FOCUS IN

Premio Strega a Helena Janeczec per "La ragazza con la Leica"Donna, intelligente, straniera ... finalmente il premio Strega è andato a un’autrice diversa dal solito, Helena Janeczec, e per un bellissimo libro, "La ragazza con la Leica" edito da Guanda (e disponibile alla libreria italiana La Tour de Babel dalla sua uscita. Helena aveva scritto un testo per il primo piano n° 36 di Focus in, dal titolo "Arcipelago Italia" e dedicato a scambi, andirivieni, collegamenti che per fortuna attaversano l’Italia. Il pezzo di Helena, Natural Born Italia, che pubblichiamo di seguito, ci aveva convinti a mettere sul tavolo delle novità in libreria i libri della Janeczec. Ora siamo fierissimi !
Le statistiche degli ultimi anni ci dicono che il fenomeno della nuova emigrazione italiana ha raggiunto livelli paragonabili a quelli della seconda parte degli anni ’60, uno sguardo qualitativo a questi dati ci consente di osservare che “oltre la metà dei nuovi emigrati italiani ha un’età compresa fra i 18 e i 39 anni, mentre il 20% è fra 0 e 17 anni. Quindi, come peraltro in quasi tutti i flussi emigratori, la componente giovanile, in piena età attiva e riproduttiva è preponderante e il fatto che vi sia anche un 20% di bambini e ragazzi, vuol dire che a spostarsi sono ormai anche intere famiglie” (Relazione introduttiva del V.S.G. del Cgie R. Ricci Roma, 28 Marzo 2017- Camera dei Deputati) Questi dati ed il contatto quotidiano con la popolazione italiana all’estero e con i vari utenti istituzionali, hanno portato il Patronato ACLI e le ACLI di Parigi, da sempre impegnati sui temi della partecipazione, l’integrazione e la tutela dei diritti, ad avviare un dialogo con le nuove generazioni di migranti attraverso la proposta di attività pensate per le famiglie, presso la sede di Parigi (28, rue Claude Tillier. 75012). Questa scelta nasce dall’osservazione di una preponderanza di iniziative “isolate” e di richieste di informazioni spesso basate su un principio di mutuo soccorso generico auto-organizzato attraverso le nuove tecnologie informatiche e i social-network. L’obiettivo è dunque quello di creare una rete reale di servizi riconoscibili e direttamente fruibili dalla comunità expat italiana a Parigi. Grazie all’avvio di una collaborazione con due giovani associazioni, Officina des Parents e Matite Colorate, le ACLI di Parigi ambiscono a diventare un vero e proprio punto di riferimento per le famiglie italiane proponendo una serie di attività collegate in sinergia tra loro.

L’Officina des Parents


L’Officina des Parents nasce dall’incontro di tre psicologhe che hanno deciso di mettere in comune le loro esperienze e competenze per offrire dei servizi in sintonia con le esigenze dei genitori italiani e franco-italiani a Parigi e per focalizzarsi su temi e ambiti di intervento essenziali nei percorsi di nuova migrazione delle famiglie. L’associazione si pone come uno spazio di riflessione e condivisione per dare voce e strumenti a genitori e futuri genitori che vivono l’esperienza della genitorialità expat.Questo progetto vuole mettere in luce le specificità del percorso genitoriale vissuto da interno di coppie miste e/o che si trovano nel territorio di Parigi e dell’Ile de France rilevandone le maggiori complessità e supportando i genitori nella valorizzazione delle risorse e nella gestione delle difficoltà del periodo pre-, peri- e post-natale.Il focus sulla genitorialità e sull’accompagnamento dei futuri genitori nasce dall’intento di voler dare una risposta concreta all’interno di un contesto culturale di vita differente e alle sfide aggiuntive a cui è sottoposta l’esperienza trasformativa della genitorialità. Ogni incontro è pensato come un momento di relazionalità positiva, di scambio con altri che vivono la medesima situazione, un luogo dove poter esprimere dubbi e porre domande, dove ricevere chiarimenti da personale qualificato al fine di ridimensionare l’ansia e le paure e favorire il dialogo ma anche dove sperimentare insieme “soluzioni nuove” che meglio si adattano a ogni specifico contesto. L’Officina des Parents organizza regolarmente giornate informative e di supporto sull’accesso ai servizi per genitori e famiglie nonché attività quali : Consulenza psicologica individuale e di coppia ; Per-corso nascita ; Ateliers des Parents ; Parent Training ; Visite domiciliari per i neo-genitori ; Networking professionale di supporto alle famiglie italiane e italo-francesi a Parigi.
