O tempora! O mores!

Riflessioni su passato, presente e futuro

Il Covid incatena, la scuola libera

Uno studente riflette sulla pandemia da Covid-19


In questi giorni, trascorsi per la maggior parte del tempo a casa, ho avuto modo di riflettere sul valore della libertà, soprattutto in un periodo nel quale è messa a rischio dalla pandemia da Covid-19 in atto.

Penso che definire la libertà sia molto difficile se non impossibile, oltre che impegnativo. La libertà, infatti, è tutto e allo stesso tempo può sembrare poca cosa. La libertà è allo stesso tempo unica e multiforme; esistono tante libertà, innumerevoli ed infinite libertà, forse così tante che alcune di esse sono ignote a noi o magari non vengono riconosciute.

La libertà è un concetto che noi non potremo mai riuscire veramente a comprendere. Ne parliamo, ma non la conosciamo, facciamo solamente finta di conoscerla. In realtà ci è sconveniente porci delle domande difficili sulla libertà che impegnino troppo il nostro essere.

In queste righe voglio prendere in esame la libertà di azione e di movimento e vorrei farlo dando la parola al mio amico Giovanni, uno studente come me nonché mio coetaneo.


D. Giovanni in che modo il virus ha cambiato la tua vita?


R: Sul piano lavorativo e scolastico, ormai da marzo dello scorso anno, come me migliaia e migliaia di persone sono inesorabilmente costrette ad usare la tecnologia quotidianamente; senza di essa infatti lavorare o studiare risulterebbe molto difficile o addirittura impossibile. Sul piano sociale e affettivo le nostre vite sono completamente e drasticamente cambiate. Soltanto ora, in un momento come questo, ci siamo resi conto di quanto non sia scontato tutto ciò che prima ritenevamo tale, ad esempio un saluto ravvicinato o un abbraccio, prestare una penna ad un compagno di scuola o condividere un qualsiasi oggetto con qualcuno. Mi fa ridere molto quando penso che mi capita di guardare scene di film nelle quali i personaggi si abbracciano o stanno vicini e tra me e me finisco per dire “Oddio no! Stanno troppo vicini, devono rispettare la distanza interpersonale!”. Questo mio strano e buffo comportamento ci fa capire come abbiamo già attuato un inaspettato e prima impensabile rovesciamento della realtà che abbiamo finito per ritenere normale .Se prima ritenevamo normale abbracciarci ora è una cosa quasi vietata.


D. Sei contento dei provvedimenti attuati in questi mesi per la scuola?


R: Purtroppo no! L’esperienza di Marzo della didattica a distanza, quando abbiamo vissuto un lockdown totale, non ha soddisfatto le aspettative, perché si è constatato che la scuola a distanza non può essere efficace come quella in presenza; questo senso di delusione (anche se c’era d’aspettarselo!) ha provocato una generale trepidante attesa per la riapertura delle scuole. Sono stati stanziati tantissimi soldi per mascherine, gel igienizzanti e banchi singoli da fornire alle scuole. Questo ha reso le scuole i posti più sicuri in assoluto, non c’è dubbio, sono infatti pochissimi, per quello che sappiamo, le infezioni contratte da studenti, docenti o personale ATA all’interno delle scuole. Ma ciò non è bastato purtroppo. Fuori dalle scuole, già a settembre, i contagi non accennavano a diminuire e così anche le scuole, in diverse zone e a macchia di leopardo, hanno cominciato a sospendere le lezioni in presenza per brevi periodi. Il virus insomma circolava all’esterno degli istituti rendendo gli alunni potenziali diffusori nonostante i rigidi protocolli adottati a scuola. Pian piano i contagi aumentavano e così si è arrivati ad un punto di non ritorno, l’incubo di dover di nuovo chiudere la scuola si è trasformato in realtà. Ecco che a metà ottobre circa siamo stati costretti nuovamente tutti a casa a studiare in didattica a distanza. E le mancanze di questa modalità, soprattutto a causa di problemi tecnici e di ritardi nell'ammodernamento delle reti internet, si sono fatte di nuovo sentire.


