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Caporedattore Giulia Maria Caggiano
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ArticoliA sedici anni si può cambiare il mondo?A proposito di diritti umani...La magia della Luna totalePovera Terra!Goodbye, principe FilippoQui Marte, cratere Jezero!Spot, il cane-robot contro il COVID-19Siamo quello che mangiamoNiente paura, arrivano i paratestaUna linguaccia contro la criminalitàUna nostra compagna al ComuneVietato l’ingresso… allo smartphone!Operazione OdessaIl metaverso: la visione futuristica
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A sedici anni si può cambiare il mondo?

Greta Thunberg lancia l’allarme sul clima. Ha la sindrome d’Asperger ed è diventata la più giovane paladina della salvaguardia dell’ecosistema del pianeta. Le sue parole e la sua passione hanno colpito al cuore il mondo intero.

Con il suo visino pulito e angelico e le treccine bionde Greta Thunberg dimostra forse anche meno dei suoi 16 anni.  Sembrerebbe un’adolescente come le altre, se non fosse che la giovanissima attivista svedese ha carattere da vendere, tanto da rimproverare più volte i leader  mondiali per la scarsa cura che hanno del pianeta. Nata il 3 gennaio 2003, figlia della cantante d’opera Malena Ernman e dell’attore Svante Thunberg, Greta si batte per lo sviluppo sostenibile e contro il cambiamento climatico. Mise in atto la sua prima protesta il 20 agosto 2018, quando decise di non andare a scuola fino alle elezioni legislative del 9 settembre 2018, a causa delle ondate di calore e degli incendi boschivi che avevano colpito il suo Paese. Chiedeva al governo la riduzione delle emissioni di carbonio, come previsto dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico. Dopo le elezioni, ha continuato a manifestare ogni venerdì. Il suo slogan è “Sciopero della scuola per il clima”. Ha poi creato il movimento studentesco internazionale Friday for Future per sensibilizzare le coscienze e, soprattutto, i governi ad adottare un comportamento rispettoso nei confronti dell’ambiente. Innumerevoli sono le manifestazioni a cui ha preso parte: ricordiamo la partecipazione a Rise for Climate davanti al Parlamento Europeo a Bruxelles e alla Dichiarazione organizzata da Rebellion Extinction a Londra. Il suo sciopero del venerdì ha attirato l’attenzione del mondo intero, tanto che manifestazioni simili sono state organizzate non solo in tanti Paesi europei ma anche in Australia. Il 4 dicembre 2018 ha parlato durante un vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Katowice in Polonia, chiedendo un intervento immediato per fermare le emissioni e lanciando un’accusa nei confronti dei leader mondiali, preoccupati soltanto dell’eterna crescita economica. La sua passione e determinazione hanno scosso il mondo intero, facendo riflettere sia bambini che adulti e prospettando soluzioni e saggi consigli. “Se è impossibile – ha dichiarato all’ONU – trovare soluzioni all’interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema”.

a cura della redazione

Greta Thunberg
Alcuni momenti della sua protesta
di Sofia La Salandra

A proposito di diritti umani...

I diritti umani dovrebbero essere concessi a tutti, ma ancora oggi molti non li posseggono. Ci sono però da anni tanti uomini e donne che lottano o hanno lottato per  il riconoscimento della pari dignità per tutti gli esseri umani.

Uno di questi è Iqbal Masih, un bambino che a soli 5 anni fu venduto a una fabbrica di tappeti, poiché la famiglia molto povera doveva estinguere un debito con il padrone. Non solo lui ma anche altri bambini vennero rinchiusi in questo luogo angusto, dove lavoravano per ore e ore al giorno, senza sosta. Venivano maltrattati e redarguiti per ogni minimo errore, e vivevano attaccati a un telaio. Un giorno Iqbal riuscì a scappare, e partecipò a una manifestazione contro il lavoro minorile. Da quel momento iniziò a lottare per tutti i bambini che come lui venivano sfruttati e nei cui occhi si poteva vedere la tristezza di non poter vivere in modo spensierato. Iqbal ha aiutato le autorità a chiudere moltissime fabbriche pakistane, liberando così tantissimi bambini. Purtroppo, è stato ucciso a soli 12 anni, mentre giocava con un aquilone, ma la sua lotta continua ancora oggi.

Un’altra attivista, che ha scritto la storia, è Malala Yousafzai. Questa ragazza così giovane combatte da sempre per il diritto delle donne allo studio, che nel suo paese non è concesso. Un giorno, infatti, mentre tornava da scuola, un talebano le ha sparato in viso. Da quel momento debolezza e paura sono state sostituite da forza e coraggio. Gli estremisti sono spaventati dalla voce delle donne. Ecco perché hanno ucciso 14 ragazze nel distretto di Swat in Pakistan e hanno negato loro il diritto di poter studiare. Hanno paura del potere delle penne e dei libri. Un tempo le donne attiviste chiedevano agli uomini di proteggerle, ma questo momento è finito, adesso lo faremo noi da sole, perché dobbiamo essere indipendenti per lottare per la nostra dignità. Malala dice che le nostre parole possono cambiare il mondo, perché siamo insieme, uniti per l’educazione di tutti. Le nostre armi sono i libri e le penne, ma dobbiamo esserne tutti muniti, solo così riusciremo a diffondere l’istruzione, sconfiggendo una volta per tutte l’analfabetismo.

