Messaggio di

S. E. Rev.ma Monsignor

Giovanni Checchinato

Arcivescovo di Cosenza-Bisignano

Venerabilità del Servo di Dio

Don Gaetano Mauro

Sacerdote Diocesano

e Fondatore dei Pii Operai Catechisti Rurali


“Un cuore sacerdotale

ardente di amore per Dio

e per i fratelli”.

Carissimi fratelli e sorelle,

la nostra Chiesa diocesana di Cosenza-Bisignano esulta di gioia perché un suo figlio, sacerdote di questo presbiterio cosentino, è stato dichiarato Venerabile. Il Santo padre Francesco, il 19 gennaio 2023, ha autorizzato il Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, a firmare l'apposito Decreto di cui si darà pubblica lettura, nella nostra Cattedrale, il prossimo 14 ottobre.

Don Gaetano Mauro, ha svolto molteplici attività ministeriali e pastorali, ma va ricordato anzitutto che è un sacerdote di questa Chiesa diocesana che ha scelto come via di santificazione il proprio ministero di parroco, a servizio dei fratelli, della gente semplice, quella dei campi, quella che non contava né agli occhi della storia né della cronaca.

Il suo amore che lo ha fatto ardere d'amore per Dio e per i suoi fratelli ha avuto sempre al centro l'Eucarestia, cuore della sua giornata e momento importante della vita della sua comunità religiosa che ha successivamente fondato. All'annuncio della Parola e alla condivisione dei bisogni primari, anche nelle più piccole contrade, ha sempre accompagnato la celebrazione della Santa Messa, la venerazione per la Madre Celeste che lo aveva accompagnato sin da bambino, l'amore obbediente per la Chiesa, il Papa, i suoi Pastori attraverso i quali ha sempre colto la volontà di Dio nella sua vita.

 

La vita e il percorso vocazionale

Il Servo di Dio nacque a Rogliano (provincia e diocesi di Cosenza) il 13 aprile 1888. Suo padre Francesco Antonio Salvatore Mauro era calzolaio e la madre Virginia Salvino, filatrice e cucitrice. Il giorno dopo la nascita fu battezzato nella chiesa parrocchiale di Santa Lucia di Cuti da don Pompilio Selvaggi: gli furono imposti i nomi di Francesco Gaetano. I genitori, dopo di lui, ebbero altri sei figli, tre dei quali morirono in tenera età: i tre fratelli Elisabetta, Vincenzo Alessandro ed Ermina Carmela gli furono sempre accanto e ne accompagnarono il cammino umano e sacerdotale. Grande rilievo nel suo cammino umano e cristiano ebbe anche la figura della nonna materna Letizia. Allevato in una famiglia dai solidi valori e dalle grandi tradizioni cristiane, il giovane Gaetano frequentò la locale parrocchia, dove ricevette, il 28 settembre 1895, anche la Cresima da monsignor Camillo Sorgente, Arcivescovo di Cosenza, in occasione della visita pastorale. Per qualche tempo fu ospite presso il prozio sacerdote don Michele Florio, fratello di nonna Letizia, parroco a Paterno: fu una esperienza sofferta, alla fine della quale tornò a Rogliano. La prima comunione la ricevette, come racconta lui stesso, durante una delle missioni passioniste. Grazie alla guida del parroco locale, don Michele Caruso, che, memore dell'insegnamento di Leone XIII ad "uscire di sacrestia", aveva costituito un circolo giovanile intitolato a San Luigi Gonzaga, il giovane cominciò a manifestare i primi segni della vocazione sacerdotale. Il parroco fu attento a gestire il seme vocazionale e, anche con l'aiuto economico di nonna Letizia, Gaetano poté entrare nel Seminario arcivescovile di Cosenza nel settembre del 1903. Il percorso di formazione fu sereno e lo consolidò nella sua vocazione con una vita di preghiera, di meditazione e di studio, sotto la guida di validi maestri. Ricevette gli ordini minori tra il 1907 e il 1908, il suddiaconato il 24 settembre1910. Ebbe come padre spirituale il redentorista padre Carmine Cesarano, che lo seguì con attenzione e prudenza, curandone la crescita religiosa e guidandolo nel discernimento fondazionale fino alla sua morte come Vescovo-Arcivescovo di Aversa. Attraverso la sua meditazione, il Servo di Dio assimilò anche la spiritualità alfonsiana, che lo rese, una volta divenuto sacerdote, un pastore benevolo e misericordioso, innamorato dell'adorazione e della confessione, ma anche della pietà popolare. Rimase letteralmente folgorato dalla figura di San Giovanni Bosco, che lo porterà ad essere estremamente attento alla formazione umana e cristiana dei giovani.

