Qualche ipotesi
In virtù dell'appartenenza alla Sabina, il territorio di Contigliano lega gran parte della sua storia alle vicende di questa regione dell'odierno Lazio. La documentazione che lo riguarda è per la verità scarna, tanto per ciò che concerne la storia delle origini e dell'epoca sabino-romana, quanto per quel che attiene alla storia più recente, dal XVIII sec. in poi. Più che i documenti, che citano nomi in riferimento a delle proprietà, senza alcuna associazione a precisi avvenimenti, parlano l'architettura del centro storico ed edifici quali la chiesa di San Lorenzo, l'abbazia di San Pastore, e soprattutto la Collegiata, la cui costruzione inizia nel 1655 e si protrae per quasi cento anni.
Uno spunto alla riflessione viene dalle ipotesi sull'origine del toponimo Contigliano, a partire dall'associazione a Cutiliae fino alla relazione al nome di Quintilianum, oratore romano del I sec. d.C., ipotetico proprietario di una villa nel territorio. Esse suggeriscono uno stretto rapporto tra l'Avens flumen (il fiume Velino) e gli insediamenti romani nel reatino, soprattutto nella prima parte dell'epoca imperiale. In tal senso, le testimonianze archeologiche lungo il corso del fiume Velino, come quelle di Falacrinae (Cittareale), di Paterno (Terme di Tito) e della stessa Rieti, non renderebbero improbabile che anche sui margini di ciò che rimaneva del lacus Velinus, in prossimità di Contigliano, si trovino indizi di stanziamenti o di complessi fatti edificare da qualche illustre personalità del mondo romano. L'interrogativo sul "dove" è d'obbligo. Un'area nella quale sono emerse tracce di edifici, probabilmente del periodo romano, è quella sovrastante l'abbazia di San Pastore, in particolare nei pressi della località Belvece, nella frazione di Madonna del Piano. Secondo alcuni escursionisti, che percorrevano con frequenza l'area, le tracce erano ben visibili, ma a quanto sembra nessuno ha dato ad esse la dovuta importanza, sebbene si trovassero lungo il sentiero che collega la frazione ai resti, ormai sommersi dal bosco, il castello di Rocca Alatri, dal quale sarebbe partito un esodo che avrebbe in parte alimentato il popolamento delle zone sottostanti.
Nel 1946 lo studioso reatino Francesco Palmegiani (Rieti e la Regione Sabina nella millenaria funzione preistorica e storica, Rieti, 1946), segnalava, citando Mariano Vettori (sec. XVIII), la presenza di vestigia romane in colle de sanctu, cioè nella collina denominata Colle d'Oro, posta ai piedi del degradare delle alture che fanno capo a Cima Bandita (mt. 1041), nella quale in effetti vennero effettuati dei ritrovamenti (utensili, monete).
Fig. 2- L'area di San Lorenzo
E forse proprio in questa area anche Pompeo Angelotti riteneva si trovassero i resti del sepolcro di Memmio Apollinare, generale di Traiano, dopo il ritrovamento di un'iscrizione che cita il militare romano, attualmente murata sulla facciata del palazzo Solidati-Tiburzi in piazza Vittorio Emanuele II (Fig. 1). Colle d'Oro sovrasta i terreni della località San Lorenzo (Fig. 2) ove è ubicata una chiesetta medievale, sede parrocchiale fin quando non fu decisa l'edificazione della prima chiesa entro le mura dell'attuale centro storico (XIII sec.). Proprio qui, si congetturava in passato, ed ancora oggi congetturano i contiglianesi che nutrono interesse per la storia del paese, si troverebbero resti di edifici, forse su strati sovrapposti, che risalirebbero all'età romana e anche ad una successiva riconversione. Ne era fortemente convinto, negli anni '70 del XX sec., il prof. Manlio Ianni, il quale, durante una visita didattica alla chiesa di San Lorenzo, faceva notare ad alcuni suoi allievi l'andamento anomalo del terreno attorno all'edificio e la sua collocazione, non al centro dell'area ma in prossimità del suo degradare. Solo un programma di scavi permetterebbe di capire se nell'area di S. Lorenzo si trovasse un unico complesso identificabile come villa o un vero e proprio insediamento, forse quello originario, antecedente, e/o da esso indipendente, a quello dell'attuale centro storico sorto nel periodo dell'incastellamento. Ma con le ipotesi non si fa storia!
