Organizzazione: Marina De Palo (Università di Roma - Sapienza) e Filomena Diodato (Università di Roma - Sapienza)
La nascita della semantica moderna si fa risalire generalmente alla fine dell’Ottocento quando Michel Bréal (1866), esortando i linguisti della sua epoca a rivolgersi allo studio della signification e della fonction delle parole, mette a nudo l’insufficienza e la parzialità dell’oggetto di studio della linguistica comparativa dominata dal paradigma biologico e naturalista di matrice schleicheriana e da un’attenzione esclusiva per le forme.
La prospettiva semantica aperta da Bréal nell’Essai del 1897 ha avuto una ricezione complessa nella linguistica successiva, intrisa di insidie e fraintendimenti. Intanto, secondo un luogo comune diffuso, contestato da De Mauro (1994: 121), la teoria linguistica di Saussure sembrerebbe non aver raccolto l’appello di Bréal in quanto mancherebbe di una teoria del significato. Questo topos ricorrente tra gli esegeti di Saussure era stato preparato dagli stessi curatori del CLG, Bally e Secheaye, che ritenevano che la semantica fosse stata appena sfiorata da Saussure, perché ne mancherebbe una «esposizione metodica» (CLG/D, p. 26). È questo un punto di vista che continua a serpeggiare nella storiografia, tanto che anche in una importante storia delle teorie semantiche tra il 1830 e il 1930 (Nerlich, 1992) la semantica di Saussure non è presa in considerazione.
È, tuttavia, innegabile che con Frege (1892) e Saussure il tradizionale tema delle ‘idee’ subisce una vera e propria svolta fondativa anche per la filosofia del linguaggio. La rivoluzione dei termini saussuriani signifié/signification, da un lato, e la coppia Sinn/Bedeutung, dall’altro, gettano le basi della cosiddetta “svolta linguistica”.
Sebbene, in ambito linguistico, abbia prevalso il mito dell’autonomia - che De Mauro (1965) ha correttamente inquadrato come un argomento ad hominem - complesso è il rapporto tra la nascente scienza dei significati e la psicologia; antipsicologismo non significa, infatti, svincolare la langue dalla dimensione psicologica, corporea, storico-culturale e sociale; in una parola, dalla vita dei parlanti. I limiti di tale mito si ravvisano nei molti tentativi di dotare la semantica, specialmente quella lessicale, di metodi propri, anche in polemica con la pedissequa applicazione al signifié del “metodo del fonema” (Diodato 2019).
A complicare ulteriormente lo scenario, tra fine Ottocento e i primi decenni del Novecento diverse branche della linguistica europea sembrano già integrare delle prospettive semantiche: nella dialettologia (Gilliéron, Paris), nella lessicografia francese (Darmesteter) e nella lessicologia tedesca (Trier, Porzig), nella stilistica (Bally). Il tema del senso si declina, dunque, in diverse prospettive e discipline, da quella psicologica dei Prinzipien di Paul, a quella sociologica della scuola di Parigi, con Meillet, fino a una piena integrazione nella Sprachtheorie di Bühler (1934).
Ciò nonostante, pur con consistenti eccezioni che nascevano dal ripensamento delle ‘dicotomie’ langue/parole, sincronia/diacronia, sintagmatico/paradigmatico (Weisgerber, Hjelmslev, Coseriu e altri), dalla seconda metà degli anni Quaranta del secolo scorso l’esclusione del senso fu lo slogan di alcune frange della linguistica strutturale, ripreso dagli sviluppi generativisti (De Mauro 1971: 68), che hanno definitivamente marginalizzato il tema del significato. La deriva antisemantica si ricollega alla linguistica americana (cfr. Bloomfield 1933: 27, 74-75) ben prima di Chomsky, ma riguarda anche molta parte della linguistica europea tanto che Weinreich (1963: 115) poteva affermare che in materia semantica «quasi ogni cosa resta ancora da fare» (De Mauro 1965: 3).