Il 14 luglio 1912 fu ordinato sacerdote da monsignor Salvatore Scanu, Vescovo di San Marco e Bisignano, Amministratore Apostolico di Cosenza, per la sopravvenuta morte di monsignor Camillo Sorgente. Partito per Roma per un pellegrinaggio con gli altri novelli sacerdoti, si fermò a Pompei, dove celebrò Messa e incontrò Bartolo Longo (poi beatificato). A Roma fu ricevuto in udienza da papa Pio X.

 

Parroco a Montalto Uffugo

Tornato in diocesi, dopo un periodo di permanenza a Rogliano, fu destinato prima a San Giovanni in Fiore, dove restò poco tempo, quindi a Montalto Uffugo (CS), importante centro dell'entroterra cosentino, dove si respirava un clima teso sia sul piano religioso, per l'allontanamento del precedente decano, sia per la forte presenza di circoli massonici e di fermenti socialisti.

In questo delicato contesto, don Mauro, con prudenza prese ad interessarsi dei fanciulli e dei giovani, fino ad allora totalmente trascurati: proprio questa sua disponibilità favori la sua buona accoglienza in paese, tant'è che il nuovo Arcivescovo di Cosenza, monsignor Tomaso Trussoni, non esitò, pur essendo il più giovane dei sacerdoti, a nominarlo "decano" della Collegiata di Santa Maria della Serra.

Ripieno di carità nei confronti dei suoi confratelli sacerdoti, egli riuscì a convogliare molti giovani verso la pratica religiosa, formandoli anche al senso dell'impegno nelle realtà socioeconomiche e culturali, considerate le condizioni di povertà del paese e desiderando frenare il triste fenomeno dell'emigrazione di massa.

 

La Prima Guerra Mondiale

 Allo scoppio della grande guerra don Gaetano, come tanti altri sacerdoti, fu richiamato alle armi e arruolato nel corpo della Sanità Militare. Iniziò per lui l'esperienza diretta di partecipazione al primo grande conflitto Mondiale, essendo stato inviato come cappellano e sanitario sulla linea del fronte.

Qui conobbe e descrisse in un prezioso diario di guerra la tragedia del conflitto: non solo poté osservare la morte di tanti soldati, la distruzione, il disfacimento morale, ma sperimentò concretamente molte situazioni di pericolo. Egli, senza smarrire l'amore per la sua patria, cercò di essere e fu soprattutto un sacerdote e un cristiano, pronto a lenire le sofferenze dei soldati e della popolazione civile variamente colpita dal conflitto: apprestò a tutti il conforto della fede e la speranza di un domani di pace, facendo balenare nel buio della guerra la luce della fede.

Nominato reggente della parrocchia di Viscone in provincia di Gorizia, fece della sua chiesa un'oasi di pace e di serenità, accogliendo sacerdoti, soldati, disperati e fornendo loro assistenza materiale e morale, soprattutto dopo le aspre e crudeli battaglie del 1917, che indussero Papa Benedetto XV a definire il conflitto "l'inutile strage".

Nel 1917 fu fatto prigioniero dagli Austriaci e internato nei campi di Sigmundsberg, di Marchtrenk e di Katzenau: fu un'esperienza drammatica e dura, che egli superò grazie alla sua fede e durante la quale si sforzò di vivere la carità cristiana nei confronti degli altri prigionieri.

 

Il ritorno a Montalto Uffugo

Terminata la guerra e liberati i prigionieri dai campi di concentramento, don Gaetano poté tornare nella sua Montalto Uffugo nel 1919: malato di tubercolosi, fu costretto a un periodo di riposo forzato, tanto più doloroso in base alla constatazione che la guerra aveva inciso negativamente sul gruppo di giovani che faticosamente era riuscito a raccogliere prima del richiamo alle armi. Non bisogna dimenticare che Montalto Uffugo, come tantissimi paesi della Calabria e del Sud in generale, era arroccato sui monti e la gente non aveva contatti con la realtà cittadina né regionale né nazionale. Povertà, analfabetismo e arretratezza facevano da padroni. Ristabilitosi, si tuffò con maggiore impegno nell'apostolato specie fra i giovani. E per loro aprì un ricreatorio tra i ruderi di un vecchio convento, istituì una filodrammatica, una banda musicale, una palestra, tanti giochi, aprì un cinema, le scuole diurne e serali (in arti e mestieri, medie e ginnasiali), affinché i giovani e gli adolescenti avessero la possibilità di crescere e svilupparsi culturalmente, spiritualmente e professionalmente; fiorirono l'Azione Cattolica, le Figlie di Maria, gli Esploratori (fra i primi gruppi in Italia), la Congregazione mariana; insegnò il catechismo, teneva conferenze religiose e culturali. Con i suoi esploratori che si spingevano nelle campagne e negli isolati casolari, poté constatare la miseria e l'arretratezza del vivere dei contadini, lontani dai centri abitati; gli stessi esploratori, proposero al parroco di organizzare il catechismo ai piccoli campagnoli, dando vita alla prima ispirazione dell'apostolato rurale.