Da anni poi, Kailash Satyarthi, un attivista indiano, si batte per liberare i bambini costretti al lavoro minorile e per il loro diritto a ricevere un’istruzione. Vari episodi hanno spinto Kailash a intraprendere questa lotta: uno fra questi è l’aver visto un suo compagno abbandonare la scuola, poiché non poteva più permettersi i libri. Kailash è stato in grado di trasformare la rabbia nei confronti di certi soprusi in forza da usare per migliorare la società. Satyarthi significa “cercatore di verità” e non è il suo vero cognome, ma è stato da lui scelto a seguito di uno spiacevole episodio che gli ha fatto capire quale fosse il suo obiettivo nel mondo. Infatti, seguiva molto Gandhi e un giorno decise di invitare i leader politici a cenare in una famiglia di “intoccabili”. Lo fece poiché anche coloro, che si trovavano in posizioni più altolocate, seguivano gli insegnamenti di Gandhi, ma discriminavano gli intoccabili o le caste inferiori alle loro. Alla cena, purtroppo, non si presentò nessuno e, sentendosi sconfitto, Kailash scoppiò a piangere, ma la madre della famiglia dove era ospitato gli disse che lui aveva vinto, poiché era andato di persona in una casa che non era della propria casta a mangiare dai loro piatti. Tornato a casa, la madre lo sgridò e fu punito con un "lavaggio" nel Gange e non poté entrare in cucina e in sala da pranzo per una settimana. In quel momento capì che la sua vita non era quella e che doveva fare qualcosa per salvare gli altri, e decise di cambiare il suo nome. Iniziò denunciando lo sfruttamento dei bambini, ma fu messo in carcere svariate volte. Con il passare del tempo, però, creò un gruppo con alcuni suoi amici per aiutare tutti coloro che erano costretti a lavorare, anche se troppo giovani. È il sorriso dei bambini che libera a dargli la forza di andare avanti.

Sono persone come Iqbal, Malala e Kailash (questi ultimi due furono vincitori del premio Nobel nel 2014) che dobbiamo prendere in considerazione. Questa ragazza giovanissima parla già come un’adulta, e spero che lei faccia parte del futuro di tutti noi, perché solo in questo modo riusciremo a vincere una battaglia per tutti i bambini che non ce l’hanno fatta. Kailash, invece, mi fa comprendere che è possibile tutto, anche l’immaginabile. Grazie alle sue parole, ho imparato che la rabbia che si nutre verso le ingiustizie del mondo deve essere utilizzata per trasformarle in giustizie. Per quanto riguarda Iqbal, dobbiamo continuare a far sentire la sua voce, perché lui prega per noi da lassù, affinché riusciamo a compiere il suo sogno e a liberare tutti quei bambini che si trovano nelle mani della schiavitù. Per fare in modo che tutto questo vada avanti, c’è bisogno dell’aiuto di tutto il mondo. Quando un giorno queste persone non ci saranno più, dobbiamo proseguire per far sì che gli altri non si dimentichino della malvagità e della cattiveria purtroppo ancora molto presenti nel mondo.

Iqbal Masih
Malala Yousafzai
Kailash Satyarthi
di Giulia Maria Caggiano

La magia della Luna totale

Il mondo potrà vedere la Super Flower Blood Moon il 26 maggio 2021, quando il nostro pianeta oscurerà tutta la faccia della Luna. L'insolito fenomeno astronomico affascinerà tutti coloro che avranno la fortuna di ammirarlo.

Come avviene l'eclissi di Luna totale? La Terra si mette tra il Sole e il satellite, proiettando il suo cono d'ombra parziale fino alla sovrapposizione esatta. L'unica eclissi lunare del 2021 avviene proprio il 26 maggio e coincidenza vuole che questa sia anche una Superluna, ovvero che il fenomeno avverrà quando la Luna è in un punto molto vicino alla Terra durante la sua orbita. Questa Luna ha, inoltre,  un nome molto particolare, perché viene chiamata Super Flower Blood Moon, mischiando due caratteristiche legate alla colorazione rossa dell'atmosfera e al fatto che la Luna di maggio arrivava con la primavera. Proprio per questo i nativi del Nord America la collegavano alla rinascita dei fiori. Secondo i calcoli degli astronomi l'eclissi totale durerà soltanto 14 minuti e 30 secondi. Si potrà vedere l'ombra del nostro pianeta oscurare piano piano tutta la faccia della Luna. La NASA ha detto che "è uno spettacolo maestoso che offre agli studenti una grande opportunità per dedicarsi all'osservazione pratica del cielo". Ma c'è anche una cattiva notizia: l'eclissi sarà visibile in Nord America, in Australia, in Asia Sudorientale e nel Sud Ovest dell'America del Sud. 

La Luna mentre diventa Super Flower Blood Moon (Getty Images/iStockphoto)
di Giulia Maria Caggiano

Povera Terra!

Purtroppo dobbiamo assistere all'ennesimo disastro ambientale. Al largo delle coste di Colombo, capitale dello Sri Lanka, l'incendio di una nave cargo ha causato lo sversamento in mare di prodotti chimici, detriti e microplastiche.

