Organizzazione: Paola Cotticelli-Kurra (Università di Verona) e Alfredo Rizza (Università di Verona)
Il workshop propone un percorso storico-critico sul concetto e il ruolo dell’etimologia in ambito europeo e italiano, con particolare attenzione alle sue funzioni teoriche e culturali nei diversi periodi. Dopo una breve introduzione sull’origine dell'interesse per l’etimologia nell’antichità e nel Medioevo (intervento programmato), il focus si potrà concentrare sull’età moderna e contemporanea, articolando l’analisi in cinque nuclei temporali e teorici:
Il Settecento e le prime etimologie “scientifiche” – In questa fase l’etimologia inizia ad assumere un’impostazione più sistematica, pur rimanendo talvolta vincolata a modelli precoci. Opere come quelle di Leibniz (17171), che considera l’etimologia come uno strumento di ricerca, o i primi dizionari etimologici come Lemon (1783) segnano il passaggio da un'etimologia ancora parzialmente intuitiva a una visione ordinata secondo le prime forme di comparatismo.
L’etimologia pre-neogrammaticale – Tra Seicento e primo Ottocento, il confronto fra lingue antiche e moderne getta le basi del metodo storico-comparativo. Sebbene non ancora rigorosamente sistematizzato, questo approccio prepara il terreno al quadro teorico successivo, in cui si riconosce all’etimologia anche una funzione euristica e interpretativa. La figura di Rask può essere un esempio da prendersi in considerazione (intervento programmato).
I Neogrammatici e l’etimologia come scienza linguistica – Con i Neogrammatici, l’etimologia si fonda definitivamente sul principio della regolarità fonetica. L’applicazione dell’analisi delle leggi sul mutamento fonetico, il superamento delle etimologie arbitrarie e la possibilità di poter definire scientificamente i risultati della comparazione segnano la maturazione del metodo scientifico nella linguistica storica. In questa fase sono interessanti sia le riflessioni nell’ambito della Romanistica e della dialettologia incipiente sia la discussione teorico pro e contra leggi fonetiche.
Dopo Bréal: l’etimologia e l’emergere della semantica – A partire dalla fine del XIX secolo, l’etimologia si confronta con nuove riflessioni sul significato e l’uso linguistico. Bréal inaugura un’attenzione alla dimensione semantica e pragmatica del segno, aprendo a una visione dell’etimologia che include anche il mutamento di significato, oltre a quello fonetico.
L’etimologia in Italia: da Croce al secondo Novecento – In Italia, l’etimologia attraversa momenti di oscillazione tra approccio filosofico e scientifico. Nel periodo crociano, essa è vista talvolta come strumento speculativo per la comprensione dei concetti; inoltre, figure come Leo Spitzer hanno lasciato nella prima metà ‘900 un’impronta sugli studi etimologici per la sua ricerca su etimo spirituale e origine di una parola e la connessione con lo stile (intervento programmato). Nella seconda metà del Novecento, in linea con la linguistica strutturale e storica europea, lo studio e il ruolo dell’etimologia assume una funzione più rigorosa e disciplinata, contribuendo in modo decisivo all’elaborazione di dizionari etimologici e allo studio del lessico in chiave storico-culturale. Dall’altra, nello specifico ambito della linguistica storica, della glottologia, gli studi in Europa si diversificano di scuola in scuola: in Italia il ruolo di Belardi è stato fondamentale al riguardo.
Nel corso del workshop si intende mettere a fuoco le diverse funzioni degli studi etimologici che variano a seconda del contesto storico e mostrare quindi come essi abbiano oscillato tra finalità gnoseologiche, pedagogiche, ideologiche e scientifiche, interrogando il rapporto tra parola, concetto e realtà, e confrontando l’evoluzione dei metodi con le diverse esigenze culturali, nazionali e accademiche che ne hanno orientato l’uso. Queste sono:
Funzione teorica: L'etimologia serve come strumento per l'analisi sistematica del cambiamento linguistico e del confronto tra lingue, soprattutto nella linguistica moderna e scientifica.
Funzione culturale: Gioca un ruolo nel collegare lingua, concetti e realtà, esaminando lo sviluppo storico e culturale delle parole e dei loro significati.
Funzione euristica e interpretativa: In particolare nella fase pre-neogrammaticale, l'etimologia viene utilizzata come metodo per scoprire e interpretare connessioni linguistiche.
Funzione semantica: A partire dalla fine del XIX secolo, l'etimologia si amplia per includere anche il cambiamento di significato e gli aspetti pragmatici della lingua.
Funzione gnoseologica e ideologica: In alcuni periodi, come l'epoca crociana in Italia, l'etimologia viene vista come uno strumento speculativo per analizzare concetti e idee.
Funzione scientifica: Con i Neogrammatici, l'etimologia diventa una disciplina rigorosamente scientifica basata su leggi fonologiche.
