10 luglio 2020

Il punto, fermo ma non più di tanto


Stream of consciousness sconclusionato, ore 00.49, 10 luglio 2020.


Il seguente pezzo nasce, per una volta, da una totale assenza di stimoli di un cervello in vacanza, che almeno per un po’ non si vuole ancora scuotere. Da una perenne indecisione sull’argomento da trattare, durata giorni. Talmente profonda da avermi infine spinto a ragionare proprio su di essa.

Provando a buttare giù qualche idea non ero assolutamente soddisfatto del risultato, e in definitiva ho deciso di affrontare la mia insoddisfazione, ponendola all’attenzione del lettore. La cosa giusta da fare, e che avrei voluto, sarebbe stata il mettere un punto e passare al prossimo articolo.

Trascrivere senza freni è stata una novità totale. Non so se abbia funzionato in maniera convincente, ma ho preso la decisione di inserire tutto quanto, non alterare nulla e semplicemente lasciarmi piovere il risultato addosso.

Con la speranza che non sia stata pioggia acida,...


La vita di tutti noi, è inutile negarlo, è segnata dall’indecisione. Cosa mangiare la mattina, cosa indossare, dire o non dire esattamente quello che pensiamo a qualcuno che ci piace o che ci tedia terribilmente. Dare esami, non darli, andare in vacanza o risparmiare per accontentare, ogni tanto, un nostro piccolo capriccio. Viviamo in un continuo limbo annuvolato di dubbi e decisioni affrettate. Tutto è riempito, condensato, debordante di informazioni che ci saturano il cervello. E si perde il gusto di ponderare con calma, e di riflettere, e di decidere anche chi ascoltare perché meritevole, e chi non considerare in quanto “contaminato” da variabili esterne.

L’importanza della decisione, ben ponderata e definitiva, dovrebbe essere una questione da trattare in ogni percorso formativo che si possa definire tale. Tutto ciò che siamo o possiamo diventare, ogni esperienza, sogno o progetto è frutto di una decisione, di un processo psicofisico importante. E nessuno ci spiega, o quanto meno, nessuno l’ha mai fatto con me, che per quanto si possa essere indecisi, riflessivi, titubanti, mettere un punto fermo a ogni nostro processo costruttivo è fondamentale.

Configurazione grafica del segno di interpunzione. Quello che chiude tutte le nostre frasi, per intenderci. Esso forma uno sbarramento. E’ il simbolo della compiutezza, della definizione finale di un concetto. Eppure non è uno stacco finale e decisivo. Dopo di esso il procedimento può continuare, e anzi, spesso si dilunga ancora di più che in precedenza, con nuovi spunti, esempi ed esposizioni. E’ sì uno spazio ove fermarsi, per ricontrollare ciò che già è stato espresso, ma offre anche un’occasione per andare avanti nel ragionamento, correggere o modificare imperfezioni e limare smussature.

Se ci pensiamo, l’uso del punto a fine frase, così come del resto dei segni di interpunzione. ci viene insegnato fin da bambini, ma nel corso della crescita lo perdiamo completamente. Per quanto mi riguarda, almeno a livello elementare, il mancare di concludere un pensiero scritto con un punto avrebbe inevitabilmente causato un bel rimprovero da parte della maestra. Diventando grandicello poi mi sono accorto che non solo esso sia diventato desueto, ma anzi, lo sia divenuto a tal punto che ormai trovarlo, in un messaggio o in un testo qualsiasi, insospettisca. Quasi dia fastidio. A dimostrazione del fatto che mettere un punto, fermo o meno che sia, ci indisponga in qualche modo.

Riflettiamoci. Quante volte abbiamo temuto parole non dette, ripercussioni inaspettate o significati nascosti dietro un messaggio terminante con un punto? Io moltissime. Un “oggi non ci vediamo” non ha lo stesso carico perentorio di un “oggi non ci vediamo.”, dico bene?

Sono convinto che la stragrande maggioranza degli scritti in circolazione, specialmente quelli informali, siano del tutto privi, o quasi, di punteggiatura, proprio perché oggi bisogna fare il maggior numero di cose nel minor tempo possibile, e allo stesso tempo lasciare tutto aperto e indefinito, mai delineando nulla. Quanti progetti abbiamo in sospeso, imballati per anni in scatole di mancanza di tempo o voglia. Bisogna sempre essere in balia della fretta, degli eventi con cui coloriamo la nostra vita fino a perdere il senso della calma. Bisogna fare, sapere, esprimere tutto e subito, nel minor spazio possibile. Non c’è più posto per una virgola tra due frasi, per un respiro in mezzo a due parole. Permane un senso di dubbio, di aleatorio, di insicuro. Procrastiniamo, deleghiamo ed evitiamo continuamente responsabilità e pensieri, e occupiamo ogni momento con impegni che ci impediscono di prenderci il giusto tempo con noi stessi, per assumere con coscienza le nostre decisioni. Conosciamo fin troppo a fondo la sintesi, ma dove è finita l’analisi?

