Il Bastone di Asclepio: problemi metodologici

PREMESSA

Magia e medicina: problemi metodologici

 

 

Magia e Medicina: un binomio che può apparire piuttosto strano a una società che tende, da almeno due secoli, a porre scienza e metafisica su due piani non solo distanti, bensì opposti.

In verità, la storia della medicina corre di pari passo con la storia dell’approccio al sacro da parte delle prime forme di civiltà. Si potrebbe addirittura affermare che la medicina è stata la prima forma di sacralizzazione delle azioni umane posta in opera da una società organizzata.

Superando l’atto di abbandono ed espulsione del malato (secondo un modello di purificazione del gruppo), tali prime forme di organizzazione stabile si fondarono necessariamente sulla divisione dei ruoli e quindi sull’assicurazione della protezione e della sopravvivenza, sulla base del rispetto degli stessi. 

E’ dunque nell’ottica della conseguente nascita di una categoria di addetti alla salute che rientrano le prime forme di cura; forme che per ovvie ragioni attingevano dal mondo del sacro, degli spiriti, degli dèi.

Da un’originaria forma di medicina istintuale - posta in opera sulla base dell’imitazione delle azioni degli animali e dei meccanismi naturali - si transita dunque alla medicina magica, cioè alla medicina quale arte riservata ai “gestori del Sacro”.

Come non ricordare innanzitutto il vasto e fondamentale fenomeno dello sciamanismo, all’interno del quale quasi sempre la figura del sacerdote si sovrappone a quella del medicine-man – l’uomo “medicina” che serba il segreto delle piante che guariscono e di quelle che uccidono.

Ugo Marazzi definiva lo sciamano come un “intermediario professionale”:[1] un intermediario fra, appunto, il mondo incerto, dominato dall’alternarsi della vita e della morte, della salute e della malattia ed il mondo “altro”, dove risiede il senso vero dei fenomeni e, dunque, anche la sapienza medica.

Per adempiere a un compito tanto importante - divenire operatore dell’estasi e della medicina - non bastava dunque avere un insegnante ma bisognava essere esplicitamente prescelti dagli dèi, ovvero dagli spiriti e sostenere complessi rituali di iniziazione.

 

Un rituale d’iniziazione è, come noto, un rituale che sancisce un passaggio definitivo da una condizione ad una nuova, completamente differente e, in genere, superiore: lo sciamano-medico non è dunque un semplice professionista che impiega parte del suo tempo nell’esercizio della guarigione bensì un uomo interamente votato alla comunità, il cui sapere ed il cui potere dipendono da un’intrinseca trasmutazione dell’intero suo essere.

Lo sciamano, essendo una figura tenacemente connessa al mondo della medicina e della salute (e perciò, naturalmente, anche al mondo della vita e della fertilità), possiede anche la forza dell'estasi, mediante la quale opera una guarigione totale del soggetto.

Presso molte culture, per altro, la condizione estatica è avvertita come assai prossima a quella della malattia: medico è dunque colui che è riuscito a guarire.

Nel corso della trance che, appunto, è malattia e al tempo stesso canale di guarigione, lo sciamano visita la “sala macchine” dei fenomeni: combatte; dialoga con gli spiriti; riceve conoscenza e, quindi, ritorna per offrirla al proprio popolo.

 

Emblematico, sotto questo aspetto, il caso della guaritrice Maria Magdalena Sabina, una fra gli ultimi sciamani e guaritori del Messico.

Sappiamo della sua esistenza grazie ai celebri studi di Gordon Wasson, che la incontra nei pressi di Oaxaca, nel giugno del 1955: detta la sabia (cioè la sapiente), Maria Sabina era consultata per ogni genere di malattia, che guariva penetrando appunto in uno stato di estati mediante l’ingestione di funghi allucinogeni.