 

Il sogno della fondazione Ardor

Nel mese di agosto del 1925 sorse l'A.R.D.O.R. (Associazione Religiosa degli Oratori Rurali) mista di sacerdoti e laici impegnati a insegnare il catechismo ai contadini. L'8 dicembre 1928, nel giorno dell'Immacolata, si diede vita ufficialmente alla Congregazione dei Catechisti Rurali (Missionari Ardorini), approvata dall'Arcivescovo di Cosenza il 27 giugno 1930 e formata da giovani che si erano radunati a vivere col Servo di Dio, nei resti del convento di San Francesco di Paola. Nel 1941, dopo aver verificato l'importanza della collaborazione delle donne nello specifico apostolato dell'evangelizzazione delle campagne, il Servo di Dio ebbe l'incarico di assorbire una comunità di suore di San Vito dei Normanni: quell'innesto di religiose favorì la nascita di quelle che sarebbero diventate le Suore Catechiste Rurali.

In quegli anni ebbe per un periodo di tempo, come catechista, la giovane Elena Aiello (che fondò le Suore Minime della passione e fu beatificata il 14 settembre 2011); la seguì spiritualmente e con la prudenza e l'attenzione del parroco anche nei suoi fenomeni mistici, fino a quando la, giovane donna lasciò Montalto per avviare, nel rione più povero di Cosenza, via Rivocati, una sua nuova fondazione per raccogliere le giovinette e gli orfani di guerra. Tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta (mentre in Italia si andava consolidando il regime fascista (rispetto al quale il Servo di Dio ebbe sempre un atteggiamento di sano distacco) don Gaetano avviò un intenso apostolato e un impegno vocazionale teso a consolidare la nuova famiglia religiosa.

Il Servo di Dio, con l'aiuto dei primi sacerdoti della Congregazione e di uno stuolo di giovani religiosi ardorini, nonché ricorrendo all'ausilio di laici, riuscì a consolidare la presenza dell'Istituto in Calabria, superando anche momenti di difficoltà economica, connessi agli effetti della "grande crisi" che colpi l'Occidente dopo il 1929. Cercò di allargare gli orizzonti della sua comunità e far conoscere la sua opera con viaggi ed incontri con i Pontefici e numerose personalità ecclesiali. Nel '33, nel corso del Giubileo della redenzione, ebbe modo di parlare della sua opera al Cardinale Idelfonso Schuster che lo incoraggiò e ne benedì i propositi. Il 9 maggio 1934 il Servo di Dio fu però colto da una paralisi che rallentò i suoi passi; da essa guarì, come testimoniò lui stesso, per l'intercessione della Madonna della Serra, venerata a Montalto Uffugo e di cui era devotissimo. Gli strascichi della malattia furono però lunghi e la sofferenza, fisica e morale, rappresentò da allora in poi una presenza costante al fianco del decano. Egli l'accettò con profonda rassegnazione e, di fronte alle ricorrenti manifestazioni del male, si affidò incondizionatamente a Dio, continuando con fortezza l'apostolato e cercando di non far pesare le sue sofferenze sui figli spirituali e sui fedeli che si affidavano alla sua guida. Nel 1939, prima dello scoppio del Secondo conflitto mondiale e in un clima di crescenti difficoltà e di miseria materiale e morale, aprì la casa di Petilia Policastro (KR) e riuscì a impiantare una presenza stabile anche a Roma, mentre gli ardorini provvedevano, con grandi sacrifici personali e comunitari, all'evangelizzazione dei territori più abbandonati delle vaste diocesi calabresi, dov'erano chiamati dai Vescovi.