In questi giorni stiamo assistendo al peggior disastro ecologico marino della storia dello Sri Lanka. La nave cargo MV X-Press Pearl carica di prodotti chimici (acido nitrico, idrossido di sodio, lubrificanti, ecc.), in viaggio dall'India, sta bruciando da 11 giorni davanti alle coste di Colombo, la capitale dello Sri Lanka. I volontari sono al lavoro sulle spiagge vicino alla capitale nel tentativo di ripulirle dall'ondata di detriti e microplastiche che arrivano dal mare. Lungo la costa, purtroppo, sono molti gli uccelli, le tartarughe e i pesci che sono morti a causa delle microperle di plastica. Potrebbero anche verificarsi piogge acide a causa dei fumi tossici provocati dall'incendio; naturalmente la pesca è stata proibita. Questo può essere descritto come il peggior disastro ecologico marino... Povera Terra! Impegniamoci affinché tutto questo non accada mai più! 

La nave cargo parzialmente affondata (Ishara S. Kodikara/Afp)
Le squadre di soccorso al lavoro (ANSA/EPA)
di Giulia Maria Caggiano

Goodbye, principe Filippo

Alla soglia dei cento anni - mancavano soltanto due mesi al fatidico traguardo - il duca di Edimburgo Filippo, longevo consorte della regina Elisabetta II, muore a Windsor. Unanime compianto e cordoglio da tutto il mondo.

Questa mattina, 9 aprile 2021, una nota di  Buckingham Palace ha annunciato la dipartita del principe Filippo, duca di Edimburgo: “It is with deep sorrow that Her Majesty The Queen has announced the death of her beloved husband (...) passed away peacefully this morning at Windsor Castle” È con grande dispiacere che sua Maestà la Regina ha annunciato la morte dell'amato marito (...) è morto serenamente questa mattina al Castello di Windsor. Aveva 99 anni il più longevo consorte di un monarca della storia britannica, con oltre 72 anni vissuti accanto a Elisabetta, prima principessa e poi regina del Regno Unito e del Commonwealth. Fra soli due mesi avrebbe tagliato il traguardo dei 100 anni. Appassionato di polo e di corse, era amato dai sudditi e dal popolo britannico. Recatosi più volte nel nostro Paese, dove conobbe Pertini, Papa Wojtyla e l'attuale Papa Francesco, ebbe tante manifestazioni d'affetto, così come nel mondo, per il suo stile, la sua eleganza, la sua dolcezza e la sua presenza costante, instancabile, forte e celata accanto alla sua amata moglie. Durante una visita in Italia si racconta che in una cena importante, mentre gli si porgeva una bottiglia di vino pregiato lui supplicò il cameriere, esclamando Datemi una birra e conquistando, così, tutti con la sua simpatia. Nato a Corfù il 10 giugno 1921, per sposare la futura regina d'Inghilterra rinunciò  al suo posto nella successione al trono, ma soprattutto, diventato cittadino britannico e convertitosi alla chiesa anglicana, aveva dovuto dire addio a una promettente carriera nella Marina. Era l'estate del 1939 quando Elisabetta, appena tredicenne, incontrò per la prima volta il suo lontano cugino Philip Mountbatten, principe di Grecia. Fu un colpo di fulmine, dicono le cronache. Da allora e per tutta la durata della guerra tra i due ci fu un intenso scambio epistolare. Poi, nel 1946, Filippo decise di chiedere al re Giorgio la mano di sua figlia. Dopo le nozze la coppia regale si trasferì a Clarence House, a Londra. Ebbero quattro figli: Carlo, ora principe del Galles, e poi Anna (1950), Andrea (1960) ed Edoardo (1964). Aiutò la regina, rimanendo sempre al suo fianco con costante forza. Sembra che in tutta la sua vita solo in due occasioni non sia stato concorde con la sua amata sposa. La prima volta fu quando dovette accettare che i quattro figli portassero il cognome della madre, Windsor, e non il suo, Mountbatten. Si definì "un'ameba", perché molto probabilmente fu "l'unico uomo nel Regno Unito ad acconsentire a una situazione simile", sottolineò con amarezza. Ma non aveva scelta e sapeva quale sarebbe stato il suo ruolo fin da quando, per primo, si era inginocchiato davanti a Elisabetta il giorno dell'incoronazione, promettendo di esserle devoto e vivere e morire per lei. La regina, infatti, ha sempre parlato di lui come "una forza e una guida costanti". Disse il secondo no alla regina alla soglia dei 98 anni, quando lei gli chiese di rinunciare alla patente, dopo un incidente d'auto. Definito come bisnonno affettuoso, nonno amatissimo, talvolta si rammaricava di non aver potuto sostenere concretamente la sovrana in assenza di "una qualche qualifica professionale, anziché trascinarsi dietro di lei". Coloro che lo hanno conosciuto lo hanno definito come un uomo dall'intelletto acuto. A 96 anni il principe Filippo, già allora titolare del record di longevità per un consorte reale, si ritira a vita privata. Il suo ultimo impegno pubblico è stato passare in rivista una parata dei Royal Marines, unità d'élite della Royal Navy, la Marina militare britannica. Con il suo sguardo acuto ha assistito agli alti e bassi della monarchia: dal divorzio di Carlo e Diana alla morte della principessa, dalla Brexit alla Megxit, la "fuga" negli Stati Uniti del nipote prediletto e della moglie. Dopo il ritiro, ha continuato ad apparire al fianco della regina negli eventi ufficiali più importanti. Poi scelse di stabilirsi nel Castello di Windsor, dopo gli ultimi problemi di salute e il ricovero a dicembre, e infine si spegne pochi mesi prima di arrivare ai 100 anni. È lutto nazionale nel Regno Unito e sono stati deposti tanti fiori davanti a Buckingham Palace, nonostante il periodo di pandemia. Non ci sarà nessun funerale di Stato, così voleva Filippo, e non sarà prevista neppure la camera ardente. Il feretro del duca di Edimburgo sarà custodito nel Castello di Windsor, in vista del funerale alla St George's Chapel, in linea con le sue volontà e con le necessità pandemiche. È molto atteso il rientro del suo amatissimo nipote Harry, per stare accanto alla sua amata nonna e, naturalmente, non manca il tributo dei suoi amati nipoti tutti: "Grazie per la tua dedizione... ci mancherai molto". E noi ci sentiamo di aggiungere che mancherà alla sua amata sposa e al mondo intero!

