Italiano e Latino

Poesie di Umberto Saba con tematica il calcio.

GRUPPO PALLAVOLO

TREDICESIMA PARTITA - Umberto Saba

Sui gradini un manipolo sparuto

si riscaldava di se stesso.

E quando

- smisurata raggiera – il sole spense

dietro una casa il suo barbaglio, il campo

schiarì il presentimento della notte.

Correvano su e giù le maglie rosse,

le maglie bianche, in una luce d’una

strana iridata trasparenza. Il vento

deviava il pallone, la Fortuna

si rimetteva agli occhi la benda.


Piaceva

essere così pochi intirizziti

uniti,

come ultimi uomini su un monte,

a guardare di là l’ultima gara.

(da “Il Canzoniere-vol.III, 1933-34)

Umberto Saba nasce a Trieste nel 1883 da un agente di commercio e da madre ebrea. Vive un’infanzia tormentata e malinconica per l’assenza del padre. Durante la Seconda Guerra Mondiale, per le persecuzioni razziali, è costretto a trasferirsi a Parigi, poi si sposterà in diverse città italiane. Muore a Gorizia nel 1957.

Il componimento, scritto in occasione di un incontro disputato a Padova del quale il poeta fu spettatore, tratta come tema il comportamento dei tifosi. La partita si svolge nella città veneta tra la squadra di casa e un’altra durante la stagione invernale. Il freddo e il vento sono vinti dall’unione fraterna dei tifosi, che anche se pochi, riescono a scaldarsi. L'evento diventa occasione per una riflessione sulla giovinezza e sulla nostalgia, soprattutto nei versi finali con il significativo termine ultima gara. L’opera, dal punto di vista formale, presenta numerosi enjambement, che velocizzano il ritmo della poesia, ai quali si contrappongono numerose cesure, tipiche della sua poetica. Significativo è l’ossimoro tra schiarì e notte, che riprende una figura retorica usuale per l’autore e simbolo della sua personalità. Saba riesce a creare una rappresentazione completa ed emozionante del calcio: lo stadio, il clamore della folla, gli atleti, l'esultanza per la vittoria e la disperazione per la sconfitta. La partita non è solo un gioco, ma metafora della vita. Il calcio è qualcosa di unico: fa sentire spettatori e calciatori uniti da un'unica grande passione, regala emozioni e insegna a vivere. Lo stesso autore giudicava tale opera la migliore tra le cinque liriche sul gioco del calcio, poiché, nella loro semplicità, i versi sono in grado di suscitare emozioni forti anche se non si conosce o non si è appassionati di tale sport.

In modo analogo alle altre rime dedicate a questo gioco, le tematiche sviluppate sono: la folla, i loro sentimenti legati a quelli dei calciatori, l’unione fraterna, la giovinezza e la malinconia, che ripercorre i tratti salienti della biografia di Umberto Saba.

GRUPPO BASKET

TRE MOMENTI - Umberto Saba

Di corsa usciti a mezzo il campo, date

prima il saluto alle tribune.

Poi,quello che nasce poi,

che all'altra parte rivolgete, a quella

che più nera si accalca, non è cosa

da dirsi, non è cosa ch'abbia un nome.


Il portiere su e giù cammina come sentinella.

Il pericolo lontano è ancora.

Ma se in un nembo s'avvicina, oh allora

una giovane fiera si accovaccia

e all'erta spia.


Festa è nell'aria, festa in ogni via.

Se per poco, che importa?

Nessuna offesa varcava la porta,

s'incrociavano grida ch'eran razzi.

La vostra gloria, undici ragazzi,

come un fiume d'amore orna Trieste.