Il 28 giugno 1943 la Congregazione dei Catechisti Rurali fu unita a quella più antica dei “Pii Operai” fondata dal Venerabile Carlo Carafa a Napoli nel 1602, che aveva le stesse finalità apostoliche verso il mondo rurale, ma che ormai si era ridotta a un solo componente. Dall'unione delle due istituzioni, voluta dalla Sacra Congregazione dei Religiosi, nacquero i "Pii Operai Catechisti Rurali (Missionari Ardorini)" di diritto pontificio: il Servo di Dio ne fu prima Vicario e, dopo la morte dell'ultimo pio operaio, Superiore Generale.

Nei primi giorni del 1945 ebbe modo di accogliere a Montalto il fondatore della Pia Società San Paolo, don Giacomo Alberione. Così racconta di quella visita nel suo diario: "dopo essersi fermato in intima conversazione nella mia stanza è sceso a refettorio dove erano riuniti tutti gli Ardorini con i ragazzi dell'oratorio ai quali ha dato la benedizione. Poi ha visitato la chiesa dove ha molto ammirato l'altare in legno, il ritratto San Francesco di Paola".

L'8 maggio del 1945, con la resa incondizionata del Terzo Reich, si chiudeva il secondo conflitto mondiale. Proprio in quel giorno don Gaetano convocò tutti i fedeli, quand'era ormai sera, nella Chiesa della Serra per ringraziare la Madonna. Molti arrivarono con vessilli politici ma il Servo di Dio pretese che venissero portati fuori: "L'unica bandiera intorno alla quale dobbiamo stringerci è la Santa Croce su cui morì il Figlio di Dio fatto uomo per affratellarci tutti". Per dare una nuova fisionomia anche alle sue suore, che desideravano consacrare la vita al Signore a beneficio di tutti i sofferenti, il 4 luglio 1960 l'Arcivescovo di Cosenza, monsignor Domenico Picchinenna, approvò la "Pia Associazione Catechiste Ausiliatrici dei Sofferenti". Finché poté, il Servo di Dio seguì personalmente le missioni rurali che la Congregazione tenne in varie località della Calabria, mostrando grande equilibrio e saggezza rispetto alle numerose richieste di intervento che gli pervenivano dall'Italia e dall'estero. Ai suoi religiosi insegnò, con la sua testimonianza di vita, a vivere la sofferenza come un dono, a superare con la speranza ogni ostacolo, a promuovere la giustizia. Fu sempre molto attento alla loro formazione, inculcando loro la priorità dell'amore di Dio, come forza e motore dell'apostolato, e la fedeltà alla Chiesa. Dopo il Capitolo Generale Speciale dell’estate del 1968, sull’aggiornamento della vita religiosa, le sue condizioni di salute peggiorarono, fino a richiedere un’assistenza continua. Circondato da familiari e da numerosi confratelli, il Servo di Dio mori nella casa madre di Montalto Uffugo il 31 dicembre del 1969. La sua salma, dopo solenni e partecipati funerali, fu tumulata nella chiesa di San Francesco di Paola a Montalto Uffugo.


La Causa di Beatificazione e Canonizzazione

Morto in concetto di santità, la fama si mantenne sempre viva tra i fedeli e tra i suoi figli che hanno sempre guardato alla figura del Decano come ispiratore e fondatore di una grande opera di Dio. A trent'anni dalla morte il Postulatore legittimante designato presentò nel 2001 la richiesta di apertura di una inchiesta diocesana; monsignor Giuseppe Agostino, Arcivescovo di Cosenza-Bisignano accolse subito la richiesta e ottenuto il Nulla Osta della Conferenza episcopale Calabra e della Congregazione delle Cause dei Santi, promulgò il decreto di apertura della Causa di Beatificazione e Canonizzazione nominando un apposito Tribunale per l'Inchiesta diocesana. L'Inchiesta diocesana si apri il 9 maggio 2002 e si concluse il 21 aprile 2012, nel corso dell'episcopato di monsignor Salvatore Nunnari. La validità degli atti fu data dalla Congregazione delle Cause dei Santi il 15 febbraio 2013. 11 19 gennaio 2023 papa Francesco, nel corso dell'Udienza al cardinale Marcello Semeraro Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, ha ordinato la firma e la pubblicazione del Decreto di Venerabilità del Servo di Dio riconoscendone così le virtù eroiche.