Lo stemma personale del principe
Il principe Filippo nel 1992
Fiori a Buckingham Palace in onore del duca di Edimburgo
La principessa Elisabetta con il principe Filippo nel 1950
Elisabetta II con il consorte Filippo, duca di Edimburgo, il giorno dell'incoronazione (2 giugno 1953) 
A una cerimonia pubblica nel 2007
La regina Elisabetta II e il principe Filippo in carrozza durante il Troopping the Colour ("Sfilata della bandiera")
di Giulia Maria Caggiano

Qui Marte, cratere Jezero!

L'uomo, anche se soltanto con le sue affascinanti "macchine" ipertecnologiche, approda su Marte per fare un sopralluogo, raccogliere materiali e scrutare  i vasti orizzonti marziani. Il pianeta rosso non è più così lontano.

"Qui Marte, cratere Jezero. Tutto bene, l’atterraggio è stato ok”. Quando sulla Terra alle 21.55 dal pianeta rosso è arrivato il messaggio del rover Perseverance al centro di controllo a Pasadena in California, si è sciolta la tensione e sono partiti gli applausi, gli abbracci e anche le lacrime di chi ha seguito per quasi sette mesi e... 471 milioni di chilometri il lungo viaggio verso Marte. Dopo gli applausi i controllori hanno confermato che il rover, con l’elicottero Ingenuity attaccato alla pancia, è atterrato in sicurezza e gli ingegneri stanno analizzando i dati che fluiscono dal veicolo spaziale. Si tratta del quinto rover americano a sbarcare sano e salvo sulla superficie rossa dopo Sojourner (1997), Spirit e Opportunity (2004) e Curiosity (2012). I lander precursori Viking 1 e 2, che però una volta atterrati non potevano muoversi, risalgono al 1976. Perseverance, che fa parte della missione Mars 2020, è il più grande e tecnologicamente avanzato di tutti: è grande come un Suv, ha una massa di oltre una tonnellata ed è lungo due metri, largo 2,70 e alto 2,20. Trasporta una serie di attrezzature scientifiche, alimentate con un generatore al plutonio-238 che assicura un flusso costante di energia. Tra i principali strumenti c’è il drone Ingenuity, che effettuerà il primo volo della storia su Marte. La missione, costata 2,7 miliardi di dollari, dovrebbe durare 687 giorni terrestri ma, se tutto funzionerà bene, potrebbe essere prorogata. L’ex vice presidente Mike Pence è stato il primo a congratularsi su Twitter con la Nasa per il successo. "L’Italia ha un ruolo da leader nell’esplorazione spaziale e nell'ambizioso programma Mars Sample Return di cui il rover Perseverance è il primo capitolo", ha commentato il presidente dell’Agenzia spaziale italiana, Giorgio Saccoccia. Perseverance possiede, infatti, un braccio robotizzato estendibile per oltre 2 metri per prelevare campioni di suolo che saranno conservati in capsule da inviare sulla Terra in una missione successiva. "È l’inizio di una nuova era", ha detto Thomas Zurbuchen, capo scientifico della Nasa.                                                                         

Il pianeta rosso
Le prime immagini trasmesse dal rover Perseverance
La discesa su Marte del rover in un disegno della Nasa
di Claudia Pojer

Spot, il cane-robot contro il COVID-19

A Singapore hanno utilizzato in un parco un cane-robot. Sorveglia le persone, ricordando il rispetto delle regole per combattere il virus che sta affliggendo l'intero pianeta. Un esempio di tecnologia applicata all'emergenza.