Quelli che precedono la pubblicazione della traduzione e del commento al CLG sono, dunque, anni in cui, scrive De Mauro (1971: 5), «dappertutto era ritenuto quasi riprovevole che un linguista si occupasse di un dominio così ‘poco scientifico’» come quello della semantica. Allora, che fare? Eliminare il senso? si chiede De Mauro in un articolo del 1968 (poi in De Mauro 1971) riprendendo una provocazione di Martinet (1961). Per accettare questa eliminazione, argomenta De Mauro (1971: 61), bisognerebbe rifiutare la saussuriana definizione di segno. E invece, proprio a partire da questa nozione fondativa, egli concepisce i lineamenti di una teoria semantica nel solco della linguistica saussuriana prendendo così le distanze dal celebre triangolo semantico di Ogden e Richards (1923: 11), a cui pure un semanticista come Ullmann (1962), con qualche ambiguità, sembrava aderire (De Mauro 1965: 192-193).
Seguendo le linee della “invenzione” della semantica, scopo di questo panel è approfondire sia il complesso scenario in cui questa rivoluzione copernicana matura, sia le molteplici direttrici che, nel corso del Novecento, hanno caratterizzato la ricezione e l’evoluzione della semantizzazione saussuriana della lingua.
Riferimenti
Bloomfield, L. (1933), Language, New York, Holt.
Bréal M. (1866), “De la forme et de la fonction des mots”, in Revue des cours littéraires de la France et de l'étranger, IV, 5, pp. 65-71.
Bréal M. (1897), Essai de sémantique. Science des significations, Paris, Hachette, Paris.
Bühler K. (1934), Sprachtheorie. Die Darstellungsfunktion der Sprache, Jena, Fischer.
De Mauro T. (1965), Introduzione alla semantica, Bari, Laterza.
De Mauro T. (1971), Senso e significato. Studi di semantica teorica e storica, Bari, Adriatica editrice.
De Mauro T. (1994), Capire le parole, Roma-Bari, Laterza.
De Palo, M. (2001), La conquista del senso. La semantica tra Saussure e Bréal, Roma, Carocci.
De Palo, M. (2016), Saussure e gli strutturalismi. Il soggetto parlante nel pensiero linguistico del Novecento, Roma, Carocci.
Diodato, F. (2013), Teorie semantiche. Dal segno al testo, Napoli, Liguori.
Diodato, F. (2019), “The Neo-Humboldtian Lexical Field Theory. Origin, reception and perspectives”, Paradigmi XXXVII, 2/2019, 259-274.
Frege, G. (1892), Über Sinn und Bedeutung ("Senso e significato"), in Zeitschrift für Philosophie und philosophische Kritik, pp. 25-50.
Martinet A. (1961), Eléments de linguistique générale, Paris, Colin.
Nerlich B. (1992), Semantic Theories in Europe 1830-1930, Amsterdam-Philadelphia, Benjamins.
Ogden C.K., Richards I. A. (1923 [19468]), The Meaning of Meaning. A Study of the Influence of Language upon Thought and of the Science of Symbolism, London, Routledge & Kegan Paul.
Saussure, F. de (1967 [199716]), Corso di linguistica generale, introduzione, traduzione (dell’ed. del 1922) e commento di T. De Mauro, Bari, Laterza (=CLG/D).
Saussure, F. (2005), Scritti inediti di linguistica generale, Introduzione, traduzione e note di T. De Mauro, Roma-Bari, Laterza (=SLG)
Ullmann, S. (1962), Semantics. An Introduction to the Science of Meaning, Oxford, Blackwell.
Weinreich U. (1963), On semantic structure of Language, in J.H. Greenberg (a cura di), Universals of Language, Cambridge Mass., The MIT press, pp. 114-171.
Università di Salerno
Il Précis de stylistique (1905) di Charles Bally segna la data di nascita della moderna stilistica linguistica. Bally si inserisce nel solco delle riflessioni saussuriane sulla centralità dei rapporti associativi nel costituirsi di un qualsivoglia sistema linguistico relativamente a «toutes les parties de la langue depuis la syntaxe et la stylistique, en passant par le lexique et la constitution des mots, jusqu’aux sons et aux formes fondamentales de la pronociation (accent, mélodie, durée, pauses etc.)» (Bally, 1950: 20). La stilistica intesa come scienza teorica dell’espressione (cfr. Bally, 1969: 55) svolge per Bally un ruolo fondamentale nello studio del linguaggio e delle lingue in quanto il suo compito è quello di individuare i tipi espressivi (types expressifs) che, in un determinato stato di lingua, rendono conto degli aspetti affettivi ed emotivi che caratterizzano i concreti usi linguistici dei parlanti. Il significato delle parole di una lingua non si esaurisce nel semplice riferimento oggettivo (denotazione), ma ogni parola ha anche un valore affettivo, soggettivo ed espressivo (connotazione) che trasmette emozioni, giudizi, atteggiamenti del parlante. Nello studio di una lingua trova così spazio non solo tutto ciò che fa parte propriamente del dominio intellettuale, ma anche ciò che riguarda la sfera dell’affettività e dell’espressività. Tutto il sapere linguistico dei soggetti parlanti – quello cognitivo ma anche quello affettivo – è oggetto di studio della linguistica generale e della stilistica che è fisiologicamente “incastrata” in essa. Nel dominio della langue bisogna prevedere una «province qu’on a beaucoup de peine à lui attribuer: la langue parlée envisagée dans son contenu affectif et subjectif. Elle rèclame une étude spéciale: c’est cette étude que j’appelle la stylistique» (Bally, 1952: 158-159).
