Poster

 I poster saranno esposti per l’intera durata del convegno e potranno essere visionati e discussi nei diversi momenti di break.

Archeologia e pandemie dell’età contemporanea. Il caso del colera nella Toscana del XIX secolo

[A. Fornaciari]

L’archeologia dei contesti funerari d’età contemporanea costituisce un campo di studi straordinario per progetti multidisciplinari che, partendo dalle testimonianze materiali, ed in particolare valorizzando le informazioni ottenibili dai resti umani, coinvolgano discipline quali la bioarcheologia, la paleopatologia e la storia della medicina.

Tra i vari ambiti di ricerca archeologico-funeraria, lo studio dell’impatto delle malattie infettive sulle società del passato, tramite progetti di scavo di cimiteri da catastrofe, rappresenta senz’altro uno dei settori più fertili. L’abbondanza di fonti di diversa natura infatti permette di meglio contestualizzare il dato materiale, di leggerlo alla luce dei diversi attori sociali e si rivela, in ultima analisi, utile a costruire modelli interpretativi e antropologici solidamente fondati.

Gli scavi di due cimiteri toscani relativi alla pandemia colerica del 1854-55, condotti dalla Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, hanno permesso per la prima volta di affrontare, anche dal punto di vista della fonte materiale e osteoarcheologica, lo studio di una delle malattie più devastanti e significative dell’età contemporanea.

In questo contributo vengono descritti i risultati di questi due casi studio: lo scavo integrale (anni 2007-2011) del cimitero del colera di Benabbio, un villaggio dell’Appennino lucchese colpito dal colera nella tarda estate del 1855, e lo scavo (anni 2012-2013) di una porzione del cimitero del colera di Badia Pozzeveri (Altopascio – LU), sempre riferibile allo stesso episodio pandemico. 

Lo studio di questi contesti lucchesi ha permesso di caratterizzare materialmente due cimiteri del colera della Toscana ottocentesca, ed ha inoltre fornito dati inediti per leggere antropologicamente il comportamento delle comunità colpite dalla crisi di mortalità e sottoposte alle leggi emergenziali emanate dalle autorità granducali. Ne emerge un quadro particolare in cui,  sotto la pressione dell’emergenza pandemica, la pratica funeraria diverge da quella tradizionale ma in cui la popolazione resiste decisamente all’applicazione delle nuove regole sanitarie imposte dal governo toscano. 


Abitare, ridefinire, razionalizzare gli spazi rurali e montani tra Otto e Novecento: interazioni, insediamenti e gruppi sociali in Liguria orientale e Pirenei francesi (Cerdagna)

[G. Bizzarri]

Il contributo riflette sui cambiamenti socioeconomici che tra la seconda metà dell'Ottocento e gli inizi del Novecento portarono a ridefinizioni dello spazio rurale e negoziazioni su usi e diritti di uso e di accesso alle risorse ambientali. Lo studio considera tracce materiali che derivano da questi processi, rendendoli visibili o invisibili. Le ricerche condotte su due casi di studio (Colanesi, Montagna di Fascia, Appennino ligure e Mas Rondole, Cerdagna, Pirenei francesi) combinano fonti d'archivio e di terreno. L'obiettivo è osservare le dinamiche locali di gestione, utilizzo e condivisione delle risorse ambientali, per valutare se e fino a che punto queste si modificarono in relazione alla spinta per un processo di razionalizzazione che caratterizzò le politiche agricole, forestali e ambientali dell’Ottocento europeo. Al centro dei due casi è la relazione tra edificato, analizzato attraverso l'archeologia dell'architettura, e i cambiamenti nelle forme di gestione delle risorse ambientali, osservati attraverso studi di archeologia rurale e del paesaggio condotte secondo una prospettiva ecologico storica. Nel caso della Montagna di Fascia, le terre collettive, utilizzate all'interno in un complesso sistema che permetteva di conciliare l'utilizzo pastorale (monticazione e transumanza) e agricolo di questi spazi almeno a partire dalla prima età moderna, vengono progressivamente privatizzate e sono oggetto di numerosi conflitti nel corso della seconda metà dell’Ottocento. I processi di privatizzazione delle terre ad utilizzo collettivo e delle risorse ambientali sono al centro anche dell’analisi della struttura architettonica della fattoria del Mas Rondole, a Saillagouse, nel nord-ovest della Cerdagna. La struttura ancora oggi in funzione come azienda agricola, è il perno di un’estesa proprietà, circondata dalle terre comuni gestite dalle municipalità di Eyne, Saillagouse e Estavar nel corso dell’Età Moderna. Attraverso una prospettiva microanalitica, ci si concentrerà sulle dinamiche locali di integrazione, reazione e appropriazione rispetto alle pressioni istituzionali che miravano a una gestione più “razionale” e “produttiva” delle risorse agro-silvo-pastorali. L'obiettivo ultimo è tentare una visione non monolitica ma dialettica dei processi che caratterizzarono gli spazi rurali e montani nel corso dell’Ottocento, mostrando come la loro natura non dipenda tanto dai cambiamenti promossi a livello istituzionale, ma dalla lettura e interpretazione che di questi cambiamenti si fece nel livello locale.

