Povertà Castità e Obbedienza del Ven. Carlo Carafa

Povertà

«Quanto alla povertà era ammirabile. Teneva una sol veste senza fodera e tutta ripezzata, tantoché quando era d'uopo di risarcirla, bisognava coprirsi col mantello e colla soprana.

Né d'inverno né d'estate usava calzoni né giubbone, contento delle sole mutande e camicia di lana.

Non parlo che per molto tempo andò scalzo con le scarpe sole. Usava il mantello di panno assai vile e grosso, e quantunque fosse està non volle mai mutarlo in altro più leggiero. Il cappello non solo era vecchio e logoro, ma essendo aperto di sopra per aversene servito molti anni, vi pose il fondo di un altro cappello e colle proprie mani intorno ce lo cucì; e così compariva nel pubblico, e così anche veniva a trovarsi, tanto che alcuni fratelli laici che lo accompagnavano ne arrossivano per la vergogna.

Oltre queste cose da me osservate, basta per dire che la sua gran povertà come fusse la sua stanza. Questa poi neppure la tenea per sé, ma venendo qualche Padre da fuori e non essendovi stanza per lo detto, volea in ogni modo che dormisse nella sua. Intanto in qualche angolo della casa si accomodava sulle nude tavole.

Mi han riferito i Padri Pij Operarij che questo ne meno volle servirsene per se solo, ma vi ammise essendo scarsezza di stanze per un certo tempo, un laico della Congregazione, il quale benché con lo spurgare e tossire la notte gli era impedimento nel dormire, non volle però che si partisse. E quel laico, il quale pure me l'ha riferito, conoscendo il travaglio che gli dava contro sua voglia, si volea mettere altrove; ma egli lo forzò a non partirsi. Arrivato che fui in Napoli in sul principio del governo di questa mia Chiesa, per consolarmi nello spirito con quelli buoni Padri, andai un dì a San Giorgio Maggiore de' Padri Pij Operarij e subito cercai di essere ammesso nella camera del servo di Dio: appena vi posi il piede che ne restai attonito. Vi era un sol sedile di paglia, una sola immagine di carta nel muro senza neanche un crocifisso, perché tenendone uno seppi che poco prima se l'aveva levato e donato ad altri parendogli superfluo perché contenendo la detta immagine di carta il mistero della Santissima Trinità, lo tenea delineato in essa. Vi era un vecchio tavolino di pioppo, un letto di tre palmi di larghezza poco alto da terra.

In questo letto vi era un semplice pagliaccio, ma perché era corto e non era capace della sua persona, cioè improporzionato all'altezza di sua statura, aveva egli supplito al mancamento con alcuni libri vecchi che similmente servivano da capezzale. Lo trovai nudo, senza coverta, e fu ciò perché egli non usava coverta ma il semplice mantello; onde il letto era sfornito di quel coprimento che non manca ai più miseri mendaci.

Io in vedendo queste cose restai ammutolito e pieno di meraviglia non mi potei contenerli dal dirgli: "Oh! e che vedo, signor Don Carlo? E che potevate voi fare se avessimo il voto di estrema povertà?".

So di più che il gran servo di Dio il Padre Francesco Olimpio, splendore de' Teatini, entrando nella sua stanza la quale egli volle vedere essendo venuto a visitarlo, e a conferire insieme cose spirituali, avendo questi due santi un'amicizia assai stretta, restò stordito di tanta povertà, e facendone con lui meraviglia, gli rispose il Padre Don Carlo, come dal medesimo Padre Francesco io ho saputo, che non era gran fatto sopportare qualche incomodo per lo Re del Cielo, avendone patito assai più per lo Re delle Spagne nelle guerre, e così coprì la sua gran virtù».

Castità

«La castità del servo di Dio Padre Don Carlo fu anche ammirabile.

Esercitò il servo di Dio l'impiego del guerreggiare arrivando alla suprema carica di Generale comandante in una spedizione contro i Turchi. Nelle guerre pratticò tutte le virtù, ma specialmente la castità.

Il Cardinal Perrenotti, chiamato il Granuela, che fu anche Vicerè di Napoli, trovandosi comandante in Fiandra lo stimò assai, ed essendo stato il servo di Dio ferito a morte due volte lo volle curare nel palazzo suo, e ordinò alle sue sorelle che lo curassero e servissero come se fosse la persona sua propria, come esse fecero; e guarito poscia che fu, lo condussero più volte dette signore a diporto; ma il servo di Dio pratticò con esse come se fusse un angelo del paradiso. Un giorno la madre di quelle signore gli offrì la maggiore in matrimonio con gran confidenza e amorevolezza; ma il servo di Dio la ringraziò assai e si scusò dicendo che per allora non si sentiva inclinato ad altro che guerreggiare.

Era così grande il grido della sua castità, della purità dei suoi costumi, che ho saputo da molti cavalieri che lo accompagnarono nelle guerre, che niuno ardì mai di ragionare di cose disoneste in sua presenza.

Un giorno si trovava in casa di un gran signore con molti altri signori italiani e spagnuoli in quelle parti ove è costume di salutar le donne col bacio, e fra tanti cavalieri solo ad esso fu permesso il salutar col bacio le sorelle di quel gran signore in casa di cui stavano; e si udì dire in pubblico che per esser cresciuta assai tra'forestieri la malizia, doveva affatto proibirsi con la loro sì antica usanza; solo però da quanto proibizione doveva esserne esente il signor Don Carlo, perché egli solo era buono.