L’intento di Bally è dunque quello di svolgere un’indagine sistematica della dimensione affettiva del linguaggio portando così alla luce tutto il système expressif di una lingua. Nella stilistica di Bally la lingua parlata ha un posto centrale perché essa «est la seule vraie langue et la norme à laquelle toutes les autres doivent être mesurées» (Bally, 1920: 8) e la stilistica «doit être basée sur la langue parlée; car ce n’est pas une science livresque» (Bally, 1905: 32). Lingua parlata e soggettività (unitamente all’affettività) sono dunque legate a doppio filo e costituiscono l’oggetto di studio privilegiato della stilistica.
Riferimenti
Bally, Charles (1905), Précis de stylistique. Esquisse d’un méthode fondée sur l’étude du français moderne, Genève, A. Eggiman & Cie, Librairie Editeurs.
Bally, Charles (1920), Traité de stylistique française, Paris, Librairie C. Klincksieck; 1a ed. 1909.
Bally, Charles (1950), Linguistique générale et linguistique française, Berna, FranckeVerlag.
Bally, Charles (1952), Le langage et la vie, 3a ed., Genève, Librairie Droz (1a ed., Genève, Atar, 1913).
Bally, Charles (1969), L’étude systématique des moyens d’expression, in R. Godel (ed.), A Geneva School Reader in Linguistics, Bloomington & London, Indiana University Press, pp. 53-71.
Basile, Grazia (2007), Dalle associazioni alla grammatica. Riflessioni su alcune pagine saussuriane, in A. Elia – M. De Palo (eds.), La lezione di Saussure. Saggi di epistemologia linguistica, Roma, Carocci editore, 140-156.
Basile, Grazia (2022), From Associative Relationships to the Birth of Stylistics, in M. De Palo – S. Gensini (eds.), With Saussure, beyond Saussure. Between linguistics and philosophy of language, Münster, Nodus Publikationen, pp. 79-97.
De Palo, Marina (2016), Saussure e gli strutturalismi. Il soggetto parlante nel pensiero linguistico del Novecento, Roma, Carocci editore.
Devoto, Giacomo (1950), Studi di stilistica, Firenze, Le Monnier.
Guiraud, Pierre (19654), La stylistique, Paris, Presses Universitaires de France; 1a ed. 1954.
Marouzeau, Jean (19594), Précis de stylistique française, Paris, Masson et Cie; 1a ed. 1941.
Saussure, Ferdinand de (1916), Cours de linguistique générale, Paris, Editions Payot (Corso di linguistica generale, con introd., trad. e comm. di T. De Mauro, Roma-Bari, Laterza, 199612; 1a ed. 1967).
Soletti, Elisabetta (1994), Stilistica, in G. L. Beccaria (ed.), Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Torino, Einaudi, pp. 697-699.
Università di Roma - Sapienza
La svolta semantica ed epistemologica di Saussure è stata salutata come l’avvio di una nuova prospettiva secondo la quale il significato linguistico non è assimilabile all’oggetto di studio della psicologia, della logica o della metafisica. Il tradizionale tema delle ‘idee’ subisce nel CLG una vera e propria svolta fondativa e con la coniazione del termine signifié, alternativo al termine corrente francese signification, si gettano le basi della cosiddetta “svolta linguistica”. Questa ‘svolta’ è stata recepita dagli strutturalismi enfatizzando la portata antipsicologista del pensiero saussuriano e trascurando quei temi etichettabili come ‘psicologisti’ o ‘mentalisti’ intorno a cui si può delineare il ruolo dell’individuo parlante nel linguaggio.
