di Luca Sorrenti

Tarrafal: il campo della morte lenta

"Chi viene a Tarrafal viene per morire"

(Manuel dos Reis, direttore del campo)

In una delle parti più inospitali dell'isola di Santiago, nell'arcipelago di Capo Verde, il governo portoghese istituì nel 1936 la Colonia Penale di Tarrafal. Nell'Estado Novo, la dittatura reazionaria e fascistoide di Antonio Salazar, non c'era spazio né per i dissidenti politici né per qualunque tipo di opposizione e disordine. Il campo di prigionia di Capo Verde, direttamente sotto controllo della polizia politica PVDE (poi PIDE), era destinato a quei prigionieri giudicati “irrecuperabili”, soggetti pericolosi da allontanare preventivamente dalla società. Nonostante infatti la sua denominazione ufficiale fosse quella di “colonia penale”, la particolarità di questo campo era data dal fatto che molti dei detenuti non avessero ricevuto nessuna condanna ufficiale, per quanto i sommari processi tenuti dai tribunali speciali, istituiti dal governo di Salazar, non rappresentassero comunque nessuna garanzia di equità e giustizia. In uno stato di eccezione giuridica, molti detenuti rimasero reclusi per anni anche dopo aver scontato la propria pena ed alcuni furono trasferiti a Tarrafal, da altre prigioni, al termine della propria condanna.

Tra i primi 152 prigionieri ad arrivare, il 29 ottobre del 1936, 34 erano marinai membri dell'ORA (Organização Revolucionária da Armada) che avevano partecipato alla famosa Revolta dos Marinheiros, uno degli unici tentativi di rovesciare la dittatura prima della riuscita rivoluzione del 25 aprile 1974. Tra gli altri detenuti c'erano sindacalisti, comunisti e anarchici implicati nello sciopero insurrezionale del 18 gennaio 1934 ed in generale membri delle organizzazioni operaie e militanti politici contrari al regime. Con le deportazioni a Tarrafal avvenute tra il 1936 e il 1938 il governo salazarista inflisse un duro colpo alla resistenza alla dittatura. Tarrafal rappresentava il volto più duro del sistema carcerario dell'Estado Novo e la prigionia dei dissidenti politici doveva servire anche da monito per chiunque avesse pensato di intraprendere una qualche forma di opposizione al regime.

Le condizioni nel campo erano pessime. Il clima tropicale era caratterizzato da un caldo insopportabile e da un'umidità elevatissima che rendevano l'aria quasi irrespirabile. La disciplina era ferrea, il cibo scarso e le condizioni di lavoro estenuanti. Una delle punizioni preferite dai carcerieri era la cosiddetta frigideira (la padella), un parallelepipedo di cemento armato vuoto e senza finestre nel quale si poteva essere rinchiusi anche più di un mese, senza possibilità di trovare riparo dal terribile caldo diurno e in un regime alimentare estremamente scarso. Forme di violenza fisica e psicologica erano quotidiane e studiate per indebolire progressivamente i detenuti, che erano spesso deliberatamente lasciati senza medicamenti o esposti alle punture della zanzara anopheles, insetto vettore della malaria. La morte dei detenuti era così attribuita a cause “naturali” svincolando i carcerieri da ogni responsabilità, dal momento che la legislazione nel Portogallo membro della NATO, non prevedeva la pena di morte. Un'altra sadica punizione che veniva messa in atto era quella della cella di isolamento detta ironicamente holandinha, dal fatto che l'Olanda costituiva una delle mete d'emigrazione preferite dei capoverdiani. L'holandinha era una piccola cella di novanta centimetri per novanta ed un'altezza di un metro e sessantacinque, costruita vicino alle cucine sia per rendere la temperatura insopportabile che per torturare psicologicamente l'incarcerato con i profumi del cibo che gli veniva negato.

Nel 1954, dopo diciassette anni di attività, il campo chiuse e riaprì solo all'inizio degli anni '60, quando iniziarono a fiorire le lotte anticoloniali ed i movimenti di liberazione nazionale nei paesi sotto dominazione coloniale portoghese. Il Campo de trabalho do Chão Bom, come fu rinominata la prigione, venne quindi utilizzato per internare circa 238 oppositori politici, tra cui lo scrittore angolano José Luandino Vieira, e rimase aperto fino al 1 maggio del 1974, dopo la Rivoluzione dei Garofani e la caduta dell'Estado Novo.

La particolarità giuridica ed il fatto che molti degli internati fossero reclusi in “detenzione preventiva” è ciò che più accomuna Tarrafal ad i campi di concentramento in uso agli altri grandi regimi del Novecento. Va ricordato che, a differenza di questi ultimi, l'Estado Novo non faceva ricorso ad una retorica totalitarista di massa, non amava gli assembramenti e le grandi manifestazioni popolari. Salazar voleva piuttosto il mantenimento dello status quo e privilegiare gli aspetti di una artificiosa tradizione portoghese, fatta di vita campestre e frugale ed una cieca obbedienza ai dogmi della religione cristiana. Un mondo ideale in cui non vi era posto per gli oppositori politici, che dovevano silenziosamente sparire senza diventare martiri. La quiete e la tranquillità in Portogallo andavano preservate ad ogni costo, ed è per questo che un ruolo fondamentale era ricoperto dalla polizia politica, che potendo contare su di una fitta rete di informatori si assicurava un controllo sulla società basato sul timore e la diffidenza. Il campo di Tarrafal rappresentò per anni la risposta ideale alle esigenze del regime, trasformandosi nell'incubo degli oppositori e scoraggiando chiunque volesse intraprendere una resistenza.