I CARATTERI ORIGINARI
DELLO STATO DA MAR VENEZIANO


Testi di Ruggero Piccoli

Antica carta nautica del Mediterraneo - XVI sec. - Bibilioteca Digital Hispanica

Se risponde al vero quello che dice Carl von Klausevitz della guerra nel suo celebre trattato, vale a dire che essa altro non sia che la prosecuzione della politica con altri mezzi, si può dire che i veneziani - popolo dedito in prevalenza al commercio - a tali mezzi abbiano fatto ricorso il meno possibile, e sempre nei casi in cui lo ritenevano strettamente necessario per il raggiungimento di uno scopo, che - ad un certo punto della loro storia - era diventato quello di fondare un impero, prima esclusivamente sui mari e poi anche in terraferma. Chiameranno appunto Stato da mar la parte marittima dell’Impero (coste e isole), Domini di terraferma l’insieme dei territori che conquisteranno nell’entroterra fra Bergamo e il Friuli, a partire dal sec. XIV, e Dogado il nucleo originario dell’antico Stato veneziano con le sue isole e i centri sorti ai margini della laguna. In questa sede ci occuperemo solo, ma speriamo in maniera esauriente e per quanto possibile completa, dello Stato da mar.

Alle guerre di conquista i veneziani hanno sempre preferito, come strumento di acquisizione di nuovi territori, l’atto di dedizione, cui si arrivava in genere alla conclusione di una trattativa vera e propria (attività in cui appunto eccellono i commercianti) fra chi chiedeva protezione, dai pirati per esempio, e chi era disposto a concederla a certe condizioni, cioè Venezia, che in cambio otteneva di solito il libero accesso ai porti e facilitazioni commerciali. Le eccezioni a tale regola - come vedremo - non mancheranno, ma in genere i veneziani ricorrevano alle armi solo dopo aver ben valutato che non vi fossero altre alternative e sempre quando c’erano motivi di grande rilevanza, come ad esempio difendere i propri territori o recuperarli dopo che le erano stati tolti (vedi guerre contro i turchi).

A volte passava anche molto tempo fra la richiesta e l’atto formale di dedizione, poiché le autorità veneziane si riservavano di valutare con molta attenzione le richieste stesse, per esser certi che i vantaggi fossero superiori agli oneri. Venezia infatti doveva sostenere ingenti spese per la difesa e sicurezza dei suoi possedimenti d’oltremare: da quelle necessarie per le opere di fortificazione a quelle per il mantenimento di eventuali contingenti di truppe in loco, cosa indispensabile nel caso delle piazzeforti più importanti. Di Ancona, per esempio, venne rifiutata la richiesta di dedizione, probabilmente proprio perché si era valutato che i costi - nel caso specifico - sarebbero stati superiori ai benefici.

Una spesa cospicua, ma non eludibile, era quella del mantenimento di un vasto apparato burocratico per il governo dei possedimenti, i cosiddetti “reggitori” (o rettori), che potevano assumere varie denominazioni, a seconda della estensione del territorio da amministrare, ma soprattutto della sua importanza. Si andava dal podestà, nel caso di una città, al castellano per i luoghi fortificati, dal bailo, come nel caso di Negroponte, al duca per Candia, fino al vicerè, solo nel caso di Cipro. E proprio questi due ultimi e più importanti possedimenti possono dimostrare che la conquista con le armi o la dedizione (più o meno spontanea, come vedremo in seguito...) non furono gli unici mezzi a cui fece ricorso Venezia per acquisire molti dei suoi possedimenti.

Tiziano, Ritratto di Caterina Cornaro, regina di Cipro - 1509 - Wikipedia

Candia fu acquistata (nel senso letterale del termine, per la cifra di 1.000 marche d’argento) da Bonifacio I del Monferrato alla fine della IV crociata e la conseguente spartizione dell’ Impero romano d’oriente, mentre il dominio su Cipro avvenne in seguito alla abdicazione di Caterina Cornaro (scelta a cui certo non fu estraneo il Senato veneziano), che aveva ereditato il trono dal defunto marito Giacomo II di Lusignano. Ma il metodo senz'altro più proficuo usato da Venezia per l'acquisizione di territori fu l'adesione alla IV crociata, proclamata dal papa Innocenzo III per liberare la Terrasanta, riconquistata dagli "infedeli". Gli avvenimenti che portarono a queste acquisizioni di territori, nonché di ingenti bottini di guerra, può essere considerata nel suo insieme e per certi aspetti quasi un'opera d'arte di cinismo e spregiudicatezza. Di questa opera tuttavia non si conosce con certezza l'autore, né a quante mani sia stata realizzata, visto il pietoso velo di silenzio steso dai cronisti veneziani del tempo sui quei fatti.