D. Giovanni è vero che con la didattica a distanza viene meno la voglia di studiare e si è meno motivati ad apprendere?


Non c’è una vera risposta a questa domanda, perché dipende tutto dal singolo studente; certo, trovandosi a casa, senza controllo diretto dei professori, alcuni alunni potrebbero approfittare della situazione, ma i nostri professori ci conoscono e capiscono chi si sta impegnando meno o per niente e chi invece continua ad impegnarsi come sempre. .La scuola in un momento come questo è fondamentale per i ragazzi, l’unico modo di “uscire” in un periodo in cui è sconsigliato o impossibile avere occasioni di svago, è concentrarsi sullo studio. Andare a scuola è, se ci riflettiamo, una delle poche cose che ci è concessa; frequentare le lezioni è l’unica cosa che ci riporta a quella normalità ormai persa, frequentare la scuola, seppur in didattica a distanza, è un modo per non farsi abbrutire dagli eventi spiacevoli e mantenere accesa la voglia di vivere e di andare avanti. La scuola è, come la filosofia per Cicerone, medicina doloris, ossia un mezzo per lenire i dolori della vita. Se vista in questa ottica la scuola diventa non un obbligo imposto ma una possibilità per evadere dalla realtà presente e ritornare a quando non c’era la pandemia. Il Covid incatena, la scuola libera.

Giuseppe Culmone

Bernardo Raspanti della 5^ E... alle prese con uno strano “compito” di Filosofia...

CONSEGNA: Nuovo dialogo sopra i massimi sistemi del mondo

Immaginando di essere uno sceneggiatore eccentrico e stravagante di una serie televisiva di successo, scrivi il copione surreale di un incontro impossibile che abbia come protagonisti principali: Hegel, “quel ciarlatano pesante e stucchevole, sicario della verità”, Platone il “metafisico razionalista”, Kant “il rigorista non moralista” e quel misantropo di Schopenhauer “dagli occhi straordinariamente intelligenti e azzurro stellati”. Costruisci scene, battute, dialoghi e freddure in modo che i quattro filosofi si confrontino e si scontrino su questi temi controversi: l’opportunità o meno di riunirsi; la possibilità per l’uomo di essere felice; la natura della realtà; il problema dell’esistenza di Dio; la natura dell’amore; le possibilità umane di conoscere il mondo.

Copione S8E2: Sii puntuale, non perderti il Kant settimanale.

KANT: Buongiorno cari telespettatori. Benvenuti ad una nuova puntata di "Sii puntuale, non perderti il Kant

settimanale". Oggi, 2 novembre 2020, in occasione della Commemorazione dei defunti, la nostra redazione

ha gentilmente chiesto un’esclusiva a diversi amanti del sapere. Abbiamo in particolare chiesto la gentilezza

di prendersi una pausa dall’oltretomba al direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Berlino,

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, ed al Professore Arthur Schopenhauer. Prego signori, accomodatevi pure.

ENTRANO SCHOPENHAUER ED HEGEL

KANT: Collegato con noi, impossibilitato a venire, causa lockdown, direttamente dall’iperuranio greco,

diamo il benvenuto a Platone. E adesso subito la sigla ed iniziamo la puntata di oggi.


SIGLA:


Eh tara tarata-ra-ra, siam qui oggi con Immanuel,

che non ti fa perdere neanche una briciola di saper,

se vuoi imparar resta con noi,

ti spiegherem quello che vuoi.

Mi raccomando, sii puntuale,

per il grande show settimanale.

Eh tara tarata- ra-ra, tara ta-ra-ra-ra-raaa.


KANT: Bene, bene, un orrore ascoltarla come sempre. Concedo subito la parola al Professore, che mi

sembra impaziente di parlare.

SCHOPENHAUER: Sì, ci tenevo particolarmente a salutare i telespettatori. E arrivederci.

KANT: Ma scusi professore, va già via? Perché arrivederci, è appena arrivato.

SCHOPENHAUER: Ha ragione, ma quando ho ricevuto l’invito, non mi è stato specificato che sarebbe stato

presente anche quel “ciarlatano di mente ottusa, pesante e stucchevole, insipido, nauseabondo, sicario

della verità, quell’accademico mercenario, disgust...”

