Africa2039-Today

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da La Stampa - 21/2/2010 (8:9) - NUOVA AFRICA, REPORTAGE

Dal Kenya il software "salvamondo"

Nasce a Nairobi il sistema per segnalare emergenze e pericoli in tempo reale via cellulare

ROBERTO GIOVANNINI - INVIATO A NAIROBI

Se gli abitanti di Washington DC travolti dallo Snowmaggedon vogliono sapere quali strade bisogna evitare per non restare impantanati devono ringraziare dei programmatori e dei «citizen journalists» kenyoti. Sempre loro sono gli inventori del sistema che dopo il terremoto ad Haiti veniva utilizzato dagli operatori umanitari per visualizzare in tempo reale i luoghi di maggiore emergenza. Di quello attraverso il quale si potevano denunciare i brogli elettorali alle elezioni federali messicane, o verificare i risultati del voto indiano. Di quello che forniva informazioni e notizie durante la cruenta invasione israeliana della Striscia di Gaza. Di quello che si sta sperimentando all’Università Orientale di Napoli per denunciare i roghi clandestini di immondizia.

A Nairobi è nata Ushahidi, una piattaforma digitale universale che serve a monitorare ed aggregare le informazioni in situazioni di crisi. Ushahidi - che in swahili significa «testimone» - tecnicamente è una piattaforma software di geolocalizzazione via Web scritta in codice open source. Dunque disponibile per chiunque la voglia utilizzare e modificare per le esigenze più diverse. E’ stata realizzata per la prima volta in Kenya all’inizio del 2008, nel momento più terribile degli scontri etnico-politici che hanno insanguinato il Paese est-africano dopo le contestatissime elezioni del dicembre 2007. Si era sull’orlo della guerra civile, con bande scatenate di assassini che attaccavano persone colpevoli di essere dell’etnia «sbagliata» nel posto sbagliato. In quei giorni era stata sospesa la programmazione radio e tv e chiusi i giornali, e Ushahidi - messo in piedi in pochissimi giorni da un collettivo di giornalisti-cittadini, informatici, bloggers a cavallo tra Africa, Usa ed Europa - diventò uno dei pochissimi modi per sapere cosa stava veramente succedendo in giro. Il sistema è semplice e geniale, perché sfrutta gli onnipresenti telefoni cellulari 3G, diffusissimi in Kenya anche tra le persone più povere.

Chiunque volesse segnalare un pericolo o un’informazione - ad esempio chi avesse visto un gruppo di tagliagole fermo a un check-point, pronto a uccidere, rubare e stuprare - poteva mandare un sms, o una foto, o un video fatto col telefonino al numero di Ushahidi. Che immediatamente compariva sulla mappa (fornita da GoogleMaps) visibile sul sito ushahidi.com. Un servizio (letteralmente) vitale, che soltanto nei primi tre giorni fu utilizzato da 250.000 persone. Un sistema tanto semplice ed efficiente di «informazione partecipata» da poter essere utilizzato in moltissime altre situazioni, ci racconta Erik Hersman, un americano di 34 anni che vive tra Nairobi e gli States. Erik è una delle anime di Ushahidi, insieme con Ory Okolloh, avvocatessa e attivista sudafricana laureata a Stanford.

Del collettivo di Ushahidi fanno parte - tutti volontari, attivi più o meno saltuariamente - programmatori, informatici, bloggers, operatori umanitari. Moltissimi sono africani, come Kennedy Kasina, kenyota, o Henry Addo, che vive nel natio Ghana, ad Accra. La piattaforma può funzionare benissimo per situazioni di crisi politica o umanitaria, che come spiega Erik è la sua funzione originaria, e la sua forza si basa proprio sulla partecipazione allo stesso tempo individuale e di massa da parte dei singoli utenti, che possono comunicare le informazioni attraverso cellulari, messaggi di posta elettronica, siti, twitter, e così via.

I report degli utenti, ove possibile, vengono verificati, e come tali indicati. Ma il software di Ushahidi è perfettamente adattabile a infiniti altri utilizzi creativi, sempre gratuitamente. Ad esempio, per mappare la scena culturale (vivacissima, dalla videoarte alle performance di strada alle cantine dove prospera la variante nairobita della musica hip-hop) della capitale del Kenya. Questo adattamento (il progetto urbanmirror.org) l’ha inventato Vincenzo Cavallo, un napoletano dall’ingegno acutissimo, innamorato dell’Africa che vive e lavora da anni in questa città vibrante di vita e gioventù. «Non siamo una struttura profit, non siamo no-profit, non siamo una Ong», dice Erik Hersman. Grazie ad alcuni finanziamenti da parte di enti e fondazioni Ushahidi è però riuscito a crescere e svilupparsi. E ha deciso di «restituire» alla città e alla comunità. Inventando l’iHub.

