Organizzazione: Francesca Cotugno (Università di Palermo)
Questo workshop si propone di analizzare il contributo di Cartesio e Leibniz alla concezione del significato linguistico come intreccio di dimensione mentale e convenzione sociale. Partendo dall'idea cartesiana di creatività linguistica e chiarezza delle idee, fino ai progetti leibniziani di “lingue universali”, si intende esplorare come entrambi i filosofi abbiano prefigurato temi centrali della linguistica moderna: l'origine mentale del linguaggio, la negoziazione sociale dei segni, e la tensione tra naturalità e arbitrarietà del codice linguistico. Particolare attenzione sarà dedicata:
alla concezione cartesiana della lingua come espressione della capacità umana di generare infiniti enunciati a partire da idee chiare e distinte, anticipando tratti della linguistica generativa (Chomsky 2017, Graffi 2025);
ai tentativi leibniziani di costruire sistemi linguistici razionali (Characteristica Universalis), volti a ridurre l’ambiguità semantica attraverso codici formali condivisi (McRae 2020);
al riconoscimento, da parte di entrambi, del ruolo cruciale della convenzionalità nella determinazione del significato linguistico.
Il workshop mira a intrecciare la riflessione storico-filosofica con gli sviluppi contemporanei in filosofia del linguaggio e linguistica formale, ponendo in evidenza come le intuizioni di Cartesio e Leibniz sulla relazione tra mente, segno e convenzione abbiano anticipato questioni tuttora vive, dall'elaborazione semantica automatica all’intelligenza artificiale. Temi principali:
Mentalismo e creatività linguistica nel pensiero cartesiano;
Lingue universali e codificazione concettuale in Leibniz;
Convenzione e negoziazione del significato linguistico;
Eredità e attualità delle concezioni razionaliste nel dibattito contemporaneo su linguistica, logica e AI.
Obiettivo: Ricostruire il percorso storico e concettuale che, dal Seicento, ha portato alla moderna comprensione del linguaggio come fenomeno al crocevia tra mente e società, e discutere l'attualità di queste intuizioni nell'epoca della formalizzazione computazionale del linguaggio.
Riferimenti
Chomsky, Noam. 2017, Linguistica cartesiana. Un capitolo nella storia del pensiero razionalista, Milano: Mimesis.
Cotticelli-Kurras, Paola, 2020, "Gli universali nella storia della linguistica: la lingua perfetta come universale nel pensiero medievale", in D. Poli e F. Chiusaroli, GLI UNIVERSALI E LA LINGUISTICA (Atti del XLIII Convegno della Società Italiana di Glottologia), Roma: Il Calamo. pp. 253-263.
Graffi, Giorgio, 2010, Due secoli di pensiero linguistico. Dai primi dell'Ottocento a oggi, Roma: Carocci.
Graffi, Giorgio, 2025, Noam Chomsky. Un intellettuale tra linguistica e politica, Roma: Carocci.
McRae, Robert, 2020, Leibniz : Perception, Apperception, and Thought, Toronto : University of Toronto Press.
Università degli studi della Tuscia
Come è noto, Cartesio e Leibniz rappresentano uno snodo fondamentale nella storia del pensiero linguistico, nella tensione tra facoltà razionale e convenzioni d’uso, tra aspirazione all’universalità e persistenza dell’ambiguità (Chomsky 2017; McRae 2020). Da questa contraddizione irrisolta nasce una sfida costitutiva della modernità: il linguaggio naturale, al tempo stesso espressione della razionalità e pratica sociale condivisa, resiste a ogni tentativo di formalizzazione totale, poiché l’ambiguità ne costituisce un tratto strutturale. Tale tensione, che attraversa la filosofia del linguaggio e la linguistica formale, riaffiora oggi nelle applicazioni di elaborazione automatica e nei sistemi di disambiguazione semantica, mostrando la continuità di un problema che unisce tradizione retorica e intelligenza artificiale.
In questa prospettiva, lo zeugma e la sillessi offrono un caso di studio paradigmatico. La tradizione greco-latina e medievale, da Alessandro Numenio a Beda, da Quintiliano a Giuliano di Toledo, li registra e ridefinisce nei manuali retorici e grammaticali, rubricandoli come figurae elocutionis, legate alla costruzione del discorso e alla connessione di più membri sotto un unico predicato (Alex. Fig. 2.17). La tradizione greco-latina ha visto un moltiplicarsi di sottotipi (prozeugma, mesozeugma, diazeugma, hypozeugma), a conferma della difficoltà di catturare fenomeni che incrinano la linearità sintattica e la regolarità della concordanza, con un parallelo proliferare di calchi tecnici anche nella lingua latina (p. es. coniunctio, adiunctio) e una sovrapposizione, non sempre perspicua e coerente tra le varie fonti, con la syllepsis.