(da “Il Canzoniere-vol.III, 1933-34)


La poesia è suddivisa in tre precisi momenti che corrispondono ognuno ad una strofa. Nella prima viene narrato il sentimento indescrivibile condiviso tra i calciatori e la curva, dove sono racchiusi i tifosi più appassionati. Nella seconda strofa viene paragonato il calcio alla guerra, con analogie tra il comportamento del portiere con quello di un soldato, ed il pericolo dell’azione avversaria con quello dell’attacco dei nemici. Nell’ultimo momento, invece, si celebra il pareggio della Triestina contro l’Ambrosiana e viene descritta la gloria che ammanta l’intera città.

In tutte e tre le strofe è presente un rimando all’analogia tra il calcio e la guerra: nella prima strofa, lo schieramento e il saluto; nella seconda, la vigilanza e l’allarme; nella terza, la vittoria e il festeggiamento.

Il calcio è, in questa prospettiva, rappresentato come una guerra stilizzata, che conserva i valori dell’identificazione con la propria terra, ma esclude dal proprio spazio l’orrore e la morte, quest’ultima metaforicamente associata alla sconfitta. L’analogia principale calcio-guerra, inoltre, si espande, generando una serie di metafore. Come il soldato, ad esempio, il calciatore può assaporare il suo momento di gloria nell’atto di salvaguardare la rete-trincea nel corso della partita-battaglia e, d’altra parte, come l’inviolabilità della porta equivale alla difesa dei confini minacciati, così l’atto eroico, il goal, non è mai fine a se stesso, bensì è sempre azione decisiva in favore della squadra-patria.

Dal punto di vista metrico la poesia è composta da tre strofe di sei versi l’una. Sono frequenti le inversioni, le similitudini e le metafore per evidenziare l’analogia tra il calcio e la guerra. Un’altra caratteristica ricorrente nel componimento e tipica del poeta è l’uso degli enjambemant, che rendono il brano scorrevole e piacevole.

GRUPPO CALCIO

FANCIULLI ALLO STADIO - Umberto Saba

Galletto

è quella voce il fanciullo; estrosi amori

con quella, e crucci, acutamente incide.


Ai confini del campo una bandiera

sventola solitaria su un muretto.

Su quello alzati, nei riposi, a gara

cari nomi lanciavano i fanciulli

ad uno ad uno, come frecce. Vive

in me l’immagine lieta; a un ricordo

si sposa – a sera – dei miei giorni imberbi.


Odiosi di tanto eran superbi

passavano la sotto i calciatori.

Tutto vedevano, e non quegli acerbi.

(da “Il Canzoniere-vol.III, 1933-34)


Umberto Saba nacque a Trieste il 9 marzo 1983. Fu un poeta e scrittore italiano. Realizzo e pubblico moltissime opere, tra cui il Canzoniere, una raccolta autobiografica di poesie. Tra queste ben cinque hanno come soggetto il calcio; Saba fu, infatti, un grande tifoso della Triestina, la squadra della sua città natale. Quella che ho analizzato è Fanciulli allo stadio; l’immagine descritto è quella dei ragazzini che vanno allo stadio ad incitare i loro bignamini, ma che non sono presi in considerazioni da questi.

L’opera è composta da 13 versi divisi in tre strofe: nella prima i fanciulli con la loro voce di galletto, immatura, vivono in completo abbandono e completa felicità, in completa sintonia con il mondo e con gli altri; il primo verso è trisillabo, al contrario di tutti gli altri che saranno endecasillabi; al verso 1- 2 è presente un’anastrofe, ovvero un’inversione delle parole, i verbi son al presente.

Nella seconda strofa, quella centrale formata da sette versi, Saba ricorda nella vecchiaia i bambini che come lui chiamavano a gran voce i calciatori che vedevano dalle tribune,i versi sono tutti endecasillabi; ai versi 4-5, 6-7,8-9,9-10 è presente la figura retorica dell’enjambement, ovvero delle divisioni soggetto-verbo da un verso all’altro; significativa è la similitudine del lanciare i nomi dei calciatori come scoccare delle frecce; i verbi sono ancora al presente.