Il posto è un gigantesco e luminosissimo loft, potremmo essere a Berlino o a Seattle. Invece siamo al quarto piano del Bishop Magua Centre sulla Ngong Road a poca distanza dal centro, nonostante il traffico allucinante che paralizza le strade di Nairobi. Qui sta sorgendo una cosa che forse sorprenderà chi pensa che l’Africa sia soltanto un continente simbolo di miseria e disperazione, e non anche una terra in cui l’80% della popolazione ha meno di 20 anni, gente ricca di idee di fantasia di creatività di voglia di esserci. Grazie al lavoro infaticabile di un gruppo multietnico di giovani programmatori e operatori culturali costruito intorno a Ushahidi sta per nascere l’iHub, il centro per l’innovazione che accoglierà la comunità interessata alle nuove tecnologie informatiche della capitale del Kenya. Si parte il 3 marzo, con una grandissima festa: poi vi si potrà lavorare, tutto gratis, sfruttando la potente connessione internet disponibile a tutti.

L’iHub diventerà un potente magnete di innovazione e di idee. Un motore per una città animata da una scena musicale e culturale da fare invidia alle nostre stanche, opulente, vuote metropoli. Il Kenya è indipendente dall’Impero britannico dal 1963. In un territorio di 580 mila km quadrati abitano 39 milioni di persone di diverse etnie, di cui il 70% ha meno di 30 anni. L’80% della popolazione è cristiana (cattolici o protestanti). L’economia è basata prevalentemente sull’agricoltura.

Akeem detto Mikà

da La Stampa - web

13/12/2009 (7:34) - RETROSCENA

La grande finanza ha fame di terra

Il Italia sono 14 milioni gli ettari coltivati, su 29 milioni disponibili

Fondi sovrani e multinazionali comprano in Africa per mangiare.

In Italia fanno biogas, e l'insalata costerà come il pieno del Suv

MARCO SODANO

Fondi sovrani a caccia di terreni agricoli per il mondo. Multinazionali dell’energia a caccia di campi di mais per produrre biogas. Cinesi, coreani (del Sud) e indiani si scatenano in Africa, nell’estremo Oriente e in America centrale. I paesi arabi ancora in Africa e in Oriente e in America del Sud. Libia ed Egitto sempre in Africa ma anche in Ucraina, mentre il Sudafrica punta gli occhi sull’Africa subsahariana. Ora tocca all’Italia: le multinazionali francesi, tedesche e spagnole hanno messo gli occhi sulla pianura padana - dalla Lombardia all’Emilia al Friuli - e sulle assolate aree pianeggianti di Sicilia e Puglia. Vogliono comprare la terra, il mais, vogliono comprare il sole.

Chi resta a bocca asciutta

Sono affari di genere diverso, ma portano allo stesso risultato. I cinesi, i paesi arabi, Egitto e Libia cercano la terra per coltivarla e riportarsi in patria le materie prime alimentari: economie in forte sviluppo con problemi di scarsità di terreno si incrociano con economie più arretrate, zone in cui il terreno abbonda ma la capacità di lavorarlo secondo i canoni più avanzati (ovvero più redditizi) è a zero. Gli Stati più poveri speravano in un aumento del lavoro, e quindi hanno sottoscritto i contratti di buon grado.

La realtà però è diversa. Tra aprile e maggio scorsi una società mista cinese-kazaka ha acquistato settemila ettari in Kazakistan. Poi però i cinesi si sono portati tremila contadini da casa: lavoro per la popolazione kazaka, poco o niente. La coreana Daewoo Logistics aveva acquisito un milione trecentomila ettari in Madagascar praticamente gratis. Dava lavoro alla gente del posto, però pretendeva di portare in Corea tutto il mais e l’olio di palma. Le proteste hanno costretto il governo a sospendere il contratto, che tra l’altro doveva durare la bellezza di un secolo.