L’insieme delle attività e iniziative è promossa mediante le pagine FB “Chez Acli Paris” e “Officina des Parents”. Ulteriori informazioni e contatti : officinadesparents@gmail.com.

Era di Maggio

“Era di maggio”, celebre canzone napoletana, dà subito il taglio di questo dossier sul Sessantotto. Già perché in Italia l’apice del Sessantotto si ha piuttosto in autunno, per arrivare all’esplosione delle lotte operaie nel ’69, anno in cui cominciarono le stragi fasciste, che si concluse, in dicembre, con la “madre di tutte le stragi”, quella di Piazza Fontana. Il resto è Storia : gli anni di piombo, il terrorismo, gli attentati, le vittime, le cariche dei celerini e i lacrimogeni… Se possiamo commemorare - nel senso originale del termine, quello del “ricordare insieme” - il Sessantotto, non possiamo (ancora ?) farlo per gli Anni Settanta, senza innescare moti di odio, seti di giustizia, insulti e animosità di ogni genere. Come se i manifestanti fossero tutti sanguinari brigatisti. E’ la prima delle “Cinque buone ragioni” per commemorare il ’68 che dà Franco Lombardi, “noi c’eravamo”, seguita da “sapevamo che stavamo cambiando il mondo”. I più giovani di noi nel 1968 non c’erano e se c’erano erano troppo piccoli o “dormivano” ; negli anni ’70 invece c’eravamo, eccome. Ma sapevamo solo che quel mondo non andava bene. Dal “vogliamo tutto” si è passati a “vogliamo tutto ma non questo”, dal “vietato vietare” a “vietato vietare con i manganelli”, dall’“immaginazione al potere” all’“un tantino di immaginazione ce la lasciate ?”. Il ’68 viene ricordato come una chiave di volta : c’è stato un prima e un dopo, solo che, al contrario della Francia, in Italia il dopo si situa nel 1978, con l’assassinio di Aldo Moro, la tragedia che è caduta come una bomba sull’Italia e su tutti i movimenti, provocandone la fine. La stragrande maggioranza dei contestatari, i non-brigatisti, si ricordano sì la violenza e un’atmosfera, al contrario di quella technicolor sessantottina, grigio-lacrimogeno, plumbea. Ma si ricordano anche le letture, le assemblee, le discussioni sulle classi sociali, i collettivi femministi … Insomma è stato un periodo in cui ancora c’era la voglia di capire la società in cui si viveva e cambiarla, non necessariamente con le armi. La nostra commemorazione - sempre nel senso di ricordare insieme, non di “celebrare” - parte dal fotoracconto di Tano D’Amico delle donne degli anni 70, forse l’unica rivoluzione riuscita degli anni che hanno visto passare la legge sul divorzio (1970), quella sull’aborto (1978) e persino, sforando negli anni ’80, l’abrogazione del delitto d’onore. Come scrive Gigi Spina, Tano D’Amico riesce a “fotografare un ricordo”, a farci riconoscere nella foto e diventare noi stessi fotografi, autori di selfie in cui al di là della foto vediamo anche cosa è successo prima dello scatto o dopo. I nostri fotografi di ricordi spaziano dal maggio del ’68, in Francia, bien sûr, e attraverso tutta la creatività dei tempi, il cinema, l’arte, la canzone (con le interviste a Bernardo Bertolucci e Cris Altan, il racconto di Tommaso Cascella, la canzone di De André riletta da Giovanna Trosi Spagnoli) al nostro dopo, quello degli anni ’70, di cui ci parlano Maria Antonia Pingitore nelle “Domande che non ha fatto” a Rossana Rossanda e Cinzia Crosali, che all’epoca, da psicologa criminologa, faceva terapia nel carcere femminile di Voghera. Facciamo nostra la conclusione della Dottoressa Crosali : “quegli