Fig. 1 - Lapide con dedica a Memmio Apollinare
Qualche data
I documenti cartacei sul territorio di Contigliano non sono molti. Le indicazioni principali provengono dalla documentazione dell'Abbazia di Farfa, in particolare dal Regesto Farfense, e da quella dell'Archivio di Stato di Rieti e, ad oggi, non consentono una successione organica di eventi, ma forniscono comunque riferimenti sufficienti a delineare l'evoluzione del centro abitato. Rispetto alla storia più recente, almeno quella dei due secoli a noi più vicini, sarebbe interessante verificare se l'archivio comunale di Contigliano, mediante atti amministrativi e dati anagrafici, sia in grado di fornire elementi per qualche ricostruzione.
Anno 770: si ha notizia di un locus in riferimento ad un praesidium (fundus) della gens Quintilia.
Sulla base di questo cenno qualche studioso ha ipotizzato l'esistenza di un insediamento di epoca romana. In età pre-romana il lucus identificava un bosco sacro. Nel contesto del documento in cui compare sembra avere una corrispondenza con ciò che oggi si definisce vocabolo o contrada. Si veda, in tal senso, il Lucus Feroniae (Capena) che deve il suo nome ad un bosco sacro, con tempietto ed altare, dedicato alla dea Feronia, ma successivamente identificativo di un insediamento romano.
Anno 794: viene citata la corte di S. Pastore in Quinto, in riferimento, con molta probabilità, ad un nucleo abitativo attorno ad una chiesa.
La denominazione in Quinto, molto vicina a Quintilianum, potrebbe far pensare ad un podere in prossimità del luogo dove verrà edificata l'abbazia di San Pastore.
Anni 840, 857, 859: in tre privilegi degli imperatori Lotario e Ludovico I sono indicati beni in loco qui dicitur ... quintilianus.
Anni 925, 962: La Sabina, fino ad allora parte del Ducato di Spoleto (925 d.C.), viene unita al Ducato Romano. Rieti e il suo territorio sono donate al Papa dall'imperatore Ottone (962 d.C.).
Anno 1021 o 1022: è menzionata la curtis de quintiliano
Curtis esprime una condizione prettamente feudale di un insieme di ville o di edifici sul quale viene esercitata una signoria.
Anno 1118: si ha notizia di una Ecclesia Sancti Thomae in Quintililiano in territorio Sabinensi.
La chiesa dedicata all'apostolo Tommaso (Fig. 3) è ubicata in località Fonte Cerro. Ad essa è collegato il Romitorio di S. Eleuterio che sorgeva alla diramazione della Salaria percorsa anche da Francesco d'Assisi che nel Romitorio trovò riparo.
Anno 1153: viene nominata la chiesa di Sancti Laurentii in Quintiliano
Si tratta della chiesa romanica di San Lorenzo (Fig. 4), alla quale ci si riferisce con il termine plebs (pieve), che contraddistingue una chiesa rurale con annesso battistero (plebs baptismalis), dunque un luogo di culto principale prima della costruzione della chiesa dedicata a S. Michele Arcangelo.
Anno 1157: per la prima volta si trova scritto castrum quintiliani.
La menzione è importante perché testimonia la tendenza a fortificare, in sintonia con quanto avviene a partire dal IX-XI sec. in tutta l'Italia centrale (Si veda: Toubert P., Les Structures du Latium médièval. Le Latium méridional et la Sabine du IX siècle à la fin du XII siècle, Roma 1973; Toubert P., Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri nell'Italia medievale, Einaudi 1997).
Fig. 3 - La chiesa di "S. Tomeo"
Fig. 4 - San Lorenzo agli inizi del 1900
Fig. 5 - Attuale abbazia di S.Pastore
Fig. 6 - Attuale chiesa di S. Giovanni
Anno 1255: sorge l'abbazia cistercense di San Pastore (Fig. 5). L'edificazione avviene quasi certamente nella curtis (in Quinto) citata nel 794.
Anno 1294: si parla di una chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo. La chiesa occupava parte dello spazio della navata dell'attuale Collegiata ed era disposta con l'ingresso a nord. Si tratta della prima menzione di un luogo di culto entro il castrum.
