The Trentinos

This page contains information sent by Valerio Gobbi, the nephew of Federico Manfredi, one of the survivors of the wreck. Manfredi was so traumatised by the event that he could not face the prospect of ever travelling back to Italy again by sea . Part of this was caused by the experience of seeing victims being dragged under by the sharks at the site.

"Sul Mafalda viaggiava un nostro zio (Federico Manfredi), morto in Argentina nel 1961. I suoi figli vivono a San Pedro di Mendoza. Nelle sue lettere (ormai perse) diceva che due dei suoi amici, partiti dall'Italia con lui, sono stati divorati dai pescecani mentre aspettavano i soccorsi, aggrappati a dei relitti. Per il terrore avuto in quei momenti non ha piu' voluto ritornare in Italia."

On the ship there were eight people (at least) from the Trento region in northern Italy. They were: Federico Manfredi (1904-1961), Mansueto Bertolini (26 yrs, shown with the surname Lini on the lists), Domenico Zeni (27 yrs), Filippo Adami (24 yrs, also known as Isidoro), Emilio Alberti, Tollio Bellotti and Luciano Caravaggi.

There is some confusion about Domenico Zeni. He is shown as Zemi on our list of Third Class victims.

"Il nipote di Zeni ( al quale e' stato dato lo stesso nome dello zio come ricordo ) mi ha detto che ricordava dell'atto di morte arrivato assieme a del denaro."

"Il fretello di ALBERTI (solo 4 anni piu' giovane -1913-) mi disse che anche EMILIO diceva di aver visto pescecani quella notte, gli raccontava: Sono rimasto in acqua per piu' di tre ore e ogni tanto vedevo degli enormi pescecani uscire dall'acqua, addentare qualcuno e sparire. Il tempo non passava mai, le speranze di salvarmi erano sempre meno e non avevo piu' forze per sorreggermi, finalmente passo' una barca e mi

prese a bordo. Anche lui non e' piu' tornato in Italia, e' morto 16 anni piu' tardi a Buenos Aires."

"Su quel relitto dal quale fu'salvato, lo zio (Federico Manfredi), c'era anche il suo amico e compaesano Sartori Felice ( Felix) anche lui sopravvissuto. Da quell'esperienza usci traunatizzato, per lo spavento i suoi capelli divennero tutti bianchi e anche lui, come lo zio, non volle piu' ritornarein Italia. La terro' informato delle mie ricerche riguardo ai suoi amici morti nel naufragio."

Tough post-WW1 conditions in the north of Italy was the impetus for young Italians to go and seek their fortunes in Argentina.

"Lo zio (Federico Manfredi) era nato il 4 maggio 1904 a Mori, un paese di circa seimila abitanti (all'epoca), in provincia di Trento situato nella valle dell'Adige (il secondo fiume d'Italia)circondato dai monti, tra Rovereto(dove c'e' la campana dei caduti "MARIA DOLENS" fusa nel 1924 con i cannoni della prima guerra mondiale, suona 100 rintocchi tutte le sere a ricordo dei caduti di tutte le guerre), e il lago di Garda (il piu' grande d'Italia. Dal dopoguerra qui c'era una grave crisi economica, l'unica risorsa era quel poco che si riusciva a coltivare nei campi,e così come molti altri partì assieme a dei suoi amici (Sartori Felice e altri) in cerca di qualche cosa che qui mancava. Il lavoro. Da quello che ho potuto sapere erano emigrati in Argentina per restarci. Questa decisione fu' ulteriormente confermata a causa dell'incidente, gia dalle prime lettere hanno detto che sarebbero ritornati in patria solo se ci fosse stato un ponte che univa l'Argentina con l'Italia. Riguardo al lavoro trovato lì, so soltanto che hanno lavorato come braccianti agricoli. Sartori Felice, non era sposato, anche quando non e' stato piu' in grado di svolgere le sue mansioni, la famiglia per la quale ha sempre lavorato lo ha acuudito fino alla sua morte. Nostro zio ha lavorato anche sulle linee elettriche. Noi abitiamo ancora a Mori nello stesso Paese."

A letter sent by a survivor (Filippo Adami) to his family:

Montevideo 14/11/1927

Carissimi!

Domandandovi perdono sarebbe poco! Dopo un disagio cosi grande, per la trascuranza nello scrivere; ma credete non ho colpa; la disgrazia mia fu cosi grande e spaventosa quanto un orrido martirio. Molte volte mi misi a scrivere per raccontarvi qualche cosa, ma subito dovetti smettere poiche’ mi sentivo impazzire nel ricordare un cosi grande spavento. Tra gli ottocento salvati del “Mafalda” sono stato uno dei quattro salvati miracolosamente; che di noi, per mezzo degli ufficiali del “Formosa” e del “Duca degli Abruzzi”, i giornali stranieri e Argentini si sono divertiti magnificamente a parlare di noi per una settimana. Sentite ora, che dopo venti giorni mi sento un po’ calmo, vi racconto in breve della mia tragica e spaventosa notte del 25 ottobre l927.