 

La centralità dell'Eucarestia nella vita del presbitero

L'amore per l'Eucarestia fu il centro della sua vita sacerdotale, sostegno del suo apostolato e cuore del suo carisma. Nel discorso che ebbe modo ti tenere in occasione del Congresso Eucaristico Regionale ebbe a dire: "noi sacerdoti sappiamo, e dobbiamo esserne sempre più consapevoli, che l'Eucaristia è il tesoro della Chiesa. Per la Chiesa universale nel sacramento dell’altare Gesù Cristo è tutto: è il suo sposo, il suo protettore, la sua guida, la sua luce, il suo maestro, il suo dottore; è Dio con essa. E’ qui dove egli ottiene e adempie la sua promessa: di non abbandonare la Chiesa e di assisterla in tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli... Per ogni membro della Chiesa Gesù Cristo nell'Eucaristia è la sua consolazione nelle pene, il suo rifugio, la sua forza, il suo appoggio nei momenti della prova, il suo vero amico, l'alimento dell’anima, il principio, il centro della sua vita soprannaturale". Ai suoi parrocchiani, ai giovani, ma anche ai suoi sacerdoti raccomandava sempre: "Sono certo che farete tutto con slancio e generosità, se sarete ardenti anime eucaristiche come vi auguro".

 

L'Amore per Maria

Devotissimo della Madonna, raccomandava a tutti di affidarsi a lei. La Beata Vergine Immacolata, alla quale fin dagli inizi aveva affidato il nascente Istituto, sarà sempre la stella del suo ministero "Ella ci ha preso maternamente per mano e ci ha fatto seguire le misteriose vie della Provvidenza e sarà quella che continuerà a guidarci per renderci più miti, più comprensivi anche per i manchevoli" scriverà nel suo Diario. La devozione alla Madonna ebbe per lui una espressione ben delineata e precisa; il santuario della Madonna della Serra di Montalto Uffugo: "La Madonna: l'impareggiabile regina di cui ogni cuore è affascinato, è innamorato. La Madonna: la mamma piena di tenerezza e di amore. Da lei e per Lei ci sono venute tutte le grazie che oggi fanno palpitare il nostro cuore di tanta amorosa gratitudine". Un amore che si è fatto testimonianza: "le grazie de/passato hanno ingigantito la mia fede e se due volte all’anno scrivo ai miei benefattori intorno alla Madonna nostra è appunto per infondere nei loro cuori una fede vivissima e una devozione illimitata verso di Lei". Don Mauro vide sempre un nesso profondo tra la Vergine Immacolata e il progetto al quale Dio lo aveva chiamato: "Prima di tutto ricordo che ogni cosa è per noi incominciata con una particolare protezione della Madonna. Non sapevo spiegarmi nei primi tempi il perché di una gioia straordinaria che, nel giorno della Immacolata, invadeva i nostri cuori e specialmente i cuori di quei giovanetti, che, inconsapevoli allora dell’avvenire, pur non sapevano contenersi, e mi dicevano cose che sentivo superiori alla capacità intellettuale e spirituale di loro età, ma che mi dettero tanto a pensare finché non compresi i finì di Dio in essi".

 

I giovani cuore dell'azione pastorale

Nel suo cuore di padre e di pastore ebbe sempre i giovani e ai suoi sacerdoti ricordava sempre questa specificità del loro apostolato: "sognate di essere un giorno apostoli di immenso bene fra le chiassose schiere di bimbi che affolleranno i nostri oratori, e fra il candido sorriso dei giovani che brilleranno di purezza nei nostri Istituito nelle nostre case di ritiri giovanili; sì, tutto questo e altro ancora voi vedrete, ma quando? Quando avrete già reso fecondo il vostro apostolato nel segreto della vostra stanza, nel silenzio della vostra cappella, allorché il cuore vi si spezzava d’angoscia". L'oratorio-ricreatorio, le associazioni giovanili secondo le tradizionali e nuove forme, furono speciali spazi educativi. Intuì che lo scoutismo, come nuova esperienza che si affacciava nella pastorale, se cristianamente orientato, poteva divenire un grande spazio di evangelizzazione e di formazione dei futuri cittadini. Ricordava spesso il detto di San Giovanni Bosco: formare buoni cristiani e onesti cittadini.

 

Chiesa in uscita: curare i semplici e la gente dei campi

I giovani furono strumento divino attraverso i quali colse i bisogni della gente che viveva miseramente e senza nessuna istruzione. Le prime occasioni di conoscenza diretta della gente rurale le poté fare proprio in occasione delle uscite con i giovani dell'oratorio e con gli esploratori.

Don Gaetano Mauro così ricorda le occasioni che ispirarono la sua fondazione: "Un giorno che questi (gli esploratori) erano andati per una gita nelle campagne della Piana del Crati, Eugenio Ferrari al ritorno, tutto triste, mi disse che avevano incontrato dei ragazzi che non sapevano fare il segno della Croce e mi chiese di mandarli, nelle Feste a fare colà il Catechismo".