L’età moderna riprende tale eredità (p.es Giulio Cesare Scaligero nel De causis linguae latinae; Gerhard Vossius nei Commentarii rhetorici), e, pur distinguendo con maggiore sistematicità tra le diverse forme di zeugma, moltiplica al tempo stesso definizioni e criteri classificatori (Tissol 1997; Kennedy 1980; Poole 2007). Ne risulta un panorama in cui la ridondanza tassonomica non produce semplificazione, ma segnala il persistere della difficoltà di incasellare una figura che per sua natura devia dalla linearità sintattica e si fonda sull’ambiguità semantica.
La riflessione contemporanea declina questa complessità su più piani. Lausberg (1960) e Mortara Garavelli (1989) sistematizzano lo zeugma come figura di costruzione sintattica, distinguendo tra varianti semplici e complicate. In ambito teorico, la grammatica generativa ha interpretato i costrutti zeugmatici come violazioni di vincoli di selezione o di ruoli tematici (Merchant 2001), mentre approcci come la Simpler Syntax (Culicover e Jackendoff 2005) insistono sul ruolo dell’interfaccia semantico-pragmatica nel licenziare costruzioni devianti o incomplete. La semantica lessicale e la linguistica computazionale hanno affrontato lo zeugma come problema di Word Sense Disambiguation e Semantic Role Labeling (Tripodi & Pelillo 2015; Medková et al. 2020; Wang e Sadrzadeh 2022; DeLong et al. 2023; Tartakovsky e Shen 2023). In questo senso, lo zeugma emerge oggi come stress test per i sistemi di elaborazione automatica del linguaggio, mostrando la persistenza dell’ambiguità e i limiti intrinseci della formalizzazione.
Il contributo assume una prospettiva storico-linguistica di lunga durata, intrecciando approcci retorici, filosofici e linguistici. Lo zeugma, figura apparentemente marginale, si rivela così un osservatorio privilegiato della tensione costitutiva tra ambiguità e formalizzazione, dalle tassonomie antiche ai sistemi di intelligenza artificiale.
Bibliografia
Chomsky, N. 2017. Linguistica cartesiana. Un capitolo nella storia del pensiero razionalista. Milano: Mimesis
Culicover, P. e Jackendoff, R. 2005. Simpler Syntax. Oxford: Oxford University Press.
DeLong, K.A., Trott, S. & Kutas, M. 2023. Offline dominance and zeugmatic similarity normings of variably ambiguous words assessed against a neural language model (BERT). In: Behav Res 55, pp. 1537–1557.
Kennedy, G. A. 1980. Classical Rhetoric and Its Christian and Secular Tradition from Ancient to Modern Times. London: Croom Helm.
Lausberg, H. 1960. Handbuch der literarischen Rhetorik. 2 vols. Munich: Max Hueber.
McRae, R. 2020. Leibniz : Perception, Apperception, and Thought. Toronto: University of Toronto Press.
Medková, H. et al. 2020. Automatic Detection of Zeugma. In: Horák, A. et al. (eds.) RASLAN 2020: Recent Advances in Slavonic Natural Language Processing. Brno: Tribun EU, pp. 79–86.
Merchant, J. 2001. The Syntax of Silence: Sluicing, Islands, and the Theory of Ellipsis. Oxford: Oxford University Press.
Mortara Garavelli, B. 1989. Manuale di retorica. Milano: Bompiani.
Poole, W. 2007. The vices of style. In: Adamson, S. et al. (eds.) Renaissance Figures of Speech. Cambridge: Cambridge University Press.
Tartakovsky, R., e Shen, Y. 2023. The Storm Sank My Boat and My Dreams: The Zeugma as a Breach of Iconicity. Metaphor and Symbol, 38(2), pp. 162-173.
Tissol, G. 1997. The Face of Nature. Wit, Narrative, and Cosmic Origins in Ovid’s Metamorphoses, Princeton University Press.