KANT: Calma, calma, calma...Abbiamo afferrato il concetto, non è necessario aggiungere altre ingiurie.

HEGEL: Ma a chi stai dando della mente ottusa? Ah scusa, forse a chi attraeva centinaia di studenti, mentre

i tuoi corsi fissati alla stessa ora venivano sempre disertati!?

SCHOPENHAUER: Mi sembra di non aver fatto nomi, non capisco questo tuo accanimento nei miei

confronti. Però, se tu stesso hai risposto alle mie affermazioni, credo che ti consideri il “ciarlatano

illetterato” contro cui ho appena inveito.

HEGEL: Ma guarda un po’, ho sentito solo fino a “mente ottusa”. Non do peso a ciò che dici, in sintesi non

ho ascoltato.

SCHOPENHAUER: Bene, allora ti rinfresco un po’ la memoria. Sei un accademico mercenario, un ciarlatano

pesante e stucchevole, un sicario della verità, uno sciupatore di carta, di tempo e di cervelli. Sono stato più

chiaro adesso?

KANT: Per cortesia signori. Friedrich trattieniti dalle provocazioni del Professore. Conosciamo il suo

carattere problematico, gli è difficile stare tra i bipedes, la socievolezza non è la sua miglior qualità.

HEGEL: Fatico a credere che sappia realmente cosa significhi socievolezza.

KANT: In nome della ragion pratica, manteniamo la calma. Dopo questo irrilevante attrito iniziale, direi che

è ora di cominciare, altrimenti non riesco a prendere il mio thè delle cinque.

Nel frattempo, l’illustre Platone continua a ridere come se avesse una paresi o, forse, ha perso la

connessione ed è rimasto bloccato...

PLATONE ESCE DALLA CHIAMATA E RIENTRA

PLATONE: Scusate, in questo mondo delle Idee, la connessione non è delle migliori.

KANT: Scollegamenti da rete iperuranica, chiami il Demiurgo a sistemare la faccenda! Nel frattempo partirei

subito con la prima domanda, rivolta al Professore. Ritengo che ognuno possa ricercare la felicità come

voglia, posta la condizione che essa si attui nel rispetto della legge universale che tutela la libertà della

ricerca di essa, per tutti i cittadini che si pongono lo stesso scopo. Secondo lei, è possibile per l’uomo essere

felice?

SCHOPENHAUER: Proprio a me doveva porgerla sta domanda? Beh, io ritengo che la vita sia una continua

lotta per l’esistenza, ma si conosce già chi ne uscirà vinto e chi vincitore. Allora io mi chiedo: perché

nascere? Se lei, Kant, mi chiede se la felicità è possibile, cosa le rispondo? Sì, è possibile quando sei ubriaco

e quando non ci sei, ovvero sei felice se non nasci. La vita oscilla tra il dolore e la noia; raggiunto ciò che ti

prefissavi, diventi consapevole di quanto vano sia ogni desiderio, ma soprattutto di quanta inutile e

dolorosa strada tu abbia dovuto percorrere per soddisfarlo.

KANT: Illustre Platone, lei condivide le affermazioni del Professore?

PLATONE: Per quanto mi riguarda, ritengo che la felicità, finché si resta dentro la caverna delle ombre, sia

impossibile da conseguire. Gli uomini la cercano, ma è qualcosa di sfuggente. La felicità diventa un

problema solo quando non c’è, quando viene ricercata. Chi è felice non si chiede il motivo per cui lo è. La

mancanza di felicità genera inquietudine. Chi soffre, non solo si interroga sulle ragioni del proprio soffrire,

ma si pone la domanda generale sul senso dell’esistenza, come fa il nostro carissimo Professore

Schopenhauer.

KANT: Se non erro, ai tempi d’oro, parlasti anche di felicità del cittadino all’interno dello Stato.

PLATONE: Sì, per non dilungarmi troppo, dirò solo che lo Stato Felice è quello in cui ogni cittadino compie il

proprio dovere in vista del bene della comunità. Inoltre questo deve consentire ad ogni membro della

società di svolgere un lavoro in linea con le capacità pratiche e intellettive di ciascuno.