anni, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, rappresentano un periodo intenso e appassionato che formò il mio modo di pensare, che plasmò per sempre il mio modo di guardare il mondo, di cercare di cogliere l’essenza sublime e tragica delle passioni umane e del loro destino, di cogliere qualcosa del mistero dell’esistenza e della complessità della convivenza sociale”. Oltre a “fotografare il ricordo” abbiamo cercato di restituire l’atmosfera e le idee, molte delle quali sembrano impossibili oggi. Alcune parole attraversano tutto il “primo piano” che somiglia più a un “piano di prima” tanto le parole sembrano anacronistiche : le certezze, la borghesia e la lotta di classe, il “popolare”, la rivoluzione, l’immaginazione, la libertà, il “cambiare il mondo”. E ancora il “collettivo”, come contrario dell’individualista, come aggettivo di sogno, per esempio, e il “Movimento” che andava a significare, il non stare mai fermi, continuare a lottare ad andare avanti (al contrario di un Movimento odierno, che non va da nessuna parte, neanche dove lo porta il vento). Mario Dondero lo diceva forse meglio di tutti : “la politica si deve nutrire di creatività, di poesia, e di immaginazione”. Nel “dopo”, abbiamo attraversato gli anni di vuoto politico e quelli del berlusconismo, nutriti da marketing e dalla TV-monnezza. La politica di oggi è solo la logica conseguenza di questa malnutrizione. Continuons le combat ?

Il cibo angelico di Mariella Fabbris


Ho conosciuto Mariella Fabbris nell’estate del 1990, anno in cui entrai in contatto con l’allora Laboratorio Fiat Teatro Settimo Torinese. Li raggiunsi a Montalcino durante le prove di Storia di Romeo e Giulietta, spettacolo liberamente tratto da Shakespeare, accompagnandoli nella tournée che seguì. Fu un’esperienza che ha segnato il mio modo di pensare e di fare il teatro. Sperimentale e innovativo, il lavoro di Teatro Settimo contribuì a gettare le basi di quello che in seguito sarà definito il teatro di narrazione, entrato ormai a far parte della tradizione. Un fenomeno specificamente italiano - guardato oggi con interesse da molti teatranti francesi - che vede nei suoi più famosi esponenti attori come Marco Paolini, Ascanio Celestini, Marco Baliani e molti altri ancora. La presenza della compagnia sul proprio territorio ha dato luogo a importanti conquiste, non ultima la trasformazione di una città-dormitorio operaia della periferia di Torino in un centro culturale e teatrale diventato un punto di riferimento per le nuove generazioni.Attrice, regista, drammaturga e pedagoga molto attiva nel sociale, Mariella Fabbris ha mantenuto intatto nel tempo tutto il suo spirito militante, dando vita a innumerevoli progetti. Ritrovarla qui a Parigi e accompagnarla nelle date parigine del suo spettacolo Cibo Angelico è per me un immenso piacere.Come nasce Cibo angelico ?Questo spettacolo-cena-racconto nasce dalla memoria di mia nonna Pasqualina. Da lei ho ereditato uno schiaccia-patate. Ho sempre raccolto le testimonianze degli altri : operai della fabbrica, partigiani... Ad un certo punto ho sentito il bisogno di occuparmi anche della mia memoria personale. Così da qualche anno vado di casa in casa raccontando un po’ mia nonna e un po’ le parole di Antonio Tabucchi, ispirandomi ai suoi racconti da I volatili del Beato Angelico. Tabucchi l’ho conosciuto a Torino in occasione della sua presentazione di Sostiene Pereira. Gli ho parlato della mia idea di sostituire il protagonista del suo racconto - un frate - con la figura di mia