Tripodi, R. and Pelillo, M. 2015. WSD-games: a Game-Theoretic Algorithm for Unsupervised Word Sense Disambiguation. In: Proceedings of the 9th International Workshop on Semantic Evaluation (SemEval 2015). Denver: Colorado, pp. 329–334.
Wang, D. and Sadrzadeh, M. (2022). The Causal Structure of Semantic Ambiguities. In: Electronic Proceedings in Theoretical Computer Science 394(5), pp. 208-220.
Università di Palermo
Il termine generativo, oggi familiare in linguistica, nasconde un equivoco storiografico. Cartesio parlava di creatività linguistica come libertà di produrre enunciati non meccanicamente determinati dal contesto, un problema che Chomsky (2017) ha definito “problema di Descartes” e che riguarda la performance. Ma la generative grammar di Chomsky non coincide con questa accezione filosofica: essa è un dispositivo formale, capace di enumerare strutture ben formate di lunghezza potenzialmente infinita, ossia un problema di competence (Graffi 2010; 2025).
La sovrapposizione tra i due livelli – favorita dallo stesso Chomsky – ha reso plausibile l’idea di un Cartesio “anticipatore” della grammatica generativa. Si tratta però di una genealogia più retorica che concettuale, da riconsiderare alla luce sia dei tentativi leibniziani di riduzione dell’ambiguità semantica attraverso lingue universali (McRae 2020), sia delle tradizioni sugli universali linguistici che, da medioevo a età moderna, mostrano percorsi di continuità e discontinuità (Cotticelli-Kurras 2020).
L’intervento intende mostrare come l’aggettivo generativo funzioni insieme da ponte e da trappola terminologica: utile a collegare filosofia e linguistica, ma ambiguo al punto da oscurare le differenze reali tra mentalismo cartesiano e formalismo novecentesco.
Riferimenti principali
Chomsky, Noam. 2017. Linguistica cartesiana. Un capitolo nella storia del pensiero razionalista. Milano: Mimesis
Cotticelli-Kurras, Paola. 2020. Gli universali nella storia della linguistica: la lingua perfetta come universale nel pensiero medievale. In Diego Poli e Francesca Chiusaroli, GLI UNIVERSALI E LA LINGUISTICA Atti del XLIII Convegno della Società Italiana di Glottologia. Roma: Il Calamo. pp.253-263
Graffi, Giorgio. 2010. Due secoli di pensiero linguistico. Dai primi dell'Ottocento a oggi. Roma: Carocci.
Graffi, Giorgio. 2025. Noam Chomsky. Un intellettuale tra linguistica e politica. Roma: Carocci.
McRae, Robert. 2020. Leibniz : Perception, Apperception, and Thought. Toronto : University of Toronto Press.
Sapienza Università di Roma
Com’è noto, l’ipotesi di una characteristica universalis (ovvero di un sistema simbolico in grado di funzionare sia come ars judicandi sia come ars inveniendi) percorre un ampio tratto della attività filosofico-scientifica di Leibniz, formando argomento di riflessione fino a tutti gli anni 1680, fino alla vigilia, cioè, dell’insorgere dei suoi interessi per le linguae apud populos receptae, che si affermano prepotentemente negli anni ’90 e continuano sino alla fine della sua vita (cfr. in prop. Heinekamp 1975, Gensini 1991, Wenchao Li (ed.) 2014).
La relazione degli interessi “universalistici” di Leibniz con Descartes e i grandi “artificialisti” britannici del secolo (John Wilkins, George Dalgarno) è stata più volte discussa (cfr. per tutti Belaval 1978, Dascal 1987). In linea generale, tale relazione non si pone in termini di continuità, ma di schietta alternativa, teorica e epistemologica. L’obiezione che Leibniz rivolge a Descartes (fin dal celebre commento alla lettera a Mersenne del 1629: cfr. C: 27-28) è che sia la langue universelle divisata dal filosofo francese, sia i tentativi di realizzazione di Wilkins e altri dotti, presuppongono un sistema di conoscenze già stabilito e ordinato, e si riducono così a mezzi di comunicazione di un sapere previamente costituito (sono cioè nella migliore delle ipotesi forme di ars judicandi). Soprattutto dopo l’esperienza giovanile dell’ars combinatoria (1666), Leibniz sposta l’attenzione sul modo di fare di tale dispositivo uno strumento di conoscenza originale (ars inveniendi), nel quale il sapere sia non solo rispecchiato, ma ristrutturato logicamente e sia aperta la via a conoscenze nuove. Come fare ciò? Leibniz nei suoi numerosi scritti preparatorii (la più parte rimasta inedita fine agli anni Ottanta del XIX secolo; ora tutti editi criticamente in Leibniz 1999) ipotizza di modellare la characteristica sullo schema del ragionamento more geometrico, che muove da termini (assunti come) primitivi, da proposizioni costruite in base a tali primitivi e dal calcolo delle possibili conseguenze. È dunque fondamentale il momento della decostruzione delle nozioni, che debbono essere ricondotte a un alfabeto logico-semantico di base e via via ricombinate con livelli di complessità crescenti. Il calcolo infinitesimale è da lui presentato come un esempio attuale di quel che la characteristica potrà essere. È interessante osservare che Leibniz non s’illudeva di pervenire, con tale metodo, a presunte verità finali, bensì a conoscenze razionalmente fondate, quantum ex datis licet; perfezionabili, dunque, col progresso delle scoperte.