KANT: Direttore, lei cosa ne pensa?

HEGEL: Per me la felicità, o se preferite l’infelicità, riguarda la coscienza. La coscienza infelice è quella che

non sa di essere tutta la realtà, perciò si trova scissa tra opposizioni e conflitti. Nasce così la separazione

radicale tra l’uomo e Dio. Questa separazione si è già manifestata nell’ebraismo, assumendo le sembianze

di un Dio trascendente, o durante il cristianesimo medievale. La coscienza non riesce mai a raggiungere

l’Assoluto, Dio, rimanendo pertanto infelice. Manifestazioni di questa infelicità sono le sotto-figure della

devozione, del fare e della mortificazione di sé. Attraverso la devozione, l’uomo cerca di elevarsi a Dio,

dona tutto se stesso, capendo ancora una volta che Dio è irraggiungibile. Allora prova ad operare, a

lavorare per allontanarsi da Lui e trovare un po’ di pace interiore, un po’ di felicità. Ben presto capisce che

anche il lavoro è un dono di Dio. Vi è allora la mortificazione di sé, in cui si ha la completa negazione dell’io

a favore di Dio. In questo momento la coscienza è radicalmente infelice.

KANT: Mmm... quasi chiaro. Lei ha parlato di realtà, direttore Hegel; la mia seconda domanda riguarda

proprio la sua natura. Prego Friedrich, ci spieghi la sua posizione. Poi vediamo se siamo riusciti e calmare le

acque e proviamo a fare intervenire nuovamente il Professor Arthur.

SCHOPENHAUER SBUFFA PER LA STIZZA

HEGEL: Bene, sì, riguardo alla natura della realtà... io considero un caposaldo l’identità tra ragione e realtà.

Ciò che è razionale è reale; ciò che è reale è razionale. Intendo dire che la razionalità non è astrazione, non

esiste per me la differenza tra essere e dover essere, perché è la Ragione che governa il mondo. Di

conseguenza la realtà è necessario che sia esattamente nel modo in cui è.

KANT: Si però, caro Direttore, come riesce a pronunciare a cuor leggero certe sentenze?

HEGEL: Eh no, adesso quello che va via sono io. Siete in due che mi attaccate ogni qual volta che apro

bocca. Ho Ragione in Assoluto! Ecco!

SCHOPENHAUER SOGGHIGNA

KANT: Mi scusi egregissimo direttore. Ha probabilmente frainteso le mie parole. Il mio pensiero, e

sottolineo il mio, anche se dovrebbe essere il pensiero di tutti, sempre parlando con modesto parere, è che

non si può parlare di essere e dover essere come unica cosa. La differenza c’è e per giunta è sostanziale.

Solo un cieco non la vedrebbe. E, attenzione, non le sto dando mica del cieco. E quindi, e poi lascio a lei la

parola, la realtà non si adegua alla razionalità.

HEGEL: Io, caro Immanuel, non posso far altro che ripetermi e sperare che chi ci segua da casa riesca a

comprendere ciò che ho detto. E ritengo che il mio modo di esprimermi sia efficace, d’altronde le mie

lezioni sono state le più seguite di tutta un’epoca.

KANT E SCHOPENHAUER MANDANO UN’OCCHIATACCIA AD HEGEL

HEGEL: Scusate, perdonate. Mi ero dimenticato di chi fosse presente. Dicevo: la sua filosofia, caro il mio

amico Kant, si basa su una morale formale. Lei ha sbagliato nell’aver costruito la sua filosofia sul dualismo

fenomeno-noumeno. In questo modo non riuscirà mai a cogliere l’Assoluto. Ha posto un limite alla

conoscenza, circoscrivendola entro il fenomeno. Io ritengo che la Ragione non abbia limite e che perciò non

debba limitarsi al finito. Può aspirare a cogliere l’Infinito tramite la dialettica.

KANT: Vediamo cosa ne pensa il Professore.

