Curiosità dalla storia: la peste di Atene

Certamente, la parola “peste” evoca, anzitutto, la celebre epidemia che infuriò nel corso della Guerra del Peloponneso: la Peste di Atene. A proposito di questo male sconosciuto, che colpì d’estate un’Atene già travolta dalla guerra, lo storico Tucidide ci offre una testimonianza davvero impressionante per intensità drammatica. 

Non tralascia nulla: dal sintomo fisico, all’abbruttimento morale; dalla cieca disperazione dei medici - che  “morivano più degli altri” perché curavano, seppur invano, i malati - fino alla sospensione della pietà per i defunti, trascurati “persino dai familiari, sopraffatti dall’immensità della sciagura”.

Fu peste? Alle gravissime condizioni di salute del popolo greco corrispondono termini come νόσος, malattia o λoιμός.

Anche la parola “peste” è, in realtà, assai generica: pestis, in latino, significa morte; devastazione. L’ampio ricorso a questo termine improprio “ha indotto, oltre che una certa confusione, anche una ricca produzione letteraria (…) che comporta, per chi volesse studiare oggi le antiche pestilenze, la necessità di chiarire (…) le differenze e le peculiarità di ogni singolo episodio”.[1]


La devastazione, per Atene, venne dal mare:  “Senza alcuna motivazione visibile, all’improvviso, le persone venivano prese da vampate di calore alla testa, arrossamento e bruciore agli occhi. La gola e la lingua assumevano subito un colore sanguigno (…) sopraggiungevano starnuti e raucedine (…) forte tosse (…) Il corpo (…) fiorito di piccole pustole e di ulcere”.


I malati sanguinavano dalla bocca; i loro intestini si contorcevano; vi era chi si gettava nei pozzi per trovare ristoro al senso di bruciore indotto dalla disidratazione.

A un tale orrore non esisteva alcuna risposta: la medicina, impotente, non riusciva neppure ad alleviare le sofferenze e con esse il terrore e il caos collettivo.

Esisteva solo la possibilità che toccò in sorte allo stesso Tucidide: guarire; fare cioè “esperienza” del male che “non colpiva due volte la stessa persona in modo grave”.

 

Piuttosto solida appare a oggi l’idea che Atene sia stata colpita dal tifo[2] anche se, recentemente, Powel Kazanjian ha puntato il dito sull’ebola, osservando, oltre alla coerenza sintomatologica, l’origine sub-sahariana del morbo indicata dallo storico greco. [3] Tucidide poteva avere una certa formazione medica o, se non altro - stando al giudizio del medico Galeno - aveva una certa conoscenza del linguaggio medico, cosa che gli permise tanta precisione nella descrizione dei sintomi del morbo.   Nel complesso del suo lavoro, Tucidide dimostra una certa “dimestichezza con nozioni concernenti l’insorgere delle malattie (…)che si presentano affatto simili a quanto potrebbe leggersi in un trattato di diagnostica ippocratica”,[4] ma nella descrizione del flagello ateniese, si astiene dall’indicare possibili cause, con la sola eccezione appunto della citata provenienza da terre lontane.


Non è tuttavia da escludere che lo storico abbia voluto nascondere le eventuali colpe del grande politico ateniese Pericle, responsabile delle particolari condizioni in cui versava il popolo al tempo della guerra.

Atene, trasformatasi in un’immensa fortezza sovraffollata, priva di un adeguato sistema di smaltimento dei liquami e nella quale, probabilmente, già circolavano scabbia e tubercolosi fu definitivamente messa in ginocchio da questo morbo devastante, a trasmissione rapidissima e caratterizzato da una molteplicità di sintomi ben riconducibili anche a una variante non “bubbonica” della peste.

Complici dunque le condizioni igieniche e lo stato di guerra, il male si diffuse rapidamente mietendo migliaia di vittime - anche illustri, come il citato Pericle  - e giocando la sua parte nel futuro declino di una delle potenze più importanti della storia.

Il popolo ateniese, infatti, risentì oltremodo anche delle conseguenze psicologiche di una siffatta tragedia.


L’onda di terrore e sofferenza si concretizzò non solo in episodi di gravi disordini sociali ma altresì in una perdita di fiducia negli dèi, responsabili – in ultima istanza – del morbo.  “Anche i santuari erano pieni di cadaveri: gli uomini (…) il morbo dette inizio, in città, a numerosi infrazioni della legge (…) Nessun timore degli dèi o legge degli uomini li tratteneva, poiché da un lato consideravano indifferente essere religiosi o no, dato che tutti senza distinzioni morivano, e dall’altro, poiché nessuno si aspettava di vivere fino a dover rendere conto dei suoi misfatti; essi pensavano che una pena molto più grande era già stata sentenziata ai loro danni e pendeva sulle loro teste, per cui era naturale godere qualcosa della vita prima che tale punizione piombasse su di loro”.[5]

 

Una punizione davvero orribile che, s’immaginava fin dal tempo omerico, poteva essere impartita solo dal dio Apollo, il figlio del signore dei numi - Zeus.

Apollo è un dio antico e strano, di origine incerta, il cui nome potrebbe legarsi proprio al concetto di distruzione e morte, associandosi al verbo  ἀπόλλυμι - “distruggere”.[6] Anche per gli Etruschi, originariamente, il dio Aplu[7] è da prima un “portatore di morte (…) accompagnato da seguaci alati che (…) hanno una funzione simile a quella dei demoni della morte” -  e solo in seguito il dio bello, giovane  e solare.[8] 


Ben conoscono le terribili conseguenze del “soffio mortale”[9]di Apollo già i protagonisti dell’Iliade, che si apre proprio con la descrizione dell’improvvisa pestilenza che fa strage sia di uomini che di animali. [10]

 

Chi dunque tra gli dèi li spinse a combattere in discordia?