A Singapore hanno fatto un esperimento: un cane-robot controlla il distanziamento delle persone. Si chiama Spot. Conviviamo con un virus molto pericoloso e dobbiamo comportarci bene. Spot fa rispettare le regole. Non abbaia e non vuole carezze, ma è molto intelligente. È stato inventato dalla società Boston Dinamycs e, per l'esperimento, è stato scelto il Parco Bishan-Ang Mo Kio. Spot ha anche un messaggio registrato, incorporato nel server, che ricorda a tutti quello che devono fare. Pattuglia un'area di 3 km e ha telecamere che contano il numero di visitatori, ma non raccolgono dati più personali, come il viso delle persone, che devono rigorosamente indossare la mascherina. Può muoversi naturalmente e sa superare abilmente gli ostacoli. Se l'esperimento andrà bene lo immetteranno in altri parchi e nelle ore di punta di questo parco. L’IA (Intelligenza Artificiale) è la prossima, nuova rivoluzione nel modo di funzionare degli oggetti intorno a noi. L’intelligenza artificiale, infatti, ci sta aiutando a fare molte cose. Ora si è capito che una macchina che sa fare operazioni difficilissime non è una macchina intelligente, ma è solo una calcolatrice super veloce e ben fatta. Per essere intelligenti, le macchine hanno bisogno di imparare. “Abbiamo capito che programmare computer, cioè dicendo loro tutto quello che devono fare quando si trovano in una determinata situazione, non basta a risolvere problemi complicati. L’alternativa è insegnare ai computer a trovare le soluzioni da soli, partendo dall’esperienza”, ha detto Giorgio Metta, studioso di tecnologia. Spesso non ce ne accorgiamo, ma siamo già circondati da dispositivi che imparano dall’esperienza e da quello che facciamo noi.    

Spot, il cane-robot
di Silvia Ferrantino

Siamo quello che mangiamo

Nella nostra scuola si è tenuto il seminario informativo "Cibo ed emozioni". Vi proponiamo un dettagliato e illuminante resoconto di un’alunna su un argomento sempre al centro di accesi dibattiti e molti confronti.  

CIBO ED EMOZIONI Il professore Carangella ha iniziato prendendo spunto da una frase del film “Ratatouille”: Se è vero che siamo quello che mangiamo, io voglio mangiare solo cose genuine! Questa frase ha colpito molto i ragazzi, perché il cibo trasforma il nostro organismo facendolo crescere, facendolo stare bene o male. A tal proposito, il professore ha ricordato ai ragazzi il documentario Super size me, che hanno visto in classe e che parla del cibo spazzatura nei Fast Food.

QUESTIONE DI EMOZIONI L’argomento successivo è stato trattato dallo psicologo Alessio Tortorella che ha introdotto il suo argomento con questa frase: Il cibo è sempre collegato alle emozioni e allo stare insieme. Ha parlato in particolare delle emozioni, dicendo che quelle di base sono: rabbia, paura, tristezza, gioia, disgusto. L’emozione che ha trattato il relatore è stata la paura, paura di non essere accettati, paura di sbagliare, paura di conoscere nuove persone, e di come alcune persone cercano di gestirla attraverso il cibo, in maniera compulsiva.

ATTENZIONE ALLE ETICHETTE La relatrice seguente è stata la dietista Speranza Alessandra, che ha parlato dell’importanza delle etichette. Ci ha riferito che gli ingredienti scritti sui cibi sono in ordine decrescente e ha fatto l’esempio della Nutella Ferrero, facendoci notare che il primo ingrediente non erano le nocciole, ma lo zucchero, seguente all’olio di palma, stessa cosa nella crema Pandistelle. Ha fatto anche un elenco dei cibi sani e di quelli spazzatura.

LE PUBBLICITÀ CI INGANNANO? A conclusione del seminario, il professore Carangella ha fatto vedere ai ragazzi alcune pubblicità, come elemento che influisce maggiormente nella nostra scelta alimentare e dà anche dei messaggi non positivi. Il professore ha fatto anche notare che nella pubblicità ci sono delle parole che ci condizionano. Per esempio nella pubblicità del McDonald’s le parole sono: mamma, mangio, pranzo; oppure in quella del Mulino Bianco: integrali; e quella della Coca-Cola: felicità e famiglia. Infine, grazie a questo incontro, i ragazzi dovrebbero essere consapevoli della loro scelta alimentare senza farsi ingannare dalla pubblicità e dalle paure.

Il manifesto del seminario
Alcuni momenti del seminario nell'anfiteatro della scuola
a cura della redazione

Niente paura, arrivano i paratesta

A Bolzano il sindaco, preoccupato per le teste dei suoi concittadini che camminano con gli occhi sullo smartphone, ha fatto mettere ad altezza uomo imbottiture attorno ai pali per evitare tragicomiche testate o pericolosi infortuni.

Noi italiani abbiamo una particolare predilezione per i dispositivi elettronici, in particolare per lo smartphone. Ormai è un prolungamento del nostro braccio. Chi non ha mai fatto l’esperienza “dolorosa” di dimenticare a casa l’adorato oggetto? Per la verità è poco probabile: forse potremmo uscire in ciabatte, ma guai a lasciare a casa l’indispensabile dispositivo! E pensare che i nostri nonni spesso ci raccontano di un’epoca in cui non esistevano dispositivi mobili e si viveva benissimo. Forse anche meglio, dicono loro. Chissa! Noi ragazzi stentiamo a crederci. Ci definiscono “nativi digitali”, e per questo proprio non possiamo rinunciarci. Ma ci rendiamo anche conto che, a volte, esageriamo. Per la verità anche gli adulti esagerano e spesso non ne possono fare a meno… Quanti sono coloro che nelle città italiane camminano senza guardare davanti a sé, ma con gli occhi fissi sullo smartphone? A Bolzano proprio per questo motivo sono comparsi paratesta (fucsia) sui pali della luce o sui cartelli stradali per chi cammina guardando il cellulare. Basterà per rendere più attenti i maniaci del cellulare? Il sindaco di Bolzano ha pensato bene di evitare pericolose testate con avvisi che è difficile ignorare. Noi crediamo che la simpatica “trovata” sia anche molto seria, perché i pedoni con un cellulare possono essere addirittura un facile bersaglio per automobilisti distratti. I paratesta in questo caso possono davvero aiutare. Ne hanno bisogno anche i foggiani?