Rifiutò in quei tempi più matrimoni e di gran rilievo, delle prime famiglie del Regno, per amore che portava alla castità; ed una volta vedendosi alle strette di prender moglie una signora molto principale della nobilissima famiglia Ruffò, con partiti onoratissimi ed assai grandi, né sapendo in qual maniera schermirsi da' parenti suoi, e da quelli della detta donna, pigliò nuova occasione di andare alla guerra; e per coprire la sua virtù disse agli amici che gustava vivere libero dalle donne perché così fusse più pronto a servire il suo Re nelle armi.

Fu grande intanto la fama di sua castità onde una volta, essendosene fuggita una signora napolitana, pazzamente innamorata di un cavaliere le cui nozze sospirava, il servo di Dio fu quello che fu eletto da' parenti di colei perché andasse a raggiungerla e trattare il matrimonio la condusse allo sposo.

Fatto prete, e dato bando a tutte le cose del mondo, mostrò in varie guise la sua castità anche ne' più pericolosi incontri perché non solo la conservò intatta, pratticando e convertendo tanti peccatori infami e tante scandatosissime meritrici, ma tentato a perderla, stette forte agli assalti.

... Fuggì sempre la conversazione con le donne e dovendoci parlare per necessità, lo facea brevissimamente e con gran modestia. Non fu mai possibile che lo inducessero a visitare alcuna penitente, benché gli fusse parente, per qualsivoglia occasione, toltone quando dovea confessarle inferme; e so che un certo pio operaio confessore, come il medesimo padre mi ha riferito, dopo intesa la confessione di una sua penitente si pose a sedere con essolei davanti al confessionale, istruendola di cose spirituali. Questo ragionamento fuori dal confessionale gli dispiacque tanto al Padre Don Carlo Carafa, che disse volerlo perciò licenziarlo dalla sua Congregazione e l'avrebbe eseguito se fusse dipenduto da lui solo.

Così mantenea in sé e nei suoi la castità».

Obbedienza

«Questa fu eroica nel servo di Dio.

Mi han riferito molti padri degnissimi di gran santità e dottrina de' Pij Operarij che si portava il servo di Dio con il superiore di casa come un servo in ogni loco e tempo, rispettandolo ed onorandolo, né mai in sua presenza si copriva.

Eseguiva con prontezza rara e stupenda ogni suo cenno e quando per qualche affare quello lo chiamava, con prontezza e sollecitudine lasciava ogni cosa ed offrivali a quello che comandava l'ubbidienza.

Quando i superiori pubblicavano qualche ordine o di cose che s'incaricava o di cosa che si proibiva come se parlassero per lui con mirabile esattezza ubbidiva; et i superiori vedendo ciò e in privato e in pubblico si dichiaravano che tali ordini non erano fatti per lui né in cosa veruna pretendevano di obbligarlo, rendendolo esente da ogni riguardo.

Con tutto ciò non fu possibile fargli accettare tali esenzioni, anzi diceva che usassero tali piacevolezze con chi era impotente ad eseguire gli ordini dati; anzi mostrò sempre gran risentimento che con tanto riguardo trattavano, protestandosi che non c'era obbedienza la quale in comunità non gli si potesse comandare.

Mi ricordo che era suo detto che chi vive in comunità non farà mai profitto nella virtù se non si pone risoluto di eseguire quanto gli sarà comandato, perché secondo il sentimento di S. Gregorio Papa 'Tubbidienza solamente è quella virtù che dietro a sé tutte le altre conduce nell'anima, e poi in essa le custodisce", così egli dicea.

Mostrò egli questa rara ubbidienza in cento e mille avvenimenti. Si trovava egli per negozi della sua Congregazione in Roma, quando la buona memoria del Cardinal Gesualdo, un de' miei predecessori, gli scrisse che ritornasse a' suoi per timore che la comunità nascente non patisse qualche cosa per la sua lontananza.

Appena lesse egli queste cose, che quantunque fusse allora il mese di agosto, subito subito si partì da Roma, senza badare agli estremi caldi della stagione, e neanche al pericolo della vita per la mutazione dell'aria, e se ne venne in Napoli.

Il Cardinal Gesualdo sentendolo arrivato ne restò stupefatto e subito gli mandò a dire che la sua intenzione non era questa, ma che venisse a suo tempo; giacché però era venuto, che procurasse non partirsi di camera e che attendesse a governarsi e che senza suo ordine non uscisse, intendendo che non fatigasse come suo solito per l'aiuto dell'anime o osservanza delle regole, ma che avesse cura di sua persona per la mutazione dell'aria, essendo venuto di agosto da Roma a Napoli; ma il servo di Dio pratticò anche in questo un atto eroico di ubbidienza, perché con tanta puntualità e senza minima interpretazione eseguì le parole del comando, che per lo spazio di quattro giorni non pose un piede fuori della porta di sua stanza, e se i padri Pij Operarij non avessero di ciò avvisato l'Arcivescovo, il quale di tal ordine si era dimenticato, sarebbe stato ancora per molto tempo racchiuso.

Il medesimo Cardinale gli raccomandò un'altra volta che quanto più presto potesse andasse a fare una missione nella terra di Bosco, quattordici miglia lontano da Napoli.

Egli udendo ciò si partì dal Cardinale e calando dal suo palazzo senza tornare alla casa si avviò a quell'ora stessa verso la terra di Bosco, e si partì a piedi, ed arrivato ivi mandò a chiamare i compagni per fare la missione, come fece in effetto con incredibile profitto dell'anime».