Politica e sinistra

POLITICA E SINISTRA

di Giancarla Codrignani

Faccio una premessa del tutto personale. Sono figlia di un italiano dignitoso che era un ragazzo all'avvento del fascismo ma aveva capito che - nonostante la confusione delle idee prodotta da un leader "rivoluzionario" che veniva dal socialismo massimalista e che muoveva all'attacco di un Parlamento "imbelle" - il fascismo era una rovina per la democrazia in Italia. Non perdonò mai ai comunisti di aver fondato un partito estremista in tempi in cui la crisi mordeva il paese e gli echi della rivoluzione sovietica impaurivano la gente; fece parte di Giustizia e Libertà, si iscrisse al Partito socialista clandestino nel 1926, visse da precario per tutto il ventennio perché non avendo mai aderito al partito fascista, come tutti i non iscritti veniva licenziato quando arrivavano i controlli. Il giorno della Liberazione uscì glorioso con il distintivo del CLN, che aveva già riposto in tasca al rientro, per aver visto gente indegna che lo portava. Seguì il Psi nelle sua diverse fasi e, come il suo amico Pertini, morì da socialista deluso in età avanzata; la stessa che ho io ora. Paradossalmente ripercorro la sua storia con una comprensione che non era mai stata così intensa.

Perché i tempi sono molto più gravidi di un futuro di cui siamo responsabili noi oggi di quanto non lo fossero gli anni Venti (del secolo scorso). Anche allora non era pensabile restringere la visione alla sola Italia: sappiamo bene che la crisi della democrazia fu sottovalutata da tutti, senza un minimo di prevenzione da parte dei governi europei, si generalizzò ed ebbe fine con la seconda guerra mondiale. Durante il "ventennio delle dittature" in Europa, cadde la seconda Repubblica spagnola sconfitta dalla prevaricazione franchista e dalle divisioni interne alla sinistra. Caddero le illusioni di chi leggeva le pubblicazioni clandestine sulle meraviglie sociali dell'Urss e venne a conoscenza del patto Molotov-Ribbentrop. Oggi il sistema si è globalizzato in termini innaturali: nel mercato, non nella cultura. In Occidente il benessere è certamente cresciuto, ma senza grandi preoccupazioni per le disparità con i paesi chiamati "in via di sviluppo": invano Lelio Basso aveva evidenziato che il conflitto Est/Ovest era inventato, mentre quello vero era il conflitto Nord/Sud, paesi ricchi vs paesi poveri, destinato poi a riprodursi all'interno di tutte le nazioni. Intanto perfino i progressi della scienza e della tecnologia mostrano che ragioniamo in termini arcaici e insensati se non rinnoviamo le categorie del pensiero: se Samantha Cristoforetti vola nello spazio (cantando!) su una stazione spaziale (di costruzione anche italiana), domandiamoci che cosa significa "essere di sinistra". Nella mia città è in corso un conflitto decennale sui nuovi mezzi di trasporto urbano, che di per sé non sono di destra o di sinistra, ma la cui scelta è di competenza (meglio se ecologici). Ma è anche una scelta in qualche modo ineludibile perché non è possibile continuare a incentivare l'edilizia (e non per ragioni moral-sociali, ma perché conduce al fallimento) e bisogna comunque inventarsi modi per continuare a produrre (e a dare occupazione): non è insensato, dunque, rinnovare i mezzi di trasporto se nelle fabbriche a montare motori non c'è più il reparto operaio, ma il robot manovrato da tecnici al computer). A questo proposito - se la sindacalizzazione è pratica della sinistra - ci si scontra con l'incomponibile ritardo dei sindacati, incapaci di premere su cultura e scuole per alzare il livello della formazione dei lavoratori destinati a lavori sempre più qualificati, e incapaci di dare alla figura del "precario", ormai entrata nel sistema da più di venticinque anni, riconoscimento giuridico e diritti.