Anno 1428: viene incoraggiata la costruzione di una seconda chiesa nel castrum dedicata a San Giovanni Battista (Fig. 6)
L'esigenza di edificare una nuova chiesa accanto a quella esistente potrebbe segnalare un incremento demografico a partire dalla fine del XIV sec.
Anno 1436: i castelli di Contigliano, Scornabecco, Collebaccaro ed altri della Val Canera vengono occupati dalle truppe di Jacopo di Matteuccio, per conto di Micheletto Attendolo Sforza, al soldo degli Angioini. I soldati del Comune di Rieti pongono vanamente l'assedio a Contigliano. Il Comune di Rieti reintegra il castelli solo dopo esborso di un forte tributo.
Anno 1501: il capitano di ventura Vitellozzo Vitelli assale e saccheggia il castello di Contigliano, facendo uccidere 131 abitanti.
Anno 1563: la chiesa di San Michele Arcangelo, edificata prima del 1300 entro le mura del castrum, è elevata al rango di Collegiata, con diritto ad un collegio di canonici.
Anno 1683: la Sacra Congregazione del Buon Governo autorizza l'inizio dei lavori per l'edificazione di una nuova Collegiata (in realtà l'autorizzazione al restauro, sulla base di un progetto è del 1655). Lo scavo per le fondamenta ha inizio nel 1685.
Anno 1747: si celebra la consacrazione della Collegiata i cui lavori di edificazione erano iniziati nel 1685 (ma i contratti per il suo completamento si stipulano fino al 1777).
Anno 1817: Contigliano (1282 abitanti), sotto la delegazione di Rieti, diventa sede di governatorato. Da essa dipendono Greccio, Monte S. Giovanni in Sabina, Cottanello, S. Elia. Il governatorato è costituito da una popolazione complessiva di 6941 abitanti.
A Contigliano sono presenti importanti attività commerciali quali una struttura per la macellazione, un forno, una rivendita di prodotti del monopolio, una drogheria, un mulino, una farmacia, un presidio medico, uno studio notarile, due maestri di scuola e altre attività artigianali di base.
Decennio 1821‑31: il paese, in pieno fervore risorgimentale, subisce diverse occupazioni da parte dei rivoluzionari romagnoli e altrettante riconquiste da parte austriaca e pontificia. Particolarmente devastante per il territorio contiglianese si rivela la presenza nel 1821 di truppe austriache dirette nel napoletano per sedare i moti rivoluzionari.
Dall'1 al 28 marzo 1821 due divisioni austriache si accampano in due distinte parti del paese e, come si evince da alcune lettere dell'allora Gonfaloniere di Contigliano, Giacomo Ponteggi, devastano campi, saccheggiano casali ed obbligano il Comune a somministrare vino, carne, legna, vettovaglie e cibo per i cavalli.
Anno 1883: viene inaugurata la strada ferrata che congiunge L'Aquila e Terni.
Anno 1936: due treni si scontrano nei pressi della stazione di Contigliano. Muoiono otto persone e rimangono feriti tutti gli altri occupanti dei convogli.
Qualche avvenimento
1436 - Jacopo di Matteuccio, nel nome di uno Sforza
Nel 1436 Castrum quintiliani, Scornabeccum e Collebaccarum, come altri castelli della Val Canera, vengono occupati dalle truppe di Jacopo di Matteuccio de L'Aquila.
Per comprendere le ragioni di questa occupazione è necessario evidenziare alcune dinamiche che caratterizzano i rapporti tra le signorie che si contendono territori in una penisola italiana estremamente frammentata.