Aveva ricevuto il compito di sciamano e medico in seguito ad una chiamata da parte degli Spiriti dei Funghi stessi, che lei chiamava niños sagrados, cioè “bambini sacri”. Sintomatico del legame profondissimo fra medicina e sacralità è il fatto che, nel momento in cui i suoi segreti di guaritrice furono svelati, Maria smise di operare, asserendo che il suo potere, profanato, non poteva più essere esercitato con efficacia.[3]

Quanto abbiamo detto sin’ora risulta essenziale per comprendere come mai un testo che affronta la medicina nel mondo classico debba necessariamente affrontare anche l’aspetto magico-religioso di queste civiltà, e viceversa.

Infatti, questa tenacissima associazione fra guarigione e sacralità non viene meno con la sostituzione del modello sociale di tipo sciamanico (latu sensu) ma persiste in diverse aree geografiche, manifestandosi in modo più o meno esplicito attraverso la mitologia e la storia della magia.

Dunque, prima d’immergerci nei problemi specifici dello studio della medicina greca e romana è bene operare alcune puntualizzazioni che riguardano la mitologia e, soprattutto, la magia.

Se, infatti, è piuttosto ovvio che la mitologia sia la scienza che studia i processi mitopoietici di una religione, meno ovvia è la definizione del fenomeno magico e ancor più complessa è la comprensione di come esso diverga (allorquando diverge) da quello religioso.

E dunque, la storia della medicina è andata di pari passo col fenomeno magico o, piuttosto, col fenomeno religioso?

Non è una differenza da poco, potremmo anzi affermare che in essa risieda il destino di quella che sarà destinata a trasformarsi nella scienza medica.

 

Esiste certamente un notevole fraintendimento che porta a impiegare il termine “magia” per indicare una sorta di comportamento religioso o un modo ingenuo d’interpretare il reale, proprio di epoche, personalità o strutture sociali in cui l’assenza del metodo scientifico crea limiti insormontabili a una comprensione del mondo.

A questa vera e propria deformazione hanno contribuito diversi fenomeni culturali tipici dell’orizzonte europeo, quali l’Illuminismo e il darwinismo.

In realtà, a partire dalla metà del XX secolo, svariate scienze – dall’antropologia alla sociologia; dalla storia alla storia delle religioni -  hanno iniziato a studiare il fenomeno magico secondo paradigmi rinnovati, ponendo per la prima volta in campo domande fondamentali quali: esiste davvero la “magia” quale fenomeno a parte, oppure si tratta di una categoria di comodo? Cioè, di una definizione del tutto vuota de facto ma comoda per inserirvi una serie di fenomenologie che, fino a non molto tempo fa, sono state di difficile interpretazione a causa di una carenza strumentale e metodologica.

Un fondamentale passo in avanti, per colmare queste carenze, è stato compiuto quando l’antropologia si è liberata dal paradigma dell’Evoluzionismo:[4] fu a causa della deformazione tipica di quest’orizzonte che studiosi quali Burnett Tylor o James Frazer[5]  avevano inserito la magia all’interno delle forme primitive della religione.

Persino Sigmund Freud aveva impiegato il termine “magico” per definire una forma di pensiero di tipo infantile:

 

 “(…) prima arma nella lotta contro le forze del mondo circostante (…) L’uomo preistorico (…) non faceva affidamento semplicemente sulla forza dei propri desideri: si aspettava piuttosto il successo dall’esecuzione di un atto che avrebbe dovuto indurre la natura ad imitarlo. Se voleva la pioggia, versava egli stesso dell’acqua; se voleva incitare il terreno alla fecondità, gli dava lo spettacolo di un rapporto sessuale fra i campi”.[6] 

          

Come avviene per tutte le scienze, anche in ambito storico, sociologico o antropologico l’applicazione di un’errata interpretazione a priori altera il risultato: prima o poi, si nota che i conti non tornano.

Alcuni aggiustamenti a quest’edificio tremolante iniziarono con gli studi di Emile Durkheim,[7] il fondatore del funzionalismo strutturale.[8] 

Durkheim individua nel modello della “coscienza collettiva” il fattore informatore delle coscienze individuali e principio ultimo di equilibro e coesione. Tale macro-coscienza sociale è particolarmente evidente proprio nel sacrale primitivo, ideale responsabile della costruzione di un’identità a sua volta capace d’informare tutti quei concetti astratti (quali il tempo o lo spazio; il sacro o ancora la causa e l’effetto) che si pongono quali colonne portanti di ogni evoluzione culturale.