Referenze
Auroux, Sylvain (a cura di), Histoire des idées linguistiques, 3 voll., Paris, PUF, 1989–2000
Auroux, Sylvain, La révolution technologique de la grammatisation, Liège, Mardaga, 1994.
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Zamboni, Alberto, L’etimologia, Bologna, Zanichelli, 1975.
Università Guglielmo Marconi
È noto che tutt’oggi manca una storia della nozione di word-formation nella linguistica premoderna (Kaltz 2004: 23). Negli ultimi anni sono usciti alcuni lavori su questo tema (Kaltz 2004, 2005; Kaltz & Leclerque 2015, Lindner 2015, Alfieri 2023), ma nessuno si è mai occupato specificamente dei legami tra l’etimologia e la morfologia derivazionale tra il ‘600 e il ‘700. In questo contributo si cercherà di colmare, almeno in parte, la lacuna.
La base di partenza del contributo è costituita dall’analisi storica proposta in Alfieri (2023). A partire dal Rinascimento, l’architettura del sapere linguistico si articola in almeno quattro campi principali: le grammatiche pratiche; le opere sull’origine del linguaggio e delle grammatiche “filosofiche”, che a partire dal ‘600, si possono ulteriormente dividere tra le grammatiche generali di prevalenza francesi, e delle grammatiche “storico-glottogoniche” di prevalenza tedesche. La distribuzione dei dati sulla morfologia derivazionale e sull’etimologia in queste opere è piuttosto particolare se lo si guarda con gli occhi dei contemporanei.
I dati sulla formazione delle parole sono appena citati, o quasi del tutto ignorati, nelle grammatiche pratiche (al netto di qualche eccezione minima: p.es. le edizioni successive alla seconda della grammatica latina di Melantone 1558 o della grammatica inglese Wallis 1668). Gli stessi dati sono del tutto esclusi dalle grammatiche generali, che li considerano come dati pertinenti esclusivamente per l’analisi del lessico (così, p.es., in Hellvicius 1619, in parte in Ratke 1619, 1630, Irson 1652, Arnauld & Lancelot 1660, Buffier 1741, Beauzée 1767 e Sacy 1799). Nelle grammatiche “storico-glottogoniche” tedesche (p.es. Albrecht 1573, Clajus 1612, Ritter 1616, Scottelio 1641, 1661, Aichinger 1754 e Adelung 1781; 1782; 1783), invece, questi dati sono descritti abbondantemente, ma sono generalmente mischiati con i dati concernenti l’etimologia e l’origine del linguaggio. Infine, a partire dalla fine del ‘600 o dai primi anni del ‘700, i dati sulla formazione delle parole, mescolati con i dati sull’etimologia e l’origine del linguaggio, passano dalle grammatiche “storico-glottogoniche” tedesche ai lessici etimologici – anch’essa in prevalenza tedeschi – di Stieler (1691), Wachter (1737), Fulda (1776, 1778) e Mäkze (1779).
Lo scopo dell’intervento sarà quello di ricostruire il quadro teorico che spiega la peculiare distribuzione dei dati sulla formazione delle parole descritta sopra e il rapporto – chiaramente molto diverso da quello attuale – tra i dati sulla formazione delle parole e i dati sull’etimologia e l’origine del linguaggio tra il ‘600 e il ‘700.
Riferimenti
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Wachter, Johannes G. 1737 [17271] Glossarium germanicum, continens originem et antiquitates totius linguae germanicae, 2 voll. Lipsiae: J.B. Gleditsch.
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Università degli Studi di Milano-La Statale
Alle pratiche e ai metodi dell’etymologia posti in essere dalla grammaticografia e dalla lessicografia mediolatine gli studiosi di storia del pensiero linguistico si sono rivolti con indagini che, senza dimenticare contributi fondamentali come quello ottocentesco di Heymann Steinthal, hanno offerto sintesi autorevoli, capaci di illuminare il percorso di sostanziale continuità che dalla (tarda) Latinità ha consegnato al Medioevo un repertorio di nozioni e di strumenti interpretativi e un bagaglio metalinguistico su cui l’esperienza dell’etymologizare si è basata.
