oltre ad aver garantito una sicurezza, bisogna fare sì che essa venga rispettata, quindi fare controlli in aziende estere affinché sia tutto a norma e le leggi vengano rispettate. Beh, poi non solo le persone devono essere tutelate, ma anche gli edifici in sé. Siamo così giunti all’obiettivo del nostro articolo, proprio ciò che si dava più scontato, gli stabilimenti in cui si lavora. Però, prima di passare subito a questo argomento, vediamo che possono fare i singoli e l’imprenditore stesso. L’imprenditore deve fare lavorare i propri dipendenti in stabilimenti sicuri. Invece, Il dipendente non ha un vero e proprio compito, se non quello di segnalare le eventuali situazioni anomale.

Comunque delocalizzare, non è negativo al 100% se fatto tutelando i lavoratori. “dosare anche un po' il lavoro per impedire la complicazione degli orari in modo da alternarsi e far riposare tutti un determinato numero di ore – scrive Lisa” Per cui dire che non si acquistino prodotti delocalizzati non va bene, perché così facendo sono stati dati posti di lavoro in paesi in cui ce n’è bisogno. “I cittadini dovrebbero protestare per avere salari più dignitosi e condizioni più umane – aggiunge Matilde”.

Sono ragionamenti corretti e condivisibili ma, come vedremo, a Dacca nel 2013 accadde ciò che non si può neppure immaginare. Le persone che lavoravano al Rana Plaza, avevano meno dignità di qualsiasi altra, e sono state rinchiuse in quello stabilimento quasi come animali. Purtroppo, è da trovare inimmaginabile una rivolta da parte dei lavoratori, non a caso sono stati gli europei che hanno protestato. Ora che sappiamo cos’è la delocalizzazione e le sue conseguenze, possiamo capire che cosa accadde a Dacca. Quel giorno non sono stati degli attacchi terroristici a causare 1129 vittime, ma un edificio, sfruttato dalla delocalizzazione. Ecco, questa squallida costruzione era il Rana Plaza di Savar, è la stessa che in data 24/04/2013, a causa di un cedimento strutturale, ha ucciso le 1129 persone di cui stiamo parlando. Questo edificio commerciale di otto piani si trovava a Savar, un sub-distretto nella Grande Area di Dacca, zona illustrata nella cartina. Le operazioni di soccorso e ricerca si sono concluse il 13 maggio con 1.129 vittime. Circa 2.515 feriti furono estratti vivi dal palazzo.

È considerato il più grave incidente mortale avvenuto in una fabbrica tessile nella storia, così come il più letale cedimento strutturale accidentale nella storia umana moderna. L'edificio conteneva alcune fabbriche di abbigliamento, una banca, appartamenti e numerosi altri negozi. Nel momento in cui sono state notate delle crepe sull'edificio, i negozi e la banca ai piani inferiori sono stati chiusi, mentre l'avviso di evitare di utilizzare l'edificio è stato ignorato dai proprietari delle fabbriche tessili. Ai lavoratori fu infatti ordinato di tornare il giorno successivo, giorno in cui l'edificio sarebbe poi ceduto, collassando durante le ore di punta della mattina. Quello che abbiamo ricordato nel mese di aprile è quello che accade circa 8 anni fa. L'edificio crollò alle 8:45 circa, lasciando intatto solo il piano terra. Il presidente dell'Associazione bengalese dei manifattori ed esportatori ha confermato che 3.122 operai erano presenti nell'edificio al momento del crollo. Un residente locale ha descritto la scena come si fosse trattato di un terremoto. Poche ore dopo il crollo, le Nazioni Unite hanno offerto di inviare squadre di soccorso di esperti con i cani, micro-telecamere e altre attrezzature, ma l'offerta è stata rifiutata dalle autorità di Dacca. Non in tutti i paesi le decisioni vengono prese in modo democratico: questa è per noi la cosa più difficile da comprendere. Nella foto possiamo vedere una parte dell’edificio crollato. Uno dei siti web dei produttori di abbigliamento indicava che più della metà delle vittime erano donne, insieme a un certo numero dei loro figli che erano negli asili-nido aziendali presenti all'interno dell'edificio. Il ministro per la casa, Muhiuddin Khan Alamgir, confermò che l'esercito, il personale dei vigili del fuoco, la polizia e il Rapid Action Battalion (unità anti-crimine ed anti-terrorismo) stavano provvedendo alle operazioni di salvataggio. In questi interventi non c’erano soltanto i vigili del fuoco e le forze dell’ordine, ma anche gli operai sopravvissuti al crollo. Invece di andare a rassicurare le proprie famiglie, o a farsi medicare, i superstiti hanno deciso per solidarietà, di aiutare a cercare i compagni tra le macerie.

Il momento più doloroso è stato quello del riconoscimento delle vittime. Quasi 4000 familiari si sono recati al piccolo obitorio di Savar, dove c’erano 1129 corpi ammassati l’uno accanto all’altro, tra il dolore e il più totale smarrimento e qualche flebile speranza. Una giornata di lutto nazionale fu proclamata per il 25 aprile. L'8 maggio un portavoce dell'esercito, Mir Rabbi, riferì che l'esercito avrebbe continuato a recuperare altri corpi dalle macerie almeno per un'altra settimana. Il 10 maggio, 17 giorni dopo il crollo, fu salvata dalle macerie, quasi illesa, una donna di nome Reshma. Ecco, proprio questa ragazza ha dato ai soccorritori la speranza di trovare gli ultimi dispersi, e così è accaduto: in un piccolo spazio, sono riuscite a sopravvivere tre persone, a una settimana dal crollo. Su una lavagna venivano annotate le iniziali delle vittime riconosciute. Dapprima erano soltanto 300, poi si rivelarono essere 800 di più. Pensiamo anche soltanto, alla difficoltà e alla tensione con cui una persona cercava un suo familiare, un piccolo e minuscolo nome, in mezzo a quelle infinità di annunci e foto. Dietro una t-shirt, che noi indossiamo inconsapevolmente, possono esserci storie di ingiustizia e sfruttamento. Non dimentichiamolo.

Il mondo non è stato zitto, ma ha immortalato quei giorni drammatici grazie alle immagini che oggi posso inserire in questo articolo, a testimonianza di quanto è accaduto!

Le fonti di questo articolo derivano dalle ricerche dei compagni, opportunamente adattate, su cui si è fondata la prima parte, riguardante la delocalizzazione. Le immagini sono state ricavate da siti in cui si parlava di questa catastrofe, oltre ad alcune parti più specifiche dei fatti. Anche il materiale caricato dall’insegnate è stato fondamentale, perché rappresentava i sentimenti della popolazione, anche se in brevi video.

Per ulteriori approfondimenti vi consigliamo www.abitipuliti.org