A ben osservare però l’introduzione del significato sembra comportare necessariamente una prospettiva globale dei fatti linguistici e far svanire l’ipotesi di individuare un dominio di analisi autonomo della semantica. Infatti, se la semantica non-autonoma di Michel Bréal (Essai de sémantique, 1897) contiene una riflessione generale sul linguaggio più che delineare una branca della linguistica, la semantica di Saussure teorizza proprio la presenza e la centralità del significato in tutti livelli linguistici. La questione del significato è in un certo qual modo pervasiva e difficilmente circoscrivibile: il concetto di segno bifacciale, raggiunto da Saussure tardivamente e con fatica, costituisce una specie di rivoluzione copernicana in quanto esso, non rimandando più a un’idea esterna al segno, ma, includendo il senso, ha l’effetto di «semantizzare» l’analisi linguistica e di mostrare l’impossibilità di analizzare il significato senza considerarlo integrato a una prospettiva globale, quella che Marcel Mauss (Les techniques du corps, 1934), chiama dell’ “uomo totale”. In questo senso le prospettive cognitive, rinunciando al dispositivo segnico della bifaccialità, sembrano dissolvere il punto di vista linguistico.
In questo contributo a partire da queste aporie cercherò di fare un bilancio della complessa ricezione nel pensiero del Novecento della prospettiva semantica aperta da Bréal e dispiegata da Saussure.
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Come è noto, con la semantizzazione della lingua e della linguistica (De Mauro 1971; De Palo 2001, 2016), Saussure sconfessa la concezione della lingua come nomenclatura, evitando al contempo un riduzionismo internalista o individualista: la nozione di segno è correlata a quella di langue – il sistema di segni condiviso dalla collettività – da cui la singola istanza segnica trae il suo valore. Inoltre, nel tentativo di svincolare la linguistica dalla psicologia, Saussure la colloca nell’ambito della semiologia, mossa necessaria, appunto, per fondare la linguistica come scienza (Simone 1992: 160).
Da questa prospettiva, il linguaggio, con la sua natura eteroclita, risponde anzitutto all’esigenza dei parlanti di produrre un sistema di segni per significare; la lingua è, dunque, una tecnica, il cui fine è, appunto, la produzione del senso (Coseriu 1967, sulla scia di Pagliaro 1930).
La primarietà della semanticità, universale primario del linguaggio assieme all’alterità e alla creatività, e la conseguente circolarità delle definizioni di significato e segno aprono, però, a una serie di problemi che sfociano in quello che De Mauro (1965: 21) definisce «il primo e più grave circolo vizioso nel quale si aggira il tradizionale pensiero linguistico». Difatti, nel quadro dei rapporti tra semiotica e semantica, resta aperto proprio il “problema del significato”, nella misura in cui questo costringe la semiotica, al cui interno è collocata la linguistica, «a uscire fuori di sé, verso il “non segnico”» (Garroni 1977: 20), reintroducendo la questione dell’apriori, ovvero delle condizioni di possibilità costitutive dell'attrezzatura intellettuale innata dell'uomo.
Nel tentativo di sviluppare una semiotica cognitiva fenomenologicamente orientata, Sonesson (2010) affronta i problemi posti da De Mauro e Garroni, denunciando le inadeguatezze delle definizioni di segno di Peirce e Saussure, che pure sono fondative delle due maggiori tradizioni semiotiche. Così, per Sonesson, il dibattito sulle entità che partecipano al segno è fuorviante, poiché, prima di contarne le parti (due, tre, quattro), bisognerebbe non solo decidere i criteri per analizzare un fenomeno semantico in due (o più) parti separate, ma anche individuare ciò che ci permette di postulare una relazione “asimmetrica” - con la primarietà del significato - tra queste parti.
A partire dalle riflessioni degli studiosi menzionati, intendo tornare al tema classico del rapporto tra segno e significato, esplorando alcuni concetti chiave come quello di soglia semiotica (Eco 1975) e quello piagettiano di differenziazione, che Sonesson (2018) rilegge nel quadro della fenomenologia dell’ultimo Husserl, in relazione alla nozione di pertinenza (relevance) maturata, pur con convergenze e divergenze, sia nel seno della semiotica strutturale con Prieto (1975) sia nelle teorie fenomenologiche di Gurwitsch e Schütz.