Le terre del centro-sud vivono un periodo di grande incertezza politica, in gran parte legata alla crisi dinastica nel regno di Napoli a partire dal 1435, quando, con la morte dell'ultima regina, Giovanna II, si scatenano violente tensioni fra i rami della casa d’Angiò, e, successivamente, fra angioini ed aragonesi1. Fin dall'inizio gli angioini stringono una forte alleanza con gli Sforza2, ed in particolare, dopo il 14243, con Micheletto Attendolo (Fig. 5). Particolare del dipinto Battaglia di S. Romano di Paolo Uccello), un capitano di ventura abbastanza noto nelle corti del tempo, tanto che è già stato al soldo di Papa Martino nel 1419 e della Repubblica di Firenze nel 1431. Tra i suoi mercenari figura proprio Jacopo di Matteuccio de L'Aquila con le sue truppe, una sorta di commissario che, nella logica del mercenariato, recluta seguaci tanto con la promessa di bottini di guerra, quanto con la garanzia di una paga4. Nel caso dell'occupazione del 1436, la logica dei mercenari sembra mescolarsi a considerazioni di opportunità politica, dal momento che i castelli si trovano in quella parte della Sabina che, almeno a partire dalla disgregazione del regno longobardo, rappresenta un'area di confine sottoposta a continue contese e cambi di autorità.
La Chiesa di Roma esercita su quest'area una forte ingerenza attraverso il Comune di Rieti che forse controlla i castelli in maniera vessatoria. Nessuna indicazione, infatti, induce a credere che i castellani intraprendano azioni tese ad agevolare i tentativi dei reatini di allontanare gli occupanti e riprendere possesso dei centri abitati. La mediazione del legato papale, cardinale Giovanni Vitelleschi5 (Fig. 6. Dipinto ad olio), favorevole ad una soluzione di compromesso mediante l'esborso di denaro alla famiglia Sforza, che solleverebbe il papa, Eugenio IV, dal prendere posizione nella contesa tra aragonesi ed angioini6, non trova disponibile il Comune di Rieti, il quale, il 2 maggio 1436, per delibera del suo Consiglio Generale, decide di porre l'assedio a Contigliano. La scelta si rivela fallimentare. Dal 3 al 14 maggio, fra vani tentativi di penetrazione ed inutili devastazioni, i soldati del Comune di Rieti sperimentano non solo la resistenza delle truppe di Jacopo ma, come già ipotizzato, anche l'ostilità dei contiglianesi, costringendo il Consiglio cittadino a scendere a patti e ad assecondare le forti richieste di denaro degli occupanti.
L'avvenimento segna in maniera decisiva i rapporti fra il Comune di Rieti e i suoi castelli, in particolare quello con Contigliano, che in occasione dell'assedio si era forse mostrato ben disposto verso il governo delle truppe sforzesche e recalcitrante all'idea di tornare sotto il controllo reatino7. Di fatto il 21 maggio del 1436 il Consiglio Generale del Comune di Rieti nomina un nuovo vicario, quasi a ribadire a stretto girio di vite la propria signoria sul castello e con molta probabilità proprio in questa occasione, come segno visibile di tale signoria, fa collocare nella facciata del palazzo comunale uno stemma di Rieti8.
Fig. 5 - Micheletto Attendolo Sforza
Fig. 6 - Giovanni Vitelleschi
Note
1. Tali tensioni trovano una soluzione nel 1442 con la vittoria su Renato d'Angiò di Alfonso V d'Aragona, della dinastia aragonese dei Trastamara.
2. Dal 1435 al 1442 i contendenti si avvalgono di un complesso gioco di alleanze, all'interno del quale spiccano due fra i maggiori condottieri del tempo: Muzio Attendolo Sforza che sostiene gli angioini, e Braccio da Montone (Andrea Fortebraccio) che fiancheggia gli aragonesi.
3. Sia Muzio Attendolo che Braccio da Montone muoiono nel territorio de L'Aquila, nel 1424: il primo in conseguenza di una ferita procuratasi in battaglia e non curata, il secondo per annegamento nelle acque del fiume Aterno-Pescara.
4. Accanto alla soluzione di facili saccheggi, le compagnie di ventura tendono a ridurre i rischi derivanti dai combattimenti, trasformando le battaglie in lunghe operazioni d'assedio o comunque in scaramucce senza soluzione, al fine di indurre gli assediati sfiniti a pagare forti somme di denaro per porre fine ai conflitti.
5. Giovanni Vitelleschi può essere considerato il braccio armato del pontificato di Eugenio IV. Nel 1436 reprime le turbolenze delle potenti famiglie romane, prima fra tutte i Colonna, che si erano ribellate al papa Eugenio IV. Per la sue capacità militari e diplomatiche assume un ruolo di prim'ordine nella politica pontificia della prima metà del XV sec., tanto che si crede che lo stesso papa, per evitare un eccessiva crescita del suo potere, lo faccia imprigionare, nel 1940, e rinchiudere in Catel S. Angelo.