I cuscinetti fucsia attorno ai cartelli stradali e ai pali della luce 
a cura della redazione

Una linguaccia contro la criminalità

Sulla facciata di un palazzo del rione Candelaro della nostra città campeggia una foto di Oliviero Toscani con un bambino di colore, che fa la linguaccia. Un’idea “artistica” per rivalutare le periferie e combattere la criminalità.

L’idea è quella di ricreare uno spazio fisico che evochi il concetto di piazza, luogo privilegiato dell’incontro fra le persone e fra le istituzioni e gli abitanti del quartiere. È un nuovo modo di intendere l’arte di strada attraverso grandi immagini, per caratterizzare i luoghi periferici delle città e creare contaminazioni fra bellezza e cultura. L’opera scelta per la realizzazione del “mosaico digitale” è una fotografia di Oliviero Toscani, la quale raffigura un bambino di colore che fa una linguaccia nel cuore del Candelaro, quartiere popolare della nostra città a volte teatro di scontri malavitosi. La fotografia occupa l’intera facciata di uno stabile. Il rosso intenso della lingua evoca il colore del sangue della “quarta mafia” d’Italia, che può essere contrastata anche con l’irriverenza di un bambino attraverso l’arte digitale di cui quest’opera è espressione. La quarta mafia nasce circa trent’anni fa, e Foggia è una delle città più colpite. L’ultima visita in città della commissione parlamentare antimafia è del 26 aprile 2018 e in quella occasione si parlò del fatto che la nostra città era diventata un “caso nazionale”. Nell’ultima relazione semestrale sono stati evidenziati 28 gruppi criminali, mafiosi e non, situati quasi tutti in Capitanata. La linguaccia del simpatico bambino forse non servirà a superare il problema, ma certamente con la sua sfrontatezza richiama alla mente la voglia di reagire e di dire Basta! alla violenze di ogni tipo. 

La foto di Oliviero Toscani su una facciata di un palazzo del rione Candelaro di Foggia
a cura della redazione

Una nostra compagna al Comune

La nostra compagna Martina Dota ci racconta la sua esperienza come consigliere al Comune, in rappresentanza della nostra scuola. Vi proponiamo la videointervista.

Il 26 novembre 2018, nella sala consiliare del Comune, si è svolta la prima riunione dell’ottavo Consiglio Comunale dei ragazzi e delle ragazze di Foggia, con l’organizzazione dell’Assessorato alla P. I. del Comune e di Città Educativa. Dietro ai banchi, abitualmente occupati dagli amministratori “senior”, erano seduti 50 consiglieri neoeletti, appartenenti a varie scuole di Foggia, fra cui anche la nostra scuola rappresentata dalla nostra compagna Martina Dota. Martina ci ha raccontato perché si è candidata ed ha aggiunto che ha cercato di dare un contributo al miglioramento della scuola. Ha affrontato il nuovo incarico con tanto entusiasmo e passione, ma si è resa conto che non è facile realizzare i propri desideri in un contesto in cui ci sono tante persone, ognuna con le proprie idee. Ci ha rivelato anche che le sarebbe piaciuto essere eletta con una sua amica, per poter affrontare con maggiore sicurezza e slancio la nuova situazione. Ha espresso, inoltre, tanti ringraziamenti a chi ha avuto fiducia in lei e l’ha scelta come rappresentante della scuola.

La seduta consiliare del 26 novembre 2018
a cura della redazione

Vietato l’ingresso… allo smartphone!

Finalmente il visitatore di un parco giochi potrà dedicarsi veramente a se stesso. Stop agli smartphone e alle chat. Una multa simbolica ai trasgressori finanzierà iniziative di solidarietà. Da un'idea di alcuni genitori siciliani.

Apre in Sicilia il primo parco giochi al mondo vietato a smartphone e chat. L'idea è nata da un comitato di genitori, che ha ideato il progetto. Il parco giochi sorgerà a Balestrate (Palermo) grazie a una raccolta di fondi di enti pubblici e privati e a un'iniziativa di crowdfunding (finanziamento collettivo). Fra pochi giorni ci sarà la posa della prima pietra, grazie alla disponibilità dell'amministrazione locale che ha messo a disposizione uno dei cantieri di lavoro finanziati dalla Regione Sicilia. L’opera avrà un costo che si aggira intorno agli 80mila euro. Il parco sorgerà nell'atrio di una scuola elementare e sarà accessibile a tutti. Ci saranno alberi, pavimentazione con erbetta naturale, panchine e gazebo in legno, illuminazione a energia solare, giostre, scivoli e altalene. Ovviamente senza barriere architettoniche. All’ingresso un armadietto servirà a depositare telefoni, tablet e strumenti elettronici e un cronometro conterà i minuti durante i quali il visitatore sarà rimasto libero dalla tecnologia e si sarà riappropriato del proprio tempo. “È un invito alla socialità – dicono i genitori che stanno curando il progetto – un modo per tornare a stare insieme, a dialogare, a essere presenti l’uno con l’altro. Ormai è normale ritrovarsi alla fermata dell’autobus, in casa, a una festa, e accorgersi che intorno stanno tutti con lo sguardo calato verso un telefono. Vogliamo regalare un mondo nuovo e una nuova prospettiva soprattutto per i più piccoli”. Una parte della pavimentazione sarà riservata ai giochi di una volta per avvicinare i bambini agli anziani. Il parco giochi ospiterà anche una raccolta fondi permanente che sarà alimentata dalle donazioni dei visitatori e dalle eventuali multe che saranno inflitte a chi non rispetta la regola più importante del parco: vietato lo smartphone!