La terza ed ultima strofa è formata di nuovo da tre versi;qui ai fanciulli si oppongono si oppongono i calciatori, gli adulti, indifferenti, superbi ed egoisticamente chiusi in se stessi; anche qua i versi sono tutti endecasillabi, significativo al verso 11-12 è l’enjambement; i verbi in questo caso sono al passato, simbolo di un ricordo del poeta triestino.

Il pallone nell'antica Roma

GRUPPO PALLAVOLO

Harapastum

L'harapastum, in italiano Arapasto, era un tipo di gioco atletico praticato dagli antichi romani. Esso prevedeva l'utilizzo di una palla di dimensioni simili a quella utilizzata attualmente nella pallamano.

La parola “Harapastum” deriva dal greco e in italiano significa propriamente “strappare, portare via con la forza”.

STORIA:

I romani conobbero questo gioco in Grecia, lo fecero proprio apportando qualche modifica alle regole dei greci. Era parte integrante dell'allenamento seguito dai gladiatori e venne praticato soprattutto dalle legioni che si trovavano ai confini dell'impero (vennero anche disputate partite tra i latini e le popolazioni autoctone).

REGOLAMENTO:

Riguardo all'arapasto non è disponibile documentazione attendibile delle precise regole di gioco in quanto non esistevano regole comuni. Il campo di gioco era costituito da spiazzi e piazzali con sabbia sul suolo. Il numero dei giocatori era variabile: si poteva giocare in 9 atleti contro 9 o 30 contro 30 e questo dipendeva dall'ampiezza del campo; l'importante è che le due squadre fossero di ugual numero. Per segnare bisognava oltrepassare una linea con la palla.

CURIOSITÀ :

Harapastum era anche il nome del tipo di palla sferica, piccola, dura e ripiena di lana o stoppa con la quale si praticava l'omonimo gioco che sembrava fosse alquanto violento. Infatti, durante le partite diversi atleti morivano mentre altri riportavano gravi ferite a causa degli scontri corpo a corpo.

Sphaeristerium

Lo Sphaeristerium (sferisterio in Italiano) era il luogo nel quale venivano praticati giochi che prevedevano l'utilizzo della palla.

STORIA:

Anticamente lo sferisterio era un locale annesso al ginnasio e alle terme.

STRUTTURA:

Il campo da gioco è costituito da un terreno piano rettangolare di 16 m per 86 m oppure di 18 m per 90 m in base ai giochi che venivano svolti.

Il campo è delimitato da quattro muri e poteva essere sia aperto che coperto.

GRUPPO BASKET

Gymnasium

Il ginnasio era un luogo ben preciso situato all’interno delle terme romane, luogo non solo di riposo ma anche predisposto di zone per l’esercizio fisico. Il Ginnasio era una palestra interna adibita allo sport, più precisamente all’allenamento.

Venivano praticate discipline a corpo libero come pugilato o la lotta per tutto l’anno, mentre durante l’inverno, a causa delle temperature più rigide, venivano praticate anche discipline di atletica leggera. Possiamo perciò affermare ginnasio è un antenato dell’attuale palazzetto dello sport, un luogo chiuso, dove si svolgevano gli allenamenti sportivi.

Ginnasio di Sardis, Turchia

Trigon

In qualche modo possiamo definirla la palla antenata di quella da basket. Era la più dura disponibile all’epoca dei romani; era composta da crine di cavallo intrecciate che ne garantivano la robustezza e una particolare propensione ad essere scagliata con forza.

L’impiego era invece diverso, il tirigon dava il nome anche alla disciplina che si praticava con questa palla che ora potremmo definire come il gioco dei tre cantoni: quando sono tutti pronti, uno dei giocatori getta la palla a un compagno che la respinge con la mano aperta, e si continua così fino a che uno di loro non la fa cadere. Dopo di che si ricomincia da capo

Aliptes

Erano gli schiavi addetti alla preparazione atletica.