La versione di quel che accadde data dai crociati è di parte e lo stesso si può dire ovviamente di quella dei greci, vale a dire delle vittime. Ma vale la pena di soffermarsi più a lungo su quanto può essere realmente accaduto, come faremo di seguito, visto che tali avvenimenti hanno cambiato la storia dell'Europa e quella dell'intero mondo medioevale e pone un quesito cui l'umanità si trova di fronte perlomeno fin dai tempi di Machiavelli (ma da molto prima in realtà): il fine giustifica sempre i mezzi, per quanto efferati essi siano , o bisogna distinguere, caso per caso? Alle vicende della IV crociata sarà dedicato un capitolo intero, nel quale cercheremo di affrontare un problema, che riteniamo della massima importanza, sia dal punto di vista storico (cosa può essere successo veramente) che da quello etico (perché veneziani e crociati abbiano ingannato sia il papa Innocenzo III, sia tutti quei cristiani che avevano contribuito, anche economicamente, alla crociata, convinti che fosse contro gli infedeli, per liberare i luoghi santi, e non contro altri cristiani, segnatamente quelli di Zara e quelli di Costantinopoli).

In ogni caso la spartizione dei territori bizantini portò all'assegnazione di "un quarto e mezzo dell'Impero romano d'oriente", come fu chiamato con enfasi il risultato di questa divisione delle spoglie del vinto, in cui si afferma da parte di tutti gli storiografi che Venezia fece la parte del leone, anche se a dire il vero ai crociati spettò una parte uguale (l'altro quarto e mezzo) e anzi di più, se si tiene conto che il quarto rimanente andò anch'esso a un crociato, Baldovino I conte di Fiandra, scelto per il trono del nuovo Impero Latino, sorto sulle ceneri dell'Impero bizantino.

L'impero d'oltremare che Venezia riuscì a fondare lungo le coste sud orientali e sulle isole del Mediterraneo durò circa settecento anni, calcolati dalla spedizione del doge Pietro II Orseolo contro i pirati narentani (anno 998 o 1000) fino alla caduta della Repubblica per mano dei francesi di Napoleone Bonaparte nel 1797. Anche considerandoli solo dal punto quantitativo, senza tener conto della loro rilevanza strategica, sia commerciale che militare, si tratta di numeri ragguardevoli: i domini amministrati direttamente da Venezia, vale a dire dai suoi reggitori (podestà, castellani, baili o altro) erano più di 120, mentre quelli dati in feudo a famiglie patrizie, veneziane e non, erano molte decine, ma saremo in grado di dare un numero più preciso alla fine del lavoro che stiamo conducendo. In ogni caso moltissime erano le isole, territori, città, castelli, fortezze, capisaldi , porti, approdi, empori commerciali e altro, sui quali Venezia poteva esercitare un controllo effettivo, sia militare che politico, ancorché indiretto e informale. Questo è largamente comprovato dal fatto che nei trattati di pace, successivi alle molte guerre che ci furono contro i turchi, diverse isole "indipendenti", venivano in realtà inserite nei trattati stessi come se fossero veneziane, come del resto erano di fatto.

È difficile giudicare se Venezia, oltre che per l'entità dell'impero che è riuscita a fondare e a mantenere per secoli, sia stata grande anche per come ha saputo governare i popoli che a lei si erano affidati o che aveva comunque sottomessi. Alcuni episodi, come i violenti metodi di cui faceva ampiamente uso per reprimere chi tentava di ribellarsi al suo dominio (Zara e Capodistria, per esempio, ma anche altre città) e il cinismo, unito alla totale mancanza di scrupoli, di cui ha dato prova in occasione delle vicende della IV crociata, possono far sorgere seri dubbi. C’è da dire tuttavia che quelli di allora erano tempi feroci e non c’era alcun tribunale, come quello attuale dell’Aia, che poteva giudicare se si erano commessi o no crimini di guerra, così come non c’era qualche secolo dopo, quando un prigioniero che si era arreso fu torturato e messo a morte in modo atroce dai turchi (parliamo naturalmente di Marcantonio Bragadin) o molti secoli prima , quando il grande Giulio Cesare sterminò interi popoli della Gallia (si parla di decine - ma forse centinaia - di migliaia di persone, compresi naturalmente donne e bambini), facendoli scomparire per sempre dalla faccia della terra e anche dalla storia.

Sono molti comunque quelli che ancor oggi giudicano i fatti accaduti solo per i vantaggi che hanno recato alla parte del mondo in cui vivono o si riconoscono, senza tener conto dei disastri che tali fatti hanno arrecato ad altre parti o paesi del globo. Facciamo un esempio che riguarda Venezia, città che amo moltissimo perché fra l'altro mi ricorda i miei anni giovanili. Molti considerano Enrico Dandolo un grande doge, altri addirittura un eroe, perché Venezia ha avuto dei vantaggi dalla caduta dell'Impero romano d'oriente e dal sacco di Costantinopoli. Io non sono fra quelli. Non credo ci sia stato nulla di grande nella distruzione e nel saccheggio di Zara, compiuto dai veneziani usando la forza crociati, e ancor meno negli orrendi eccidi compiuti a Bisanzio, sempre da crociati e veneziani, e nemmeno nel tradire la fiducia di chi credeva sul serio che si andasse a combattere gli infedeli. Proverò in seguito a motivare questa mia convinzione. Per adesso dirò solo che a Dandolo preferisco di gran lunga Pietro II Orseolo, vero fondatore dello Stato da Mar e - lui sì - protagonista e simbolo della grandezza di Venezia.

Vittore Carpaccio, Il leone di San Marco - 1516 - Wikimedia Commons