Analisi diacronica di un paesaggio agro-pastorale di confine tra dispute, guerre ed etnoarcheologia.

[S. Zecchinato, A. De Guio, G. Azzalin, L. Magnini]

La Piana della Marcesina, a poco più di 1300 m di altitudine, è una vasta conca localizzata al confine tra il Veneto e il Trentino. La piana si estende su oltre 15 km2  ed è caratterizzata da un’immensa varietà ambientale che comprende formazioni idriche alimentate da sorgenti carsiche e, nelle parti più depresse, ambienti umidi e stagionalmente impaludati (Bagolini, Pasquali, Zampedri 1985). A fronte di una posizione geografica non favorevole, queste caratteristiche ambientali hanno, fin dalla preistoria, reso la piana un forte polo attrattivo in termini di occupazione antropica. Insediamenti stagionali del Paleolitico superiore e del Mesolitico dimostrano un intenso sfruttamento della piana da parte dei cacciatori raccoglitori. In termini di sfruttamento storico di Marcesina, l’importanza del suo paesaggio è ulteriormente accresciuta dalla natura liminale della sua posizione. Fonti archivistiche offrono, infatti, importanti informazioni circa i conflitti e le conciliazioni, principalmente legati ai diritti di pascolo e di utilizzo dei boschi, che caratterizzano il territorio a partire dal XVI secolo (Bortolami, Barbierato, 2009). A partire dal XX secolo l’area è stata prima interessata dagli eventi della Prima Guerra Mondiale, ospitando un importante centro logistico italiano fino al 1917 e austroungarico in seguito. Durante la seconda metà del ‘900 la piana è stata inoltre oggetto di interesse da parte dei contingenti NATO che l’hanno sfruttata come centro di addestramento per l’artiglieria. Questi eventi hanno modificato radicalmente un paesaggio che era rimasto pressoché immutato fin da epoca preistorica. L’obiettivo del presente contributo è, quindi, la ricostruzione del paesaggio diacronico della Piana di Marcesina attraverso l’utilizzo combinato di dati d’archivio, tecniche di telerilevamento e ricognizioni di superficie (tramite UAV e a terra). Ci si concentrerà prevalentemente sullo sfruttamento delle risorse agro-pastorali e sulle pratiche di pastoralismo, ancora oggi principali fonti di sussistenza dell’area, nonché sull’impatto che le pratiche belliche hanno avuto sul territorio.

Archeologia della “storia archeologica” di un sito. L’‘ultimo strato’ dell’Anfiteatro Romano di Cagliari.