A Balestrate (Palermo) sarà vietato lo smartphone in un parco giochi 
di Matteo Francesco Fedele

Operazione Odessa

Alcuni archeologi hanno scoperto in Argentina tre edifici costruiti da ex ufficiali delle SS. che, con l'operazione ODESSA, misero in atto una rete organizzativa per  facilitare la loro fuga dopo la Seconda guerra mondiale. 

Un gruppo di archeologi argentini dell’Università di Buenos Aires ha scoperto qualche anno fa, in un parco chiamato «Teyù Cuarè», una struttura composta da tre edifici che, secondo le prime ipotesi ancora da confermare, sarebbe stata costruita come rifugio per ospitare i gerarchi nazisti in fuga dalla Germania dopo la Seconda guerra mondiale. La struttura è stata trovata nella provincia di Misiones – nel nord-est del Paese, vicino al confine con il Paraguay – e in una delle stanze sono state scoperte monete tedesche che circolavano tra il 1938 e il 1944 e porcellane dell’epoca. Che sia vero oppure no (ora gli archeologi sono alla ricerca di nuovi finanziamenti per proseguire la ricerca), intorno al rapporto dei nazisti con i paesi del Sudamerica circolano molte storie: c’entrano nomi conosciuti legati al governo di Adolf Hitler, arresti ed estradizioni altrettanto famosi, ma anche notizie storiche confermate e documentate   (come quella per cui Hitler non sarebbe morto ma sarebbe scappato in Argentina). ODESSA è l’acronimo di Organisation Der Ehemaligen SS-Angehörigen (Organizzazione degli ex-membri delle SS) e si riferisce a una rete organizzata verso la fine della Seconda guerra mondiale da un gruppo di ex ufficiali delle SS – la polizia paramilitare nazista – che, con la collaborazione e l’aiuto di altri soggetti, facilitarono e finanziarono la fuga di gerarchi nazisti soprattutto in Sudamerica. Su O.D.E.SS.A. circolano diverse teorie, su cui gli storici si dividono e che hanno a che fare con la struttura stessa dell’organizzazione (secondo alcuni era centrale, secondo altri mancava un organismo di coordinamento), con i canali di fuga e con le coperture e le collaborazioni ottenute. Molti stati del Sudamerica erano luoghi predisposti per la fuga dei nazisti ancor prima che la guerra finisse: stati neutrali guidati in molti casi (Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay) da governi filo-nazisti. Inoltre, soprattutto in Argentina, era presente un’ampia comunità di emigrati provenienti proprio dalla Germania. Gli itinerari principali della fuga erano tre: il primo partiva da Monaco di Baviera e si collegava a Salisburgo per arrivare a Madrid; gli altri due partivano da Monaco e, passando da Strasburgo o attraverso il Tirolo, arrivavano a Genova, dove i gerarchi potevano imbarcarsi con l’aiuto del clero verso l’Egitto, il Libano, la Siria e, soprattutto, il Sudamerica. A sostegno di questa tesi ci sono anche le storie dei ritrovamenti e dei processi più celebri: per esempio quello di Adolf Eichmann, il colonnello delle SS. Eichmann entrò in Argentina nel 1950 con un passaporto falso rilasciato dalla Croce Rossa a nome “Ricardo Klement”: riuscì a portare con sé la famiglia ed entrò a lavorare negli stabilimenti della Mercedes vicino a Buenos Aires. Venne catturato dai servizi segreti israeliani nel maggio del 1960, condannato a morte e ucciso a Gerusalemme. Josef Mengele, responsabile del programma di eugenetica del regime di Adolf Hitler, viaggiò tra Argentina, Uruguay, Paraguay e, infine, Brasile. Walter Kutschmann, ex capo della Gestapo in Polonia, e Josef Schwammberger, ex comandante delle SS, sono stati catturati sempre in Argentina. Erich Priebke, ex comandante delle SS e responsabile del massacro delle Fosse Ardeatine, arrivò in Argentina nel 1948 grazie all’aiuto di alcuni sacerdoti altoatesini: fu catturato a San Carlos de Bariloche, in Argentina, nel 1994, ed estradato in Italia un anno dopo. I Paesi del Sudamerica non accolsero solo i tedeschi: a Buenos Aires vissero a lungo anche Ante Pavelich, dittatore croato, e i criminali di guerra olandesi Abraham Kipp e Jan Olij Hottentot. Tutti iniziarono nella loro nuova patria una vita “normale”, con il benestare dei governi latinoamericani: soprattutto di quello peronista in Argentina. Non è possibile avere dei dati sul numero di nazisti fuggiti dalla Germania in altri paesi d’Europa o in altri continenti. Le notizie più dettagliate e più citate sono quelle del Centro Simon Wiesenthal di Gerusalemme, organizzazione non governativa che ogni anno compila una lista degli ex gerarchi del Terzo Reich ancora ricercati. Dal 2005 il Centro Simon Wiesenthal ha individuato i nomi di circa mille collaboratori del Reich ancora vivi in Europa, molti dei quali provenienti dalla Germania, e ha lanciato diverse campagne intitolate “Operation Last Chance” per rintracciarli. L’obiettivo è chiedere informazioni ai cittadini e alle cittadine sui nazisti superstiti e scoprire nuovi casi di cui le autorità non sono state ancora informate. Dal 2007 la campagna, già attiva in Europa, è stata lanciata anche in alcuni Paesi del Sudamerica. Secondo il Centro Wiesenthal, circa 300 componenti delle SS e migliaia di collaboratori del Terzo Reich sono fuggiti in Argentina alla fine della Seconda guerra mondiale. C’è comunque un certo dibattito sul lavoro del Centro Simon Wiesenthal, circa il senso di una giustizia così tardiva che persegue persone ormai anziane e spesso in condizioni di salute precarie.