6. Eugenio IV è alle prese con l'ostilità del collegio cardinalizio che vorrebbe limitare il suo potere. Con una serie di misure repressive verso appartenenti alla famiglia dei Colonna si aliena la simpatia dell'aristocrazia romana e deve abbandonare Roma. L'appoggio di Alfonso V d'Aragona. al quale riconosce giurisdizione su Napoli, gli consente di riprendere il controllo sulla città nel 1443.
7. A sostegno di ciò ci sarebbe il fatto che tra le condizioni imposte ai reatini vi possa essere una sorta di amnistia per i contiglianesi, rei di aver sostenuto il governo di Jacopo.
8. Che lo stemma sia stato collocato in questa occasione ne è convinto Cesare Verani (Contigliano e la sua Collegiata). Lo stemma oggi si trova all'interno dello stesso palazzo comunale.
1501 - Vitellozzo Vitelli, nel nome di un Borgia
Il 7 agosto del 1501 la compagnia di ventura del capitano Vitellozzo Vitelli, signore di Città di Castello, assalta e saccheggia Contigliano, provocando la morte di 131 castellani.
Fig. 7 - Vitellozzo Vitelli
Fig. 8 - Cesare Borgia
Lo storico reatino Cesare Verani illustra il fatto nel testo dal titolo Un sasso per Vitellozzo (Rieti, 1972), avvalendosi, a suo dire, di notizie ed annotazioni contenute nelle “Riformanze” del Comune di Rieti, in particolare del racconto di un notaro orvetano, Tommaso di Silvestro. La descrizione mette in risalto tanto la risolutezza del capitano di ventura quanto quella dei castellani che gli oppongono resistenza, soffermandosi in modo particolare sul pretesto che scatena l'infausta azione degli assalitori: un sasso gettato da una donna1.
Se tralasciamo le descrizioni, a volte troppo ridonanti, del Verani e concentriamo l'attenzione su alcuni passaggi del resoconto del notaro ci si accorge che fotografa il modus operandi di Vitellozzo Vitelli (Fig. 7. incisione di Luca Signorelli), impegnato tra il 1498 ed il 1502 a ritagliarsi una fetta di potere nell'area centrale della penisola. Il notaro orvetano dice chiaramente che Vitellozzo si avvicina al castello "per provvedere in che modo se potesse pigliare", dunque senza alcuna intenzione di contrattare, tant'è che il fare "fenctione de domandare vectovaglia colli homini dentro" ha il solo scopo di consentire ai suoi soldati di "vedere dove se potesse dare battaglia". L'atteggiamento è coerente con quelli da lui assunti in simili occasioni, a partire dal 1498, ossia dal tempo in cui è al servizio, insieme a Paolo suo fratello, della città di Firenze, in guerra contro i pisani. Già da quell'esperienza si ricava l'immagine di un mercenario che si lega alle potenze del tempo per acquisire prestigio ma anche per arricchirsi2, con una spiccata vocazione all'assedio3, ben chiara soprattutto quando accetta di servire militarmente Cesare Borgia (detto il Valentino. Fig. 8. Probabile ritratto), in imprese che gli permettono di accumulare grandi somme di denaro, spesso usato per pagare le truppe reclutate principalmente a Città di Castello, sua signoria, tra 1499 e gli inizi del 15014. Negli assedi posti fino al 1502, tanto per propria iniziativa, quanto per ordine dei Borgia5, il Vitelli associa di frequente l'avidità ad azioni devastatorie e cruente 6, senza un preciso piano politico, come si evince dai continui spostamenti da nord a sud della penisola italiana. Quando giunge a Contigliano il saccheggio è già pianificato. Nessuno pagherà per evitarlo, anche perché solo il Comune di Rieti, che detiene il possesso di Contigliano, è in grado di sborsare una somma pari a quelle a cui è abituato Vitellozzo7 , e ciò fa sì che la rapina al castello diventi il prezzo pagato inconsapevolmente dai centri abitati della conca reatina e della Val Canera per evitare ulteriori saccheggi. Il capitano di ventura, da giorni nella zona quale alleato della città di Spoleto nella guerra con Terni, non ha interesse ad occupare castelli, ha solo bisogno di provvigioni per garantire sostentamento ai soldati impegnati contro i ternani. Il giorno dopo il saccheggio di Contigliano, la truppa è già in cammino verso la città di Terni, dove, saggiamente, i cittadini consentono a pagare 4000 ducati.
