TERRITORIO

RUBRICA. LA CAMPAGNA LUPIA CHE VORREI...

Abbiamo deciso di andare in giro per il nostro Comune e fotografiamo quegli luoghi in cui notiamo un problema o che potrebbero essere valorizzati. Lo scopo è quello di proporre delle idee per migliorare il nostro paese. Aiutateci anche voi segnalandoli: basta inviare un messaggio e una fotografia a CONTATTI.

di Eva

13-02-2021. Vicino al parcheggio della Scuola secondaria di Campagna Lupia, degli operatori ecologici (Veritas) stavano scaricando la plastica, raccolta dalle vie del paese, in un container. Era un giorno ventoso, la plastica più leggera si disperdeva e disseminava nei campi. Dopo qualche ora, gli operatori non c’erano più ma la plastica invece sì. Sarebbe utile trovare un sistema perché oltre a inquinare, vanifica il lavoro di raccolta differenziata delle famiglie di Campagna Lupia.

di Gabriele

Qui ci troviamo in via E. Duse nella frazione di Lughetto. Io vorrei fare in questo spazio libero un piccolo campetto da calcio o un parchetto con posizionate alcune panchine con un piccolo gazebo dove la gente può ripararsi dal sole, dato che d’estate fa molto caldo e in più ci si può riposare stando al fresco dell'ombra.

di Alan

Questo parchetto si trova nella frazione di Lova, di fronte alla scuola dell'Infanzia parrocchiale, ed è costituito da porte da calcio e da canestri da basket completamente arrugginiti, la pavimentazione del parco è tutta piena di crepe, come si può notare nella foto. Io penso che questo parco dovrebbe essere ristrutturato oppure se ne potrebbe costruire uno nuovo e conseguenza si potrebbero inserire degli spazi verdi per far divertire ragazzi.

RUBRICA. STORIE DE 'NA 'OLTA - 2^ uscita

di Christian

In questo articolo nonna Dina, una signora che ha vissuto per tempo immemore nella nostra città, continua il suo dialogo tra lei e il suo nipote più piccolo e ci racconta della Ca’ Longa. Ascoltiamo.

“Ho letto su Facebook un articolo sulla CA’ LONGA! Tua nonna va in facebook!” gli dice nonna Dina.

“Ti sei comprata un cellulare nuovo e hai buttato via quello vecchio? Non ci credo”, la punzecchia il nipote.

“Attento, nipote, ti stai giocando la pastasciutta” gli risponde nonna Dina.

“Dicevo che quell'articolo mi ha riportato indietro negli anni” riprende nonna Dina. “Tu devi sapere che da piccola dormivo con mia nonna: avevamo un letto altissimo, i materassi erano riempiti con con le foglie che ricoprivano le pannocchie (i scartossi), si andava a letto presto, dopo aver pregato un po’ in latino e anche in dialetto… Queste ultime le dico ogni sera anche ora.”

“Dicevo a mia nonna - la tua quadrisavola - di raccontami le storie di una volta e lei iniziava sempre così: sono nata in una casa lunga più di settanta metri che aveva un grande porticato (sotto portego) perché era un antico convento. Tutti la conoscevano come la CA’ LONGA. Eravamo in 9 fratelli e di mestiere facevamo i contadini, i campi si trovavano in una località detta “risare”. Il mio papà Beppi mi raccontava di un passaggio sotterraneo che la univa al palazzo della signora Canton (che adesso si chiama “La Colonda”). Lo abbiamo cercato per tanto tempo invano e quel passaggio non si è mai più trovato, anche perché ci fu un grande incendio: pian piano bruciò il porticato e le travi erano così grosse che arsero per tanto tempo. Alcune di queste sono ancora in buono e sono state usate per costruire la mia casa, dove ho cominciato ad abitare dopo essermi sposata.

E qui la tua quadrisavola terminava di raccontare. In quella casa è nato il mio papà ed anche io e nella nostra cucina c'erano tre grosse travi chiamate “Le travi della Ca Longa”: le nostre radici partono da tanto lontano e queste travi sono la mia storia, la tua storia e la storia della nostra famiglia”.

E così nonna Dina finì di narrare la sua piccola storia al nipote. Se volete aggiungere o commentare quello che ci ha raccontato scrivete su CONTATTI.

RUBRICA. l'angolo delle tradizioni

modi di dire: "Bàtar le brochete (le broche)"

a cura di Rosa (2A)

Letteralmente “battere le bullette”. Si rifà ai tempi non così lontani, in cui le scarpe, per la gran parte delle persone, erano di legno con sulla suola le broche di ferro così che, quando si aveva freddo, se bateva le broche, si battevano i piedi. [...]

(da Incalmà coi ochi, Ilia Sillo, Verona, Cierre ed. 2017)

giochi di un tempo

a cura di Mario (2A)

“Tutti i partecipanti devono, partendo da una linea stabilita, raggiungere il più in fretta possibile un traguardo, con le gambe infilate in un sacco ( una volta i sacchi erano chiusi fino al collo; ora sono legati sotto alle ascelle per lasciare libere le braccia oppure arrivano alla cintura e sono tenuti a mano, per il bordo, dai partecipanti).

L'andatura non può che essere a saltelli e...non è detto che vinca quello che salta più in fretta”.

