ODE ALL’APE
1957 - TERZO LIBRO DELLE ODI - Pablo Neruda
Moltitudine dell’ape!
entra e esce
dal carminio, dall’azzurro,
dal giallo,
dalla più soave
morbidezza del mondo:
entra in
una corolla
precipitosamente,
per attività,
esce
con abito d’oro
e quantità di stivali
gialli.
Perfetta
nel girovita,
l’addome rigato
da sbarre scure,
la testolina
sempre
preoccupata
e le
ali
appena fatte di acqua:
entra
in tutte le finestre odorose,
apre
le porte della seta,
penetra per i talami
dell’amore più fragrante,
si imbatte
in
una
goccia
di rugiada
come in un diamante
e da tutte le case
che visita
estrae
miele
misterioso,
ricco e profondo
miele, fitto aroma,
liquida luce che cade in gocciolone,
finché al suo
palazzo
collettivo
ritorna
e nei gotici merli
deposita
il prodotto
del fiore e del volo,
il sole nuziale serafico e segreto!
Moltitudine dell’ape!
Elevazione
sacra
dell’unità,
scuola
palpitante!
Ronzano
sonore
quantità
che lavorano
il nettare,
passano
veloci
gocce
di ambrosia:
è la siesta
dell’estate nelle verdi
solitudini
di Osorno. Sopra
il sole inchioda le sue lance
nella neve,
risplendono i vulcani,
ampi
come
i mari
e la terra,
azzurro è lo spazio,
ma
c’è qualcosa
che trema, è
il bruciante
cuore
dell’estate,
il cuore di miele
moltiplicato,
la rumorosa
ape,
il crepitante
favo
di volo ed oro!
Api,
lavoratrici pure,
ogivali
operaie,
fini, lampeggianti
proletarie,
perfette,
temerarie milizie
che nel combattimento attaccano
con pungiglione suicida,
ronzate,
ronzate sopra
i doni della terra,
famiglia d’oro,
moltitudine del vento,
scuotete l’incendio
dei fiori,
la sete degli stami,
l’acuto
filo
di odore
che riunisce i giorni,
e propagate
il miele
oltrepassando
i continenti umidi, le isole
più lontane del cielo
dell’ovest.
Si:
che la cera alzi
statue verdi,
il miele
distribuisca
lingue
infinite,
e l’oceano sia
un
alveare,
la terra
torre e tunica
di fiori,
e il mondo
una cascata,
chioma,
crescita
incessante
di favi!
L’ape è piccola tra gli esseri alati, ma il suo prodotto ha il primato fra i dolci sapori.
(Siracide, Antico Testamento, Cap.11 - Non fidarsi delle apparenze)
Le api, non solo da viole, meliloto e timo, ma ancor da spine e da cepolle e cardi la più suave e miglior parte coglieno e servano, la qual poi da li omini per cibo e medicina si adopera.
(da Apologo intitolato Specchio d' Esopo, composto dal magnifico cavaliere e dottore Messer Pandolfo Collenuccio da Pesaro, p. 50 Al RE Apologhi in volgare)
Come l’ape raccoglie il succo dei fiori senza danneggiarne colore e profumo, così il saggio dimori nel mondo.
(Siddhārtha Gautama Buddha, Versi della Legge, III sec. a.e.c.)
La nuova consapevolezza maturata in noi di essere parte costitutiva dell’ecosistema e di partecipare in prima persona, vittime e carnefici, alla sua distruzione, ci suggerisce che inquinare l’ambiente significa avvelenare noi stessi. Che quando i pesci muoiono nei fiumi, quel veleno che li ha uccisi giungerà ben presto nella caraffa d’acqua cosiddetta potabile sulla nostra tavola. Che quando vendiamo per 30 denari una foresta, abbiamo venduto, con gli alberi abbattuti, parte della nostra eredità d’ossigeno, che con l’ape uccisa oggi dalle molecole di sintesi muore la speranza nei fiori del futuro
(Giorgio Celli)
Da valutare
La biodiversità costituisce un segnale: se in un prato che state attraversando ci sono molti fiori, molte api e farfalle sulle loro corolle, se le bisce strisciano tra le erbe e le allodole cantano nel cielo, potete essere certi che quel luogo è salubre, e che, per sovrappiù, contribuisce alla nostra felicità suggerendoci che l’uomo non è ancora solo nel mondo.
Giorgio Celli, su Il Sole 24 ore, 2010
Originale
[...] Capii che un uomo, oltre a vivere per il proprio bene personale, deve inevitabilmente contribuire al bene degli altri: se dobbiamo prendere un paragone dal mondo degli animali [...] allora occorre prenderlo dal mondo degli animali sociali, come le api; ed è per questo che l'uomo, senza parlare dell'amore per il prossimo che è innato in lui, è chiamato sia dalla ragione sia dalla sua stessa natura a servire gli altri uomini e l'umanità in generale. Capii che questa legge naturale dell'uomo è la sola che gli permette di compiere quanto gli è stato assegnato e di essere quindi felice.
(Lev Tolstoj - Che fare ? pp. 155-156)