SCHOPENHAUER: Beh, con immenso rispetto per lei, signor Kant, neanche per me esiste quel dualismo tra

fenomeno e noumeno. Il fenomeno per me è velo di Maya, apparenza, è la rappresentazione che esiste

solo dentro la coscienza. Purtroppo questo velo ottenebra le pupille dei mortali e fa vedere loro un mondo

del quale non si può dire né che esista né che non esista. Per capirci e per farci capire dai bipedes, è come

l’acqua che un viaggiatore vede nel deserto, quando però non vi è altro che luce che brilla sulla sabbia.

KANT: Ho qualche riserva su questo ma la ringrazio ugualmente per l’intervento. Illustre Platone, qual è la

sua opinione al riguardo?

PLATONE: Sa... ho sempre pensato, e l’esperienza mi ha dato ragione, dato il luogo in cui mi trovo in questo

momento, che esistesse da una parte una realtà sensibile, dall’altra il mondo delle Idee. La realtà sensibile è

confinata dentro una caverna e l’uomo si trova imprigionato in essa. Egli percepisce unicamente la realtà

materiale, piena di imperfezioni e difetti. L’unica vera realtà è il mondo intellegibile. Il vero filosofo può

liberarsi dalle catene che lo tengono prigioniero e può uscire fuori a contemplare la più bella delle Idee,

raggiante e luminosa come il Sole. Io ho oltrepassato il muro, ho intrapreso un cammino impervio e adesso

abito in quest’Iperuranio da sogno-lucido. Gli esseri umani, purtroppo, non saranno mai come me: per

quanto si sforzino, riescono a cogliere attraverso la sensazione solo l’ombra delle Idee. Poi ci sono gli stolti

convinti che attraverso l’arte si possa cogliere la vera realtà. Mah... l’arte non fa altro che allontanare

doppiamente dal vero, aggiunge un’altra ombra alla precedente.

KANT: Breve parentesi, ricordo che il nostro obiettivo rimane sempre indirizzare i telespettatori verso la

giusta via della ricerca della verità tramite il sapere. Qui, per quanto noi presenti ci sforziamo di arrivare ad

un punto comune, secondo me non facciamo altro che confondere la mente già annebbiata dei

telespettatori. La prossima volta inviterò gli stolti-dormienti tanto oltraggiati da Eraclito, in modo tale che ci

sia un solo parere dominante: il mio. E, tra l’altro, non sono più certo dopo questa puntata, che chi guarda

sia ancora interessato, dato che non stiamo aiutando bensì peggiorando la situazione già critica degli

abbonati. Quindi adesso spero possiamo trovare un punto di accordo almeno riguardo l’esistenza di Dio.

Prego Professore, inizi lei.

SCHOPENHAUER: Io, personalmente, quando si parla di Dio non so più di cosa si stia parlando. È assurdo

pretendere che una grande intelligenza come la mia creda sul serio alla religione cristiana o quale essa sia;

sarebbe come pretendere che un gigante indossasse la scarpa di un nano. Una religione che ha a suo

fondamento un singolo avvenimento, verificatosi in un dato luogo e in un dato tempo, del quale essa vuole

fare il punto di svolta del mondo e di ogni esistenza, ha un fondamento talmente debole che è impossibile

che essa possa sussistere appena un po’ di riflessione cominci a diffondersi tra la gente. Vengono inculcate

certe dottrine nella più tenera infanzia, e queste diventano quasi idee innate.

KANT: Platone, giacché il professore ha citato le idee, vuol esporci la sua opinione al riguardo?

PLATONE: Sì, ritengo che ciò che si avvicina maggiormente al concetto di divinità è l’Iperuranio, il mondo

delle Idee. Le idee innate, eterne e perfette, sono collegate tra loro da rapporti logici e sono ordinate

gerarchicamente. All’apice vi è l’Idea del Bene. Fra il mondo delle Idee ed il mondo sensibile deve pur

esistere una connessione... Così ho pensato che ci potesse essere un Demiurgo, un sorta di dio che non crea

ma plasma la natura secondo modelli ideali.