Non è chiaro se le 131 persone uccise dentro le mura di Contigliano, il 7 agosto 1501, siano il risultato di una anche minima resistenza armata della popolazione, sopraffatta agevolmente da soldati di professione, o se, in continuità con il modus operandi di Vitellozzo Vitelli, il saccomando per fare bottino sfoci in un'abituale carneficina. Non è altrettanto chiaro quanta parte di popolazione, ossia coloro che, come sostiene il notaro, erano gite fuore, sia scampata al massacro, probabilmente in maggioranza maschi impegnati in lavori nelle campagne. In tal senso non può essere indicativa la notizia che nel 1515 la popolazione di Contigliano è ridotta ad appena 90 fuochi, in quanto il significativo lasso di tempo di quattordici anni non consente, senza la concomitanza con altre evenienze, di stabilire automaticamente un nesso tra l'azione dei soldati del Vitelli ed il decremento demografico subito dal castello. L'avvenimento ad ogni modo evidenzia l'inadeguatezza del sistema difensivo del castello, tanto che nel 1561 la popolazione ottiene dal Comune di Rieti il permesso di ampliare la cinta muraria.
Note
1. Di questo evento, annota nel suo diario: « ... in quel mezzo che lui parlava cussì ad piede delle mura, una donna buctò un sasso grosso per dargle, gle colse sul piede, et stava a cavallo; alquanto gle fece male, allora «immediate» fece dare la battaglia; et presero per forza, et entrò in quel luoco, dove stava quella donna che gle diede, et la prima morta fu quella donna: et entrando dentro de suoi genti, admazzarono 127 homini et quattro donne, quasi non ce rimase più homo, excepti quelle erano gite fuore, et mise ad saccomando lo decto castello».
2. Firenze paga i suoi servigi con 40000 ducati all'anno, ma senza alcun risultato, dal momento che, probabilmente, Vitellozzo e Paolo dilazionano intenzionalmente le operazioni militari contro Pisa per giungere ad una soluzione più remunerativa attraverso un accordo con i pisani. I fiorentini ripagano l'ambiguità dei Vitelli con una condanna a morte per tradimento alla quale, al contrario di Paolo, Vitellozzo riesce a sottrarsi, rifugiandosi proprio nella città che avrebbe dovuto occupare, cioè Pisa.
3. Oltre alla sterile esperienza di Pisa, attacca i castelli di Banzena, Pieve Santo Stefano e Castel Rubello.
4. Dagli abitanti di Amelia riceve 10000 ducati, dall'assedio di Viterbo ne ricava 50000.
5. Assedi importanti vengono portati alla città di Faenza ed ai castelli attorno a Bologna, alcuni dei quali (ad esempio Castel Bolognese) ceduti al Valentino, il quale, nel mese di luglio, invia il Vitelli a fronteggiare gli aragonesi nel Regno di Napoli. Lì, prima si impossessa di L'Aquila, poi prende Capua.
6. Ad Acquasparta fa tagliare a pezzi ancora vivo Altobello da Canale, ordinando di bruciare le sue carni; assale le città nei dintorni di Faenza e fa bruciare i raccolti; devasta alcuni territori veneziani e ravennati; a Campi Bisenzio ordina la devastazione delle terre intorno al comune della provincia fiorentina; a Medicina cattura Pirro da Marciano e gli fa tagliare la testa; a Capua fa ammazzare Ranuccio da Marciano, infettando le sue ferite con il veleno.
7. Si pensi ai 10000 ducati datigli dai Ghibellini di Amelia nell'agosto del 1500.
1936 - Morte sui binari
La mattina del 3 ottobre 1936, alle ore 10.00, due treni, uno proveniente da Terni, l'altro da Rieti, si scontrano nei pressi della stazione ferroviaria di Contigliano, provocando la morte di 8 morti e il ferimento di tutti i passeggeri coinvolti.