Tuttavia, nell’alto Medioevo, in una cornice in cui etymologia appare ancora dimensione sovraordinata dell’analisi della lingua e tale da includere anche e soprattutto fatti di analisi sincronica delle parole, viste nella loro struttura e nei rapporti entro il lessico, la riflessione dei milieux pedagogici dediti in origine all’esegesi a Donato e Prisciano e allo studio delle partes orationis accoglie considerazioni volte a categorizzare in modo più circoscritto lo strumentario dottrinale latino. Proprio in seno alla gramatica practica, meccanismi di costruzione di parola quali derivatio e compositio assumono tratti di maggiore reciproca specificità (anche rispetto alla teoresi priscianea) e, in specie, sono collocati in spazi operativi e di metodo precipui rispetto a procedure diverse di analisi quali expositio o interpretatio. A questo orientamento della grammaticografica e lessicografia mediolatine sono stati dedicati studi imprescindibili (come quelli di Amsler, Klinck, Buridant, Copeland-Sluiter fra altri) a cui forse sono da aggiungere solo poche precisazioni. Queste si rivolgono sia agli snodi concettuali e di metodo attraverso cui emergono istanze di maggiore delimitazione categoriale e metalinguistica (ad esempio in età carolingia, in Papias, nel Balbi), sia ad approfondire le forme che i nuovi assetti tassonomici assumono (la molteplicità testimoniata da Pietro Helias e dalle glosse Tria sunt e Prosimimus può essere precisata e riconosciuta nella manualistica “bassa” perché tecnica), sia all’analisi dei mezzi discorsivi attraverso cui tali istanze di diffenziazione si manifestano, come la metafora, che accompagna anche metalinguisticamente un percorso metateroretico e metagrammaticale destinata nel tempo a separare, come per la Linguistica odierna, analisi morfologica da analisi etimologica.
Riferimenti
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Amsler, Mark, Commentary and Metalanguage in Early Medieval Latin Grammar, in Hans-Josef Niederehe - Konrad Koerner (eds.), History and Historiography of Linguistics. Papers from the fourth International Conference on the History of the Language Sciences (ICHoLS IV), Trier, 24-28 August 1987, I-II, Amsterdam - Philadelphia, Benjamins, I (Antiquity-17th Century), 1990, pp. 175-187.
Bloch, R. Howard, “Etymologies and Genealogies: A Literary Anthropology of the French Middle Ages”, Chicago, University of Chicago Press, 1983.
Buridant, Claude (éd.), L’étymologie de l’Antiquité à la Renaissance, “Lexique” XIV, 1998.
Copelan, Rita - Sluiter, Ineke (eds.), Medieval Grammar and Rhetoric: Language Arts and Literary Theory, AD 300-1475, Oxford, OUP, 2009, pp. 339-366 (Dossier Etymology).
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Klinck, Roswitha, Die lateinische Etymologie des Mittelalters, München, Fink, 1970.
Università Cattolica del Sacro Cuore
L’etimologia è un fortunato volume che Vittore Pisani pubblica nel 1947 presso Renon (Milano). Quest’opera è legata al contesto della didattica universitaria, ma ha suscitato interesse anche presso gli studiosi sia per le proposte interpretative di fenomeni puntuali sia per gli spunti teorici, che si collocano in una riflessione generale sul fatto linguistico. Una successiva edizione del 1967 è stata poi tradotta in tedesco nel 1975 ed è uscita presso Fink, nella collana diretta da Eugenio Coseriu. In questa comunicazione è ricostruito il punto di vista di Pisani sull’etimologia e sulla storia del pensiero etimologico; oltre al citato volume, è dedicata attenzione a una serie di contributi puntuali usciti a partire dagli anni trenta del Novecento. Il contesto della concezione pisaniana è poi considerato alla luce delle osservazioni critiche svolte in una serie di recensioni alle diverse edizioni dell’opera.
Riferimenti
V. Pisani, L’etimologia, Renon, Milano 1947
V. Pisani, L’etimologia, Paideia, Brescia 1967 (II ed.)
V. Pisani, Die Etymologie. Geschichte - Fragen - Methode, Fink, München 1975
Jan Gonda, Rev. V. Pisani, L‘etimologia (1947) «Lingua», 3, 1952, pp. 363-365
Radoslav Katicic, Rev. V. Pisani, L’etimologia (1967), «Indogermanische Forschungen», 75, 1970, pp. 280-282.
Gordon M. Messing, Rev. V. Pisani, L'etimologia 1947, «Language», 25, 1949, pp. 51-53
Karl Horst Schmidt, Rez. V. Pisani, Die Etymologie, «Zeitschrift für Dialektologie und Linguistik», 44, 1977, pp. 329-333.
Universität Graz
Per arrivare al cuore del problema citato nel titolo: come ci si comporta nella ricerca etimologica quando una data parola che evidentemente ricorre in forma analoga in varie lingue sorelle non è attestata nella lingua di partenza comune? Il problema si aggrava se non si tratta di una parola marginale, e ovviamente non di una innovazione comune, ma di una parola con un significato relativamente centrale e con una frequenza non trascurabile.
Alla fine del XIX secolo si discuteva, tra altri esempi, sull’etimologia di fr. trouver, it. trovare, cat. trobern, ecc. Il latino non possedeva un corrispondente etimo con questo significato. Le due posizioni, visibilmente inconciliabili, derivavano dalle dottrine linguistiche prevalenti all'epoca: tradizionalmente, i rappresentanti della scuola dei Neogrammatici utilizzavano argomenti puramente fonetico-fonologici per ricostruire una forma non attestata in latino, che poteva essere *dropare o *tropare. D'altra parte, si incontrano tentativi di analisi alternative, così proposte da includere nell'analisi etimologica, accanto ad argomenti fonetici, anche aspetti semantici, cognitivi e storico-culturali. Uno degli autori più attivi al riguardo è stato Hugo Schuchardt che cercava di stabilire un approccio ‘sachwortgeschichtlich’. Queste considerazioni hanno dato luogo a una polemica molto vivace e fruttuosa, che in una certa misura ha rispecchiato fedelmente il dibattito sulle leggi fonetiche.