Credo che si debba riconoscere che la transizione ad un futuro (certamente ancora imprevedibile) trova tutti impreparati, a partire dai filosofi (e politologi) che non hanno inventiva per rispondere alle domande che pone la scienza. La Chiesa è, come diceva il cardinal Martini, in ritardo di duecento anni (ed era generoso) e i cattolici sono ignoranti anche delle ragioni della loro fede. L'Italia da soli centocinquantaquattro anni sta insieme e ancora gli italiani restano sudditi privi di senso delle istituzioni: dicono di avere la Costituzione più bella, ma ne ignorano il contenuto. Il referendum del 2006 ha dato una risposta così positiva perché dava sfogo all'ostilità per Berlusconi: oggi non produrrebbe lo stesso risultato. Ai tempi in cui esisteva in Parlamento la Sinistra Indipendente ci dicevamo che avremmo perduto un eventuale referendum sulla pena di morte: il livello della responsabilità civile è ancora a quel punto. E le questioni di un mondo che tutti sappiamo da almeno cinquant'anni progressivamente più complesso si fanno rischiose: l'immigrazione, le religioni, l'unione europea sono diventati conflittuali.

Non mi riesce di essere rassegnata: la sinistra del terzo millennio - non solo quella italiana - non ha analizzato il proprio senso, ma non si è accorta dei limiti delle sue pratiche nel secolo scorso (quello che succede, svolta del 1994 compresa, deriva dalla prima repubblica), non è corsa al riparo per informare la gente mediatizzata e non si ricorda - nemmeno nei suoi leaders più anziani e negli intellettuali - di precedenti avvenuti pochi anni fa. Tanto per fare un esempio: sarà pur devastante la rissa interna contro il proprio governo per l'elezione di un nuovo Presidente per i supposti condizionamenti in corso, se ci si ricorda dell'elezione di Cossiga alla prima votazione senza nemmeno il rito che induce ogni gruppo di rilievo a votare tre volte il proprio candidato? che accordi coperti c'erano stati tra il segretario del Pci Natta e la Dc e che cosa ci ha guadagnato la sinistra? come mai non è stato candidato di bandiera Norberto Bobbio, votato da una cinquantina di parlamentari che per propria dignità non volevano essere responsabili del "picconatore" delle istituzioni? Il popolo sovrano non vede che la discrezione non significa "inciuci" (a prescindere dall'orrenda qualità del termine): c'è da sempre e non è una nefandezza, ma fatica per portare l'aula divisa al 51 % dei voti.

Logico che da quando sono emerse le conseguenze esplicite di una corruzione già endemica, la gente ha finito per accusare una sola casta e ricusare la rappresentanza: una volta che i cittadini (ma siamo davvero tali o ancora sudditi?) hanno ascoltato Berlinguer denunciare "la questione morale" e condannare la partitocrazia che lucrava nelle asl e negli enti pubblici (e lo diceva anche al Pci) e, poi, hanno visto il partito condannare la memoria di un segretario che aveva consenso non solo di sinistra (ci ricordiamo il "Dimenticare Berlinguer" di Miriam Mafai ritenuto oltraggioso perfino da Indro Montanelli?), come ignorare che non siamo stati abbastanza vigili, come rapprensentanti e rappresentati? Se non riusciamo ad avere idee da proporre per rinnovare il sistema, dobbiamo cercare di volare basso nel modo meno indecoroso: il "rumore" non educa.

Se per "sinistra" intendiamo alcuni "movimenti" come le liste "Arcobaleno" o Ingroia, restiamo sempre a Rifondazione o PCdI. Come dire Le Pen figlia o Salvini erede della Lega da D'Alema definita "contigua alla sinistra". Perché oggi le trasformazioni ormai antropologiche trasformano i "movimenti" nel peronismo di quell'infelice Argentina che litiga ancora su un partito-movimento contemporaneamente di sinistra (con i descamisados) e di destra (con la dittatura). Oggi si chiama populismo ed è largamente diffuso in modalità diverse che vanno da Chavez ai "Veri Finlandesi", dal "Movimento popolare danese contro l'UE" alla signora Palin o a Podemos.

