25 settmbre 2020

Basta chiamarli eroi

Ci ricordiamo ancora di quelle lunghe giornate confuse di quarantena, in un tempo lontano e del quale non riusciamo a decidere se fosse Maggio o Giugno, o forse ancora Aprile. Prima della “movida”, della riapertura, dei mezzi pubblici in mascherina. Ci ricordiamo di quei post che abbiamo fatto su Instagram, delle storie ripostate, del tg che ad alta voce lodava ed cingeva d’alloro tutti i lavoratori in ospedale. E quante chiacchiere per telefono, sui pianerottoli, tra i balconi. I nuovi supereroi, medici ma soprattutto infermieri. Martiri perduti in guerra, anime nobili, instancabili.

Tutto d’un tratto tutti erano pronti a lodare, a spergiurare e confessare tutto il loro amore. E la politica non è stata da meno. Sull’onda delle lodi generali i vari partiti si sono lasciati trascinare in generose strette di mani, targhe, video lacrimosi.


Che bella pacca sulla spalla che vi abbiamo dato, cari infermieri e operatori sanitari, un bel sorriso di pietà, qualche bella parolina. Poi il tg ha iniziato a mostrare meno sale operatorie e letti in terapia intensiva. E poi non siete più stati di tendenza. Gli eroi sono tornate persone e alle tante lodi non sono seguite finora adeguate misure e investimenti nel personale sanitario. Gli eroi e la loro creazione, dunque, serve a ben poco, e , se in momenti di profonda crisi come quella che stiamo vivendo possono servire a donare una fiaccola di luce e speranza al resto della popolazione, non appena la crisi si affievolisce ci rendiamo conto come un sistema adeguato e ben bilanciato non possa funzionare attraverso il martirio o il sacrificio. Non si può richiedere di lavorare sotto stress in situazioni delicate a persone che hanno scelto il lavoro sì per passione ma non certo per volontariato. Non è giusto mettere sotto pressione, far sentire in dovere di fermarsi più a lungo del dovuto, di dover fare più ore, di essere più veloci, di dover essere sempre sorridenti e di non lamentarsi a persone che mai hanno chiesto di essere caricati dei connotati di eroi, ma che sono alla fine persone normali una volta che si sono tolte la divisa, ma anche mentre la indossano.

Perché allora però se si mette piede in un qualsiasi ospedale non solo d’Italia ma anche in un Paese come la Germania, che spesso viene considerato più stabile e più ricco, le storie che sentiamo sono sempre le stesse?

Picchi di stress, straordinari, carenza di personale, spossatezza, la sensazione di essere abbandonati e di svolgere il lavoro che normalmente 2 o 3 persone dovrebbero svolgere. E tutto ciò diviso in turni estenuanti, con un cambio di ritmi notturni e diurni dannosissimo per la salute e per giunta con la ricompensa di un a paga assolutamente non sufficiente per la mole di lavoro, la responsabilità e la delicatezza che questo lavoro richiede.


In media in Italia un infermiere guadagna 1400 euro al mese. Il confronto con altri paesi europei è vergognoso. Si passa dai 1400 per un neo assunto in Germania, ai 1600 degli infermieri francesi fino ai 2100 in Spagna e i 2200 nel Regno Unito. E nonostante i numeri degli altri Paesi europei possano sembrare alti bisogna ricordare che infermieri e personale sanitario trattano con le persone, sono le prime figure che i pazienti vedono alle 6 del mattino e gli ultimi ai quali danno la buonanotte, quelli che li lavano, con i quali i malati confidano le proprie paure e che sopportano e si caricano del dolore e delle preoccupazioni di altre persone che soffrono. Sono quelle figure che spesso vengono però anche maltrattate da quei pazienti mai soddisfatti, che non ricevono rispetto da alcuni medici troppo arroganti e che spesso sono sottoposti alle angherie di una struttura molto gerarchica come l’ospedale.


In due mesi in un ospedale in Germania ho potuto osservare spesso le mie colleghe ed i miei colleghi infermieri e, anche se spesso riuscivano a mantenere il sorriso e a condividerlo con i pazienti, ho potuto anche osservare una grande insoddisfazione generale per le condizioni di lavoro. Non pochi sono stati i momenti di sconforto e le storie di collegh* sopraffatti dallo stress. Tra le tante una collega che si è presentata al pronto soccorso in seguito ad un collasso perché era stata lasciata da sola con un intero reparto da gestire E lo stress continuo della campanella dei pazienti che suona, del piegare la schiena in continuazione e sollevare e lavorare con pazienti spesso anche pesanti più di 90 kg e a volte non sentire nemmeno un grazie. O la sensazione frustrante di non riuscire a comprendere come poter aiutare un paziente che sente dolore. Chiaro , spesso basta un sorriso da sotto la mascherina, una parola grata per donare la forza per continuare. Però il problema rimane comunque il bisogno di trovare la forza di continuare, questa specie di aura mistica ed eroica che fa molto male nello svolgimento di una professione, in particolare se questa richiede nel contatto con le altre persone.


Trovare una soluzione è forse impossibile, e l’unica cosa alla quale si può pensare è davvero solamente un finanziamento mirato e cospicuo del servizio sanitario, in particolare l’assunzione di nuovo personale in modo da poter gestire meglio i turni e suddividere meglio i compiti. Questo poi è da accompagnare ad una rivalutazione del ruolo di infermieri ed infermiere, e non solo teorico o a buone parole, ma con un aumento di stipendio e con l’esigenza di maggiore rispetto sia in ambiente ospedaliero che extraospedaliero, in un’ottica anti-eroica ma umana. Non abbiamo bisogno di eroi stremati, stressati e insoddisfatti, abbiamo bisogno di persone normali che si sentano valorizzate e felici.

Andrea Bazzoli

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