[M. Sanna Montanelli, F. Pinna]

L’‘ultimo strato’ che, più o meno consapevolmente, tutti i cittadini concorrono nel presente a formare, si presenta come il testimone più attendibile delle azioni esercitate dalle comunità contemporanee sotto la spinta di diverse istanze, non sempre protese verso un’idea progettuale condivisa. Registrando le più recenti rifunzionalizzazioni di un contesto in senso ‘archeologico’, tale strato in formazione appare, rispetto a strati più profondi, maggiormente carico di ἀρχή, di origine, piuttosto che di ἀρχαῖος, di antico. Partecipe della “storia archeologica” di un sito, indispensabile fondamento conoscitivo pre-progettuale, l’Archeologia contemporanea è in grado di rappresentare con ‘metodo stratigrafico’ le forze (non solo fisiche, ma spesso anche valoriali) ancora agenti su un bene di cui sia riconosciuto un interesse culturale pubblico. Attraverso un corpus ben qualificato di fonti (eterogenee per natura, soggetti produttori e segmenti cronologici), raccolto a partire dal 2012 in occasione delle opere di decostruzione degli allestimenti teatrali insistenti sui ruderi dell’anfiteatro romano di Cagliari, il contributo riflette sugli esiti di una peculiare analisi stratigrafica, avente ad oggetto gli interventi che hanno interessato l’impianto e il suo ambiente sociale nel corso dei suoi 157 anni di “storia archeologica”, confluita da ultimo nel documento di fattibilità delle alternative progettuali, candidato al bando del Comune di Cagliari “Interventi di tutela e messa in sicurezza per la fruibilità dell'Anfiteatro Romano”. L’analisi conferma come nello “stretto” spazio di quest’ultimo strato, dove si gioca la vita archeologica di un sito, l’archeologia contemporanea sia in grado, secondo un approccio risk-oriented, di offrire un contributo concreto alla pianificazione interpretativa e gestionale dei siti, in un’ottica di tutela e di valorizzazione sostenibili.

Archeologia e Seconda Guerra Mondiale in Italia: appunti sul metodo e sulle prospettive di ricerca.

[M. Lo Blundo]

La ricerca archeologica in Italia si scontra ormai inevitabilmente con l’evento diffuso che fu la Seconda Guerra Mondiale. Situazioni, esiti, testimonianze materiali, bombardamenti di siti archeologici sono una realtà storiografica prima ancora che archeologica con la quale gli archeologi però devono oggigiorno confrontarsi. 

Si registrano molteplici situazioni di “convivenza” tra archeologia e testimonianze più o meno “brillanti” della seconda guerra mondiale. Nel contributo si vogliono portare alcune riflessioni e spunti di dibattito sul modo in cui la nostra metodologia stratigrafica affronta il reperto della seconda guerra mondiale quando lo incontra. Ma anche quando, a livello di archeologia globale, si mette sullo stesso piano la postazione tobruk della II Guerra Mondiale col sito archeologico nel quale – più o meno consapevolmente – essa era stata insediata.

Si proporranno alcuni casi di studio, quali quelli di Sanremo, Ostia antica e Fiumicino, con i quali chi scrive ha avuto modo di confrontarsi, che pongono differenti questioni, dalla tutela alla documentazione all’acquisizione di una conoscenza topografica del territorio che si ponga davvero in un’ottica di archeologia globale.

Questo ragionamento si pone come punto di partenza, a partire da alcuni casi studio, per una riflessione più approfondita sul tema, che in prospettiva futura vada ad approfondire il rapporto tra siti archeologici e apprestamenti militari della II Guerra mondiale, dal punto di vista della documentazione, della tutela, della riflessione storiografica. 

Archeologia e storia del dominio collettivo di Bosco Fontana (Val d’Aveto, GE).