Riferimenti
Coseriu, E. (1967), “Der Mensch und seine Sprache”. Ursprung und Wesen des Menschen. Hrsg. von H. Haag, E.P. Möhres. Tübingen, 67-69 (trad. it. in E. Coseriu, Il linguaggio e l’uomo attuale. Saggi di filosofia del linguaggio. A cura di C. Bota e M. Schiavi. Verona: Fondazione Centro Studi Campostrini, Verona, 51-69).
De Mauro, T. (1965) Introduzione alla semantica. Roma-Bari: Laterza.
De Mauro, T. (1971) Senso e significato. Bari: Adriatica.
De Palo, M. (2001) La conquista del senso. La semantica tra Bréal e Saussure. Roma: Carocci.
De Palo, M. (2016) Saussure e gli strutturalismi. Il soggetto parlante nel pensiero linguistico europeo. Roma: Carocci.
Diodato, F. (2024) “Rethinking lexical semantic fields: relevance and local holism”, Semiotica, no. 260, pp. 153-177, https://doi.org/10.1515/sem-2024-0148
Eco, U. (1975), Trattato di semiotica generale. Milano: Bompiani.
Garroni, E. (1977) Ricognizione della semiotica. Roma: Officina edizioni.
Pagliaro, A. (1930), Sommario di linguistica arioeuropea. Fascicolo I: Cenni storici e questioni teoriche. Rist. 1993, Storia della linguistica. Tomo I. Sommario di linguistica ario europea. Palermo: Novecento
Piaget, J. (1945) La formation du symbole chez l'enfant. Neuchatel: Delachaux et Niestlé.
Piaget, J. (1970) Épistémologie des sciences de l'homme. Paris: Gallimard.
Prieto, L. J. (1975) Pertinence et pratique: essai de sémiologie. Paris: Éditions de Minuit.
Simone, R. (1992) Il sogno di Saussure. Roma-Bari: Laterza.
Sonesson, G. (2010) “Semiosis and the elusive final interpretant of understanding”, Semiotica 179–1/4, 145–258.
Sonesson, G. (2018) “New Reflections On The Problem(S) Of Relevance(S). The Return Of The Phenomena”, in: Relevance and Irrelevance: Theories, Factors and Challenges, edited by J. Strassheim and H. Nasu, Berlin, Boston: De Gruyter, 21-50.
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A quasi cinquant’anni dalla scomparsa dello studioso, la relazione tra la teoria di Émile Benveniste (1902-1976) e le posizioni che potremmo definire strutturaliste (ma cfr. De Palo 2016 a proposito della diversità delle posizioni storicamente riunite sotto la definizione di «strutturalismo») continua a suscitare dibattiti. Anche adottando la prospettiva di Salmon, che colloca Benveniste nel «groupe des chercheurs ayant travaillé autour de la linguistique structurale» (Salmon 2013: 273), ci si trova di fronte a uno studioso che rifiuta la proposta di Claude Lévi-Strauss di condurre un’analisi semiologica della frase (Benveniste 1964).
Come osserva Normand (1996), questa presa di distanza segna nella teoria benvenistiana il passaggio da una concezione del segno linguistico a una focalizzata sulla nozione di frase, introducendo così la questione della referenza extralinguistica. La linguistica del discorso e dell’enunciazione, che Benveniste sviluppa negli ultimi anni, mantiene la centralità della semantica anche in un’epoca che bollava come non scientifico il discorso sul significato, come rilevava già De Mauro (1970: 18).
Eppure, mentre orientava la sua riflessione sul piano da lui definito del ‘semantico’, in opposizione al ‘semiotico’, Benveniste non cessava di interrogarsi sulla distinzione tra segno e morfema, da collocare sul piano semiotico, e sulla relazione tra parola e morfema – come attestano i report delle sue lezioni al Collège de France nel 1964-1965.
Questa distinzione tra parola e morfema scompare nell’articolo del 1964 e risulta sostanzialmente trascurata dai commentatori della semantica benvenistiana legata al discorso e all’enunciazione. Tuttavia, la questione della semantica della parola riemerge tra i punti programmatici discussi nel convegno sulla semantica organizzato e presieduto da Benveniste a Nizza nel 1951: segno di una continua, sotterranea problematizzazione del tema semantico, che coinvolge anche la nozione di simbolo (Benveniste 1954).
Riferimenti
Benveniste, É. (1954), “Tendances récentes en linguistique générale”, Problèmes de linguistique générale, I, Gallimard, Paris, pp. 3-17.