In ciò, il dato magico viene finalmente distinto da quello religioso in quanto la pratica magica insegue un legame individuale fra il mago e il divino e non svolge un ruolo di consolidamento della collettività.

Ma ancora “Nelle teorie di Durkheim facilmente si può notare la contrapposizione, tutta occidentale, tra religione e magia (…) la seconda sinonimo (…) di rapporto con forze oscure e peccaminose”.[9] 

 

Alfonso Maria Di Nola ritenne invece che una differenza potesse essere cercata nell’atteggiamento che accompagna il relazionarsi dell’uomo al sacro secondo il modello di attività e passività.

In poche parole,  il pensiero di modello religioso potrebbe essere quello in cui l’essere umano percepisce l’esistenza di un mondo ampio e travolgente, di fronte al quale si auto rappresenta quale elemento passivo, impotente e in eterna dipendenza.

Al contrario, secondo il pensiero di modello magico, l’uomo tenterebbe un confronto attivo con la vastità delle potenze che compongono il mondo -  talora addirittura cercando di dominarle e indirizzarle; talora semplicemente di comprenderle.

Fondamentale, ancora, ricordare a tal proposito il De Martino[10]  quando, definendo la “Weltanschauung della magia”, affermò che essa “consiste nel riconoscimento che l’energia (…) le presenze efficaci, le potenze semipersonali possono essere regolate dal soggetto” poiché “in ogni pratica magica, vista ab intra, noi vediamo un’insurrezione del soggetto contro qualcosa, un accentramento spasmodico di energie per ridurre questo qualcosa nel dominio della nostra volontà”.  Ne consegue che “Tutto il mondo della magia è dominato dalla figura del soggetto esaltato e rinvigorito nell’azione”.

 

Più che distinguere la religione dalla magia vi sarebbe allora da distinguere l’ azione magica da quella religiosa, ovvero l’esperienza della magia da quel bisogno di “lasciarsi prendere e reggere” in quello “smarrimento della propria autonomia” che è invece cifra del sentimento religioso.[11]

Per De Martino la “prospettiva valoriale è rovesciata[12]: egli considera finalmente la magia quale espressione culturale a se stante e funzionale al processo di creazione attiva di un ordine a partire dalla percezione di un evento caotico e minaccioso, permettendo così all’individuo di ristabilire un equilibrio, un “radicamento” di “presenza” – ovvero la percezione dell’ “esserci” da parte dell’uomo, quale elemento attivo di una realtà fragile e costantemente minacciata.[13]

Davanti a questa giungla di ambiguità e abusi semantici si è finalmente aperta la vera domanda: ha ancora senso mantenere la categoria “magia”, creando così un contenitore dai contorni assolutamente incerti, i cui contenuti, di volta in volta, devono essere distinti da quelli di altre categorie di cui pure questi contenuti fanno parte?

Sarebbe più proficuo osservare asetticamente una serie di atteggiamenti e stabilire, piuttosto, quando questi sono stati intesi come magia; religione o scienza da parte di una data società, in un dato periodo storico.[14]

 

Tornando ora allo sciamanismo, appare evidente, alla luce di quanto detto, come questo primordiale fenomeno di associazione fra il sacro e la medicina possa essere considerato una pura espressione dell’atto “magico”:  lo Sciamano, infatti, deve interagire e financo deformare autonomamente quelle potenze che dominano la vera natura delle cose, al fine di portare all’uomo mortale e caduco la meraviglia della guarigione e della vita. 

Mircea Eliade lo definiva “ad un tempo, mistica, magia e religione nel senso più lato del termine”. E lo stesso Di Nola affermava a tal proposito che  “In linea teorica è possibile rintracciare fatti di natura sciamanica in quasi tutte le religioni”.[15]

Lo stregone-medico, in quanto gestore delle cose sacre, è fulcro della struttura e dell’ordine sociale.  