Il sole del Sud

All’Italia, invece, le multinazionali (soprattutto francesi e tedesche, almeno in questa prima fase) guardano per la produzione di energia. Il mais della pianura padana serve per fare biogas, le grandi pianure pugliesi e siciliane sono il luogo ideale per installare pannelli solari e pale eoliche. Il cambio di destinazione d’uso, per così dire, non migliora la situazione di chi quella terra la coltiva. Anzi: lo sbarco delle società energetiche fa salire gli affitti delle terre. Nella zona di Cremona, per esempio, il canone di affitto annuo si aggira intorno ai 700-800 euro l’anno. Le multinazionali sono pronte a pagarne mille, anche milleduecento. Hanno fretta di fare profitti e disponibilità finanziare con cui neppure la più grande impresa agricola può confrontarsi. In soldoni: il mestiere di agricoltore rende sempre meno - giusto questa settimana il ministro Luca Zaia ha ribadito a Bruxelles che senza il sostegno dei fondi Ue l’agricoltura italiana può chiudere i battenti -, i canoni di affitto si alzano, i margini di guadagno per chi lavora la terra tendono ad annullarsi.

«Soltanto nel Nord tratta di salvare 700 mila ettari di mais, di cui almeno 250 mila sono già in crisi dalla diffusione di insetti dannosi, terreni che richiedono una gestione complicata, nei quali i costi sono ancora più alti - spiega il presidente di Confagricoltura Federico Vecchioni, che ha commissionato il primo studio italiano sull’argomento - . I fattori di rischio sono due: da un lato aumentano i canoni di affitto, dall’altro se le acquisizioni continueranno a questi ritmi, scenderà la produzione di foraggio». Dunque traballano anche carne e formaggi, non è solo questione di pasta e verdura.

La grande crisi

Anche qui, come in tutti i guai economici degli ultimi due anni, ci ha messo lo zampino la grande crisi. La fiammata dei prezzi alimentari, tra 2007 e 2008, ha convinto i paesi in difficoltà (quelli arabi per ragioni climatiche, Cina e India per l’aumento della popolazione) ad assicurarsi il futuro comprando la terra all’estero. Il denaro certo non manca. Il versante italiano è se possibile ancora più complicato: qui incide la fame di energia a basse emissioni, e siamo al paradosso.

Trasformare l’alimentare in energia pulita riduce le emissioni, ma quando sarà necessario importare prodotti agricoli le farà aumentare da un’altra parte. Navi, aerei e camion impegnati a rifornire lo Stivale. Infine, c’è il timore di perdere il patrimonio dei vigneti: i prezzi (non gli affitti) dei terreni da vigna sono in discesa. Anche qui, le grandi società di capitale - già lo fanno - possono far propri a costi tutto sommato contenuti migliaia di ettari della migliore produzione italiana. Alla fine godremo di una bolletta del gas (forse) più contenuta. Ma un’insalata costerà come fare il pieno a un Suv.

Inaugurazione della nuova sede della Caritas a Gorizia- 2009 11 08

da Il Piccolo di Gorizia - 08 ottobre 2009

dal Messaggero Veneto - MERCOLEDÌ, 07 OTTOBRE 2009

 

Collaborazione tra Comune e Nuovo lavoro

Gradisca

GRADISCA. «A Gradisca abbiamo trovato grande disponibilità nelle istituzioni, in particolar modo nel sindaco Tommasini, ci siamo sentiti a casa e ho deciso semplicemente di appendervi un quadro».

Con queste parole ieri mattina, nel corso di una conferenza a palazzo Torriani, l’artista Renato Elia ha donato al Comune di Gradisca un quadro della sua collezione “Miei universi”. Un gesto di consolidamento del rapporto di collaborazione maturato nel corso della festa internazionale del volontariato recentemente tenutasi proprio nella città della Fortezza, «quando il Comune – ha precisato Francesco Mastroianni, presidente dell’associazione culturale di volontariato “Nuovo lavoro” – ha accolto al primo piano di palazzo Torriani la mostra “Africa 2039”, un progetto che la nostra associazione ha avviato proprio con l’artista Renato Elia e in collaborazione con la Caritas di Gorizia, grazie all’interessamento di don Paolo Zuttion. Un progetto, oltre che di reciproco rispetto anche di lavoro, per costruire idealmente un ponte con il continente africano. Questo perché la nostra associazione è interessata anche e soprattutto a costruire lavoro».

Nell’occasione l’associazione “Nuovo lavoro”, che a breve aprirà una nuova sede in via Rastello a Gorizia, ha stretto con il Comune di Gradisca un rapporto di collaborazione per iniziative rivolte in particolar modo ai giovani.