Benveniste, É. (1964), “ Les niveaux de l’analyse linguistique”, Problèmes de linguistique générale, I, Gallimard, Paris, pp. 119-131.
De Mauro, T. (1971), Introduzione alla semantica, Editori Laterza, Bari.
De Palo, M. (2016), Saussure e il soggetto parlante. Gli strutturalismi nel pensiero linguistico del Novecento, Carocci, Roma.
Normand, C. (1996), “Emile Benveniste : quelle sémantique ?”, Linx [Online], 8 | 1996, consultato il 3 maggio 2025. URL: http://journals.openedition.org/linx/1183;
DOI: https://doi.org/10.4000/linx.1183.
Salmon, G. (2013), Les structures de l’esprit. Lévi-Strauss et les mythes, PUF, Paris.
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Il contributo vuole portare l’attenzione sulla parte avuta dal filosofo marxista Galvano Della Volpe (1895-1968) nell’affermazione di un approccio semantico nel campo degli studi estetici e filosofico-linguistici. Al centro dell’analisi la celebre Critica del gusto (prima ed. 1960), ultimamente (2024) riedita, cui è dovuta larga parte della notorietà di D.V. negli studi di settore.
In quest’opera D.V., oggi purtroppo piuttosto dimenticata, si propone una critica risolutiva del crocianesimo mediante un approccio semantico ai testi (anzitutto, ma non solo, quelli letterari), approccio che a suo avviso smantella la teoria crociana dell’intuizione e del carattere a-logico del fatto poetico, restituendo la globalità dei fenomeni conoscitivi in esso implicati. Interessante ai fini del convegno è che D.V. articoli la sua prospettiva facendo leva sulle teorie di Saussure e Hjelmslev (la cui fortuna italiana era allora assai limitata), dalle quali ricava un aggancio interno del linguaggio poetico all’insieme delle facoltà cognitive mediante la nozione di ‘lingua’ – nozione determinatamente socio-storica, vincolata alle forme di sapere e alle ‘norme’ lessico-grammaticali operanti negli individui parlanti (e dunque anche negli usi poetici dell’istituto comune).
Su questa base D.V. ripensa la tradizionale dicotomia denotazione/connotazione, cui sostituisce la tricotomia fra linguaggio comune (o letterale-materiale), linguaggio univoco (proprio delle scienze) e linguaggio polisenso (o contestuale organico), proprio della poesia. Alcuni shortcuts della “semantica” dellavolpiana sono dovuti (come si vedrà) alla conoscenza filologicamente imperfetta (rimproveratagli fra gli altri dal Lepschy) che egli ebbe dei testi classici della linguistica strutturale; nell’insieme, tuttavia, la proposta di D.V. ha un forte interesse storico-teorico, che si apprezza anche in relazione all’ispirazione ch’egli trasse dall’opera di Antonino Pagliaro (di cui negli anni ’50 erano uscite le prime due raccolte di saggi di critica semantica). Due temi chiave della sua concezione (la funzione della ‘parafrasi’ critica e l’idea della almeno parziale ‘traducibilità’ della poesia) maturano in stretto nesso con l’opera pagliariana.
Riferimenti
(per una rassegna completa cfr. la intr. di R. Bufalo all’ed. appresso citata della Critica del gusto)
Della Volpe, G, 2024 (1966), Critica del gusto, 3. Ed., intr. di R. Bufalo, Aesthetica ed. (Mimesis), Milano.
Garroni, E., 1964, La crisi semantica delle arti. Ed. dell’Ateneo, Roma.
Modica, M., 1978, L’estetica di Galvano Della Volpe, Officina, Roma.
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Heinz Werner (1890-1964) può esser considerato, insieme a J. Piaget e L. Vygotsky, uno dei più importanti psicologi dello sviluppo del XX secolo (Glick, 1992). Si forma nella scuola gestaltica di Lipsia, circa le questioni riguardanti il linguaggio subisce l’influenza tanto di E. Cassirer che di K. Bühler. A causa delle persecuzioni naziste, è costretto a trasferirsi negli Stati Uniti dove prosegue un lavoro di ricerca che si dirige lungo due direttrici fondamentali. Allo sviluppo in senso filogenetico dedica un classico della psicologia comparata del Novecento; lo studio dell’ontogenesi culmina nella monografia, scritta insieme a Kaplan, La formazione del simbolo (1963).