E’ un tecnico dell’estasi e della vita che, mediante le proprie capacità, si sposta fra le dimensioni della percezione, ponendole tutte sullo stesso piano di verità.

Parlare di magia è dunque complesso e forse lo è ancor più parlare nello specifico di magia greca.

 

Potremmo dire che la magia nasce, in Grecia, nel corso del V secolo, cioè dopo l’età arcaica, per tramite dell’influenza del mondo orientale ed egizio.   

Prima, nel panorama offerto dal mondo del mito e di Omero, la magia non si discosta dalla religione: per l’uomo greco arcaico – come avremo modo di vedere – tutto giace nel grembo degli dèi e perciò ogni cosa è possibile col favore dei numi.

Non è l’uomo a compiere prodigi, a modificare il corso degli eventi, a creare pozioni e incantamenti ma il dio oppure la saggezza del dio rivelata all’uomo.

Non a caso, Circe non è una maga – come erroneamente si traduce - ma una dea.

Qualcosa cambia radicalmente con il V-IV secolo, quando la parola magia indica un insieme piuttosto composito d’insegnamenti, risultato di un mescolarsi di elementi provenienti dall’evoluzione delle culture epicorie con le forti influenze dall’oriente e dell’Egitto.

E’ però nel corso della fase che va dal III secolo a.C. al il IV-V secolo d.C. (ovvero dal crollo della civiltà greca classica al periodo della tarda antichità) che  si forma quell’idea della magia destinata ad influenzare i secoli successivi, spingendosi fino ai giorni nostri. 

Ed è sempre a questa lunga epoca che va ascritta la formazione della figura del mago inteso come un sapiente che  “fa cose da divinità” - cioè interagisce con i fenomeni del mondo: richiama i morti in vita; inventa medicamenti portentosi; trasmuta la materia; opera divinazione; forza l’animo degli uomini al suo volere e così via.  Questo sapiente - che sarà detto Teurgo - opera “come un dio” ma al fine di approcciarsi al divino: per questo tenta di muoversi in una realtà pervasa da forze al contempo impalpabili e percepibili, responsabili ultime dell’essere di tutti gli eventi. 

E’ attraverso queste che l’uomo di  “conoscenza” – il mago-filosofo – tenta di cogliere l’essenza ultima delle cose, il Vero ed il Bene.

Questo modello di sapiente sovrappone l’idea di mago a quella di filosofo platonico, scienziato e ministro del sacro.

E’ assolutamente tipica del periodo tardo ellenistico e tardo antico[16] ed è perciò legato alla cultura greco-romana del periodo che precede il consolidamento del Cristianesimo.

Andrà lentamente scomparendo con la chiusura delle scuole filosofiche e la persecuzione operata dai Cristiani che, letteralmente, sostituiranno “il filosofo-mago al Vescovo”: sostituiranno cioè questa figura enciclopedica di sapiente; punto di riferimento etico e gestore del poliedrico e polimorfo mondo del sacro con quella, del tutto analoga, del saggio sacerdote che però non è gestore ma ministro dell’unica accettabile forma del sacro: quella che transita da Cristo. 

 

Se fino ad ora si è tentato di chiarire il motivo dell’associazione fra la medicina e la magia e di illustrare i problemi di un approccio antropologico ai fenomeni della medicina magica, è venuto il momento di premettere alcune fondamentali problematiche che – purtroppo – sovrastano anche la storia della medicina e, in particolare, la storia della medicina dell’antica Grecia.

Il problema principale, nello studio della medicina greca, è la datazione, considerando l’inevitabile relatività di molte cronologie relative alla stessa storia di questa civiltà.

Risulta quindi arduo stabilire quando la medicina ellenica, considerando il complesso di cognizioni e di pratiche scientifiche, abbia avuto inizio, oltre a non poter stabilire quando l’arte medica ebbe una evoluzione dal pensiero scientifico generale.

La medicina nell’antica Grecia deve essere considerata come una fase del divenire di tutto il pensiero medico nei secoli, ma forse è proprio qui, in questa terra ellenica, che per la prima volta prende vita il tentativo, probabilmente non singolare ma simultaneo, fatto da uomini colti, di trasmettere il proprio pensiero e di dare un’interpretazione, il più possibile razionale, degli eventi che li circondavano.