HEGEL: Secondo me invece il mondo cha cade sotto i nostri sensi, ovvero il finito, è la manifestazione di Dio,

dell’Infinito, dell’Assoluto. Dio è in tutto e tutto è in Dio. Il mio è una sorta di monismo panteistico. A sua

volta, quest’Assoluto deve essere inteso come un Soggetto spirituale in divenire e quindi come un processo

in continuo movimento, a differenza della sostanza statica di cui parlò il qui oggi non presente Spinoza.

KANT: Si, oggi il signor Bento De Spinoza purtroppo non è potuto essere presente a causa di una

ferocissima scomunica consegnatagli per mail dalla comunità israelitica di Amsterdam. Dovreste leggere il

testo di questa scomunica, sono rimasto scioccato.

SCHOPENHAUER: Beh, per questo io non do mai a nessuno né il mio contatto né il mio indirizzo email...

Anzi, ho sempre consigliato di evitare, ogni volta che sia possibile, la vicinanza con altri uomini; tollerarla

unicamente quando è necessaria, come i porcospini che d’inverno si uniscono per riscaldarsi

reciprocamente ma che poi si riallontanano per il dolore e il fastidio che provocano gli aculei pungenti.

KANT: Ehm... Sì Arthur... Ma per tornare al discorso precedente, voglio dire la mia: vi confesso che ho

dovuto distruggere il sapere per far posto alla fede. Dio è per me garanzia della speranza e della prospettiva

del sommo bene, perché proprio Dio permette di dare la felicità a chi ne è degno. La necessità morale di

Dio comunque non mi porta a fondare teologicamente la morale. Ciò comporterebbe la rinuncia

all’autonomia della volontà. Anche se sul piano conoscitivo non è possibile provare l’esistenza di Dio,

nell’interiorità della coscienza morale trovo il fondamento e la certezza soggettiva di tale esistenza. Ma non

fraintendete: la metafisica per me resta comunque impossibile come scienza.

KANT GUARDA L’OROLOGIO IMPAZIENTE

KANT: Mai nella mia vita mi sarei sognato di dire che è tardi ed è ora di sbrigarsi. Cosa mi sta succedendo?

La convinzione che dalla prossima volta ci saranno sempre meno telespettatori è sempre più quotata.

Comunque, in questa puntata volevo anche parlare della natura dell’amore. Dato che siamo un po’ in

ritardo con i tempi, magari parli chi ha più pensieri da condividere.

SCHOPENHAUER: Per me quando si parla di amore, ci si riferisce all’amore sessuale. La voluttà nell’atto

della copulazione. Questa è la vera essenza e il nocciolo di tutte le cose, la meta e lo scopo di ogni

esistenza. L’amore sessuale appare come il più potente e il più attivo di tutti gli impulsi: lo vediamo

continuare ad accaparrarsi la metà delle forze e dei pensieri umani della parte più giovane dell’umanità,

essere il fino ultimo di quasi tutti gli sforzi, talvolta confonde per qualche istante anche le menti superiori.

Se da una parte è un pensiero fisso, dall’altro è causa della guerra.

KANT: Professore, una volta raggiunto il piacere, subito dopo l’atto della copulazione, cosa succede?

SCHOPENHAUER: Beh, ogni innamorato, subito dopo, proverà una strana delusione e si stupirà, perché ciò

che ha desiderato con tanto dolore non gli offre niente di più che una qualsiasi altra soddisfazione

dell’istinto sessuale. Non gli sembrerà di aver guadagnato molto con quell’amore.

KANT: Quindi sta dicendo che l’amore è contemporaneamente torto e inganno?

SCHOPENHAUER: Esattamente, il desiderio sessuale, soprattutto quando si concentra su una determinata

donna, è la quintessenza dell’imbroglio di questo nobile mondo; promette così indicibilmente, infintamente

e straordinariamente tanto, e mantiene così miserabilmente poco.

KANT: Parole spiazzanti... grazie per averci turbato, qualcuno vuole provare a confutare quest’idea?

PLATONE: Io organizzai secoli fa un Simposio... scrissi in quella circostanza qualcosa ma, ahimè, ero così

ebbro da aver dimenticato tutto... se non sbaglio uscì anche un libro in promozione natalizia... se qualcuno

avesse intenzione di leggerlo, mi farebbe solo piacere e mi frutterebbe certamente quel denaro di cui non

ho bisogno. Comunque ne ricordo vagamente l’essenziale...