nonna e gli ho detto che mi sarebbe piaciuto che un giorno vedesse lo spettacolo. Mi scrisse una lunga dedica su una pagina del mio diario di viaggio in cui diceva che mi aspettava a Vecchiano, il paese dove era nato. Purtroppo è morto prima che ciò potesse avverarsi. Da lui imparo ancora oggi cosa vuol dire viaggiare, cos’è il luogo della memoria, dell’incontro.C’è stata un esperienza precedente, con Teatro Settimo, alla fine degli anni ‘80. Lo spettacolo si chiamava Stabat Mater. Insieme a Laura Curino, Lucilla Giagnoni, Roberto Tarasco e Luca Riggio per un anno e mezzo siamo andati di casa in casa, viaggiando su un furgoncino. Contattavamo direttamente le persone interessate ad accoglierci tramite la nostra rete di amici e chiedevamo vitto e alloggio per una sera. All’inizio era un’idea nata per produrre lo spettacolo ma in realtà il vero spettacolo si rivelò essere il viaggio, durante il quale abbiamo tenuto dei diari che in seguito furono pubblicati da Gerardo Guccini e Michela Marelli.Purtroppo non ho visto Stabat Mater, ma so che non avete mai smesso i panni dei personaggi per tutta la durata del viaggio...Sì, eravamo tre sorelle figlie di un colonnello dell’esercito. La mattina indossavamo delle giacche militari su vestitini anni ’50 e partivamo.Ricordo che il personaggio di Lucilla era una donna incinta.Esatto. Quando dopo un anno, siamo ritornati in alcune zone dove avevamo già fatto lo spettacolo, le persone che lo avevano visto si stupivano che non avesse ancora partorito. Tutti la trattavano con grande attenzione e lei non sapeva se svelare o meno il segreto. Il gioco era molto « stanislavskiano » e Lucilla aveva a poco a poco integrato questa postura e il modo di camminare anche quando non aveva il cuscino a mo’ di pancia. Viaggiamo di giorno e sostavamo nelle case di notte. Raccontavamo testi ispirati a Isabel Allende, Garcìa Marquez, e la mattina, dopo una bella colazione, ripartivamo. Ognuno ci dava un’offerta suffiiciente per fare gasolio. Andammo avanti fino a quando Gabriele Vacis ci richiamò per montare Romeo e Giulietta.In quel momento ci siamo incontrate...Sì. Ci aspettavano Marco Paolini, Eugenio Allegri, Mirko Artusi. Dopo fu il turno di mettere in scena Goldoni, e via di seguito. Fino al duemila abbiamo fatto grossi spettacoli. Poi abbiamo chiuso la cooperativa.Ma continuate a lavorare insiemeSì, io, Laura e Lucilla facciamo Il sogno di Adriano Olivetti -di cui è previsto un nuovo allestimento a Pozzuoli nel 2019. Presentato in Italia e all’estero, lo spettacolo era in origine una comanda del comune di Ivrea. Ne esistono due versioni televisive : una ripresa sul tetto della fabbrica ed una in studio a Torino, per la Rai, con la regìa di Mario Capanna.Gli Olivetti incarnano un’ imprenditorìa diversa, basata su valori sociali e non solo sul profitto.Infatti. L’Olivetti è stata tra le prime industrie a rinascere nel dopo-guerra. Gli operai erano contadini o figli di contadini. Durante la guerra avevano nascosto i macchinari nel letame delle campagne per sottrarli alla distruzione e alla fine la fabbrica fu salvata grazie al contributo di tutti. C’era un’idea di comunità molto forte. Olivetti rispettava i lavoratori, voleva renderli azionisti. Era capace di circondarsi di persone valide e aveva intuizioni geniali come il coinvolgimento di Lecorbusier, o di Furio Colombo. Era aperto alle proposte innovatrici, per esempio dare alle operaie uno spazio per allattare. Pensò alla mutua, alla biblioteca. Organizzava