La relazione sarà dedicata soprattutto ai filoni argomentativi esemplari nella storia della scienza linguistica proposti da un lato dalla scuola neogrammaticale e dall'altro dai rappresentanti dell’approccio ‘Wörter und Sachen’ e sarà illustrata in particolare attraverso le pubblicazioni e lo scambio di lettere tra Schuchardt e Gaston Paris.
Riferimenti
Schuchardt, Hugo (1899) Romanische Etymologien II. Sitzungsberichte der phil.-hist. Classe der Kaiserlichen Akademie der Wissenschaften, Wien 141: 1-122.
Bähler, Ursula, Bernhard Hurch & Nicolas Morel, ed., (in press) Gaston Paris - Hugo Schuchardt: Correspondance. Firenze: Galluzzo.
University of Copenhagen
Rask, Bopp (1791-1867) e Grimm sono spesso considerati gli iniziatori della linguistica storica e comparativa. Terracini (1932) nella voce «Etimologia» (in Enciclopedia italiana, Treccani) accerta: «La linguistica comparata, svolgendo, attraverso l'ideologia romantica, il concetto di una evoluzione storica del linguaggio, viene a concepire l'etimologia come una semplice ricerca di ordine storico-genealogico». Nel suo articolo Terracini nomina sia Grimm che Bopp, ma non Rask. Diderichsen (1974: 301, t.d.a.) scrive: «È stato il merito di Rask di essere il primo ad applicare le teorie e i metodi dell’etimologia e del pensiero grammaticale del Settecento a tutte le lingue principali in Europa».
Rask (1811) spiega il sistema della lingua islandese (come rappresentante dell’antico norreno). Il suo capolavoro (Rask 1932 [1818]) include un capitolo «etimologia» in cui discute i principi e metodi, facendo riferimento alle esposizioni di A.R.J. Turgot 1756 («Étymologie») e J.H. Adelung (1772 «Umständliches Lehrgebäude» e 1806 «Mithridates I») ed altri.
Sia Rask che Grimm preparano testi scritti in antico norreno e nel 1811 questa è la base per un scambio di lettere, il primo contatto tra i due. Dal 1811 fino al 1830 i due studiosi hanno un confronto (in opere, lettere e recensioni) che influisce sullo sviluppo della linguistica storico-comparativa dell’Ottocento.
Nel mio intervento intendo di trattare questi punti:
Rispetto a metodo e scopo dell’etimologia, qual’è la continuazione tra il Settecento e Rask, e quali sono gli aspetti nuovi in Rask?
Alcuni temi della discussione tra Rask e Grimm (metafonia, coniugazione dei verbi forti, mutazione consonantica germanica, questioni di scopo e metodo)
Una valutazione del ruolo di questa discussione per lo sviluppo di metodo e scopo dell’etimologia e della linguistica storico-comparativa nell’Ottocento.
Riferimenti
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Tonnelat E., 1912, Les frères Grimm. Leur oeuvre de jeunesse, Paris, Librairie Armand Colin.
Universität Graz e KU Leuven
Tema: Lo scopo di quest’intervento è di evidenziare l’importanza di uno sguardo etimologico ai (f)atti linguistici come area di nuove strutture e modelli nel linguaggio. L’attenzione si concentrerà sulla delocutività, il termine generale sotto il quale si possono racchiudere le produzioni linguistiche che replicano, con o senza adattamenti, frammenti di enunciati.
Abstract Inquadrandole in prospettiva storica, le ricerche che si occupano di “etimologia” s’iscrivono in percorso evolutivo che muove dall’obiettivo di trovare la “verità attraverso le parole”, rivolgendosi poi a un’analisi basata sulle “origini delle parole”, per arrivare infine a una “storia delle parole [nel loro rapporto con la realtà]” integrata (cfr. l’approccio Wörter und Sachen). Pur riconoscendo che l’etimologia è passata attraverso una serie di “conversioni” (cfr. Swiggers 1996), e che il cambiamento (e l’arricchimento) fondamentale consiste nel passaggio da una “étymologie-origine” a una “étymologie-histoire-des-mots” (cfr. Baldinger 1959), una caratteristica costante in questa lunga storia è l’attenzione prestata alle parole (o a segmenti di parole). In quanto tale, l’etimologia si è radicata su elementi della lingua (langue): quelli identificabili sull’asse “paradigmatico”. Questo, naturalmente, è perfettamente legittimo. Ci si può chiedere tuttavia se non sia altrettanto legittimo trovare spazio per una nozione di etimologia (o analisi “genetica” dei fenomeni linguistici) che si occupi di fatti della parola, e quindi si occupi di esplorare l’asse “sintagmatico”.