 

Ben prima della guerra di Troia[17]esistevano esperienze mediche consolidate ed importate dall’oriente da popoli pre-ellenici, così come risulta che esistesse già una Medicina minoica, comprovata dalle strutture igienico-sanitarie, rilevate a Cnosso, come condutture per l’acqua, bagni, latrine ecc., e così come, ancora, risulta numerosa la presenza di trattati medici su antichi papiri egizi.

Tuttavia esiste una fondamentale differenza fra la medicina greca antica e quella di altre civiltà, per quanto più antiche, il pensiero medico greco cerca di affrancarsi dalla concezione magica e dai dogmi sacerdotali, per basarsi, sempre più, sulla osservazione, attraverso lo studio della natura e, di conseguenza, dell’Uomo, attraverso quella che potremmo definire la virtù cardine del pensiero greco antico, e cioè la critica.

Le idee poterono svilupparsi liberamente, fiorirono i contrasti, le discussioni, vennero favorite ed emersero nuove concezioni.

Schematizzare la storia è sempre difficile e, per molti versi, fuorviante, tuttavia un tentativo deve essere fatto per potersi orientare in questa complessa materia.

Secondo gli studi di numerosi storici, possiamo suddividere la storia della Medicina greca antica in cinque periodi.

 

Periodo mitico-arcaico: sulla scorta delle esperienze di civilta’ pre-elleniche, prevale una Medicina Teurgica che, comunque, non soffoca la evoluzione verso un  pensiero sempre più razionale. La maggioranza delle notizie derivano da ritrovamenti archeologici, paleopatologici e dai poemi omerici.

 

Nascita delle scuole medico-filosofiche: vengono gettate le basi della Filosofia, e della Scienza propriamente detta. Troviamo emergere il desiderio di conoscere la vita nella sua essenza, nella sua verità naturale, con le leggi che la governano.

Troviamo le Scuole medico\filosofiche di Leucippo, Democrito, Pitagora ed Empedocle.

Sorge per prima la figura del Medico clinico con Ippocrate e con esso i fondamenti etici, ideali e dottrinali dell’arte medica, ancora oggi attuali. Infine la Scuola aristotelica.

 

 

L’Ellenismo e la medicina post-ippocratica: corrisponde alla ellenizzazione del mondo orientale, con le conquiste macedoni, e culmina con la cultura alessandrina dei Tolomei, per terminare con la conquista romana.

 

 

Conquista Romana: pur con il dominio latino, il pensiero greco prosegue nell’intero occidente e domina nei primi tre secoli con l’opera di Galeno.

La medicina diviene questione sociale, anche attraverso la cura dell’igiene e diventa compito dello Stato.

 

 

Periodo della Decadenza: La scienza si offusca e si avvia verso il declino.

Nessun medico di rilievo, nessuna opera originale se non scialbe ripetizioni del patrimonio medico passato, spesso peraltro travisato e confuso.

 

Anche lo sviluppo magia greca prosegue, nel panorama occidentale, nonostante la conquista e il primato di Roma. Naturalmente, intesa come attività che esula dall’intervento divino, non esiste all’epoca della fondazione di Roma. Infatti, anche per i Romani il concetto di magia “all’orientale” deriva solo dal contatto con altri popoli e, quindi, con la cultura Grecia già influenzata dal mondo egizio, persiano e giudaico.

 

Con la fine della Repubblica, i maghi diventano dapprima autonomi (e quindi pericolosi) gestori delle cose sacre; esotici sapienti dall’incerta collocazione e quindi anche fattucchieri e truffatori.

Roma emanerà diverse leggi contro gli operatori del soprannaturale che si collocavano al limite delle forme religiose riconosciute, agendo in proprio e dietro compenso.

Non che molti importantissimi Collegi Sacerdotali avessero smesso di farsi pagare per intercedere presso le divinità od offrire oracoli e auspici ai fedeli: per questo, anzi, occorrevano leggi contro i concorrenti orientali; greci e sedicenti tali.