L'urto, tra una littorina partita alle 7:40 dalla stazione de l'Aquila ed un convoglio postale in arrivo da Terni, è violento. A bordo del treno, proveniente da Rieti, ci sono, tra gli altri, i membri della squadra di calcio dell'A.S. L'Aquila in viaggio verso per sostenere una partita con l'A.C. Verona valida per il campionato di serie B. Alla base dell'incidente c'è forse un errore del capostazione di Rieti. Nell'impatto muore l'allenatore Attilio Buratti, mentre uno dei calciatori, Marino Bon, privo di sensi, viene in un primo momento ritenuto morto, ma in seguito, ricoverato, sopravvive. Tutti gli altri passeggeri rimangono gravemente feriti e tra essi anche i restanti componenti della squadra di calcio, la maggior parte dei quali non potrà più svolgere attività sportiva.
Persone
Antonio Solidati-Tiburzi, primo sindaco di Contigliano nell'Italia unita
Antonio Solidati Tiburzi è stato Governatore di Contigliano nel 1823 e Podestà durante le insurrezioni del 1831, quando, stanziate a Terria due divisioni dell'esercito rivoluzionario del generale Giuseppe Saccomanni, si rifiuta di sostituire lo stemma pontificio con il tricolore. Decorato nel 1832 con l'onoreficenza Sperone d'Oro da papa Gregorio XVI, nel 1861 è eletto primo sindaco di Contigliano nel proclamato Regno di'Italia. Mantiene tale carica fino alla morte, avvenuta nel 1862.
Luigi Solidati-Tiburzi, un contiglianese del Risorgimento
La più rappresentativa figura contiglianese del periodo risorgimentale è senza dubbio Luigi Solidati Tiburzi (Fig. 9) del quale, in primo luogo, si ricorda la partecipazione al comitato nazionale romano per la liberazione di Roma e per tale appartenenza la polizia pontificia lo arresta e lo rinchiude per lungo tempo nelle carceri politiche di S. Michele. Dopo la scarcerazione viene espulso dallo Stato Pontificio e costretto all'esilio. Dopo il 1861 è eletto deputato al parlamento dal 1865 al 1886, ricoprendo l'incarico di sottosegretario di Stato al ministero di Grazia e Giustizia del governo De Petris, durante il quale fondamentale si rivela il suo sostegno alla realizzazione della ferrovia Terni-Rieti-L'Aquila, e quello di vicepresidente della Camera dei Deputati fino al 1886, anno in cui è eletto Senatore del Regno. Dopo l'esperienza parlamentare diventa Sindaco di Contigliano. Muore il 23 agosto 1889.
Fig. 9 - Luigi Solidati-Tiburzi
Fig. 10 - Filippo Agamennone
Filippo Agamennone e l'ardore garibaldino
Al seguito di Garibaldi, insieme ad altri volontari di Rieti, si trovano, nel 1867, due contiglianesi: Francesco Solidati Tiburzi e Filippo Agamennone (Fig. 10. Ritratto giovanile 1847), i quali prendono parte alla battaglia di Montelibretti contro le truppe pontificie. Il giovane seminarista Filippo Agamennone, lascia improvvisamente gli studi teologici, coinvolto dalle idee rivoluzionarie veicolate dagli scritti mazziniani che si vanno diffondendo in ambienti giovanili reatini, ed organizza, dopo il 1861, insieme ad altri trenta contiglianesi, una sezione della Guardia Nazionale. Nel 1867 si arruola nelle guarnigioni garibaldine che tentano la presa di Roma e viene ferito gravemente al petto. Una Lode al valore, contenuta nel giornale Il Monitore Sabino del 19 ottobre 1867, riferisce che Filippo Agamennone "... da una palla nemica aveva avuto spezzata la cassa della sua carabina, vedendo la bajonetta di uno Zuavo scagliata contro il petto d'un compagno d'arme, vibrò la sua contro l'assalitore e lo trafisse. Forse la ferita non era mortale, ed il Zuavo rivolse gli occhi verso il il feritore. Forse negli occhi di lui era l'accento della misericordia, e l'Agamennone preso da un subito sentimento di pietà ritrasse l'arma sanguinosa. Ma in risposta vide vibrata contro di se la bajonetta nemica, che lo feriva nel petto. Od il manco di forza nel feritore già sanguinante, o la fortuna salvò il nostro amico dal tremendo pericolo, o la bajionetta pontificia non gli passò il petto ma si fermò alla prima. Così la di lui ferita non fu grave".
