Vita di quartiere

Vita di quartiere

Il bambino esce di casa appena sveglio, dà una fugace occhiata se gli amici sono già in istrada ad aspettarlo, in quel caso li raggiunge e inizia a giocare, il suo lavoro è questo, nell'attesa che compia i sei anni necessari per frequentare la scuola elementare, se non vede alcuno, allora fa ritorno in casa e aspetta che la colazione sia pronta, latte e pane raffermo oppure, adesso che sta per iniziare la primavera, granita bianca, alle mandorle. Preferisce però qualcosa di caldo, quel dolce piacere che gli rimarrà per tutta la vita, la voglia di tepore sempre e ovunque. Quest'ultimo anno di spensieratezza, quindi, se lo gode a piene mani, dalla mattina alla sera, sporcandosi dalla testa ai piedi, con le sole mutandine bianche cucite dalla mamma o con i calzoncini corti, non ha importanza, davanti casa, nella strada sterrata, dove ancora non ci sono auto, solo biciclette e qualche moto, e la mamma è serena in casa a riordinare con le finestre spalancate al primo sole di primavera, con l'aria fresca che rinnova ogni cosa, asciuga i muri e placa lo spirito. Ama inoltrarsi nella piccola macchia mediterranea che circonda le case di periferia, al di là del muretto, dove passa la ferrovia, ma non oltre la curva però (la mamma gliel'ha vietato), dove i binari scompaiono e si inoltrano chissà dove, in una terra lontana, misteriosa agli occhi del bambino, un mondo, ed è solo oltre la curva, che non sa e non può immaginare. E questo senso di smarrimento davanti all'ignoto gli rimarrà sempre, anche quando sarà con i capelli bianchi e avrà i nipotini che gli chiederanno di raccontare la sua giovinezza; questa sensazione, simile ad una debolezza, non la dirà mai a nessuno, quei binari neri, lunghi, infiniti, che ad un tratto scompaiono e non si sa dove finiranno, quali paesi attraverseranno, quali odori porteranno: tutto un mistero, sebbene piccolo, il primo che albergherà nella mente di questo bambino, il primo di una lunga serie.

Il sole non è ancora alto sull'orizzonte, ma la luce è già intensa, la luce del mattino in Sicilia ha i colori del diamante, soprattutto in questo periodo dell'anno, con gli alberi che sembrano stiracchiarsi dopo il lungo sonno dell'inverno, una luce non accecante però, com’è solita nelle prime ore del meriggio, quando ad aprire gli occhi si prova quasi dolore. La luce di queste ore del mattino ha ancora voglia di esplodere, ma è come incatenata, costretta ad aspettare, nell'attesa che giunga il momento buono per dire della sua forza, per lanciare l'urlo della sua potenza, quando, allora si, non darà più respiro all'umanità che si trascinerà radente ai muri in cerca di un filo d'ombra. Questa è l'ora in cui aprirà la sua bottega il falegname, all'angolo della via, metterà le assi appoggiate al muro, assieme alle porte e alle finestre che si appresterà, oggi, a completare. Lascerà però il bancale con le morse all'interno, al dolce fresco dove lavorerà con gli altri macchinari, mentre la colla il garzone la preparerà come tutte le mattine fuori, sul marciapiede. Si fermeranno gli anziani del quartiere a salutare il giovane falegname che da qualche anno ha rilevato la bottega di mastro Cirino, i vecchi sosteranno qualche minuto o qualche ora, per loro il tempo non ha importanza. A una certa età si vive nell'attesa della morte, anche se si vorrebbe non venisse mai, una contraddizione in termini di logica. La merceria invece è aperta dalle prime ore del mattino, forse c'è già buio, non si sa, quando donna Nunziata apre e si mette dietro a servire le donne del quartiere, latte e pane, e poi pasta e formaggi. Ci si va due o tre volte nell'arco della giornata, è come una continua preghiera, un rivolgersi continuamente a Dio per scandire così le varie fasi della giornata. Il mattutino, i vespri e la compieta, un susseguirsi di riti che scandisce la vita in questo quartiere, un quartiere comune come a tanti altri.

Il bambino adesso rientra piangendo, con le ginocchia ferite da una caduta accidentale, o forse da un salto inopportuno, forse ha litigato con qualcuno, meno probabile, ma pur sempre possibile che ad una certa età i contrasti divengano subito evidenti e difficili da risolvere. Il pianto si confonde con l'abbraccio della mamma, si risolve così ogni controversia, si fa ritorno in strada rinfrancati, con gli occhi che misconoscono le lacrime e con la voglia di riprendere il discorso lasciato in sospeso, ovvero l'insostituibile gioco.

Si vede passare il carrettiere con una quantità spropositata di mattoni che andrà a scaricare chissà dove, siamo circondati da piccoli misteri, ognuno nel suo piccolo custodisce qualcosa che altri non sanno, e molte volte vorrebbero non sapere. Solo i vecchi, quelli che nelle mattine d'inverno si vedono appollaiati al sole, in un angolo della via, ognuno con la propria sedia, a giocare a carte, mentre adesso ch'è primavera e fra poco sarà estate, la loro porzione di strada è là dove sosta l'ombra, solo i vecchi non hanno angoli da nascondere, nemmeno a volerlo, perché la vita di ognuno di loro è patrimonio comune di tutti, nel quartiere si è così, e non solo bisogna accettare queste regole per vivere serenamente gli ultimi giorni, ma bisogna fare di tutto perché sia così, perché il corso assegnato dalla storia sia vissuto senza intralci.