Questo tipo di “etimologia fondata sulla parola” è stata sviluppata in particolare nei lavori sul fenomeno ora generalmente compreso dal termine “delocutività”: (ri)strutturazione dell’attività linguistica che procede dai prodotti duraturi della performance linguistica. In genere, la “delocutività” si applicherebbe a ogni tipo di ripetizione di enunciati (che possono così diventare fissi). Com’è ben noto, il discours répété è una componente cruciale del nostro comportamento linguistico; qui si tratta di identificare gli elementi che si trasformano in un modello produttivo.
In questo contributo presentiamo innanzitutto una breve storia della delocutività, a partire dalle opere di Albert Debrunner, per poi passare all’identificazione vera e propria (nel lavoro di Émile Benveniste) dei ‘verbi delocutivi’ (Benveniste 1958), situandola nel contesto dell’introduzione nella linguistica di correnti nuovi. È proprio la deviazione dall’indagine su singoli lessemi per favorire l’individuazione di tipologie pragmatiche – tale formule discorsive dialettali (Debrunner 1956), la denominazione per retrolocutività (Swiggers 1989), o richiami (Chambon 1992) – che segna lo studio della delocutività nell’era della formalizzazione dello studio tipologico.
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Swiggers, Pierre. 1996. “L’étymologie: Les transformations de l’étude historique du vocabulaire aux Temps Modernes.” In: Peter Schmitter (ed.), Sprachtheorien der Neuzeit II: Von der Grammaire de Port-Royal (1660) zur Konstitution moderner linguistischer Disziplinen (= Geschichte der Sprachtheorie, Band V). Tübingen: Narr. 352-385.
Università di Verona
In questo intervento intendo ripercorrere brevemente le prime tappe della ricerca etimologica nell’antichità, concentrandomi sui contributi in lingua greca, in particolare provenienti dai percorsi filosofici di Platone e Aristotele.
Innanzitutto, è necessario distinguere tra etimologia esplicita e implicita: se da una parte, infatti, solo con gli Stoici la ricerca dell’ἔτυμον, inteso come ‘vero senso’ delle parole, si definisce come ricerca a sé stante, non mancano spunti etimologici negli autori precedenti: già in Omero troviamo, infatti, alcune riflessioni sulla provenienza e il significato dei nomi, per es. in Iliade XXII, 506–507 in cui il nome di Astianatte, figlio di Ettore (Ἀστυάναξ), viene spiegato a partire dall’interpretazione come composto formato da ἄστυ + ἄναξ, quindi ‘signore della città’. Tale lettura dell’antroponimo è del tutto plausibile, trovandosi attestato nella medesima forma, ma come nome comune, epiteto degli dei, in Eschilo, Supplici, 1018. Altri procedimenti simili si trovano anche in Esiodo, Eraclito, oltre che nella tradizione biblica (Belardi 2002, cfr. Milani 2005).
Platone si interroga sui nomi delle cose e sul procedimento stesso di impositio nominis in modo particolare nel Cratilo: spesso la critica ha sottolineato la natura pre- (e pseudo-) scientifica delle etimologie presentate in questo dialogo insieme ad un intento ironico. Tuttavia, gli studiosi non sono concordi nel valutare il valore euristico delle etimologie del Cratilo (e, più in generale, dell’ironia imputabile a Socrate): se per alcuni “le etimologie [...] sono presentate nel complesso con un’intenzione molto chiara di derisione” (mia traduzione di Méridier 1931: 19–20), per altri, al contrario, l’approccio di Socrate è del tutto serio e si basa su una tradizione consolidata riconosciuta dalla filosofia antica (questa per esempio la posizione di Sedley 2020).
Anche Aristotele ragiona di etimologia in modo implicito, ovvero offre spunti per una analisi etimologica di termini o concetti che sta descrivendo: per esempio in Poetica, 1448a il filosofo afferma che il termine drammi (δράματα) si usa perché è una forma espressiva che imita cioè rappresenta persone che agiscono (ὅτι μιμοῦνται δρῶντες). Anche in questo caso non siamo in presenza, quindi, di una teoria complessiva dell’etimologia, ma piuttosto di una pratica applicata nella descrizione dei concetti e riscontrabile nel corso dei testi. In ogni caso, la comprensione di tale pratica etimologica non può prescindere dal quadro generale della teoria del segno che prende in esame i modi di rappresentazione dei rapporti tra i nomi e le cose (Manetti 1987).