[C. Piu, M. Tacca, A. M. Stagno]

Questo contributo presenta lo stato attuale di una ricerca in corso di svolgimento sui paesaggi rurali storici nell’Appennino Ligure orientale, con l’intento di riflettere sulle difficoltà metodologiche e applicative insite nel concetto di multidisciplinarità e sul dialogo tra le diverse tipologie di fonti. Il caso di studio preso in esame è quello della Comunione Familiare di Bosco Fontana, un dominio collettivo con cui l’Università di Genova è entrata in contatto per analizzare i processi di rivendicazione collettiva delle risorse ambientali che sono tutt’ora in corso. Situato all’interno del Parco Regionale Naturale della Val d’Aveto, nel territorio delle frazioni di Villanoce, Rocca e Cerisola (Rezzoaglio, GE), Bosco Fontana è un dominio collettivo sopravvissuto a diversi tentativi di smantellamento durante gli ultimi quattrocento anni. La recente istituzione della Comunione Famigliare si basa infatti sulla rivendicazione di un possesso, in particolare da parte del gruppo parentale dei Fontana, che ha radici documentate almeno dalla seconda metà del XV secolo. Tali pratiche di rivendicazione sono visibili sul terreno sottoforma di manufatti archeologici e tracce nella copertura vegetale. La documentazione di queste evidenze archeologiche, unitamente all’analisi della cartografia storica, dei documenti d’archivio e della tradizione orale, ci permette di ricostruire le modalità con cui le popolazioni locali hanno mantenuto la giurisdizione sul bosco, adattandosi di volta in volta a contesti istituzionali in mutamento dalla seconda metà del Settecento sino al secondo dopoguerra. L’intervento, inoltre, si concentra sull’osservazione delle discontinuità nelle forme di utilizzo delle risorse ambientali del bosco e sui conflitti tra locali ed istituzioni e tra locali e locali come forme di mantenimento effettivo del possesso sul bosco.

Archeologia industriale del ghiaccio. Indagine sulle neviere della Murgia dei trulli (Puglia).

[S. Laddomada]

Una indagine sulle neviere superstiti ha permesso di scoprire e indagare un importante settore economico e sociale di cui si erano perse le tracce, essendo molte neviere, da oltre un secolo, andate distrutte o trasformate nella loro originaria architettura.

L’aspetto più sorprendente è stato quello di individuare, proprio nel territorio carsico della Valle d’Itria, geologicamente formato da roccia calcarea compatta del Cretaceo, le neviere più profonde, con una tipologia di scavo monumentale, i cui costi più elevati rispetto a quelle scavate nella tenera calcarenite, dimostrerebbero che l’oneroso investimento per realizzarle era giustificato dalla cospicua rendita del commercio del ghiaccio.

Ci si è avvalsi della consultazione di alcune fonti archivistiche, molte delle quali hanno trattato l’argomento indirettamente; delle ricerche speleologiche sul campo, che a partire dal 2012 hanno visto istituire in Puglia, parallelamente al “Catasto delle Grotte”, quello delle “Cavità Artificiali”; delle segnalazioni di alcuni studiosi locali.

I dati raccolti hanno permesso di descrivere la tipologia, il funzionamento e l’architettura delle antiche conserve della neve con le annesse coperture architettoniche sub-divo.

Sicuramente una ricerca storica dettagliata e specifica sulle neviere, consultando tutte le fonti archivistiche, porterebbe a far conoscere tanti altri aspetti finora inediti, soprattutto sul commercio del ghiaccio. A differenza delle zone montuose dove la neve si poteva anche conservare all’aperto (nelle conche, in grotte e avvallamenti naturali in ombra anche in piena estate) in Puglia il processo di conservazione necessitava di costruire profonde cisterne per stipare la neve raccolta e procedere alla “compressione” per trasformarla in ghiaccio.

In questa sede viene presentato un primo censimento che ha portato all’individuazione certa di circa 65 neviere, ubicate nei comuni della cosiddetta “Murgia dei Trulli”, territorio della Puglia centrale noto per l’architettura dei caratteristici manufatti in pietra a secco (Alberobello, Castellana Grotte, Ceglie Messapica, Cisternino, Locorotondo, Martina Franca, Noci, Ostuni, Turi e Villa Castelli). Tenuto conto che diverse neviere minori andate distrutte e non risultano citate negli atti notarili e archivi comunali, oppure non ancora individuate, possiamo senz’altro affermare che fin dal XVII secolo “l’industria del ghiaccio” abbia potuto addirittura contare su un centinaio di manufatti realizzati solamente in questi comuni.