(da UN DUE TRE TOCCA A TE, Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, 1984)

proverbio DELLA SETTIMANA

a cura di Elisa (2A)

Chi semina e non custode,

assai tribola e poco gode

Seminato che sia il grano, ha cento nemici che tentano di depredarlo: gli uccelli silvestri, i domestici polli, i topi, gl' insetti gli si avventano addosso: l'attento seminatore deve perciò guardarlo possibilmente e difenderlo da sì fatti divoratori.

(da Proverbi del buon contadino, Agostino Fapanni, Unigrafica, Zero Branco 2001)

mestieri di un tempo: "el scarparo"

a cura di Chiara e Giulia (2A)

IL CALZOLAIO

“Lo scarpàro viveva nell'epoca in cui un paio di scarpe era veramente un lusso anche per i benestanti, tanto che i ragazzi di costoro portavano grossolani sandali d'estate e neri polàchi d'inverno, mentre i figli dei poveri o dei contadini giravano a piedi scalzi oppure in sgàlmare o socole in legno, a seconda delle stagioni. Pertanto l'abilità del calzolaio doveva sfiorare la maestria per poter tenere insieme certe ciabatte sgangherate aperte su più punti.(...) Di regola, ognuno aveva il proprio scarpàro di fiducia e gli scarpàri, nei nostri paesi, non erano certo pochi.(...) Per le scarpe da festa acquistava pelle di vitello nera, più raramente marrone, di buona qualità, mentre per le scarpe da lavoro o per le riparazioni- una scarpa non non si buttava se proprio non era completamente scalcagnata- acquistava un cuoio di qualità più scadente. [...] Lavorava seduto su di un basso sgabello, dietro a un caratteristico banchetto quadrato dal bordo rialzato. [...] Fra gli attrezzi caratteristici del calzolaio c'erano […] la lesina e il punteruolo, che servivano per praticare i fori nel cuoio, gli aghi flessibili, la pece, lo spago da cuciture, puntine e chiodi di diverse lunghezze e dimensioni detti bròche, brocuni, e brochete, il lustrìn, [...] tenagliette, tacchetti in ferro e anche le mezzelune di metallo a forma di spicchio d'arancia e con i fori già pronti per l'inchiodatura. [...] Al posto dell'ago lo scarpàro utilizzava la tipica setola di maiale [...] Una lavorazione un po' diversa veniva compiuta per le scarpe da lavoro. Lo scarpàro realizzava per questo scopo un unico tipo di calzatura: i famosi polachi, il cui nome probabilmente deriva dal fatto che erano calzature usate nei paesi nordici, conosciute e portate dalle nostre parti dai primi emigranti alla fine dell'800 [...] La suola, perché potesse durare più a lungo, veniva riempita di broche [...] Quello dello scarpàro era senza dubbio un mestiere umile, ma pieno di risorse e di dignità, che ha permesso a molti di mantenere la propria famiglia e, nello stesso tempo, di esprimere il proprio genio creativo”.

(da Di casa in casa, Pier Paolo Frigotto, Azzurra Publishing, su licenza di Cierre edizioni 2015)

EL SCARPARO

El scarpàro el viveva ai tempi che un paro de scarpe el iera davero un lusso anca par quei pieni de schei, tanto che proprio i so tosatti i se impirava dei sàndai d'istà e dei neri poàchi in inverno, invesse i fioi dei puareti o dei contadini i ndava in giro a piè descalsi o coe sgalmare o coe socoe de egno, a seconda dee staion. Quindi ea bravura del scarpàro ea doveva deventare na vera maestria par podere tegnere tacàe serte savatte desfae e verte so pi punti.

De soito ognuno gaveva el proprio scarparo preferio e i scarpari, nei nostri paesi, noi iera de serto pochi. Pae scarpe da festa el comprava dea pee de vedèo nera, più de rado maron, de bona quaità, invesse pae scarpe da laoro o pae riparassion – na scarpa no ea se butava via se proprio noea iera scalcagnà del tuto- el comprava del curame de quaità pi scadente.

El lavoava sentà so un sgabeo baso, dadrio a un tipico banchèto dal bordo rialsà. Fra i atressi tipici del scarparo ghe iera ea lesina e el punteruòeo, che i serviva pa fare i busi sol curame, i aghi flesibii, ea pece, el spago da cuxire e i ciodi de diverse misure e dimension ciamai bròche, broconi, e brochete, el lustrìn, tenajette, tacheti in fero e anca e mexeune de metaeo a forma de spichio de naransa e coi fori xa pareciai pa inciodare. Invesse che usare l'ago el scarpàro usava ea tipica sèdoea de porseo. Na lavorasion particoeare vegneva fata pae scarpe da laoro. El scarparo pa ea bisogna el faxeva un soeo tipo de scarpa: i famosi poeàchi, el cui nome deriva quasi par serto dal fato che i iera un tipo de scarpa usà nei paesi del Nord, conossue e portae dae nostre bande dai primi emigranti a fine Ottosento. Ea sòea, parchè ea podesse durare, ea vegneva riempia de bròche. Queo del scarparo iera senza dubio un mestiere umie ma pien de risorse e dignità, che ghe ga consentio a tanti de mantegnere ea so fameja e, al tempo steso, de mostrare ea propria gran bravura.

(traduzione in dialetto veneto a cura di mamma Graziella)