In lui c'era come un tormento per quella gente che nasceva dall’esperienza quotidiana delle difficili condizioni di vita della gente dei campi. “Spettacolo che perdura ancora, che per me è stato sempre tristissimo. È venuto qualche volta a voi, o amici, e benefattori nostri, di pensare alla triste condizione di tanti poveri fanciulli che vivendo a dieci e quindici chilometri dal centro abitato, con genitori che si preoccupano solo del lavoro materiale, vivono dispersi per le nostre campagne, senza vedere mai una funzione religiosa e senza quei sollievi morali che divertendoli li istruiscano e li educhino? Un tempo, i genitori nelle campagne supplivano in qualche modo alla mancanza del sacerdote, ed erano poche le famiglie dove non si recitasse il santo Rosario o non si leggesse una paginetta della storia sacra; oggi invece va penetrando nelle campagne uno spirito di indifferentismo che fa paura; la preghiera in comune è trascurata, il catechismo dai genitori non lo si insegna più e i fanciulli vengono su col solo pensiero di badare al gregge o di raccogliere erbe. Ne avviene per conseguenza che la vita di questi piccoli cari figliuoli, senza assistenza religiosa e morale, diventa sempre più pericolosa e pesante, e quando essi,(o per l'America o per la vita militare) vengono messi all’improvviso a contatto con un ambiente tutto diverso, ne restano talmente presi che sentono ripugnanza a ritornare poi ai loro campi e vanno a ingrossare le file di quei poveri illusi che attratti dalle false lusinghe della città, rinunziano per sempre alla vita pura e feconda della campagna".

Questo travaglio interiore e quest'ansia di apostolato fu incanalata nel suo progetto pastorale: "Noi andiamo nelle campagne e diciamo che la terra è degna di essere amata perché fonte di virtù, di salute, di ricchezza vera. Diciamo che i problemi che la riguardano sono degni di essere studiati assiduamente e profondamente coi criteri delle scienze moderne più progredite. Nessun altro studio potrà essere più fecondo per la nostra patria ... Noi accogliamo l'operaio e gli diciamo che il lavoro è una benedizione di Dio, che egli deve essere eccellente nella sua arte, perché il vero cristiano è ottimo in tutte le manifestazioni della sua vita; mentre il mondo corre al piacere, educheremo la gioventù alla purezza; mentre nel mondo gli uomini si dilaniano, noi educheremo i giovani all’apostolato, che è dedizione di sé, che è fiamma di carità…”

Non era ancora un programma, ma in questo scritto si coglie la volontà decisa del Servo di Dio di donarsi tutto per l'apostolato agricolo, a svegliare gli animi, a raccogliere tutte le energie possibili intorno a questo ideale: "Lanciamo perciò il nostro caldo appello a quanti attendono ansiosi che si presenti una bella occasione di fare del bene e gridiamo a tutte le anime generose e di buona volontà: sentite, sentite cosa noi vogliamo: il trionfo di Cristo Re sulla terra e in ogni cuore... Il mio primo appello, perciò, è rivolto ai calabresi e alla classe che può e deve agire, e cioè, alla classe di coloro che hanno grandi mezzi morali e materiali". Nei primi anni del dopo guerra era riuscito finalmente ad avere un camion da attrezzare a "cappella volante". Era un suo vecchio pallino che realizzò con vera "fantasia pastorale". Pensava così di poter offrire dovunque un "pronto soccorso spirituale", specie per le Messe festive. Le suore lo avevano aiutato nella spesa dell'automezzo, rimediato a San Vito dei Normanni (Brindisi) e con esso, insieme ai suoi sacerdoti, visitava le famiglie delle campagne e i piccoli villaggi silani. Quando nel giugno del 1954 furono convocati a Roma i Superiori degli Ordini e delle Congregazioni religiose per illustrare il progetto delle "stazioni missionarie", che avrebbero dovuto garantire un'assistenza permanente e capillare nelle zone più depresse dal punto di vista spirituale religioso e sociale, lui si trovò in perfetta sintonia. Ogni stazione poteva essere composta da almeno tre religiosi che facevano vita in comune. Tra i vari compiti si proponeva l'assistenza al clero locale con ritiri ed esercizi spirituali, l'assistenza alla gioventù, l'istruzione catechistica. Al Servo di Dio sembrò esattamente il programma dei suoi Ardorini.