Mattia Battistini e il Parco della Musica
Nella frazione di Collebaccaro muore nel 1928 Mattia Battistini (Fig. 11) baritono molto noto in Europa tra il 1878 e il primo decennio del XX sec. Voce originale, molto vicina e quella di un tenore, e dinamicità scenica fanno di Battistini uno dei primi cantanti lirici ad essere in grado di coniugare, con stile e padronanza, doti vocali e teatralità. Ha grande successo in Russia, cimentandosi con la musica di autori russi quali Glinka e Ciaikovskij, per alcuni aspetti diversi, tanto per impostazione quanto per tematiche, dalla tradizione del melodramma italiano e tedesco. Si ritira in una villa ai piedi di Collebaccaro (Fig. 12) intorno al 1925, sebbene non abbia smesso del tutto di cantare, in prossimità della quale ha fatto costruire una cappella nella quale è sepolto.
Gli abitanti di Collebaccaro che lo conobbero e che ebbero modo di descriverlo, ne lodavano la disponibilità e la generosità, evidenziate dallo stesso baritono con la scelta di farsi seppellire con un saio francescano. Negli anni '90 del XX sec. l'ente Provincia di Rieti ha finanziato il recupero dell'abitazione del baritono, allo scopo di farne un Parco della musica, con la finalità di promuovere l'arte della musica e quelle ad essa collegate, come la danza ed il teatro. A decorrere dall'anno accademico 2008/2009, mediante convenzione, nel parco stata istituita una sede distaccata del Conservatorio di Santa Cecilia in Roma.
Fig. 11 - Mattia Battistini
Fig. 12 - La villa di Battistini
Ascolta Battistini su YouTube
"Senza tetto senza cuna...". 2. "Ah! Non avéa più lagrime" 3. "Pe me giunto... Io morrò ma lieto in core 4. "La partida" 5. "Oh! De' verd'anni miei" 6. "A tanto amor"
Consulta: Bernardini E. - Ravaioli N., Mattia Battistini. Breve profilo storico-biografico, Rieti 1980.
Venanzio Grossi e Cantonetti Alessandro eroi della MVSN
Due contiglianesi, Venanzio Grossi e Alessandro Cantonetti vissuti prima della Seconda Guerra Mondiale, vanno ricordati come figure fortemente convinte delle idee per cui decidono di combattere. Entrambi appartenenti alla Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN), muoiono in battaglia, il primo nel 1939 durante la guerra civile spagnola, il secondo nel 1938 nella campagna d'Africa.
L'atteggiamento assunto poco prima della morte è stato ritenuto eroico, per questo sono stati insigniti, rispettivamente, della medaglia d'argento e della medaglia d'oro al valor militare.
Fig. 13 - Antonio Agamennone
Antonio Agamennone medico di tutti
Una figura poco nota, ma di grande spessore morale, all'interno della comunità contiglianese tra le due guerre mondiali del XX sec., è Antonio Agamennone, nipote del Filippo garibaldino ferito nella battaglia di Montelibretti del 1867. Medico condotto prima di Poggio Moiano, poi per molti anni di Contigliano, a partire dal 1911, Antonio Agamennone lega il suo nome ad un assiduo impegno nell'esercizio della professione medica. Dalle memorie raccolte dalla voce di contiglianesi armai scomparsi, ma soprattutto dalla documentazione della famiglia Agamennone conservata in un fascicolo, si ricava l'immagine di un medico che, anche in età avanzata, si muove in calesse, anche di notte, per le strade sterrate che collegano Contigliano alle frazioni, che distribuisce denaro e cibo a pazienti in difficoltà, che trasforma la sua casa in ospedale durante l'epidemia di spagnola che colpisce il paese tra il 1918 e il 1920. Tra le carte del medico si trova un encomio del sindaco di Contigliano per l'abnegazione dimostrata durante l'epidemia che, a quanto pare, lo stesso medico ha subìto personalmente, dal momento che il sindaco augura a lui ed a sua moglie pronta guarigione.