Com’è noto, il sogno di Leibniz (ovviamente mai portato a compimento) attirò l’ironia di non pochi filosofi (di Hegel tra gli altri), i quali avevano però frainteso il senso soprattutto epistemologico del progetto leibniziano e la funzione che, per realizzarlo, avrebbe dovuto svolgere collegialmente il consesso internazionale degli scienziati: sfondo e obiettivo non meno importante delle “visioni” del grande filosofo tedesco.
Riferimenti
TESTI
Leibniz C = Opusculs et fragments inédits de Leibniz, par L. Couturat, Paris, Felix Alcan 1903
Leibniz 1999 = Philosophische Schriften, hg. v. d. Leibniz-Forschungsstelle der Universität Münster, IV Band, Teile A-D, Berlin, Akademie Verlag 1999.
CRITICA
Beleval, Yvon 1978, Leibniz critique de Descartes, Paris, Gallimard.
Dascal, Marcelo 1987, Leibniz. Language, Signs and Thought, Amsterdam-Philadelphia, Jo. Benjamins.
Gensini, Stefano 1991, Il naturale e il simbolico. Saggio su Leibniz, Roma, Bulzoni.
Heinekamp, Albert 1972, “Ars characteristica und natürliche Sprache bei Leibniz”, Tijdschrift voor Filosofie, 34, pp. 446-88.
Wenchao-Li (Hg.) 2014, Einheit der Vernunft und Vielfalt der Sprachen, Stuttgart, Franz Steiner.
Università degli studi suor Orsola Benincasa
Se il recupero della Grammatica Universale da parte del generativismo chomskiano ha coinciso, da un punto di vista filosofico, con la sostanziale accettazione della prospettiva razionalista seicentesca, il problema di connettere la componente generativa della sintassi – intesa quale nucleo e interfaccia – agli “strati interpretativi” della fonologia (espressione) e della semantica (contenuto) ha da sempre costituito il tallone d’Achille di una prospettiva decisamente volta a ridurre il ‘peso specifico’ della semantica, tendendo a configurare quest’ultima come ‘forma logica’ del pensiero di fatto articolata dalla sintassi. La via di fuga, all’origine delle crisi ricorrenti del paradigma generalista, è consistita in una sistematica svalutazione della dimensione semantico-lessicale – ridotta alla variabilità “superficiale” effetto della convenzionalità – e nella sua esclusione dal nocciolo duro della teoria linguistica. Ma in un approccio che, al netto della dimensione ontologica, conserva intatta una concezione non funzionalista del linguaggio propria delle grammatiche speculative o filosofiche (dunque si pone come grammatica del linguaggio, e non delle singole lingue), ciò significa necessariamente “esternare” nel pensiero e nella cognizione il senso proprio del parlato-in-situazione. Essa ha dovuto, in altre parole – ed in ciò è insito il vero e proprio cul de sac del generativismo:
- seguire la parabola che dalla semantica generativa ha condotto Fodor a postulare un mentalese, lingua universale del pensiero strutturalmente language-like – ossia composizionalmente simile alla GU ma, una volta di più, ancorata in una competence priva di contenuti lessicali analizzabili nei termini di primitivi, tratti, componenti supposti come trans-linguistici che pure era alla base di concezioni come quelle delle lingue filosofiche a priori e del progetto di rigorizzazione della semantica di Leibniz;
- accettare un (a mio avviso positivo) ribaltamento del paradigma universalista riconoscendo l’ineliminabile (e convenzionale) costruzione nella performance del contenuto che non può darsi a priori ma va ogni volta inferito, negoziato ai fini dell’interpretazione. La prospettiva chomskiana “più ampia” (Graffi) e nuovamente aperta all’uso, però, lo considera pur sempre qualcosa di estraneo alla struttura logica della grammatica – e fa dunque di esso un aspetto (imperfetto, variabile e residuale) della manifestazione dell’E-language – laddove nella prospettiva matura della pragmatica e dell’etnolinguistica (Hymes) proprio la performance sta alla base del costituirsi di ogni evento sociale e presenta proprietà essenziali: è emergente, processuale, situata nel contesto.