In origine, dunque, non fu la scienza a opporsi alla magia quanto, all’opposto, fu proprio quella che noi diremmo “magia” a contrapporsi alla scienza.

Infatti i riti, le formule atte a guarire le ossa rotte o a favorire i parti non erano intese quali opere magiche ma quali forme di una tradizione da conservare e difendere dagli attacchi della pericolosa medicina greca.

Scrive a tal proposito Catone al figlio Marco:

 

“(…) ti dirò di codesti Greci (…) una razza di gente perversa e indisciplinata (…) la sua cultura, corromperà ogni cosa; e tanto più se manderà qui da noi i suoi medici. Hanno fatto un giuramento fra loro, di uccidere tutti i barbari con la medicina (…) Guardati dai medici, te lo impongo”.[18]

 

Con l’avvento dell’età imperiale si diffonde ampiamente il modello greco-orientale del mago-filosofo-sacerdote, riferimento non solo di opere divine ma più in generale di scienza.

Già per Cicerone il mago è un esotico sapiente; lo storico Diogene Laerzio, attivo fra il II ed III secolo, scrive addirittura che la filosofia “a farla nascere, sarebbero stati  (…) i Magi (…) e presso i Celti e i Galli i cosiddetti Druidi (…) trascorrono il loro tempo venerado gli dèi”. [19]

Nel 160, a Tripoli, lo stesso Apuleio di Madaura è accusato di aver ammaliato la ricca vedova Pudentilla: si tratta di crimen magiae e deve intervenire il tribunale.

Apuleio allora si difende: è l’ignoranza che confonde la superstizione con la filosofia e la scienza. [20]

La cultura romana - è necessario ribadirlo – non distingueva la magia dalla religione o dalla tradizione sulla base, ad esempio, del ruolo più o meno attivo del soggetto (come hanno fatto studiosi contemporanei quali Durkheim o De Martino) e neppure sull’ideazione di un sacro più o meno vero ed apprezzabile (come farà il Cristianesimo): per i Romani “mago” è un sacerdote che segue pratiche filosofiche e scientifiche di origine esotica.

Un po’ greca e platonica; un po’ egizia; un po’ persiana o giudaica.

Perciò, come già detto, i rimedi medici proposti dalla tradizione al posto della pericolosa medicina alla greca non sono intesi come opere di magia ma di tradizione mentre ad esempio l’astrologia, essendo di origine orientale, è più sospetta.

Il sospetto si fa poi particolarmente cupo quando a maneggiare queste cose non sono uomini - e, quindi, possibili sacerdoti e sapienti - bensì donne che, non potendo per natura e condizione assurgere a tali vette del sacro, non possono che essere pericolose fattucchiere o mere truffatrici.

 

L’ampia presenza nel mito greco di donne-maghe-dee è legato soprattutto al maneggiano di erbe e alla creazione di farmaci:[21] ciò non deve stupire, anche nel modello sciamanico strictu sensu quando il medicine-man/stregone è una donna, ella si applica soprattutto alla farmacologia.

Secondo un modello ampiamente stereotipato, le donne-maghe sono amanti respinte che cercano di ammaliare l’amato; producono filtri che possono uccidere e talvolta rapiscono i bambini per officiare riti spaventosi nel nome di Ecate; Iside ed altre oscure divinità straniere. 

Eppure, come vedremo, la cultura romana trasuda magia: trasuda cioè il bisogno del singolo individuo di porsi in contatto con la gestione del sacro al di là dei molti collegi sacerdotali e dei riti pubblici; il bisogno di preservare un mondo ancestrale nel quale gli dèi - ancora non antropomorfi - si stagliavano lungo l’orizzonte della vita quali impalpabili forze con le quali ciascuno intrecciava riti e percepiva presagi.

 

 

Corinna Zaffarana

Vittorio Zaffarana



[1] U.Marazzi, in: G. Filoramo (a cura di), Storia delle religioni, vol. 5: Religioni dell'America precolombiana e dei popoli indigeni, p. 247.

