Benedetto Croce e Vito Volterra:
alcuni documenti inediti
Benedetto Croce e Vito Volterra:
alcuni documenti inediti
Telegramma di Benedetto Croce a Vito Volterra 17 giugno 1920 Sulla scuola italiana
Retro del telegramma
Lettera di Benedetto Croce in ricordo di Vito Volterra (Indirizzata a Virginia Volterra
Benedetto Croce
Benedetto Croce nacque a Pescasseroli (L’Aquila) il 25-2-1866, in una famiglia di proprietari terrieri, ricca ma molto conservatrice (era attaccata ancora ai Borboni!), e frequentò le scuole secondarie in un collegio di religiosi, anch’esso culturalmente chiuso.
Nel 1883 villeggiò a Casamicciola (nell’isola d’Ischia), ed un terremoto durato 90 secondi gli uccise i genitori Pasquale e Luisa Sipari e la sorella Maria, rimanendo lui stesso “sepolto per parecchie ore sotto le macerie e fracassato in più parti del corpo”.
Fu allora accolto a Roma dallo zio, il senatore Silvio Spaventa (famoso storico e fratello di Bertrando Spaventa, filosofo idealista che aveva tentato una riforma dell’Hegelismo): fu un gesto nobile da parte dello Spaventa anche perché era in rotta coi Croce, dal momento che questi, a causa del tradizionalismo a cui abbiamo accennato, gli avevano rimproverato un eccessivo liberalismo (e del resto i Croce si erano allontanati anche da Bertrando, perché apostata).
Nel salotto di Silvio, Benedetto incontrò importanti uomini politici ed intellettuali, tra i quali ad esempio Antonio Labriola (che allora era herbartiano), del quale frequentò le lezioni di filosofia morale all’università di Roma (anche se era iscritto a giurisprudenza a Napoli); Benedetto non finì gli studi universitari, non volendo conseguire titoli accademici, ma continuò comunque a studiare, trascurando inizialmente Hegel, poiché i libri che circolavano in casa Spaventa gli diedero l’idea ch’esso dovesse essere un filosofo quasi incomprensibile.
Nel 1886 lasciò la “politicante società romana, acre di passioni”, e tornò a Napoli, dove comprò la casa nella quale aveva vissuto il filosofo Giambattista Vico; negli anni seguenti viaggiò in Spagna, Germania, Francia ed Inghilterra, ed aumentò l’interesse per la storia, grazie alle letture di Francesco De Sanctis (letture già iniziate durante gli studi ginnasiali, assieme a quelle del Carducci: De Sanctis e Carducci diventeranno per lui due punti fissi).
Nel 1895 Labriola (che intanto aveva abbandonato la filosofia di Herbart), col quale Benedetto aveva mantenuto il dialogo intellettuale, gli fece conoscere le idee del Marxismo, alle quali inizialmente il filosofo napoletano si interessò, studiando i saggi di Labriola, leggendo libri di economia, riviste e giornali italiani e tedeschi d’ispirazione socialista, e l’interesse si diresse così verso la politica; tra l’altro aveva espresso sul Marxismo, tra il 1895 ed il 1899, una “critica tanto più grave, in quanto voleva essere una difesa e una rettificazione del Marxismo stesso”, pensando egli che la società capitalista studiata da Marx non esistesse, né fosse mai esistita, ma gli interessi per il Marxismo fecero sentire al nostro il bisogno di risalire ad Hegel, al cui studio lo invitava anche il suo amico e filosofo Giovanni Gentile.
Col Gentile fondò, nel 1903, la rivista “La Critica”, il cui progetto era maturato nell’estate del 1902, ma l’amicizia col Gentile, che aveva conosciuto quando quest’ultimo era studente a Pisa, si ruppe quando quest'ultimo aderì al fascismo.
“La Critica” fu pubblicata dal 1903 al 1944, ed il suo prestigio culturale ne rese impossibile al fascismo la soppressione: è noto che Mussolini chiese “Quante copie tira Critica?”, ed essendogli stato risposto “1500”, disse “allora lasciatelo stare”.