Nel contributo intendo presentare alcuni brani significativi tratti da Platone e Aristotele proponendone un commento alla luce degli studi più recenti nonché all’interno di possibili percorsi di storia del pensiero. L’approccio linguistico è teso a tracciare gli elementi costitutivi della pratica etimologica, anche in assenza di una terminologia esplicita. Ad esso si unisce l’approccio metalinguistico nella valutazione dei diversi aspetti e gradi di una “coscienza metalinguistica in formazione” agli inizi del pensiero linguistico occidentale, rappresentata dalle osservazioni di questi autori in riferimento alla propria lingua, a partire dai testi presi in considerazione e sulla base delle conoscenze attuali in materia etimologica.
Riferimenti
Belardi, Walter. 2002. L’etimologia nella storia della cultura occidentale, 2 tomi, Roma, Il Calamo.
Manetti, Giovanni. 1987. Le teorie del segno nell’antichità classica. Milano: Bompiani.
Sedley, David. 2020. « Plato’s Cratylus ». The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Winter 2020 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL = <https ://plato.stanford.edu/archives/win2020/entries/plato-cratylus/>.
Méridier, Louis. 1931. Platon. Cratyle. Œuvres complètes T. V, 2e partie. Paris : Les Belles Lettres.
Milani 2005. Recensione a Belardi 2002. Aevum, Gennaio-Aprile 2005, Anno 79, Fasc. 1, pp. 205–207.
Università di Trento
Alla metà del Novecento la lessicografia etimologica dell’italiano ha conosciuto uno sviluppo molto deciso e nei decenni successivi si è continuamente arricchita. La relazione intende offrire una panoramica dei principali vocabolari etimologici della lingua italiana, soffermandosi in particolare su L’Etimologico di Alberto Nocentini, uscito nel 2010 e in corso di aggiornamento per la seconda edizione, prevista per il 2026.
Riferimenti
Marcello Aprile, Le strutture del Lessico Etimologico Italiano, Galatina, Congedo, 2004.
Marcello Aprile, I vocabolari etimologici italiani, in «Studi linguistici italiani», XXXVII, 2011, pp. 5-38.
Bruno Migliorini, Che cos’è un vocabolario?, Firenze, Le Monnier, 19613.
Alberto Nocentini, con la collaborazione di Alessandro Parenti, L’Etimologico. Vocabolario della lingua italiana, Firenze, Le Monnier, 2010.
Università di Roma - Sapienza
È ben noto che al tema dell’etimologia Walter Belardi abbia dedicato una poderosa opera senile (Belardi 2002a). Tuttavia, a rileggere i due volumi che costituiscono questo lavoro, ci si rende immediatamente conto che rappresentano, a tutti gli effetti, una ampia e documentata storia della linguistica e, in fondo, nient’altro che l’originale sintesi di una pluriennale riflessione teorica. A differenza di importanti manuali che la precedono o la seguono – si vedano, a titolo d’esempio, Pisani (1967), Zamboni (1976), Malkiel (1993), Pfister e Lupis (2001), il denso contributo di Benedetti (2003) e il recente Baglioni (2016) – l’opera di Belardi (2002a), che si presenta come una storia dell’etimologia nella cultura occidentale, finisce per rivelarsi una summa del pensiero linguistico del suo autore.
Questo aspetto potrebbe banalmente spiegarsi come effetto della tendenza dello studioso a tornare ciclicamente sugli stessi argomenti, rielaborando e superando – si direbbe quasi durch Aufhebung – quanto in precedenza affermato, al punto che la bibliografia belardiana sembra procedere con moto spiraliforme. Eppure non sono pochi gli elementi che portano a considerare i due tomi de L’Etimologia da un diverso punto di vista. L’ipotesi di lavoro che questo contributo intende indagare è, per l’appunto, se nella visione di Walter Belardi l’etimologia non finisca per coincidere con una teoria generale del mutamento linguistico e, dunque, non finisca per coincidere con la linguistica tout court.
Fedele al motto che fu di Ritschl[1], Belardi non illustra un metodo di indagine, ma puntella il suo articolato discorso con molti esempi pratici, tratti quasi sempre dalla sua vastissima produzione. La questione non è semplicemente metodeutica, perché l’obiettivo polemico dello studioso – cui certo non mancarono obiettivi polemici! – è il prevalere nella linguistica moderna dell’interesse per l’astratto rispetto al concreto. A tal proposito Belardi (2002a: I, 171 ss.) rileva l’ambiguità del termine “formale”, che può riferirsi ora alla forma astratta – che dallo εἶδος o ἰδέα platonica giunge ai formalisti moderni, fino alla deep structure della linguistica chomskiana –, ora alla forma intesa come “forma esterna” del segno linguistico, come “configurazione sensibile di una materia fonica organizzata e finalizzata”, richiamandosi “alla concretezza sensibile e percepibile di tutto ciò che, secondo l’intenzione dell’uomo, ha natura e funzione simbolica”, dunque “materia formata o, che è lo stesso, a una forma materiata con funzione simbolica” (Belardi 2002a: I, 174ss.).