Il Venerabile monsignor Giovanni Ferro, Arcivescovo di Reggio Calabria, in occasione del trigesimo della sua morte il 31 gennaio 1970 ebbe a dire: "felicissima intuizione, vera ispirazione di Dio: avvicinare questi giovani delle campagne, avvicinare le popolazioni, fare che i missionari vadano ovunque a incontrare il popolo di Dio. Ecco il suo sogno! E per questo suo sogno consacra la sua vita, la sua novella vita.... Andare al popolo, avvicinare i giovani, aprirsi al dialogo con loro. Oggi si parla molto di dialogo, ci si riempie la bocca di dialogo, ma si ha tanta poca pazienza a sostenere il dialogo, ad ascoltare le istanze della gente, dei ragazzi stessi, perché allora ascoltandoli noi possiamo correggere, possiamo orientare, possiamo educare; non invece accontentare in tutto, tutto quello che viene detto, tutto quello che viene chiesto, sia subito acconsentito: questo non è educare, questo è accarezzare, ma la carezza non è sempre costruttiva, occorre molte volte saper dire anche un no a quello che è il capriccio, a quello che non è ragionevole".

 

La notte dello spirito

Uno dei temi ricorrenti nei Diari del Servo di Dio è la "prova spirituale", che lui chiama aridità, buio, prova, notte oscura. Si trattò di un fenomeno ben noto anche nella vita di Santi indicato come "notte dello spirito" e ampiamente studiato dalla teologia spirituale e dalla psicologia. Il Servo di Dio visse questa esperienza in diversi momenti della sua vita e si accentuò negli ultimi tempi della sua esistenza. Tale esperienza, costante e sempre più incalzante, man mano che la salute fisica declinava, presentava tutte le caratteristiche dei limiti umani. Il Servo di Dio non era un eroe ma un uomo che si era offerto. L'angoscia, il senso di nullità, il senso di inadeguatezza, le malattie e le penitenze; man mano che si procede nella lettura delle pagine del suo Diario queste esperienze emergono sempre con più chiarezza e connesse con l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, soprattutto dal 1967. Ne rese partecipi anche i suoi più stretti collaboratori affidandosi alla loro comprensione e alle loro preghiere. La sua inadeguatezza spirituale la leggeva nell'esperienza di San Giuseppe, di cui era molto devoto; si sentiva come fuori posto nel grande progetto di Dio. Alcune letture postume dei suoi confratelli leggono in filigrana questa esperienza come quella dei profeti della Scrittura o dei grandi Santi che sentivano il peso della loro missione, partendo da Mosè, Isaia ed altri profeti, fino a Sant'Ambrogio che volle fuggire da Milano o a San Giovanni Vianney, che si riteneva così inadeguato per il suo lavoro del parroco e che letteralmente fuggì dalla sua parrocchia. A questa sofferenza interiore si aggiungeva la consapevolezza del declino della sua salute fisica: ripetutamente esprimeva la sua amarezza di non poter svolgere la sua missione con tutta la sua energia, perché impedito dalle malattie.

 

Soffrire per amore e desiderio di Santità

Di grande attualità il suo pensiero sul valore della sofferenza offerta per amore e in maniera incondizionata a Dio. Don Mauro la visse come consegna, abbandono e spazio di speranza: "O Signore io ti ringrazio per quello che mi hai dato, anche per le sofferenze, ma soprattutto per le gioie che mi hai dato nell’aprirmi nuovi orizzonti per la vita della Congregazione". Sapeva accogliere con fiducia la misericordia di Dio; sul finire della sua vita, nella sofferenza e nella malattia, si affidò sempre a Dio, confidando nella sua grande misericordia nel mistero del pieno abbandono al Signore; il Cielo fu il suo costante riferimento. Desiderava la perfezione e invitava i suoi figli a fare altrettanto. Così scrive il 30 novembre 1944: "facciamoci santi, figliuoli carissimi, facciamoci santi perché solo così potremo contribuire a dare al mondo ciò che sembra non debba esistere più sulla terra: l'amore, quell'amore per cui il Figlio di Dio si fece uomo e morì per noi sulla croce, quell'amore per cui Egli è sempre vivo e presente fra noi nel sacramento eucaristico, quell'amore per cui tutti gli uomini sono fratelli in Lui, quell’amore per cui dovrà finalmente cessare l'inutile strage che insanguina la terra e per cui dovrà brillare nel cielo della patria nostra e di tutte le nazioni del mondo quella pace che gli angeli cantarono sulla grotta di Betlemme".