regolarmente incontri culturali con personalità del calibro di De Sica. Anche quella di creare lo stabilimento di Pozzuoli fu una scelta idealista. In contro-tendenza col fatto che tutte le fabbriche erano al nord, lui ha pensato di farne una al sud, davanti al mare. C’è un film che racconta la sua storia. Ritornando al teatro nelle case, non l’abbiamo inventato noi. È una forma di narrazione antica come il mondo. Per noi è stata una vera e propria formazione. Con Stabat Mater siamo andati in Romania, in Bulgaria, al Fringe festival di Edimburgo, abbiamo vinto alcuni premi. Non ho rinunciato agli spettacoli nei teatri. Ultimamente con Alessandro Baricco, abbiamo ripreso Smith and Wesson. Quella di andare in giro nelle case è però per me la possibilità di raccontare quando e dove voglio, senza dover sottostare ai ritmi della stagione teatrale. È anche una sfida, non sempre facile.Però funziona, si vede che la gente ha bisogno di questo contatto diretto.Sì funziona e mi permette di incontrare gente diversa, che magari non frequenta spesso i teatri. Raccontare le storie è una grande palestra. Quella della memoria è la dimensione che preferisco. Una dimensione semplice, di pace.Teatro Settimo è stato un punto di riferimento per il teatro italiano di quegli anni. Non mi piacciono le etichette « di ricerca » « sociale » « civile ». Il teatro per me è tutto questo allo stesso tempo. È un atto sociale e politico.Sì, è bene ribadirlo. Non « facciamo » cultura, « siamo » cultura. A Settimo Torinese, eravamo tutti figli di operai, arrivati da ogni parte d’Italia. In città non ci sono monumenti antichi, solo fabbriche. Tre acciaierie, una di colori e vernici, un’altra di rivestimento cavi, dove ha lavorato Primo Levi... Questo tessuto industriale di città-dormitorio costituisce l’identità del luogo. Da giovani potevamo scegliere tra drogarci o provare a raccontare chi eravamo. Oggi Settimo prende sul serio la sua vocazione culturale : l’anno scorso si è candidata a Capitale della Cultura 2018. Siamo arrivati secondi dopo Palermo, dietro di noi c’era Recanati. È un motivo di orgoglio, una forza. Grazie al teatro la comunità può raccontarsi con la propria voce.Hai lavorato molto anche sui percorsi dell’identità femminile ?I progetti sono tanti. Per citarne alcuni : Non mi arrendo non mi arrendo, nato nel 2005 dall’idea di commemorare i cinquant’anni della Resistenza, mi ha permesso di conoscere partigiane che combattendo hanno salvato i propri figli, gli uomini, la terra. Parlando con loro ho misurato il coraggio e la capacità delle donne di comprendere la complessità della vita. Da qui è scaturito Divagazioni sul potere, riflessione sul ruolo delle donne in politica, con cui io, Gabriella Bordin, Elena Ruzza e Rossana Bezzana abbiamo vinto il « Premio per l‘invecchiamento attivo ». Poi Divina. Osservatorio femminile, fu realizzato con Teatro Settimo, insieme ad Antonia Spaliviero, Laura Curino e Adriana Zambon con l’intento di raccogliere le testimonianze di attrici di generazioni diverse- e diede vita allo spettacolo Mestiere d’attrice - ma che maniera far finta di essere un’altra - poi riallestito col titolo Divina- in cui prendevo spunto da Il tempo delle attrici, di Laura Mariani. Ultimo in ordine di tempo, con le Scienziate di biotecnologia di Torino, Fate Scienza è un racconto sull’importanza delle staminali e un omaggio alla passione delle donne scienziate. Una ricerca fatta con Tiziana Cravero della MBC che ha ricevuto il premio Horizon.