Intorno a Minerva: per un’archeologia in dialogo con la contemporaneità.

[S. Solano, C. Cominelli]

Dal 2021 è in corso il progetto Intorno a Minerva. Il contatto culturale fra mondo antico e contemporaneità promosso dalla Soprintendenza ABAP BG BS e dalla Cooperativa Sociale K-Pax di Breno (BS) che si occupa di accoglienza e di rifugiati politici (www.k-pax.eu/intorno-a-minerva/).

Il Progetto che si sviluppa intorno al Parco Archeologico del Santuario di Minerva a Breno ha carattere multidisciplinare, con il coinvolgimento di archeologi, storici, antropologi, psichiatri, sociologi, operatori sociali, rifugiati, amministratori locali e studenti impegnati in azioni e riflessioni sul contatto culturale. 

Oggi a Breno (media Valle Camonica – BS) la riscoperta di una tradizione interculturale appare simultaneamente con la riemersione di un dialogo religioso e culturale in antico. 

Nel 2022 è stato riportato alla luce nel Parco Archeologico un altare protostorico, rimasto in uso per 100 anni accanto a quello romano, riportando così nella contemporaneità uno straordinario e concreto esempio di contatto e dialogo interreligioso.  

L’incontro dell’archeologia con la dimensione moderna di accoglienza e integrazione culturale a Breno, ha orientato le azioni di valorizzazione, comunicazione e educazione al patrimonio archeologico, producendo in parallelo uno “scavo” della e nella contemporaneità, con la riemersione di valori e processi di pensiero.

Il dialogo fra archeologia e contemporaneità si è trovato a generare un processo complesso di confronto fra competenze, discipline e interessi diversi, aprendo anche un campo semantico nuovo per produrre delle chiavi di senso per l’archeologia contemporanea.

Intorno a Minerva ha visto riemergere non solo evidenze archeologiche, ma anche quadri valoriali direttamente riferiti ai percorsi di costruzione e narrazione identitaria di un luogo.

Le saline tra archeologia del passato e del contemporaneo, due facce di una stessa moneta.

[S. Renda]

Come è noto il sale era uno tra gli elementi più consumati fin dall' antichità, non solo in cucina e medicina ma anche come mezzo sociale per instaurare diversi tipi di legami. Lungo il litorale tra Marsala e Trapani si estendono le saline, impiantate fin dall’arrivo dei punici per estrarre il sale, considerato l’oro bianco dell’antichità. L’attività produttiva si è svolta in modo quasi ininterrotto dal periodo cartaginese sino ai giorni nostri, con delle saltuarie interruzioni nell’età moderna (la guerra di successione spagnola), nell’ età contemporanea (primo dopoguerra, alluvione 1968). Nelle saline della Riserva dello Stagnone è praticata una produzione definita "antica", si possono vedere, nei mesi di luglio e agosto, gli uomini lavorare a mano con gli strumenti tipici, la fatica sui loro volti e ascoltare vecchi canti popolari. Negli impianti del comune di Trapani, le operazioni di raccolta sono state in parte meccanizzate e rese moderne. Le peculiarità degli impianti dello Stagnone non è importante soltanto dal punto di vista economico, ma fornisce un ottimo caso di studio non solo per l'archeologia della produzione ma anche una finestra per lo studio dell’archeologia del contemporaneo, anche con l’ausilio di ricerche etnografiche, etnoarcheologiche, e antropologiche. Oggigiorno le saline sono sempre più apprezzate dai visitatori per la possibilità di partecipare alle visite guidate nella riserva, per i tramonti e le diverse esperienze sensoriali molto spesso tralasciando la funzione primaria degli impianti. Tuttavia, guardando da una prospettiva diversa è possibile scorgere i segni e gli oggetti di un passato non troppo lontano che nonostante parziali abbandoni, permette di riviere e ricostruire le relazioni tra la cultura e l’ambiente circostante, ma soprattutto permette di cogliere l’eredità del passato “anche familiare” per elaborarla con le risorse del contemporaneo.