Essi erano soliti ungere i corpi dei lottatori prima della lotta o degli incontri di pugilato e a praticare dei massaggi per migliorare le prestazioni degli sportivi.

GRUPPO CALCIO

Il gioco del pallone nell'antica Roma e Grecia

L'espressione "gioco del pallone" si riferisce a una serie di sport simili tra di loro, chiamati anche sport sferistici, diffusissimi in Europa prima dell'avvento degli sport britannici e quindi comprendenti tutti gli sport attuali e tutti i giochi in cui venga impiegata una palla o un pallone.

L’invenzione del gioco della palla fu dagli antichi attribuita o ai Lidi o agli Spartani, forse perché era specialmente in uso presso quei popoli. Fu particolarmente amato in Grecia, come si desume dal libro VI dell’Odissea (gioco di Nausicaa con le compagne), che rappresenta il più antico ricordo che se ne abbia. I monumenti dell’arte figurata e alcune pitture vascolari dimostrano l’interesse che gli artisti ateniesi ebbero per la grazia dei movimenti che questo gioco metteva in evidenza.

I Romani, pur considerandolo di origine greca, praticarono anch’essi con passione il gioco della palla, mentre i medici lo raccomandavano come esercizio igienico. Si usava infatti giocare a palla prima del bagno.

Sebbene ci siano pervenute poche informazioni in proposito, conosciamo alcuni nomi, ma non le regole. Di quel periodo ci rimane un'iscrizione nell'abbazia di Fiastra, che ricorda un Publio Petronio Primo lusor folliculator ossia giocatore di piccola palla. Molti documenti ricordano i pilicrepi, ossia giocatori di palla che erano soliti ritrovarsi, in età imperiale, nello sphaeristerium (da cui è derivato il nome sferisterio dato ancora oggi a molti campi di gioco del pallone), solitamente costruito all'interno delle terme, oppure nel campus.

Mosaico del III secolo d.C. raffigurante ragazze coinvolte in varie attività sportive; Piazza Armerina, Sicilia

Il gioco del pallone aveva anche celebri interpreti; infatti, Svetonio racconta che lo stesso imperatore Augusto vi giocava: «Al termine delle guerre civili rinunciò agli esercizi militari dell'equitazione e delle armi e, inizialmente si diede al gioco di palla e pallone.» (Svetonio, Augustus, 83.)

Tra i nomi tramandati di giochi antichi troviamo il folliculus che veniva praticato con l’uso delle manie delle braccia, soprattutto dai bambini, i quali per giocare si servivano di una palla di pelle conciata piena d’aria, chiamata anch’essa folliculus. Sembra che sia stato Attico Napoletano, l’allenatore di Pompeo Magno, ad aver inventato per lui questo pallone che aveva la capacità di rimbalzare a terra o contro un muro.

Sulle regole si possono fare soltanto supposizioni. Probabilmente all'inizio era solo una sequenza di palleggi, ma non sappiamo quale fosse lo scopo del gioco. Divenne probabilmente un gioco di finte e di strategie per superare l'avversario, fino a quando fu stabilita la regola secondo la quale per vincere bisognava rinviare la palla oltre i limiti del campo.

Altri giochi erano: l’apòrraxis che consisteva nel lanciare la palla a terra o contro la parete e prenderla al rimbalzo; l’uranìa che consisteva nel mandare la palla più in alto possibile, la trigona in cui i giocatori si disponevano a triangolo, l’epìskyros, in cui i giocatori si dividevano in due campi delimitati da linee (simile all’attuale rugby), e il pulverulentum in cui si cercava di far passare la palla attraverso una folla di concorrenti (chiamata così per il polverone che si sollevava durante lo svolgimento della gara).

Alcuni storici ipotizzano che il gioco del pallone ebbe un’origine sacra. Infatti si ritiene che avesse la funzione di sostenere e nutrire, attraverso la fatica e il sacrificio dei giocatori, il movimento del Sole.