«Abbiamo concordato sull’utilità di realizzare una serie di incontri – ha aggiunto il consigliere comunale Francesco Sciapeconi – con la volontà di sensibilizzare la politica comunale in genere e quella più giovane in particolare. Si tratta di incontri formativi, che vogliono sensibilizzare e meglio informare su tematiche non solo di attualità ma anche di valenza sociale. Un’esperienza formativa nuova ma anche la conferma di come il Comune di Gradisca sia particolarmente vicino a questo tipo di iniziative». (ma.ce.)

Il 19 e 20 di settembre 2009 siamo a Gradisca (GO) alla

Manifestazione Internazionale del Volontariato

Caritas: Ass. Nuovo Lavoro - corso di Fotografia

Gorizia, 2009/09/02

 

In questi giorni presso la Caritas di Gorizia, gestita da Don Zuttion, grazie all'Ass. Nuovo Lavoro e l'impegno di Renato Elia ha preso il via un nuovo momento formativo.

Si tratta di fotografia, una richiesta nata dall'interesse di alcuni ragazzi africani, che dopo aver frequentato il laboratorio artistico, di pittura, hanno deciso di aggiungere al loro bagaglio di conoscenze anche questa disciplina.

Un progetto "The light of Africa", che continua a produrre, dunque, risultati; dopo le diverse partecipazioni a mostre tra le quali Il Sole della Pace, al Kulturni Dom, e Gocce di Culture, evento organizzato dall'Unione dei circoli culturali sloveni, nuovi momenti pubblici attendono i giovani volenterosi.

Non solo dormitorio, pertanto, la Caritas goriziana sta dimostrando come molti ragazzi, immigrati e non, possono se posti nelle condizioni di acquisire nuovi saperi, essere vogliosi di crescere e migliorarsi per dare il loro contributo alla società.

Alcuni di questi desiderano, infatti, rientrare nei loro paesi di origine per stimolare, con l'apporto delle nuove esperienze, lo sviluppo delle loro comunità.

Il progetto ha un suo preciso percorso, non a caso il sito web - http: //sites.google.com/site/africa2039 - porta la data del 2039 un punto fissato nel futuro ("No' si volta chi a stella è fisso." - Leonardo da Vinci) un obiettivo di lavoro ed impegno assunto dai partecipanti per un futuro dignitoso, dedicato ai bambini africani e del mondo intero.

 

Mostre :

2009/08/05 - Gocce di Culture - Gorizia

2009/07/27 - Rassegna al Kulturni - Il Sole della Pace - Gorizia

2009/07 - "The Light of Africa" un progetto per il futuro  - La Stampa di Torino

2009/06/07 - Festa dei Popoli - Lucinico, Gorizia

2009/05/25 - Saletta d'Arte di  Villa Romana, via Dante 20 - Grado - Italy  -

 

2009/08/20 E' iniziato il corso di fotografia...

2009/07/04 "Futuri Temporis", un progetto per il futuro…

di Renato Elia -Helias das Licht

Un sano egoismo è quello che permette a noi di risolvere con intelligenza i problemi degli altri ricevendo in cambio anche la loro gratitudine.

Detto questo, riteniamo si possa fare qualcosa di utile per quei sventurati che attraversano mezzo mondo, rischiando la pelle, per giungere sino ai nostri confini di popolo civilizzato.

Possiamo decidere di dar loro un calcio e rispedirli in mare... oppure insegnar loro il meglio della nostra "civile" civiltà, come ad esempio: cosa sia una democrazia e una carta costituzionale.

Nel primo caso saremo ricordati come gente dal cuore duro, egoisti ecc. ecc. nel secondo caso invece come persone di nobili intenti.

Avremo applicato con diligenza quella che si chiama diplomazia e avremo fatto un po' di sana politica internazionale.

Ricordiamoci che intono a noi, sopratutto il mondo che noi consideriamo "terzo" ha una popolazione in prevalenza fatta da giovani.

Per questo l'associazione Nuovo Lavoro e la Caritas, di don Paolo Zuttion, hanno dato vita al progetto "Futuri Temporis", un progetto aperto da sviluppare a piccoli passi cominciando proprio dalla formazione.

Molti degli attuali ospiti decideranno, a seconda delle loro possibilità, anche di ritornare nei paesi d'origine e grazie a questo nostro piccolo aiuto saranno promotori dello sviluppo economico, politico e sociale, del loro territorio.

Sono gli individui che creano l'organizzazione umana e queste ha bisogno di tutti, soprattutto di quelli che costruiscono futuri di pace e di collaborazione civile.