Il figlio di Letò e di Zeus;[11] egli infatti adiratosi col re

provocò nell'accampamento un morbo maligno, e gli eserciti morivano,

perché il sacerdote Crise lo aveva oltraggiato

l'Atride; quello infatti era giunto alle veloci navi degli Achei

per riscattare la figlia  (…)”.

 

Anche se lo scettro della celebrità rimane saldo nelle mani della disgrazia che colpisce Atene durante la guerra del Peloponneso, altri morbi terribili frustano la storia della civiltà classica.

 


E’ noto, ad esempio, lo scoppio di una terribile epidemia che devasta l’impero romano fra il 165 e il 180 d.C. La storia la ricorda come Peste Antonina o anche “galenica” in quanto, di quest’onda di morte, fu illustre testimone il celeberrimo medico greco Galeno di Pergamo, che si trovava a Roma nel 166 e quindi soccorse le truppe colpite ad Aquileia nel ’68.

La diffusione assai ampia della malattia fu certamente sostenuta dai vasti movimenti degli eserciti, ma si originò al di fuori dell’Europa. [13]   Secondo lo storico Ammiano Marcellino, proveniva dall’oriente: “Da una teca chiusa dalle arti occulte dei Caldei, il germe della pestilenza si sviluppò e dopo avere generato la virulenza di una malattia incurabile, nel tempo chiamato di Vero e di Marco Aurelio contaminò ogni cosa con contagio e morte, dalla frontiera della Persia percorrendo tutta la strada fino al Reno e alla Gallia”.[14]

 

Si propagò velocemente e ancora una volta diede luogo a pustole, infezioni, febbre altissima, lesioni alla gola e alla lingua e  infine dissenteria.

Anche in questo caso, dunque, è stato proposto quale artefice della distruzione un organismo differente rispetto allo specifico bacillo della peste: si trattò, forse, di vaiolo?


Dal deposito dell’Esquilino -Minerva Medica,[15] proviene la raffigurazione di un braccio con rilievi realizzati mediante pastiglie d’argilla: a tal proposito, Baggieri avanza l’ipotesi di un ex voto che rappresenta la parte del corpo più colpita (e poi guarita) dai segni tipici del vaiolo...[16]

Al di là dell’identificazione -  certo non semplice -  del morbo, è certa la portata delle conseguenze: devastanti, almeno stando all’analisi di Daniel Gourevitch, [17] secondo il quale l’epidemia fu tanto vasta e potente da determinare una modifica della patocenosi del mondo allora conosciuto.

Nel suo complesso, fra ricorrenti ondate e sporadiche comparse, il morbo apparso per la prima volta nella seconda metà del II secolo uccise circa un terzo della popolazione: “Travolgendo il mondo romano la peste lasciò quasi spopolati molti distretti e contribuì forse, più di ogni altro fattore, al declino dell’Impero Romano”.[18]



[1] S.Sabbatani, S. Fiorno; The Antonine Plague and the decline of the Roman Empire. The role of the Parthian and Marcomanni Wars between 164 and 182 AD in spreading contagion in: Le Infezioni in Medicina, n. 4, 261-275; 2009 .

[2] Papagrigorakis; Yapijakis, Synodinos; Baziotopoulou-Valavani, DNA examination of ancient dental pulp incriminates typhoid fever as a probable cause of the Plague of Athens, in: International Journal of Infectious Diseases, vol. 10, nº 3, 2006.

[3] https://www.livescience.com/51236-ebola-strike-ancient-athens.html. Et: https://academic.oup.com/cid/article/61/6/963/450988

[4] Cf. Il commento di Galeno alla peste di Atene, di L. Biagini – 2005/2007  anche in:http://amsdottorato.unibo.it/2089/1/Biagini_Lorenzo_TESI.pdf

[5]  Tucidide. Ut. cit.

[6] Cf. Dizionario Etimologico della Lingua Greca, s.v. “Ἀπόλλων”. Anche consultabile in: https://demgol.units.it/pdf/demgol_it.pdf

[7] In realtà,parzialmente sovrapponibile ad Apollo.

[8] M.Cristofani, Dizionario della civiltà etrusca, s.v. “Aplu”.

[9] Cf. Lucrezio, De rerum natura, VI, 1145-1196

[10] Cf. Il, I, 1-32.

 

[12] Carboncino. Immagine da: https://it.wikipedia.org/wiki/Apollo#/media/File:Apollo_razi_grotami_pomoru.jpg

[13] A.Spinosa, La grande storia di Roma; 1998, p. 416

[14] Res Gestae; XIX, 4.

[15] Oggi presso l’Antiquarium comunale di Roma.

[16] G. Baggieri, M. di Giacomo; M.G. Baggieri; P.A. Margariti; Alcuni reperti archeologici e paleopatologici raffiguranti un sospetto vaiolo. In:  A. Tagarelli, A.  Piro, W. Pasini (a cura di), Il vaiolo e la vacci- nazione in Italia; Vol. II; 2004.

[17] Cf. D. Gourevitch, Pour une archéologie de la Médecine Romaine; 2011. Id., Limos kai loimos. A study of the Galenic plague; 2013. Anche in: Journal of History of Medicine/2 (2015) 737-746

[18] H.M.D. Parker ,A History of the Roman World from A.D. 138 to 337; 1935; p. 20 ss.