Dopo quattro ore circa dalla rottura del piroscafo; dopo che le donne e i bambini erano tutti salvi, per mezzo delle barche di altre navi, tranne pero ’ i bambini annegati e che annegavano ancora quando c’era il sole perche’ sono affondate tre barche per troppo peso. Allora io e altri sei dei miei amici ci siamo ritirati nel salone da pranzo di prima classe che, essendo preparata la cena, abbiamo bevuto birra e mangiato peri Usciti dal salone con la sigaretta accesa, calmi e pacifici, perche’ si vedevano molte navi in aiuto e incoraggiati dagli ufficiali. Tutto un momento si e’ vista la nave sbandare a sinistra; allora solo io vidi il primo momento di pericolo e mi inchinai a levarmi le scarpe e i calzetti me li misi in tasca come servisse a salvarmi. Fu un attimo gridare di disperazione: in quel momento mi trovavo nella passeggiata di seconda classe aggrappato alla ringhiera fra le grida: “Addio mamma” e “Dio mio”.

Si e’ visto la gente che non si poteva piu’ reggere in piedi arrotolare sul bastimento come rotelle. Dopo un momento, 3-4 minuti sentii un terremoto nell’interno della nave, vetri e piatti spezzarsi. Allora mi resi conto del pericolo balzando in piedi sulla ringhiera per gettarmi in mare dall’alto di venti metri guardando il mare agitato nell’ oscurita’ e, spinto a gettarmi, mi lasciai prendere da un affanno. Chiudendo gli occhi in quel momento, guardando di nuovo le onde nelle tenebre, vidi la povera mamma che mi chiamava piangendo. Disperato dalla visione ml gettai in mare come fossi andato fra le sue braccia. Quando fui a galla dalla profondita’ che ero andato mi dirigevo verso la luce d’un altra nave nuotando disperatamente per allontanarmi dal “Mafalda”. Fu allora il terrificante naufragio, ml trovavo 15 metri distante dalla caduta della nave.

Vedendo che 1’albero davanti stava per colpirmi mi gettai sott’acqua cosi per evitare il colpo, ma disgraziatamente fui travolto e ferito alla fronte e alla spalla destra. Impotente e ingombrato dai fili e dalle corde dell’albero dovetti lottare con coraggio per liberarmi nuotando poi un’ora con gli occhi quasi chiusi dal sangue che mi cadeva dal cervello; mi accostai a un pezzo di legno per riposarmi; fu allora un tragico momento. E mi sento dire:”Coraggio Trento!!!“. Era un mio amico di Parma anche lui aggrappato al legno. Fu un attimo, il legno mi sfugge cadendo sulla schiena. Un urlo straziante sotto acqua e non vidi piu nulla (l’amico era stato mangiato dai pescecani).Rimasi in acqua ancora mezz’ora nuotando come un pazzo che mi sembrava di avere un pescecane per gamba. Raggiunta una barca francese fui salvato: ml lasciai cadere svenuto vomitando acqua. Subito dopo fui trasportato sulla nave Mosella (francese) dove fui medicato alla spalla e alla testa; poi mi fecero massaggi al ventre per 1’acqua bevuta. In quel momento si fece a me vicino un frate della nave per confessarmi. A questa domanda io balzai in piedi col delirio pensando di essere in pericolo di vita; non ricordo ma mi hanno detto che l’ho offeso bestemmiando. Dopo due ore, cioe’ alle due di notte, mi hanno trasportato su un’altra nave (la Formosa). Trovai nella stanza quello di Besenello che abitava dal Vito. Dio mio che scena, piangeva come un bambino al vedermi, poverino, mi ha levato i panni bagnati, mi ha messo una camicia delle sue e assistito fino ala mattina dandomi da bere grappa e spumante. Per lui ringraziate anche suo padre, da parte mia.

Viaggiai tre giorni con lui fino a Rio de Janeiro, e la’ a Rio vi rimasi tre giorni, nell’isola dei fiori, in attesa del piroscafo Duca degli Abruzzi; il giorno santo sono partito per Montevideo. Al porto mi aspettava con angoscia Beppi, Cesare e Beppino assieme a degli altri in automobile. si sono portati all’hotel Margoni dove rimasi a mangiare fino al giorno 8. Nello stesso giorno ho ricevuto dal Console alcuni pezzi e un vestito, ora sto bene anche per le mie ferite, sono completamente guarito; anche la notte ora dormoabbastanza tranquillo: solo i sogni un turbano ancora per lo spavento. Ma in ora tutto e’ passato e vi prego di questo non parlarne piu’

Vi raccomando alla vigilia o prima di Natale fate dire una messa alla mammache la sua visione mi ha salvato. Infine per me se potete fate la comunione di Natale in ringraziamento che promisi alla Madonna che la nell’ultimo istante la invocai, mi raccomando in piu’ ricordate la povera mamma. Se potete fatemi sapere di quelli di Mori se son proprio morti che ero proprio amico che le ultime parole le ho fatte a loro e nel mentre mi sono gettatoin mare loro hanno gridato:”Addio mamma”. Credo siano stati inghiottitidalla nave. Ogni documento ogni fotografia benche’ un po’ rovinata, ma le ho salvate tutte. Vi saluto tutti di cuore che ho scampato la morte sono sano e salvo.

Vostro Isidoro.