Un lavoro storiografico recente (Valsiner, 2005) sta riscoprendo un autore che, proprio per la sua originalità, ha scontato scarso riconoscimento anche se, ad esempio, in Pensiero e linguaggio L. Vygotsky (1934, pp. 158, 171, 175, 188, 190) cita lo psicologo austriaco in almeno cinque diverse occasioni. Werner lavora, infatti, su un principio fondamentale che chiama «ortologico». Nel corso dello sviluppo, i processi sia percettivi che cognitivo-linguistici non seguono un andamento lineare accumulativo (come ancora oggi, troppo spesso, si dà a intendere nella scienza cognitiva e nella psicologia evoluzionista) bensì un percorso che procede dal meno al più differenziato, da un sistema «globale» che si caratterizza per una «mancanza di integrazione gerarchica» (Werner, 1940, p. 202) verso una maggiore differenziazione e integrazione. Il paradigma non è esente da controindicazioni, ad esempio il parallelismo troppo serrato tra filogenesi e ontogenesi. Ciò detto, le idee di Werner circa il linguaggio sono ancora da scoprire: nella relazione tra numero e parola, percezione e fisiognomica, pensiero magico e logica aristotelica.
Riferimenti
Glick, J.A. (1992), Werner's Relevance for Contemporary Developmental Psychology, «Developmental Psychology», 28 (4), pp. 558-565.
Valsiner, J. (2005) (ed. by), Heinz Werner and Developmental Science, Kluwer, New York-London.
Vygotsky, L. (1934), Myšlenie i rec' Psichologiceskie issledovanjia (trad. it. di L. Mecacci, Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, Roma-Bari, Laterza 1992).
Werner, H. (1940), Comparative Psychology of Mental Development, International Universities Press, New York (trad. it. di B. Garau, Psicologia comparata dello sviluppo mentale, Giunti Barbéra, Milano 1985).
Werner, H.; B. Kaplan (1963), Symbol Formation. An Organismic Developmental Approach to Language and the Expression of Thought, John Wiley, New York (trad. it. di T. Roghi, La formazione del simbolo, Cortina, Milano 1989).
Sapienza Università di Roma
Nelle ricostruzioni dei diversi modi con cui il Novecento ha pensato il problema del significato (quello logico-filosofico, quello strutturalista componenziale, quello pragmatista e quello di orientamento psicologico) Cassirer è raramente menzionato. Eppure nella Filosofia delle forme simboliche il significato assume un ruolo costitutivo nella spiegazione dei fenomeni linguistici e culturali. Michael Friedman (2000), nell’ambito di una storia intellettuale del Novecento interessata primariamente allo sviluppo concettuale di problemi e idee, e non all’individuazione di linee dirette di influenza e alla organizzazione di scuole e circoli, individua nella riflessione di Cassirer un momento fondamentale di trasformazione della filosofia kantiana in senso genetico e semiotico-linguistico, che precede la frattura tra analitici e continentali che ha segnato il Novecento.
Nella sua elaborazione di una versione storicizzata della teoria kantiana delle forme e delle categorie più generali del pensiero umano emergono aspetti centrali del successivo dibattito semantico a partire dalla messa in discussione del fondamentale dualismo kantiano tra facoltà passiva della sensibilità e facoltà attiva dell’intelletto.
In questa prospettiva verranno analizzati i seguenti aspetti della riflessione di Cassirer: critica dell’atomismo e dell’associazionismo posto alla base della teoria semantica dell’empirismo classico, espressione e rappresentazione, significazione e concettualizzazione, rapporti con lo strutturalismo e con la psicologia della forma.
Riferimenti
Cassirer, E., Philosophie der symbolischen Formen, Bruno Cassirer, 1923-1929.
Cassirer, E., Zur Logik der Kulturwissenschaften, «Hogskolas Arsskrift», 47, 1942.
Dor, D., From Symbolic Forms to Lexical Semantics. Where Modern Linguistics and Cassirer’s Philosophy Start to Converge, «Science in Context», 12, 4, 1999: 493-511.
Friedman, M., A Parting of the Ways. Carnap, Cassirer and Heidegger, Carus Publishing Company.
Lenneberg, E.H., A Note on Cassirer’s Philosophy of Language, «Philosophy and Phenomenological Research», 15, 4, 1955, 512-522.
Urban, W.M., Cassirer’s Philosophy of Language, in P. A. Schilpp (ed.), The Philosophy of Ernst Cassirer, Library of Living Philosophers, 401-442.