28 luglio 2020

Per fare Bach, ci vuole la Pasiòn

Era il 1727 quando Johann Sebastian Bach si presentava ai fedeli della Thomaskirche di Lipsia con la sua “Passione secondo Matteo”, BWV 244. Un’opera imprescindibile, per chiunque volesse, e ancora voglia assaporare il genere classico un briciolo in profondità. Mastodontica, con il suo organico per voci soliste, doppio coro e doppia orchestra. Interminabile. Quasi tre ore di musica, a conti fatti. Enciclopedica, per la sua capacità di mostrare l’assoluta maestria a cui il compositore era giunto, dopo anni e anni di padronanza e “gioco” con tutto il suo materiale musicale. Con tale capolavoro, Bach mostrava di saper smuovere gli animi attraverso note e parole, piantando un solidissimo paletto sul cammino della Storia della musica. Egli sarebbe poi morto nel 1750, dopo aver innalzato una palizzata sonora, a suon di gemme una in fila all’altra.


Siamo invece ora al 1996, quattro anni prima del duecentocinquantesimo anniversario della morte dell’autore. A Stoccarda, la Internationale Bachakademie sta cercando il modo migliore per celebrare questo importante traguardo. Si decide di procedere con un progetto a nome “Passion 2000”. Lo scopo è affidare a quattro illustri del mondo musicale la composizione di un omaggio. Due direttive. Una Passione, un testo, quello dei capitoli 26 e 27 del Vangelo di S.Matteo. Per il resto, carta bianca.

I nomi dei “Fantastici Quattro” fanno impressione solo a sentirli. Non parliamo di quando poi si leggono i curricula. Wolfgang Rihm, Sofia Gubaidulina, Tan Dun e Osvaldo Golujov. Sui primi tre sorvoleremo, nostro malgrado, in questa sede, ma ci concentreremo sull’ultimo. E in particolare, parleremo della sua “Pasiòn segùn San Marcos”.

Della varietà di nazionalità presenti sull’identikit di Osvaldo Golijov non bisogna affatto stupirsi. Anzi, a posteriori ritengo sia un elemento che abbia forgiato in maniera fondamentale il suo linguaggio, e chiaramente riscontrabile nel suo stile compositivo. Nato in Argentina da madre rumena e padre ucraino emigrati in Israele, trova infine casa negli Stati Uniti, dove collabora con molti grandi nomi del cinema, tra cui anche Francis Ford Coppola. Nel Novantasei riceve la commissione citata prima con riluttanza, quasi non capendo, trattandosi essa di un’opera cristiana ed essendo lui ebreo. Sulle prime è addirittura intenzionato a rifiutare l’offerta. Invece, la svolta.

Aspetta due anni prima di accettare l’incarico. Due anni trascorsi non a vuoto, ponendosi domande esistenziali, ma anzi, spesi tra documentazioni e letture, per apprendere della tradizione cattolica e del Nuovo Testamento (ricordiamolo, di importanza secondaria nella tradizione Giudaica). Dopodiché si mette al lavoro, riversando nella composizione uno spirito eclettico semplicemente dirompente.

L’organico a palcoscenico è spaventoso. Coro sacro di minimo cinquantaquattro voci, di cui almeno otto devono interpretare anche parti solistiche, una sezione di percussioni immensa, chitarra, tres, fisarmonica, pianoforte, cajòn, contrabbasso ed effetti sonori, più due trombe, due tromboni, dodici violini, dodici violoncelli e quattro bassi elettrici. Inoltre è anche necessario un danzatore. Golijov scrive appositamente per Maria Guinand, gigante del mondo corale e direttrice di fama internazionale, la Schola Cantorum de Venezuela e l’Orquesta La Pasiòn. I testi, oltreché dalla narrazione di Matteo, sono tratti pure dal Kaddish, una delle più antiche preghiere ebraiche, dai Salmi, dalle Lamentazioni di Geremia e da alcuni testi dell’autrice galiziana Rosalìa de Castro.

