26 giugno 2020

Ciò che non abbiamo mai avuto e che non avremo mai

Saudade è, fra le parole della lingua portoghese, una delle più famose e particolari, e il motivo è, senza ombra di dubbio, la sua intraducibilità: significa, infatti, "nostalgia per qualcosa che non si ha mai vissuto". La sola esistenza di questo termine mostra quanto, spesso, ciò che non si è mai provato sulla propria pelle attragga, molto più di ciò che si è effettivamente sperimentato. La nostalgia, però, non è l’unico sentimento che il “non vissuto” ispira: per natura, l’uomo è attratto da ciò che non possiede e da ciò che non potrà mai avere. Lo sapevano bene i poeti e i pensatori dell’Ottocento: uno dei termini chiave del Romanticismo è proprio Sehnsucht, una parola tedesca che esprime la ricerca di qualcosa che si sa essere irraggiungibile. Eppure, sia prima che dopo l’Ottocento, in letteratura lo struggimento per l’inottenibile è stato un tema molto diffuso: a chi non è mai capitato, in fondo, di viaggiare con la fantasia, di immaginarsi cosa sarebbe potuto succedere e provare nostalgia per eventi che non sono mai accaduti; o di inseguire un sogno, un amore anche se irrealizzabile?

Ciò che non abbiamo avuto e che non potremo mai avere, infatti, esercita sugli uomini un fascino a cui è difficile resistere, proprio per la sua ineffabilità, e questo sin dai tempi più antichi: uno dei miti più famosi del mondo Greco e che, in seguito, è diventato proverbiale è quello del supplizio di Tantalo. Questi, infatti, fu punito dagli dei per la sua tracotanza e, una volta nell’Ade, fu circondato da cibo ed acqua ma, non appena allungava le mani per mangiare o bere, ciò che tentava di raggiungere di allontanava da lui. La fortuna di questo mito è arrivata anche al giorno d’oggi, tant’è che, per antonomasia, si definisce Tantalo una persona che cerca di ottenere qualcosa di inarrivabile. Sempre nell'Antica Grecia, il filosofo Platone espresse la sua concezione dell’Amore attraverso le parole di Socrate in una delle sue opere più famose, il Simposio. Disse che questo sentimento partiva dall’insufficienza, la quale poteva essere colmata solo dal proprio amante, ed era, dunque, un tendere verso, una ricerca della totalità e di una via per elevarsi. Inoltre, il dio Eros, per natura, desiderava qualcosa che non aveva ma di cui aveva bisogno e, per la sua incompletezza, fu definito un demone, una via di mezzo fra gli uomini e gli dèi, poiché solo questi ultimi erano davvero finiti e perfetti. In seguito, nel I secolo a.C., il poeta latino Orazio, in una delle sue Satire, affermò che tutti gli uomini si lamentavano della propria condizione e che avrebbero voluto cambiarla: infatti, il soldato avrebbe voluto essere un mercante e viceversa; l’avvocato avrebbe fatto volentieri cambio con un contadino; il contadino reputava felici solo quelli che abitavano in città perché non avevano, come lui, un lungo viaggio da compiere ogni volta. Tuttavia, Orazio si chiese, al contempo, se questi uomini sarebbero stati effettivamente felici qualora gli dèi li avessero accontentati e rispose che, se avessero avuto la possibilità di avere la vita che desideravano, tutti questi avrebbero rifiutato. La soluzione alla loro insoddisfazione era, dunque, cercare una via di mezzo, un modus in rebus, che permettesse di godersi ciò che si aveva senza desiderare nient’altro. Quasi due millenni dopo, fra Settecento e Ottocento, Giacomo Leopardi riconobbe l’importanza di ciò che non si possiede (ancora) e di quanto riesca ad influenzare le vite degli uomini: nella sua celeberrima poesia Il Sabato del Villaggio egli affermò che il piacere, in realtà, stava nell’attesa del piacere stesso: gli abitanti di un paesino, all’arrivo del sabato, provano gioia perché sapevano che ciò che li aspetta è la domenica, il giorno di festa, così come i giovani sono emozionati nell’attendere l’età adulta perché credono che solo allora potranno realizzare i loro sogni e le loro aspettative. È questo il motivo per cui la giovinezza è l’età più felice della vita, secondo Leopardi, poiché si fantastica e si fanno castelli in aria riguardo ad un tempo che deve arrivare e che non si possiede ancora; quando, però, la tanto agognata età adulta, finalmente, sopraggiunge, il fascino svanisce: i sogni spesso rimangono in un cassetto e ciò che attende gli uomini è solo la vecchiaia, che non è così attraente. Nel 1856, in Francia, ad opera di Gustave Flaubert, uscì uno dei romanzi più importanti nella storia della letteratura mondiale, Madame Bovary, il quale ebbe fin da subito un clamoroso successo e fu seguito da un enorme scandalo. La protagonista, Emma Bovary, ha passato l’adolescenza in un convento a leggere le storie di grandi eroi, pervase da sentimenti molto forti e passionali; quando si sposa, pensa di aver finalmente trovato il suo lieto fine, ma la realtà è diversa: suo marito Charles è un uomo tranquillo e completamente diverso dai personaggi dei libri, ed Emma cerca appagamento passando da un amante all’altro, pensando che, se fosse libera dal suo consorte, sarebbe felice. Ciò che le rende impossibile godersi la sua vita, infatti, è il sapere che esiste qualcosa in più, se solo riuscisse a trovarlo, e questa consapevolezza rovinerà non solo la sua esistenza, ma anche quella del marito e della figlia. Flaubert fu, insomma, molto critico riguardo ai sogni ad occhi aperti di Emma, ma non la giudicò mai apertamente: il suo biasimo andò più sui romanzi che leggeva e che sono stati la causa prima delle sue brame e dei suoi sogni perniciosi. Un altro personaggio, celeberrimo nella storia della letteratura per la perseveranza della sua ricerca, è il protagonista de Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald, Jay Gatsby. Egli, infatti, si era invaghito in gioventù di una ragazza, Daisy, ma i due non avevano potuto sposarsi poiché lei apparteneva ad uno stato sociale superiore a quello di lui. Gatsby, non essendo riuscito ad accettare ciò, vive tutta la sua vita in funzione di lei: la segue a New York, nonostante lei sia ormai sposata, si arricchisce per vie illegali e, ogni sera, dà feste sfarzose e a cui partecipano tutte le persone più ricche ed influenti di New York sperando che, un giorno, venga anche lei. Il Grande Gatsby mostra, però, quanto dannoso sia inseguire per tutta la vita un sogno irraggiungibile e quanto sia sottile la linea che separa ciò per cui vale la pena lottare da ciò riguardo a cui bisogna darsi per vinti, per non rischiare di rimanere arenati e, remando controcorrente, di essere risospinti senza posa nel passato.

Perché ciò che non abbiamo mai avuto e ciò che non avremo mai ci ispirino e ci influenzino così tanto, non lo sapremo mai. Non esiste un motivo specifico: è come se, in fondo, ci fosse un lato di noi, irrazionale e contraddittorio, che ancora si illude che qualcosa possa succedere; o forse perché, in realtà, amiamo fantasticare, per evadere dalla vita quotidiana, su ciò che sarebbe potuto accadere o su ciò che non accadrà mai. Qualunque sia la ragione, tuttavia, è necessario saper discernere i sogni realizzabili da quelli che non lo sono, perché questi, per quanto ci possano attrarre, rimangono sogni, e non valgono il mondo reale che ci circonda.

Caterina Sartori

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