Il contributo femminile nella Resistenza partigiana
Il contributo femminile nella resistenza partigiana è servito molto, ma viene sottovalutato poiché le donne non sono state loro a combattere la guerra vera e propria.Le donne per contribuire alla resistenza partigiana ricoprirono dei ruoli, alcuni li vedremo ora:
Donne staffette, portavano messaggi nascosti ai partigiani e cibo: Gina Galeotti Bianchi, fucilata a 32 anni, incinta di otto mesi mentre pedalando portava a Niguarda l'ordine di insurrezione.
Le donne fondarono squadre di primo soccorso per aiutare i feriti e gli ammalati, contribuirono nella raccolta di indumenti, cibo e medicinali, si occuparono dell'identificazione dei cadaveri e dell'assistenza ai familiari dei caduti.
Ora vedremo alcune donne di spicco nella resistenza partigiana
Tina Anselmi, staffetta partigiana, Gabriella in codice, 100 e più km al giorno per collegare le brigate partigiane in Veneto, "un azione importante militarmente e politicamente".
Prima donna ministro della Repubblica a quella di Genni Wiegmann Mucchi, artista berlinese e attivista nella Milano resistente, le cui sculture di donne partigiane parlano ancora quella stessa lingua.
Le partigiane italiane decorate con medaglia d'oro al valor militare furono 19:
Irma Bandiera.
Ines Bedeschi.
Gina Borellini.
Livia Bianchi.
Carla Capponi.
Cecilia Deganutti.
Paola Del Din.
Anna Maria Enriquez.
Giovani, giovanissime, di qualsiasi classe sociale, povere, ricche, istruite o senza mai aver avuto la possibilità di andare a scuola, mamme, figlie, contadine, sarte, infermiere. Donne che non si erano mai interessate di politica. Dalla borghesia alle classi più umili, stremate dalla fame e dalla miseria della guerra. che attraverso l’impegno antifascista iniziano un percorso di liberazione personale, di autodeterminazione, di emancipazione.
La resistenza taciuta
Secondo alcune stime le donne che hanno partecipato alla resistenza sono state settantamila, ma probabilmente sono molte di più. Tuttavia il loro ricordo è entrato solo recentemente nella storia ufficiale della resistenza italiana. “Dopo la fine della guerra, direi a partire dal 1948, c’è stato una specie di silenzio generale sulla resistenza femminile”, afferma la storica Simona Lunadei, autrice di molti testi sull’argomento tra cui Storia e memoria. Le lotte delle donne dalla liberazione agli anni 80. “Questo perché si cercò di normalizzare il ruolo delle donne, che proprio durante la guerra avevano sperimentato un’emancipazione di fatto dai ruoli tradizionali”, afferma la storica. Uno dei pochi documentari sull’argomento fu quello di Liliana Cavani, Le donne nella resistenza del 1965 e il romanzo L’Agnese va a morire di Renata Viganò pubblicato nel 1949.
“A partire dagli anni sessanta, con le lotte per l’autodeterminazione femminile e i cambiamenti profondi in corso nella società, si cominciò a rivendicare un ruolo per le donne che affondasse anche nella storia della repubblica e nella resistenza”.
Molte donne che hanno partecipato alla resistenza non hanno chiesto un riconoscimento perché sentivano di aver fatto solo il loro dovere.
Nella maggior parte dei casi le partigiane hanno fatto le staffette: portavano cibo, armi, riviste, materiali di propaganda (come avevamo detto prima). Rischiavano la vita, torture e violenze sessuali. Ma non erano armate, quindi non si potevano difendere. Molte donne inoltre hanno avuto ruoli di protezione dei partigiani: li nascondevano, li curavano, portavano loro i viveri nei nascondigli, si preoccupavano della loro sopravvivenza. Altre, in numero minore, hanno partecipato direttamente alla lotta armata.
“Non sarebbe stata possibile la resistenza senza le staffette, tuttavia dopo la guerra poche donne chiesero di essere riconosciute come partigiane”, racconta la storica. Si poteva essere riconosciute come partigiane solo se si aveva partecipato alla lotta armata per almeno tre mesi all’interno di un gruppo organizzato riconosciuto. “Se una donna faceva la staffetta difficilmente poteva documentare la sua attività partigiana, questo ha significato che pochissime sono state riconosciute come partigiane e sono entrate nel Pantheon della resistenza”.