17 luglio 2020

L'importanza della solitudine

Quest’anno, a causa della pandemia di Covid19, tante persone si sono ritrovate a passare molto tempo da sole, senza poter uscire di casa e senza poter vedere i propri cari se non attraverso uno schermo. Il lockdown, per questo motivo, è stato anche un’opportunità per fare ciò per cui non si trova mai il tempo e per riscoprire com’è stare soltanto con sé stessi. Al giorno d’oggi, infatti, la solitudine viene molto sottovalutata: abbiamo sempre bisogno che qualcuno ci accompagni in vacanza, ai concerti, al ristorante; giudichiamo le persone in base a quanti seguaci hanno su Instagram e al numero di persone che taggano nelle proprie stories; se qualcuno decide di passare il sabato sera a casa da solo invece che in compagnia viene subito etichettato come uno sfigato. L’uomo è, senza ombra di dubbio, un animale sociale e senza i propri simili non riuscirebbe a vivere, eppure il tempo che si passa in compagnia di sé stessi è tanto importante quanto quello trascorso assieme agli altri ed è insostituibile. Bisogna fare attenzione, tuttavia, a non confondere la solitudine con l’isolamento: infatti, come ha affermato lo psicoanalista Massimo Recalcati, nella prima il soggetto torna presso di sé mentre il secondo è un arroccamento difensivo rispetto al mondo; la solitudine, inoltre, è produttiva e generativa e, soprattutto, è una scelta grazie alla quale si recupera il contatto con sé stessi, mentre l’isolamento è involontario e ha effetti più dannosi.

Nonostante ciò che si pensa oggi, in passato, fra letterati e intellettuali, la solitudine ha sempre goduto di un’alta considerazione: uno dei primi ad elogiarla è stato Epicuro, un filosofo di età Alessandrina, che aveva come motto λάθε βιώσας (vivi nascosto), poiché riteneva che la vita ideale per l’uomo non fosse attiva e partecipe alla politica, che era considerata un “inutile affanno”, bensì serena e appartata. Nell’Italia del ‘300 è stato un poeta celebre come Petrarca che ha ricordato, nel suo sonetto Solo et Pensoso, quanto fuggire nei campi più deserti, lontano dai luoghi segnati dalla presenza umana, possa dare conforto. Egli affermava che ormai quei paesaggi comprendevano il suo dolore e i suoi tormenti meglio degli uomini stessi, tant’è che, in questa poesia, la natura circostante rispecchia perfettamente i sentimenti del poeta. Secoli dopo, la solitudine è stata lodata anche da Goethe, uno dei precursori del Romanticismo, nel suo romanzo d’esordio, I Dolori del Giovane Werther: il protagonista di quest’opera è caratterizzato da una forte inquietudine e da un animo estremamente volubile che lo spingono a cercare rifugio nelle campagne attorno al paesino dove abita. Werther afferma, infatti, che la città stessa non è per nulla piacevole, nei dintorni invece la natura è di una bellezza indicibile e “[…] la solitudine in questo luogo paradisiaco è un balsamo prezioso per il mio cuore”. Egli, tuttavia, non era l’unico che trovava nella natura e nello stare da solo una medicina contro i propri affanni: durante l’Ottocento, in lui si è rivista un’intera generazione di poeti e letterati del calibro di Wordsworth e Thoreau. Il primo è considerato uno fra i più importanti poeti della letteratura Romantica inglese; le sue odi e i solo sonetti sono ricchi di riferimenti ai paesaggi che lo circondavano: nella sua celeberrima poesia The Daffodils, ha scritto che vagava solitario come una nuvola e ha presentato la natura come un mondo idilliaco, contrapposto a quello di città, come una fonte d’ispirazione fondamentale per un artista e come un motivo di gioia a cui pensava quando era solo. Infatti, nonostante la poesia abbia come io lirico lo stesso Wordsworth, è proprio la natura la vera protagonista: gli elementi del paesaggio sono estremamente attivi, danzano, tremano, brillano e hanno un’enorme influenza sull’animo del poeta. Henry D. Thoreau, invece, è stato un filosofo statunitense, famoso soprattutto per la sua opera Walden, nella quale ha narrato la sua fuga dalla società e la ricerca di sé stesso attraverso il contatto con la natura: egli, infatti, aveva vissuto due anni, due mesi e due giorni nei boschi, sulle rive del lago Walden, e, nell’opera, ha descritto com’era stata la sua vita, focalizzandosi sul rapporto con la natura e sulle proprie condizioni di povertà materiale. Il libro ha avuto un enorme successo poiché criticava la modernizzazione delle metropoli americane e le convenzioni sociali moderne da cui l’autore voleva fuggire e perché, contrariamente a quanto si poteva pensare, dimostrava come si potesse vivere anche senza tutti i comfort e condurre una vita semplice ma felice e libera. L’opera ha anche ispirato Christopher McCandless, un giovane statunitense meglio conosciuto come Alexander Supertramp, dalla cui storia è stato tratto il film Into the Wild di Sean Penn. Come Thoreau, anche Alexander aveva abbandonato la sua vita e il suo status ricco e agiato per attraversare a piedi gli Stati Uniti, senza soldi né passaporto, e per giungere in Alaska. La natura sconfinata e selvaggia lo rendeva davvero felice, ma è stata anche la causa della sua morte, in quanto Alexander ha perso la vita mangiando delle bacche velenose. Storie come questa mostrano, tuttavia, quanto da soli non ci si possa bastare e quanto sia importante, al contempo, avere attorno a sé persone che possano aiutare nei momenti di necessità e con cui condividere la propria vita, per ricevere consigli e, soprattutto, migliorare e crescere come persone.

Durante il tour del suo album Anime Salve, nel 1996, il cantautore Fabrizio de André si prese un attimo, tra una canzone e l’altra, per esprimere la sua opinione riguardo alla solitudine, tema principale dell’opera; questo discorso affascinò fin da subito il pubblico tant’è che prese il nome di Elogio della Solitudine e che, cinque anni dopo, fu inserito nell’album postumo Ed avevamo gli occhi troppo belli. Queste furono le sue parole, e non avrebbe potuto trovarne di migliori: […] Però, sostanzialmente quando si può rimanere soli con sé stessi, io credo che si riesca ad avere più facilmente contatto con il circostante, e il circostante non è fatto soltanto di nostri simili, direi che è fatto di tutto l’universo: dalla foglia che spunta di notte in un campo fino alle stelle. E ci si riesce ad accordare meglio con questo circostante, si riesce a pensare meglio ai propri problemi, credo addirittura che si riescano a trovare anche delle migliori soluzioni, e, siccome siamo simili ai nostri simili credo che si possano trovare soluzioni anche per gli altri. Insomma, stare da soli con sé stessi può davvero giovare alla propria vita, aiutare a riflettere e a comporre opere d’arte magnifiche; non bisogna dimenticare, tuttavia, che a lungo andare può far male e che il contatto umano è fondamentale, tanto quanto la solitudine, poiché, nonostante possa provocare dolore, è anche la più grande fonte di gioia. Sempre nel film Into the Wild, il protagonista afferma che la felicità è reale solo quando viene condivisa: può sembrare contraddittorio con il messaggio del film e con gli ideali di Alexander, ma è proprio nella solitudine che si scopre che, in fondo, sono le relazioni intessute con gli altri che determinano chi si è veramente e che costituiscono i momenti migliori della propria esistenza, senza i quali la vita non avrebbe alcun sapore.

Caterina Sartori

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