Oltre i preconcetti per leggere la complessità: il progetto di archeologia del contemporaneo Percorsi bioGrafici a Monforte San Giorgio (ME)

[E. Giorgi, L. Luppino, S. Mariotti]

Percorsi bioGrafici è un progetto di archeologia del contemporaneo condotto congiuntamente dal Dipartimento di Scienze Storiche e dei Beni Culturali dell’Università di Siena e dal Comune di Monforte San Giorgio (ME) tra il 2017 e il 2018, con un finanziamento di Ales spa. L’obiettivo del progetto è stato quello di leggere in chiave archeologica la complessità storica di un piccolo borgo della Sicilia nordorientale, per comprendere e far comprendere alla comunità di eredità dei Monfortesi quando, come e soprattutto perché il loro paese ha assunto la sua conformazione attuale. A questo scopo il tessuto urbano è stato analizzato individuando specifici marker dell’evoluzione urbana, dai frammenti, quasi illeggibili, di una storia passata alle tracce, anche invasive, di attività legate alle esigenze della contemporaneità. In questa analisi è emersa come centrale una riflessione sul concetto di “valore” inteso in relazione sia alle tracce archeologiche analizzate - spesso lontane da categorie quali “bello” o “antico” - che alla loro percezione da parte della comunità di riferimento. Proprio il rapporto con la comunità è stato la chiave per leggere le tracce archeologiche del passato più recente in un contesto storico-antropologico e progettare a partire da esse un processo rigenerativo che si è concretizzato in una serie di interventi e azioni, con lo scopo di indurre comportamenti virtuosi e buone pratiche di rispetto e auto-tutela del proprio spazio di vita e di relazione. Il contributo che presentiamo propone una riflessione su alcuni aspetti metodologici del progetto a partire da alcune domande: quanto è stato “neutro” il nostro approccio in quanto archeologi? Quale è stata la nostra comunità di riferimento e come è stato accolto Percorsi bioGrafici? E infine, quali esiti ha prodotto il progetto in termini di cambiamento della percezione del paesaggio urbano, della dimensione storica del paese e dell’identità collettiva nei monfortesi.

Scavare il contemporaneo: tre casi studio a Barletta

[R. G. Lombardi, I. M. Muntoni]

Si presentano in questa sede tra casi studio, tutti relativi all’area urbana di Barletta (BT), di applicazione delle procedure di archeologia preventiva su prescrizione della Soprintendenza territorialmente competente, relativi ad interventi di recupero svolti tra il 2017 e il 2022 in occasione di lavori promossi dal Comune di Barletta su propri immobili, quali il Mercato Ittico, costruito negli anni ‘50 del secolo scorso, l’Edificio della Scuola “Massimo D’Azeglio” e l’Asse attrezzato dell’ex Distilleria.. Sviluppatosi in due tempi, il progetto del Mercato ittico ha messo in luce due evidenze archeologiche: la prima è una strada lastricata, impiegata tra XVIII e XX secolo, come è attestato da un’incisione della città di Barletta dell'agrimensore G. Pastore del 1793 e da documentazione fotografica d’Archivio. La seconda è relativa alle fondazioni dell’edificio con annesso tratto della condotta fognaria, foderata in mattoni legati da cemento, in uso nella prima metà del XX secolo. All’insorgere di alcuni problemi strutturali dell’edificio della Scuola elementare “Massimo D’Azeglio”, sono state condotte verifiche sulla staticità dell’immobile, tra cui indagini stratigrafiche di ben 10 saggi lungo le murature portanti. I dati emersi hanno messo in evidenza da un lato le poderose fondazioni dell’edificio, tipiche degli edifici scolastici pugliesi costruiti in età fascista, dall’altro un preesistente pozzo foderato in blocchi di pietra, interpretato come struttura idrica, collegata all’edificio, denominato “Taverna Marvulli” all’interno della già citata pianta del Pastore del 1793, e risalente al XVIII secolo In ultimo le indagini dell’asse attrezzato hanno riportato alla luce la condotta fognaria rivestita in blocchi lapidei, che molto probabilmente doveva servire il vicino stabilimento della Distilleria di Barletta, un vero e proprio monumento di archeologia industriale di età contemporanea in totale abbandono, per il quale sono in corso di definizione un progetto di recupero di tale immobile. I risultati delle indagini hanno consentito di aggiungere significativi tasselli alla conoscenza della topografia urbana in età contemporanea della città di Barletta, fornendo dati archeologi, non solo sulle eventuali preesistenze, ma soprattutto sulla continuità stratigrafica che intercorre tra le strutture contemporanee e il sottosuolo.