Josef Mengele

Adolf Eichmann

Rovine del rifugio degli ex nazisti

5 marchi, 1936

di Vincenzo Maria Cairelli

Il metaverso: la visione futuristica del web

Il confine fra reale e digitale è sempre più evanescente: nasce il metaverso. È una realtà virtuale, in cui è possibile esplorare, socializzare, lavorare e persino vivere esperienze immaginarie. Dove? Su una piattaforma digitale.

Il metaverso è un concetto che affascina la mente e fa sognare un futuro in cui il confine tra reale e digitale diventa sempre più labile. In poche parole, il metaverso è una realtà virtuale condivisa e interattiva, in cui gli utenti possono esplorare, socializzare, lavorare e persino vivere esperienze immaginarie, il tutto attraverso un'unica piattaforma digitale. Ma da dove è nata questa idea rivoluzionaria e come si sta evolvendo nel tempo? L'origine dell'idea del metaverso può essere fatta risalire alla fantascienza, con romanzi come "Snow Crash" di Neal Stephenson del 1992 e "Ready Player One" di Ernest Cline del 2011. Queste opere hanno immaginato mondi virtuali in cui le persone possono interagire con gli altri e con l'ambiente attraverso avatar digitali, creando così una realtà parallela al mondo fisico. A partire dagli anni '90, sviluppatori e tecnologi hanno iniziato a sperimentare la creazione di ambienti virtuali persistenti e condivisi, con l'obiettivo di realizzare queste visioni futuriste. Uno dei primi esempi di tale sforzo è stato "Second Life", lanciato nel 2003, che permetteva agli utenti di creare e personalizzare avatar, costruire infrastrutture e interagire con gli altri in un ambiente virtuale persistente. Tuttavia, la tecnologia dell'epoca era limitata, e l'esperienza offerta da "Second Life" era lontana dall'essere completamente immersiva. Negli ultimi anni, lo sviluppo di tecnologie come la realtà virtuale (VR), la realtà aumentata (AR) e l'intelligenza artificiale (IA) ha permesso di avvicinarsi sempre di più all'idea di un metaverso. La crescente popolarità di giochi on line come "Minecraft", "Fortnite" e "Roblox" ha dimostrato che c'è un'enorme domanda per esperienze digitali condivise e persistenti, in cui gli utenti possono esprimere la loro creatività e socializzare con gli altri. La situazione attuale del metaverso è in continua evoluzione, con grandi aziende tecnologiche come Facebook, Google e Microsoft che investono ingenti risorse nello sviluppo di piattaforme e tecnologie abilitanti. Facebook, ad esempio, ha acquisito Oculus VR nel 2014 e ha recentemente annunciato la creazione di un team dedicato allo sviluppo del metaverso. Microsoft, dal canto suo, ha acquisito AltspaceVR nel 2017 e sta lavorando su "Mesh", una piattaforma di realtà mista che permetterà agli utenti di interagire con gli altri e con oggetti digitali in un ambiente condiviso. Le idee per il futuro del metaverso sono tanto ambiziose quanto affascinanti. Si prevede che, nei prossimi anni, il metaverso diventerà un'esperienza sempre più immersiva e coinvolgente, in grado di fondere le barriere tra reale e digitale. Gli utenti potranno indossare dispositivi di realtà virtuale e aumentata per interagire con gli ambienti virtuali e gli avatar degli altri utenti, dando vita a un'esperienza sociale e collaborativa senza precedenti. La monetizzazione e l'economia del metaverso rappresentano un altro aspetto cruciale per il futuro di questa realtà virtuale condivisa. Si prevede che gli utenti potranno guadagnare denaro reale partecipando a eventi virtuali, vendendo beni e servizi digitali o persino possedendo terreni virtuali. Inoltre, la tecnologia blockchain e le criptovalute potrebbero svolgere un ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza e la tracciabilità delle transazioni all'interno del metaverso. 

Immagini evocative del metaverso