Ma non è proprio attraverso il contesto che caratteristiche o tratti semantici specifici entrano, diacronicamente, a far parte del significato linguistico, anche di quello analizzabile composizionalmente e con i metodi strutturali – senza che mai sia possibile, nell’esecuzione, considerare come dotati di vita separata elementi lessicali e strutture sintattiche? Splendori e miserie del razionalismo linguistico prescrittivo.
Riferimenti bibliografici
Chomsky, Noam, 2000 [1988], Il linguaggio e i problemi della conoscenza, Bologna: il Mulino.
Chomsky, Noam, 2017 [1966], Linguistica cartesiana. Un capitolo nella storia del pensiero razionalista, Milano: Mimesis.
Chomsky, Noam, 2005 [2000], Nuovi orizzonti nello studio del linguaggio e della mente, Milano. Il Saggiatore.
Eco, Umberto, 1993, La ricerca della lingua perfetta, Roma-Bari: Laterza.
Graffi, Giorgio, 2025, Noam Chomsky. Un intellettuale tra linguistica e politica, Roma: Carocci.
Hymes, Dell, 2015 [1973], Breakthrough into performance, Rimini: Guaraldi.
In tutte le sue numerose definizioni del pensiero Descartes non afferma mai che un essere umano pensante sia "qualcosa che parla", ma che è una cosa che "sente, vuole, dubita, concepisce, afferma o rifiuta, ecc."; tuttavia, attraverso una sorta di test di Turing ante litteram, Descartes fa del linguaggio l'unica dimostrazione pubblica dell'esistenza del pensiero e dell'anima. Il linguaggio umano, infatti, è vera loquela e presenta caratteristiche che ne dimostrano, in questo Chomsky ha ragione, l'irriducibilità a una dimensione meccanica. L'atto fisico del parlare può essere imitato da un robot o da un animale addestrato ma quella che è la funzione originaria dell'uomo è l'istituzione e l'uso dei segni arbitrari. La creatività che si esprime nell'atto linguistico e la stessa pertinenza pragmatica, sono il risultato della creatività del pensiero, è la funzione mentale del significare che permette all'uomo di comunicare, di istituzionalizzare regole ma anche di decifrare le leggi necessarie e immutabili della natura stabilite arbitrariamente da Dio con un atto della sua imperscrutabile libertà. La nozione di segno diventa così il luogo cruciale per spiegare come le due diverse sostanze possano interagire e comunicare Poiché il legame mente-corpo è stato stabilito da Dio come lex immutabilitatis naturae (Notae in programma, AT VIII: 343) risulta che parola e pensiero sono completamente diversi, ma tra di essi si trova un'equivalenza istituzionale che alla fine li rende realmente equivalenti e, possiamo concludere che non c'è pensiero senza linguaggio, o senza segni arbitrari. E soprattutto non c'è conoscenza senza l'attività di segni decodificati. La concezione del linguaggio di Descartes è complessa e attraversa diverse fasi nel corso della sua vita intellettuale. Come vedremo, in un modo che prefigura il lavoro di Leibniz, tra i punti di arrivo del suo percorso attraverso il metodo, Descartes include consapevolmente la costruzione del linguaggio scientifico, un linguaggio in cui la parola o il segno sono puramente razionali e così appropriati alle idee da poterne sostituire gli altri, come potremmo usare in un discorso matematico o in uno metafisico.
Bibliografia
René Descartes Méd. Mét. I AT IX, 15 Regulae VII, X. delle Oeuvres de Descartes, Charles Adam e Antoine Tannery edd., 13 voll., Paris, 1897-1913, nouv. prés. Vrin-C.N.R.S., 1964-74, rist. in 11 voll. 1996.
Claudia Stancati, Cartesio. Segno e linguaggio, Roma, Editori Riuniti, 2000 cui rimandiamo per la bibliografia.