E’ molto più semplice mantenere aperta una conversazione, un ragionamento, aborrendo i punti finali. Non in tutti i casi ciò rappresenta un problema eh, intendiamoci. Quello che intendo dire non è che sempre sia giusto interrompere uno sviluppo. Ma di certo non è corretto non farlo mai. E, allo stesso modo, non voglio dire che il dibattito sia da scoraggiare, anzi, vale l’esatto opposto. Ma se il dibattito, lo stallo, l’equivalenza delle parti in causa non raggiunge un compromesso finale, le conseguenze, prima su tutte il tempo trascorso nell’intermezzo di tale situazione, possono risultare gravissime. Sembra quasi di essere inseguiti costantemente da un mostro a fauci spalancate, che attenda l’attimo in cui finiamo il fiato per saltarci addosso.

Un esempio chiaro a valore di ciò è la recente vicenda, ricca di contrordini e variazioni in corso d’opera, degli esami di maturità 2020. Prima non si fanno, poi si fanno, ma online, poi si fanno in presenza ma a distanza. E il sistema di votazione rimane invariato, anzi no, lo correggiamo, poi nemmeno, lo rivoluzioniamo proprio. E sul rientro sui banchi, non solo a scuola, ma anche negli Istituti di Alta Formazione Musicale e Artistica, il delirio. Non prima del 2021, ma forse a settembre 2020 scaglionati, oppure alcuni rientrano e altri stanno a casa, o ancora si ritorna sui banchi, ma anche di pomeriggio, sabato, domenica, Natale e Capodanno. Mentre si discute da mesi, alcuni già hanno riaperto in barba alle disposizioni, altri invece lo hanno fatto a regola d’arte, ma vengono tartassati da burocrazie e ostruzioni barbare. E gli studenti hanno sopportato un totale disinteresse delle istituzioni verso l’incertezza galoppante, una confusione generale su contratti e calendari accademici sinceramente sconcertante, nonché, in certi casi, una palese violazione del diritto allo studio. Dov’è la sicurezza, il muro portante o la colonna a cui appoggiarsi?


Ci sono diversi fattori che rendono la presa di posizione definitiva quantomeno vantaggiosa.

Numero uno. Concedere ai diretti interessati eventuali lo spazio per operare e adeguarsi. Se si dibatte troppo a lungo su un disegno di legge senza approvarla definitivamente, ad esempio, non si dà modo ai destinatari di programmare adeguatamente il futuro.

Numero due. La possibilità di guardarsi indietro e dirsi: “Questo lo rifarei, è stata una grande idea”, oppure “Mai più”, e ricominciare da capo con una nuova frase. Darsi l’opportunità di sbagliare, ovvero di vivere la massima espressione dell’apprendimento umano.

Tre. Darsi obiettivi, a medio e lungo termine. Tappe fondamentali, target che rendano memorabile il percorso e indimenticabile la soddisfazione di averli conseguiti.

Quattro. Eliminare il superfluo, cancellare l’obsoleto e concentrarsi sull’essenziale senza pressioni.


Passa spesso il messaggio che se un qualcosa ci mette ansia o paura, la cosa migliore sia non pensarci, fare altro. Domanda. Ma non sarebbe meglio invece pensarci con un po’ di calma e tempo in più, applicandocisi? Magari sul divano, con una bevanda fresca in mano e qualcuno a cui teniamo con cui parlarne? Perché fuggire una decisione finale quando tutti, e ripeto, tutti, siamo perfettamente in grado di discernere per il meglio? Cosa ci spinge ad abbandonare il dialogo con noi stessi, invece che cercarlo più di frequente, a non darci delle risposte, giuste o sbagliate poco importa, restando sempre nel caos dei nostri pensieri?


Così tante domande, così nessuna risposta. Accidenti, quanta nessuna. Sono sinceramente dispiaciuto. Però avevo avvertito nel titolo. Il punto è fermo, ma mai più di tanto.


Tommaso Nista



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