Nel 1910 Benedetto fu nominato senatore per censo e fu ministro della Pubblica Istruzione nel 1920-21, nel quinto ministero Giolitti: elaborò anche una riforma scolastica, che non volle attuare per la propria non adesione al fascismo, ma essa fu comunque ripresa e realizzata dal Gentile nel 1923 (oggi quella riforma è infatti nota come “riforma Gentile”).
Nel 1914 sposò Adela Rossi, con la quale ebbe 4 figlie (Alda, Elena, Livia e Silvia).
Croce ruppe con Gentile in occasione della sua adesione al fascismo (ma già da tempo c’era forte dissenso tra i due): dopo l’avvento al potere di Mussolini ed il delitto Matteotti (1924) fu pubblicato il 1-5-1925 su “Il Mondo” (rivista liberale per la quale scrisse, nel 1950, la prefazione a “1984” di George Orwell, tradotto da Gabriele Baldini), in risposta al “Manifesto degli intellettuali fascisti” di Gentile, il suo "Manifesto degli intellettuali anti-fascisti" (al quale aderirono Eugenio Montale ed Aldo Palazzeschi, e tra i matematici Leonida Tonelli, Ernesto e Mario Pascal, Vito Volterra, Giuseppe Bagnera, Guido Castelnuovo, Beppo Levi, Tullio Levi Civita, Alessandro Padoa, Giulio Pittarelli e Francesco Severi), scritto su invito di Giovanni Amendola, e smise di intervenire direttamente nella politica, attività che esercitò dopo la caduta del fascismo, essendo stato presidente del ricostituito Partito Liberale nel 1943-1947 (fu avverso al comunismo ma lodò il valore letterario di Gramsci), ministro nei governi Badoglio e Bonomi, membro dell’Assemblea Costituente e poi del Senato.
Alcuni accusano Benedetto di falso liberalismo, poiché fino al ‘25 aveva appoggiato il fascismo, vedendolo come mezzo per sconfiggere le forze della sinistra: fatto ciò, la classe liberale avrebbe potuto continuare a reggere lo Stato, con le mani pulite; ricordiamoci anche che al grido di “oro alla patria!”, quando lo Stato per sostenere il costo della guerra cambiava (a chi lo sceglieva) le fedi nuziali di oro con anelli di ferro, Croce donò la propria medaglia di senatore.
Dopo la firma dei Patti Lateranensi (11-2-1929), mostrò la sua contrarietà al Concordato tra Stato e Chiesa dicendo in Senato che “accanto o di fronte ad uomini che stimano Parigi valer bene una messa, sono altri per i quali l’ascoltare o no una messa è cosa che vale infinitamente più di Parigi, perché è affare di coscienza”, nella sua replica Mussolini definisce Croce “un imboscato della storia”.
Nel 1946 fondò a Napoli (nel frattempo si era ritirato a vivere nel palazzo di Trinità Maggiore, che era appartenuto ai Filomarino) l’Istituto Italiano per gli studi storici, la direzione del quale venne affidata al prof. Federico Chabod.
Il tradizionalismo di Croce emerge nei suoi giudizi negativi verso i poeti simbolisti francesi: fu apertamente critico di Rimbaud e Valéry, come del resto lo fu verso Pirandello, D’Annunzio e Pascoli (espresse inizialmente perplessità verso il Decadentismo in generale, e le perplessità maturarono poi in decisa avversione): proprio per questo ci fu un lieve contrasto tra il Croce e Cesare Angelini, come racconta Angelini stesso ne “Gli uomini della Voce”
Nel 1949 fu colpito da un ictus cerebrale, che limitò le sue possibilità di movimento, ed il filosofo non uscì più di casa, dove continuava a studiare: fu colto dalla morte mentre era seduto in poltrona nel suo studio-biblioteca, il 20-11-1952.
La vita di Vito Volterra dopo il manifesto degli intellettuali fascisti
Marco Taccini, Samuele Agostini, Abel Siby Joseph, Daniele Chiappetta 4F a.s. 2023-2024