Quest’ultimo, il “formale concreto”, è l’oggetto della linguistica e la sua centralità nel pensiero di Belardi appare evidente anche in sede di considerazione storiografica. È proprio l’indagine del “formale concreto” la grande acquisizione della nuova vergleichende Sprachwissenschaft che nasce agli inizi del secolo XIX, la quale è “scientifica” non già rispetto alla filosofia del linguaggio o alla linguistica generale che c’erano da tempo – “seri orientamenti di studio, di speculazione e di opinione” (Belardi 2002a: I, 178) – bensì in contrapposizione a quel tipo di curiosità collezionistica per le lingue che, “sulla sola base dell'erudizione filologica, ricercava etimologie e origini delle forme del linguaggio” (ibid.). Solo il nuovo metodo induttivo di Rask, di Bopp, di Pott porta a etimologie salde, solo la sistematica confrontabilità dell’elemento formale concreto (ovvero le leggi fonetiche) ha portato realmente progresso nelle nostre conoscenze.
Si deve, infatti, a Belardi – con notevole scarto rispetto al suo maestro Pagliaro (Bertinetto 2011: 53) – “la piena rivalutazione della materialità del significante linguistico, indipendentemente dal suo legame funzionale con la faccia del significato” (Mancini 2011: 30). Non a caso, nello stesso periodo in cui lavora a L’Etimologia, Belardi indaga la questione del modo diverso in cui continuano, attraverso il tempo, il significato e il significante linguistico (Belardi 2002b). La scalata a ritroso nel tempo che impegna l’etimologo, se da un canto, nei casi fortunati, lo porta a rintracciare “la struttura formale fonica più antica che abbia preceduto come matrice o nucleo […] un determinato segno linguistico o un gruppo genealogicamente affine di segni”, dall’altro non lo porta necessariamente ad accertare “la valenza semantica più antica di tale matrice o nucleo radicale”, perché per tale accertamento non “esistono procedure che possano essere applicate in modo rigoroso e tassativo” (Belardi 2002b: 143). Questo sfasamento tra il significante e il significato saussurianamente intesi conduce alla conseguente negazione – davvero una posizione “eretica” (Mancini 2011: 31) – dell’indissolubilità del segno linguistico (Belardi 2002a: 53ss.).
Si noti, infine, anche un ultimo aspetto. Sebbene non manchi di sottolineare la secolare confusione tra etimologia e derivazione (Belardi 2002a: I, 283ss.), Belardi finisce per comprendere anche la derivazione (definita “etimologia sincronologica e sintopica”) all’interno della sua indagine, dal momento che anche “la ricerca etimologica che risalga alla preistoria, nel momento in cui accerti in un dato vocabolo una radice, accerta nello stesso tempo un antico processo di derivazione” (Belardi 2002a: I, 460).
Ebbene, se per Belardi dentro all’indagine etimologica stanno da un canto lo studio della derivazione e, dall’altro, quello della ridefinizione attraverso il tempo del rapporto tra significanti e significati, se una etimologia, dunque, racchiude una teoria del funzionamento del sistema di una lingua e una teoria del segno linguistico, vuol dire allora che per Belardi l’etimologia è la linguistica, vuol dire che un’indagine etimologica è uno studio – microscopico per forza di cose, ma microscopico come ogni indagine storica! – in cui è concentrata, enucleata, tutta la ricerca linguistica.
[1] “Du sollst den Namen Methode nicht unnütz im Munde führen” (Morpurgo Davies 1996: 317).
Riferimenti
Baglioni, Daniele, L’etimologia, Roma, Carocci, 2016.
Belardi, Walter, L’etimologia nella storia della cultura occidentale, 2 voll., Roma, Il Calamo, 2002a.
B︀elardi, Walter, Il tema del segno lessicale nella diacronia linguistica, Roma, Il Calamo, 2002b.
Benedeti, Marina, “L’etimologia fra tipologia e storia”, in Mancini (2003: 209ss.).
Bertinetto, Pier Marco, “Walter Belardi come linguista teorico e applicato (“scienziato militante e storico della propria scienza”)”, in: Convegno linceo in ricordo di Walter Belardi (Roma, 12 novembre 2009), Roma, Accademia nazionale dei Lincei – Scienze e lettere, 2011.
Bologna, Maria Patrizia, “La storia del pensiero linguistico nell’opera di Walter Belardi”, in: Di Giovine – Mancini (2025: 99ss.).
Di Giovine, Paolo e Mancini, Marco, Lingua e Storia. Walter Belardi a cento anni dalla nascita. Atti del Convegno internazionale (Roma, 14-15 dicembre 2023), Roma, Il Calamo, 2025.
Malkiel, Yakov., Etymology, Cambridge, Cambridge University Press, 1993.
Mancini, Marco (a cura di), Il cambiamento linguistico, Roma, Carocci, 2003.