KANT: Detta così, illustrissimo filosofo, sembra che le sue affermazioni ebbre siano le uniche lucide. Direi

intanto di ascoltarle e di lasciar trarne conclusioni e giudizi direttamente ai telespettatori.

PLATONE: Eros non è un dio come gli altri, ma un demone; è qualcosa di intermedio fra il divino e il

mortale. La bellezza di cui ci si innamora non è altro che la rivelazione dell’armonia divina, la quale

riaccende nell’uomo il ricordo della Bellezza Ideale che l’anima sensibile aveva contemplato prima di

incarnarsi. L’amore non è serenità interiore, ma l’esatto opposto, ovvero mancanza, privazione di ciò che si

ama. Come un demone, si pone tra l’eternità del possesso erotico e l’umana condizione di indigenza. Il

fraintendimento nel quale incorre il senso comune sta nello scambiare la condizione dell’amato con quella

dell’amante, laddove è la tensione stessa dell’amante che caratterizza il sentimento amoroso e non, come

si può erroneamente pensare, lo stato passivo dell’amato.

KANT: In uno stato di ubriacatura capirei senz’altro quest’intervento. Direttore, se vuol aggiungere

qualcosa, ha trenta secondi a partire da adesso. Vada.

HEGEL: Me ne bastano dieci, lascio, come ha detto lei poc’anzi, Immanuel, le conclusioni ai telespettatori.

L’amore è un prendere e dare reciproco, più ti do, più io ho.

KANT: Non so se chi ci sta guardando ha compreso ciò che Hegel volesse dire, però non ha il tempo di

chiarire perché dalla regia mi premono per chiudere la puntata. Per finire, vorrei porvi la fatidica domanda:

quali possibilità ha l’uomo di conoscere il mondo? Chi vuol rispondere, si faccia avanti con frasi concise.

SCHOPENHAUER: No, il mondo che cade sotto i nostri sensi non è il mondo vero, ma è solo un’immagine

ingannevole, apparenza, sogno, illusione. Finché l’orientamento del soggetto nel conoscere è rivolto verso

l’esterno, verso l’oggettività conoscitiva, l’unica affermazione in cui il filosofo possa riconoscere valore di

verità è «il mondo è la mia rappresentazione».

KANT: Concludo io, collegandomi a ciò che ha detto il professore. La conoscenza sensibile è conoscenza

delle cose quali appaiono a noi nell’esperienza, cioè è conoscenza dei fenomeni: essa rappresenta gli

oggetti non come sono in se stessi, ma come il risultato della loro relazione con il soggetto che li esperisce.

La conoscenza sensibile è dunque fenomenica, ma non per questo soggettiva ed arbitraria. Ed è qui che ho

intenzione di arrivare. Come ogni episodio concludo con una riflessione su cui chi guarda può riflettere:

«Che cosa siano gli oggetti presi in se stessi, a prescindere dall’intera ricettività della nostra sensibilità, ci è

del tutto ignoto». Pensateci ed evitate poi di andare a coricarvi perché sono pensieri che non vi farebbero

più dormire la notte.

Siamo giunti al termine anche di questa puntata, ringrazio i qui presenti Platone, Hegel e ultimo ma non per

importanza Schopenhauer; grazie a Banca Calcio che ci ha gentilmente offerto l’arena per ospitare questo

episodio; infine un ringraziamento particolare a chi ha scritto il copione anche per oggi: senza di lui, non

avrei saputo che dire. Grazie a voi telespettatori per averci seguito. Noi ci rivediamo la settimana prossima

con un nuovo episodio di "Sii puntuale, non perderti il Kant settimanale". Arrivederci a tutti.

VOCE FUORISCENA: Schopenhauer, adesso può andare a cercare qualcun altro con cui litigare.


SIGLA:

Eh tara tarata-ra-ra, siam qui oggi con Immanuel,

che non ti fa perdere neanche una briciola di saper,

se vuoi imparar resta con noi,

ti spiegherem quello che vuoi.

Mi raccomando, sii puntuale,

per il grande show settimanale.