La “Pàsion segùn San Marcos” è divisa in trentaquattro sezioni, tutte numerate e titolate, e dura all’incirca novanta minuti. Poco più della metà della lunghezza dell’opera bachiana. Narra una storia già di per se cruda, violenta, altamente emozionale come il percorso di sofferenza di Nostro Signore, ma aggiungendo il carico drammatico di diversi, innumerevoli generi artistici. Teatro, Dramma, Opera, Sinfonismo, Jazz, Gospel, Klezmer, Danze tribali Africane, balli Latino-Americani. Si possono trovare persino richiami ai melismi religiosi dei Mujaheddìn della sfera Islamica. E’ paragonabile quasi, concettualmente, a una sinfonia di Mahler. Sembra esserci il mondo all’interno. Esplica in un’ora e mezza la vita intera del compositore, toccando ogni singolo anfratto della sua formazione umana e artistica, e caratterizzando ogni angolo di mondo citato alla perfezione.

La partitura è accattivante persino nello stile grafico, e nel contenuto delle sue indicazioni. Prevede, come già detto, una coreografia, essenziale, quasi minimal, ma ugualmente densa di significato, movimenti combinati dei coristi e particolari atteggiamenti nei confronti del testo. Chi prende parte all’esecuzione non si limita solamente a suonare, cantare, danzare, dirigere o ascoltare, ma può e deve inserire qualcosa di proprio per condire il tutto. Un’espressione che assecondi il significato delle parole, uno spunto d’improvvisazione, un passo di danza in un momento incalzante. La musica trascina con forza all’interno del vortice di emozioni che la narrazione della Passione offre, costringendoti a inserire nel tuo bagaglio un nuovo modo di concepire la sofferenza.

E’ una produzione a dir poco sbalorditiva per il suo tono altamente innovativo. Si dice che nel corso delle prove a Stoccarda, precedentemente la prima, l’Akademie non avesse capito si trattasse di una Passione, tanto il carattere era diverso dal canone europeo per un pezzo sacro. Quel che è certo però, è che la Pasiòn fece breccia immediatamente nel cuore del pubblico tedesco. Il 5 settembre 2000, in occasione della prima mondiale, le fu tributata una standing ovation di venticinque (e ripeto, venticinque) minuti. Roba da annali.


Il mio personalissimo plauso alla Pasiòn è andato ben oltre I venticinque minuti. A dire il vero, credo di non averlo ancora terminato. Senza ombra di dubbio essa ha rappresentato la mia più sorprendente scoperta musicale dell’anno passato. Ricordo distintamente che il primo ascolto sia stata la prima volta dopo moltissimo tempo, e non esagero, in cui mi sia ritrovato ad assecondare con il corpo l’andamento musicale (espressione tipicamente borghese per “ballare sulla sedia”). Solo dopo un po’ di tempo mi sono reso conto di quello che stava succedendo. Stavo ballando su un brano che descriveva il tradimento del Signore ad opera di Giuda (sfido chiunque ad ascoltare gli stralci XI e XII e a rimanere immobili). Incredibile.

Incredibile, secondo me, come il fatto che non sia salita immediatamente alla ribalta mondiale. Nel 2011 Gonzalo Grau, compositore Venezuelano e grande amico di Golijov, vince l’ “European Composers’ Prize for the city of Berlin” con un arrangiamento della “Pasiòn segùn San Marcos”. Una suite in sei movimenti per due pianoforti e orchestra, intitolata “Nazareno”. Tanto è geniale tale rivisitazione, e senza ombra di dubbio anche tanto più semplice da imbastire, che “ruba la scena” al capolavoro originale. A distanza di dieci anni è molto più facile trovare in esecuzione la prima della seconda, così come è molto più facile sentir parlare di una anziché dell’altra. Naturalmente si scherza sul rubare la scena. Bisognerebbe ringraziare che ciò sia accaduto, specialmente perché adesso abbiamo due meraviglie musicali, e non una “soltanto”.

Per una volta, seguite il consiglio di un perfetto sconosciuto, Signor Nessuno, e fidatevi di lui. Prendetevi un paio d’ore e godetevi questa perla. Anzi, queste due perle. Date modo a Osvaldo Golijov, e anche a Gonzalo Grau, di presentarsi a voi. Sono certo che anche il Meister Bach in persona sarebbe affascinato. Sentiremo parlare molte altre volte di questi due Latini Volanti nei prossimi anni, ne sono sicuro.


Buon ascolto…!


Tommaso Nista

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