Storia e archeologia moderna nei Monti Aurunci: potenzialità e criticità della ricerca.

[F. Mulas]

I Monti Aurunci sono un gruppo montuoso del Lazio meridionale posto tra le province di Latina e Frosinone. A causa della sua posizione geografica, questo venne direttamente coinvolto negli eventi del secondo conflitto mondiale, i quali hanno lasciato un'impronta ancora distintamente percepibile nel paesaggio contemporaneo e nella memoria collettiva delle comunità locali. Il massiccio era attraversato dalla Linea Hitler, fallback line della più famosa linea Gustav, la quale si originava da Aquino per raggiungere la costa all’altezza di Terracina. Dato l’elevato valore strategico di zona interposta tra le due linee di difesa, nei pochi anni di occupazione le truppe tedesche disseminarono la regione di strutture e apprestamenti difensivi a controllo delle vie di attraversamento. Tuttavia, nonostante l’evidente rilevanza strategica, mancano ad oggi ricerche sistematiche sui paesaggi bellici del secondo conflitto mondiale per la regione dei Monti Aurunci. Il recente rinvenimento di reperti bellici in grande quantità dalle sequenze stratigrafiche del sito medievale di Sant’Andrea, posizionato a controllo di importanti passi montani, ha fornito i primi materiali da contesto per lo studio di queste fasi e posto nuove problematiche. Con questo contributo si vogliono proporre strategie che siano in grado di dare ordine alle informazioni provenienti da contesti e fonti differenti. Le ipotesi di lavoro avanzate potranno essere utili allo sviluppo di linee di ricerca che possano giungere ad una maggiore conoscenza del ruolo che la Seconda guerra mondiale ha avuto nel plasmare il paesaggio contemporaneo dei Monti Aurunci.

The archaeology of the Italian politics of memory: a material approach to La Casa dello Studente (Genova)

[C. Tejerizo-García, G. Bizzarri, R. Santeramo]

The relationship between European societies and the historic development of a collective memory of the recent past, which may be called the politics of memory, is one of the bases upon which current European identities have been built. This connection has not always been straightforward and uncontested, especially with respect to internecine conflicts during the 20th century. However, how these specific politics of memory emerged and remained until today is not clear. From our point of view, this is due to the lack of a material approach to the topic, which may potentially illuminate the complexities of the creation of a particular politics of memory. In this paper, we will tackle this issue through the archaeological study of the Casa dello Studente. This student residence, originally planned as a part of a broader project to form the future fascist political ruling class, turned into the centre of repression at the Ligurian capital during the Second World War. After the conflict, it became firstly a quite reclaimed place for the antifascist memory, becoming afterwards a conflictive and contested space for different social groups and agents. Our archaeological analysis will unfold the different layers of memory that are present in the building, delving into the complex construction of a memory regarding the recent past. By doing this, we will consider the role that Post-Medieval and Contemporary Archaeology could play in Western Europe with regards to the current political situation.