 

La sua testimonianza continua nella Chiesa e nel mondo

L'esempio del Servo di Dio, la sua totale dedizione a Dio e di più poveri, la sofferenza accolta e vissuta sempre nella piena fedeltà a Dio e alla Chiesa, l'indomita passione per l'uomo e per la difesa della sua dignità, l'eredità e l'attualità del suo carisma costituiscono i motivi di maggiore attualità del suo esempio e del suo messaggio. Il patrimonio spirituale e caritativo dei Pii Operai Catechisti Rurali e delle Suore Catechiste Rurali Ausiliatrici dei Sofferenti, coltivato ancora oggi con entusiasmante e intelligente fedeltà e diffuso in varie nazioni in diversi continenti, affonda le radici nelle intuizioni spirituali e apostoliche del Servo di Dio. Il Servo di Dio, attraverso l'azione missionaria dei suoi figli e delle sue figlie, ha raggiunto confini inaspettati. Gli ardorini operano in diversi contesti dove Cristo va ancora annunciato o riannunciato: in Italia, in Colombia e in Canada, in India e Tanzania.

L'esistenza del Servo di Dio il Venerabile don Gaetano Mauro si colloca in un periodo molto complesso e difficile della storia moderna e contemporanea, caratterizzata da epocali trasformazioni tanto nella società quanto nella Chiesa. Anche noi oggi siamo chiamati a testimoniare il Vangelo in una epoca di cambiamento che richiede grande ardore per il Signore e una passione missionaria non indifferente.

A questa testimonianza attingono i suoi figli, ad essa possiamo attingere anche noi della Chiesa che è in Cosenza-Bisignano. I sacerdoti, i suoi confratelli nel sacerdozio, i laici e soprattutto i giovani che sono stati un vero e proprio traino per il suo carisma e si sono fatti voce di Dio che lo ha ispirato, chiamato ed indirizzato. Grazie alla sua testimonianza di vita dobbiamo avere il coraggio di uscire dalle nostre sicurezze, spalancare la porta delle nostre Chiese dove ci siamo nutriti ed abbiamo fatto esperienza di Dio per andare, come ci sta esortando papa Francesco, verso l'uomo, soprattutto verso i nuovi poveri, la gente scartata e abbandona, respinta o rifiutata.

Da questo parroco calabrese possiamo imparare la "fantasia pastorale" per portare l'amore di Dio agli uomini del nostro tempo, camminando insieme a loro, senza pregiudizi, coscienti che il Signore stesso cammina accanto a noi e ci viene incontro.

L'ardore con cui egli si mise al servizio dei suoi fedeli gli permise di conquistarne i cuori; modellandosi sul carisma di San Giovanni Bosco, egli attivò forme di pastorale giovanile, che riuscirono ad attirare tanti ragazzi verso il ricreatorio aperto in parrocchia: fu in quel contesto che, attraverso una saggia pedagogia e una sagace catechesi, i ragazzi trovarono risposte chiare e sicure alle loro domande di senso sapendo che potevano contare sulla disponibilità completa del loro parroco. Ebbe l’intelligenza e la delicatezza di relazionarsi proficuamente con gli altri sacerdoti della diocesi, con quella che oggi possiamo definire "sinodalità sacerdotale" di grande prospettiva ed efficacia, fino a coinvolgerne alcuni nel suo sogno.

Abbiamo perciò un modello di vita sacerdotale ed un testimone che ci mostra le vie di Dio che si intrecciano con i sentieri degli uomini. I propositi, che fa durante gli esercizi spirituali per la sua ordinazione, offrono ai sacerdoti l'impostazione solida della vita interiore. Con quanta cura esorterà i suoi figli a non lasciarsi assorbire solo dall'apostolato e trovare così giustificazioni per la mancata cura della vita interiore. Don Mauro è l'uomo di Dio che vive in rapporto profondo con il Signore ma volge il suo sguardo alla storia e ai fratelli.

Questo stile ciascuno di noi può innestarlo nel proprio stato di vita, vivendo la speranza cristiana anche nei momenti più faticosi e più tenebrosi.

"I momenti più sublimi della Grazia sono quelli in cui tutto ci sembra buio intorno: allora è il Signore che, per farci distaccare da tutto e da tutti, fa come fa una buona mamma che per non far vedere a un suo figliolo uno spettacolo cattivo, spense la luce della stanza dove si trovavano... Solo abbracciati alla Croce si può salire al più puro amore di Dio e del prossimo".

Possa la sua testimonianza di fede e di santità, sostenere i Missionari Ardorini e fecondare ancora la nostra Chiesa, facendoci ardere tutti di grande amore per il Signore e per i nostri fratelli.


Cosenza, 1 ottobre 2023

S. Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni 

+ Giovanni Checchinato

Arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano