8 maggio 2020

Il medico umanista


Questo articolo si pone come obiettivo una riflessione sulla condizione umanistica della professione medico-sanitaria


Leonardo Da Vinci? No grazie

Ci è stato insegnato ad attuare distinzioni nette, a ragionare per compartimenti stagni e a cambiare le lenti che ci aprono al mondo in relazione alla disciplina che ce ne consente l’esplorazione. Ci è stato inculcato che maggiore sarà la nostra specializzazione, il grado di esperienza che riusciremo ad accumulare in un determinato ristrettissimo campo della conoscenza, allora maggiori saranno anche le nostre capacità di fare successo, di contare qualcosa. Il mercato del lavoro, ci viene detto, non ha bisogno di tanti “Leonardo Da Vinci”, portatori di una conoscenza olistica di dubbia qualità, assetata, discontinua ed inquieta. Il mercato del lavoro ha bisogno di tecnici di qualità.

Conta l’originalità, la differenziazione, l’apprendimento di competenze specifiche, la distinzione tra capacità tecniche e umanistiche, nettissima, che ci porta a considerare le professioni da punti di vista spesso opposti e che guida le polemiche sull'importanza di uno o dell’altro percorso di studi.

Questo probabilmente il motivo per cui molti avranno colto il titolo di questo articolo con diffidenza o per lo meno con una certa sorpresa.

Nella divisione netta dei grandi poli della conoscenza, spina dorsale e scheletro del settore formativo, si intravedono però delle crepe che costruiscono ponti tra le discipline e si interrogano sulla legittimità di questa insormontabile dicotomia.


The doctor as a humanist

Jonathan Mc Farland è professore di medical humanities (ovvero la disciplina che tende allo studio di tutte le forme che definiscono il rapporto fiduciario tra medico e paziente) all’Università Statale di Medicina Sechenov a Mosca. Da qualche anno porta avanti un progetto ed un’associazione di respiro internazionale chiamato “The doctor as a humanist”.

Insieme con altre facoltà di medicina nel mondo, tra cui la Escuela de Medicina de la Universidad Anáhuac (Città del Messico) e la John Hopkins University (Baltimora, USA) si impegna ad organizzare un Symposium a frequenza annuale, al quale collaborano medici, operatori sanitari, studenti universitari, phD e specializzandi, che portano una varietà di punti di vista sia intergenerazionali che interdisciplinari e interculturali.

Il Symposium si articola in conferenze, workshop, tavoli di discussione e, recentemente, in una serie di videoconferenze (qui il programma) nei quali viene discusso il vasto spettro di interrogativi nel rapporto tra il mondo medico e quello umanistico.

L’obiettivo è quello di risvegliare la consapevolezza del carattere umanistico delle professioni sanitarie, a fronte di un tecnicismo rampante e di una rilevata perdita di umanità nella cura. I temi sono vari e molto stimolanti. Al centro si trova il rapporto tra dottore e paziente, l’importanza del benessere psicofisico del medico e del ritrovamento dell’interesse e dell’amore per l’uomo.

https://doctorasahumanist.wordpress.com/


Persone per altre persone?

Il pensiero di fondo che accomuna tutti i temi è la convinzione e l’auspicio che la professione medica torni ad essere intrinsecamente umanistica. Questo cambio di prospettiva non è affatto banale in un sistema che eccelle nell’insegnamento specifico di competenze tecniche, che forma professionisti/e di altissimo livello, che è in grado di produrre terapie e risultati incredibili ma nel quale i pazienti sono a volte parte di analisi di costi e benefici, i livelli di stress provocano tassi di depressione, burn out e suicidio spaventosamente alti negli operatori sanitari (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/12023930/), e dove l’idealismo dei giovani aspiranti medici e infermieri viene smontato e annientato nel percorso di studi e nell'esercizio della professione.

L’area tecnico-scientifica gode di una legittima attenzione meticolosa, mentre troppo spesso i futuri operatori sanitari non ricevono una formazione per quanto riguarda la gestione dello stress, l’impatto con l’enorme mole di lavoro, l’elaborazione psicologica e il senso di colpa del fallimento. Queste competenze fondamentali le si deve apprendere, con fatica, con l’esperienza, lo spirito di sacrificio negli anni di studio universitario o direttamente in ospedale. Ma, catapultati in un mondo spesso divergente dall'aspettativa universitaria, ci si può ritrovare annientati, incapaci di ritrovare la determinazione, la vocazione della gioventù. Eppure non ci si fida a parlarne, è una debolezza che chi è abituato a curare sia in difficoltà, un tabù umiliante sul quale purtroppo c’è ancora molto silenzio (come evidenzia questo studio della British Medical Association).

Sembra che il focus della professione, che è insieme scienza e arte incentrata sull'uomo, sia stato spostato altrove, in un certo senso disumanizzando l’intero campo della medicina. Campanelli d’allarme arrivano da diversi studi. Il fenomeno si osserva purtroppo nella pratica quotidiana e, come si è visto, risulta in una perdita emozionale e psicologica non solo da parte del paziente e dunque nel suo percorso verso la guarigione, ma allo stesso tempo nella salute del medico stesso. Si può sentire ridotto ad una routine meccanizzata se lo stress e un ambiente altamente competitivo lo costringono ad agire per modelli interiorizzati e a perdere il genuino interesse per la condizione umana e di conseguenza per i pazienti.

(https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/12023930/).


Il ruolo delle scienze umanistiche

Queste problematiche richiedono una risposta veloce. Difficile è però trovare una soluzione univoca e chiara a questioni tanto stratificate. Un’ipotesi portata avanti dal progetto “The doctor as a Humanist” vedrebbe nel cambiamento della formazione medico-sanitaria un possibile punto di svolta. Quale nesso si può trovare tra la letteratura, l’arte, la poesia, la filosofia, la musica e la medicina?

La vicinanza è molto più profonda di quanto si possa immaginare. Le discipline condividono nientemeno che il fulcro del proprio interesse di ricerca. L’uomo è al centro dell’arte, che si interroga sul miglior modo per descriverlo nella sua totalità, di esaltarlo nella sua condizione e varia rappresentazione. L’arte è anche consolazione, la capacità introspettiva di osservarsi e riconoscersi nell'altro. E la medicina? La medicina conosce profondamente lo spettro umano, studia l’uomo e lo ama, né è incuriosita, tanto da donare sé stessa per la sua salute, intesa non come assenza di malattia ma benessere totale. La medicina per questo deve conoscere l’uomo in ogni singola sfumatura della sua espressione fisica e psicologica. La medicina, poi, conosce l’esperienza umana nella sua condizione più meschina: la sofferenza, il dolore, la perdita.

Proprio per questo è confrontata ogni giorno con le grandi domande dell’esistenza, con la riflessione filosofica, con le emozioni primarie e fondamentali, con la gratitudine e con una varietà di storie, vicende, personalità, modalità che aprono un varco alla comprensione anche artistica dell’essere umano. Forse questo è anche il motivo per cui moltissimi scrittori sono legati al mondo della medicina, uno fra tutti il celebre scrittore russo Bulgakov, ma anche i nostrani Carlo Levi o Andrea Vitali. E questo è il motivo perché anticamente la formazione medica era in gran parte anche umanistica.

C’è bisogno di reimparare questa dimensione dell’arte medica e per farlo è indispensabile la contaminazione con quelle discipline che ci fanno riflettere, ci fanno dubitare e che consolano, danno respiro alla creatività e al pensiero schiacciato dallo stress. Abbiamo estremo bisogno di forme d’arte che agiscono come fabbriche di empatia, ovvero la capacità di porsi nelle condizioni dell’altro, di risonanza emotiva attraverso la conoscenza umana, che è motore fondamentale di fiducia nel percorso verso la salute.

L’arte in fondo è medicina per l’uomo, e la medicina è l’arte del dono dell’umanità a se stessa.


Curiosità:

Non possiamo dimenticare, nel discutere di umanità e di capacità empatiche nella medicina, la storia di un dottore locale, Aldo Steiner.

Ci piace ricordarlo come esempio di tutte le dottoresse e dottori che svolgono e hanno svolto la professione con passione, curiosità ed empatia. (qui per conoscere meglio il dottore dei poveri).


Andrea Bazzoli

Fonti

https://centri.unibo.it/medical-humanities/it/centro/dove-si-trova-la-salute

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/12023930/

https://www.anahuac.mx/mexico/EscuelasyFacultades/bioetica/virtual-doctor-humanist-symposium

https://paolomaggi.wordpress.com/i-medici-scrittori/

https://doctorasahumanist.wordpress.com/

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