[2] Cf. M. Forgione, in: I Grandi Miti, 2019, p. 189 ss.

[3] Per approfondimenti: M. Forgione (2020). Cfr. inoltre: A.Estrada, Vida de María Sabina: la sabia de los hongos; 1977.

[4] Ovvero di quell’ approccio che considerava le diverse espressioni culturali frutto esclusivo di una costante evoluzione storica  dall’ inciviltà alla civiltà,  da un pensiero grezzo a una forma più sofisticata di approccio al mondo. Vedi anche J. Frazer, The Golden Bough: a story of comparative religion; 1890.

[5] James Frazer, antropologo attivo a cavallo fra il XIX ed il XX secolo. Celebre per le sue opere che hanno profondamente influenzato la storia dell’antropologia.

[6] S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi – 35a lezione;1917.

[7] Émile Durkheim è stato un sociologo e storico delle religioni attivo soprattutto a partire dall’inizio del XX secolo. Fondatore della prima rivista francese di antropologia - L'Année sociologique, nel 1898.

[8] Diffuso soprattutto a partire dagli anni ’40 del XX secolo, il funzionalismo intende la società come un sistema di parti che devono essere studiate nella loro interconnessione, in quanto dotate di un significato dipendente dalla loro contestualizzazione che crea lo “stato di equilibrio” caratterizzante la società.

[9] S.Simone, La magia secondo Emile Durkheim; 2009 consultabile in: https://sociologia.tesionline.it/sociologia/articolo.jsp?id=3433. Università degli Studi di Genova, 2003-2004.

[10] E. De Martino, Il Concetto di Religione, In: La Nuova Italia,IV,12, 20/10/1933.

[11] Ivi, p.326

[12] Cf. D. Simonato, Il rapporto di Ernesto De Martino Mircea Eliade. Un bilancio valutativo fra critiche e influenze nella storia delle religioni; 2011/2012, Università degli Studi di Firenze, tesi di Laurea Triennale in “Storia delle Religioni”.

[13] Cf. E.De Martino,  Il Mondo magico. Prolegomeno a una storia del magismo;1948.

[14] La decontestualizzazione - e il conseguente stentoreo impiego delle categorie native nell’interpretazione del fenomeno magico è ormai retaggio superato.

La magia si spiega con la magia perché è il setting che determina l’unico significato possibile.[14]

Diversamente, ogni elemento studiato continuerà a risentire della deformazione operata dallo studioso.

A tal proposito: “La risposta di Bailey è chiara: nel corso della storia europea l’utilizzo delle categorie di magia e superstizione ha consentito di circoscrivere l’area dell’accettabile, distinguendo le credenze e le pratiche ritenute legittime”.    Cf. M.D. Bailey, Magic and Superstition in Europe: A Concise History from Antiquity to the Present; 2007. Vd. anche M. D’Agati, Magic and superstition: a voyage through time, in: Quaderni di Sociologia, 50; 2009.

[15] Cf. M. Eliade, Lo Sciamanismo e le tecniche dell’estasi; 1974. Anche M.I.Macioti (a cura di) Profeti senza Bibbia-Sciamani del duemila in: Collana di Antropologia culturale; 1995

[16] Si forma e si consolida, cioè, fra il II secolo a.C. e il V secolo d.C. 

[17] XIII a.C. circa.

[18] Libri Ad Marcum Filium, 1

[19] Vite dei filosofi; I, 1-7 

[20] Apologia, 25-26 - “Dal momento che tutta l’accusa di Emiliano si è incentrata sul solo punto che io sono mago, avrei una gran voglia di domandare ai suoi dottissimi avvocati che cos’è un mago. (…)  nella lingua dei Persiani equivale al termine latino sacerdote, che colpa c’è nell’essere sacerdote e nell’apprendere (…) delle cerimonie, le norme dei riti sacri, le regole delle pratiche religiose? (…) Ascoltate, voi che accusate la magia con leggerezza, come questa sia un’arte accetta agli immortali e implichi la conoscenza (…)presso i Persiani, a nessuno è concesso essere mago più che essere re”.  

[21] Il cui significato chiariremo più avanti.