Eh tara tarata- ra-ra, tara ta-ra-ra-ra-raaa.


Bernardo Raspanti

Ricominciare

Ricominciare. Quante volte sentiamo dire questa parola? Beh, spesso capita, dopotutto è un verbo di uso comune. Hai sbagliato a fare un determinato lavoro? Nessun problema, lo ricominci da capo ed è fatta. Se qualcosa va storto, mentre monti un mobile per esempio, lo smonti e ricominci a montarlo da capo. Ma se qualcosa va storto nella tua vita invece? È così facile ricominciare anche in questo caso? È così facile ricominciare da capo con una nuova vita? Sembrerebbe un po' un’impresa colossale, eppure c’è chi ci è riuscito.

Molte persone hanno cominciato una nuova vita dopo aver vissuto situazioni spiacevoli, tristi o orribili. E noi guardiamo queste persone, e ci meravigliamo della loro forza, chiedendoci se noi, al loro posto, ce l’avremmo mai fatta. I nuovi inizi ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Ma avete mai pensato come sarebbe ricominciare la propria vita dopo aver vissuto una guerra? Ci siamo mai fermati a pensare a come sia veramente vivere una guerra? Prendiamo per esempio una delle più tragiche guerre nella storia dell’umanità: la seconda guerra mondiale. Siamo abituati a prendere il libro di storia, ad ascoltare la spiegazione dell’insegnante e dopo torniamo a casa e la studiamo per bene in modo da prendere un bel voto. Arrivato il giorno dell’interrogazione, parliamo di questa grande guerra: parliamo delle date, dei luoghi e dei personaggi, parliamo dell’olocausto, e parliamo del fatto che più di sei milioni di persone sono state uccise in modo brutale nei campi di concentramento. Ripetiamo tutto per bene, e prendiamo il nostro bel voto. E poi? Beh e poi basta! Ma ci pensiamo mai a quelle sei milioni di persone che sono state sterminate? E sei milioni sono soltanto quelli uccisi nei campi di concentramento, perché se contassimo anche tutti i soldati morti in guerra e tutti gli oppositori politici uccisi, quel numero aumenterebbe, e non di poco. Ho sentito molto spesso dire frasi del tipo “il passato è passato, ormai sono morti!”. Oppure “ma tanto ormai è passato, noi non possiamo farci niente!”. Personalmente credo che certe cose non debbano mai essere dimenticate. Quello che queste persone hanno vissuto noi non possiamo neanche minimamente immaginarlo. Ma soffermiamoci un attimo sul verbo: ricominciare. Dopo aver vissuto una guerra, dopo aver perso amici e parenti, dopo aver visto persone morire davanti ai tuoi occhi, come fai a ricominciare? Mettiamoci nei panni delle persone che hanno vissuto questa guerra. Tutto finisce, ma ti ritrovi ad essere una persona distrutta, che deve ripartire da zero, in un paese altrettanto distrutto. Molto probabilmente sei da solo. Non hai più nessuno. Magari la tua casa è stata distrutta e non sai dove andare, o magari è ancora in piedi, ma attorno a te c’è solo distruzione, magari non hai neanche l’acqua per bere o lavarti. Magari sei un bambino, ti guardi intorno, ma sei troppo innocente per capire. Magari hai perso uno, o tutti e due i genitori. Magari sei un ebreo e dopo tutto quello che hai passato, nei tuoi occhi brilla un po' di speranza, ma la mentalità di alcune persone, nonostante tutto, è rimasta sempre la stessa, perciò continui a sentire attorno a te solo l’odio. Ricordiamoci della forza che hanno avuto queste persone di ricominciare, non solo per loro stesse, ma anche per noi, visto che dopo una guerra del genere la gente ha avuto la forza di far ripartire nazioni intere. Non so quante persone leggeranno ciò che ho scritto, ma se sei uno studente, la prossima volta che a scuola ti capiterà di studiare qualche guerra, prova a metterti nei panni delle persone che l’hanno dovuta affrontare. Credo che solo così possiamo aspirare a creare una società migliore nella quale certe cose non si ripeteranno più.


Giusy Grillo