Davanti alla porta si presenta il venditore di olio, oggi è il suo giorno settimanale, si ferma davanti all'uscio, misura la sua porzione di olio d'oliva e lo versa nell'imbuto che sovrasta la bottiglia da un litro poggiata per terra, sulla nuda terra. Lo lascia scolare sino all'ultima goccia e nell'attesa fa i conti, intasca le poche lire e conserva tutto nel portamonete, nella tasca dietro dei pantaloni. Quest'uomo odora di olio sin dentro il midollo, lo si riconoscerebbe fra un milione di uomini pur ad occhi chiusi. Don Vito è un omone grande e grosso, così lo vede il bambino, che già comincia a misurare tutto ciò che gli si presenta, un rendere familiare le dimensioni di ognuno, ché un giorno servirà anche questo.

Anche il ciabattino, che questa mattina mette il suo banchetto per la prima volta davanti la soglia di casa, impreca che è già tardi e con questi ritmi non riuscirà a consegnare per stasera gli scarponi da lavoro ai contadini e ai muratori del quartiere, unici suoi clienti. Ha già pronto il banchetto, e sta piegato in avanti, con un grembiule di tela cerata, con lo stampo della scarpa appoggiato sulle ginocchia, e inizia a martellare il cuoio, a forarlo con la lesina, ad inchiodarlo e quindi ad annerirlo ai bordi con il lucido. Prende il giusto ritmo, sereno, e infatti lo si vede fischiettare, segno inconfondibile che tutto procede bene, e che forse potrà essere puntuale stasera nella consegna. Alza lo sguardo raramente, quando qualcuno gli passa davanti ed è costretto, ma lo fa volentieri, a salutare, mentre smette di fischiettare e un leggero sorriso gli sfiora le labbra, pago di essere al mondo e di avere un lavoro, e per di più nel proprio quartiere, senza doversi spostare se non davanti l'uscio.

Poco prima di mezzogiorno si vede passare un piccolo corteo, con una giovane donna in prima fila a braccetto di un signore altero, con i baffi, vestito di grigio e una cravatta color argento. E' una sposa accompagnata in chiesa dal proprio papà. Una sosta al gioco ne valeva la pena, questa volta, per l'occasione sono loro, i bambini vocianti, il notiziario che va in onda nel quartiere, gridano la notizia nella via e tutto rimbomba di una gioiosa armonia; tutte le donne prima affacciate all'uscio di casa si portano all'angolo della via, ad assistere al corteo, ricordandosi quando erano loro le regine in passerella, quanto tempo è passato da quel giorno! Ammirano la sposa e iniziano i commenti, oh sì la sposa è bella, vestita, inutile sottolinearlo, di bianco e con un mazzolino di zagare in mano. Tutte le spose sono belle, sussurra la mamma del bambino. A lui tutto ciò piace, ma lo sfarzo, quel mettersi in mostra, quella strettoia obbligata dalla quale bisogna necessariamente passare, e senza scampo, per sposarsi, non l'accetta, sebbene sia ancora troppo piccolo per affrontare certi argomenti, ma alcune inclinazioni sono evidenti, ben evidenti già all'inizio, come un DNA visibile a tutti. Il bambino giura alla mamma, mentre è ancora in braccio, che non si sposerà, lui non sfilerà mai nel quartiere, ha troppa vergogna, spera che le condizioni cambieranno nel frattempo. Più che le condizioni dovrebbero cambiare i costumi, e si sa quanto sia difficile sradicare dalle tradizioni ciò che i secoli hanno consolidato.

Oggi per la prima volta i bambini del quartiere gireranno l'altro angolo della strada, anch'essa sterrata e senza veicoli, gente che si affanna a piedi, è questa l'umanità che vive in questo quartiere, andranno a visitare la fornace di mattoni dove mastro Ciccitto, uomo mite e parco di parole, lavora da oltre sessant'anni, fortuna che adesso ha quattro dei sei figli che lo aiutano in questo lavoro pesante e quasi senza tempo, andranno a curiosare quant'è duro lavorare, vedranno il sudore colare giù dalla fronte degli operai, scopriranno che la vita non è il gioco quotidiano, no, ma una continua ed estenuante salita interrotta da qualche isolata discesa, loro non lo sanno ancora, ma l'effetto che ne avranno sarà proprio questo, un primo confronto con la realtà che fra non molto li investirà. Faranno ritorno tutti nel pomeriggio, dopo aver giocato con della creta residua a impastare piccoli mattoni anche loro, e si soffermeranno davanti l'uscio di una abitazione dove qualcuno sta piangendo. Hanno capito che dentro è morto qualcuno. Il bambino cerca di sbirciare dalle fessure della porta semichiusa, gli altri sostano in silenzio, nell'attesa di avere qualche notizia dal piccolo esploratore. Si, è morto un signore anziano, ed è dentro, al centro della camera, le sedie disposte attorno e alcune donne ai lati che piangono. A volerci pensare bene sembrerebbe strano che al mattino si sia celebrato un matrimonio con tanto di corteo, e dopo poche ore un uomo dello stesso quartiere ci lasci. Ma la vita in tutte le sue manifestazioni ha sempre dei pesi e dei contrappesi, il male si equivale al bene, le gioie ai dolori, sicché a fine giornata la bilancia risulta sempre in parità, qualunque cosa succeda. Il bambino che abbiamo preso in prestito da questo quartiere per raccontare un giorno qualunque va a letto pensieroso (piccoli pensieri, per carità), ma più che pensare agli sposi, si sofferma sulla immobilità di quell'uomo su quel talamo in mezzo alla stanza, e ci penserà per molto tempo, sempre con pensieri adeguati all'età, perché tutto debba finire così, con un pianto.