Mancini, Marco, “Walter Belardi tra neoidealismo, linguistica storica e strutturalismo”, in: Convegno linceo in ricordo di Walter Belardi (Roma, 12 novembre 2009), Roma, Accademia nazionale dei Lincei – Scienze e lettere, 2011.
Morpurgo Davies, Anna, La linguistica dell’Ottocento, Bologna, Il Mulino, 1996.
Pfister, Max, e Antonio Lupis, Introduzione all’etimologia romanza, Catanzaro, Rubbettino, 2001.
Pisani, Vittore, L’etimologia: storia, questioni, metodo, Brescia, Paideia, 19672.
Zamboni, Alberto, L’etimologia, Bologna, Zanichelli, 1976.
Università di Pisa
Alla sensibilità del linguista non può sfuggire quanto la comunicazione contemporanea sia costellata da costanti richiami all’argomento etimologico, in maniera del tutto trasversale rispetto ad autori, destinatari e contesti d’uso. Dalla trattatistica filosofica alla divulgazione su vecchi e nuovi mass media, da certi conchiusi salotti televisivi fino all’ipertrofica retorica a buon mercato dei corsi di motivazione aziendale, si fa appello all’etimologia per sostenere la validità dei propri argomenti pretendendo di ricostruire un presunto significato originario, dunque ‘vero’ e ‘reale’, delle parole impiegate. Il tema, già affrontato da Renzi (2008) con particolare riferimento all’ambito filosofico-letterario, è tornato all’attenzione di alcuni recenti contributi (Baglioni 2024; Brugnolo e Rovai 2024; Lorenzetti 2025), anche sulla scorta di una crescente visibilità del fenomeno innescata dalla reciproca permeabilità e integrazione tra i vari media.
Basti qui il richiamo a Belardi (2002 I-II) per ricordare come l’impiego dell’etimologia con funzione retorico-argomentativa appartenga alla tradizione classica, da Aristotele e dalla dialettica stoica fino a Boezio attraverso Cicerone e Quintiliano, percorra tutto il medioevo e si dipani fino alla contemporaneità: “[d]e l’étymologie d’un mot, on tire une conclusion, ou du moins on invite à tirer une conclusion” (Desbordes 1997: 73). A fondamento di tutto ciò sta l’idea guida degli antichi, per i quali l’etimologia è ricerca del ‘vero’ (ἔτυμον/étymon) alla luce del presupposto che le parole siano adeguatamente assegnate e ben formate in funzione dell’essere autentico e delle qualità delle cose.
Illustrando alcuni casi paradigmatici che coprono uno spettro diafasicamente ampio di testi tratti da ambiti diversi della comunicazione contemporanea (dal volume di filosofia al post di Instagram), il contributo proposto intende identificare le fallacie che accomunano il ricorso all’etimologia ogniqualvolta essa sia impiegata come espediente retorico: (i) nei metodi: l’infondatezza degli accostamenti proposti sul piano comparativo e l’arbitrarietà delle risegmentazioni laddove essa prenda le forme di etimologia sincronica; (ii) nelle premesse teoriche, più o meno implicite: la sovrapposizione tra il piano del significato linguistico delle parole e il piano di verità/falsità che pertiene invece alle asserzioni e ai giudizi; (iii) in entrambi i casi: la pressoché totale disinformazione rispetto a due secoli di ricerca linguistica – anche in sedi editoriali qualificate.
Sembra delinearsi, infine, un vero e proprio mutamento qualitativo dello stesso argomento etimologico: non più strumento retorico al servizio dell’argomentazione logico-dialettica quanto, piuttosto, un mero artificio dell’ornatus. In luogo di confronti etimologici fondati su corrispondenze regolari e sistematiche, prevalgono accostamenti paronomastici che sfuggono a qualunque criterio di correttezza, volti unicamente a colpire l’immaginario del destinatario attraverso suggestioni e immagini evocative, sì che l’efficacia retorica del messaggio è – di fatto – da ultimo affidata alla funzione poetica.
Riferimenti
Baglioni, D. (2024), Etimologie vere, false, presunte, in «La Crusca per voi», 68, 1, pp. 4-5.
Belardi, W. (2002 I-II), L’etimologia nella storia della cultura occidentale, Roma, Il Calamo, 2 voll.
Brugnolo, S. e Rovai, F. (2024), Note sull’argomentazione etimologica da Heidegger a Cacciari, in «Sigma», 8, pp. 295-323.
Desbordes, F. (1997), La pratique étymologique des Latins et son apport à l’histoire, in «Lexique», 14, pp. 69-79.
Lorenzetti. L. (2025), Ancora su etimologie e divulgazione. Noterelle intorno a un libro recente, in «Treccani Magazine», 29 maggio 2025 [https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/2025_05_21_Scr_Vecchioni_LucaLorenzetti.html].
Renzi, L. (2008), Etimologia scientifica e etimologia retorica, in Id. Le piccole strutture. Linguistica, poetica, letteratura, Bologna, Il Mulino, pp. 45-63.