In Grecia ha vinto Tzipras: ci fosse uno dei sostenitori italici a conoscenza dei 40 mld. del debito greco acquistati dall'Italia, o dell'esodo degli euro greci che priverà le banche di risorse per i bancomat, co delle vicinanza scomoda della Turchia (quella che ancora divide Cipro).

Figurarsi se non sarei anch'io lieta che Tzipras possedesse la bacchetta magica, anche perché non oso pensare quali potrebbero essere le reazioni ad una mancata realizzazione rapida delle aspettative popolari; ma una riflessione sulle prospettive (che non sono le speranze) attuali mi fa capire che né dal basso né dall'alto vengono incoraggiamenti al massimalismo. Tenendo anche conto dei migliori contributi che hanno circolato in questi tempi in Italia - vogliamo menzionare Micromega? (Il Fatto avrei qualche perplessità a definirlo di sinistra) - direi che, accanto a critiche anche giustificabili, ci sono poche proposte e nessuna teoria innovativa. Ci sarebbe bisogno di uscire dalla frammentazione e dal populismo e ridare alla parola "partito" il suo senso originario; che non è mai stato eccelso, ma rispondeva a criteri di necessità. Oggi qualcuno lo dovrebbe riempire proprio di quel senso. Ma per necessità oggi intendiamo quella o di sfangarla a proprio beneficio o di ribellarsi senza un progetto che non sia il "no-tav" antistituzionale. I molti che ragionevolmente restano attivi e "impegnati" non riescono a farsi nuovo soggetto politico e a ridare senso alla rappresentanza perché non si accorgono nemmeno che le ragioni di volere candidati non nominati confliggono con il mercato dei voti che oggi rischia di tornare in mano a chi compra e vende anche i voti (e, se i commercianti pagano il pizzo, eleggere non sarà così invulnerabile a qualunque mafiosità); d'altra parte non siamo sempre andati a votare con i bigliettini in tasca, dati dal dpartito, dal parroco, dal "padrone"?

Intanto nessuno si cura di sapere chi sarà in grado di pagarsi la campagna elettorale nelle prossime elezioni: chi lo conosce se non è un Nobel, un calciatore o una cantante? Il prossimo Parlamento non sarà di nominati o non nominati (nemmeno dalla rete di Grillo); ma dei ricchi o delle lobbies (per la prima volta ieri ho sentito il ministro della giustizia sostenere la necessità di una legge che le regolamenti). La legge elettorale poteva essere emendata anche da interventi esterni propositivi e, comunque, è una legge e quindi riformabile; ma era necessario non restare al porcellum, che la Corte ha sancito incostituzionale (per i moralisti: come mai nessuno ha denunciato Calderoli le finalità strumentali della sua legge?). Incostituzionale il porcello, non l'elezione popolare; quindi non il nuovo Parlamento e non le leggi da questo votate.

La sinistra che più tiene ai valori vive così al suo interno da non rendersi conto di abitare un paese moderato, che non ha senso dello Stato, dove da un lato si evade e dall'altro è vanto non pagare il canone; che, unico tra i paesi europei non ha mai avuto alternanza di governo (la sinistra non socialdemocratica non ha mai governato); che in vent'anni di berlusconismo liberamente votato è ulteriormente degradato. Difficile fare politica parlando solo tra noi. I più maturi tra noi sono stati testimoni del cedimento della forma-partito (qualcuno della Sinistra Indipendente lo denunciava nel 1984) e del sindacato, la cui debolezza estrema si rivela nell'avere proclamato unilateralmente (!) l'arma estrema dello "sciopero generale" per poi andare oggi a firmare con la Cisl l'accordo Fiat.

Non "mi piace" Renzi e, in primo luogo, mi dà molto fastidio questo continuo uso del verbo per i politici, con cui mi misuro e non mi fidanzo. Ma vorrei non un'alternativa, ma una proposta politicamente realista: "allo stato" aspettare Godot non serve: la frammentazione, pur riconoscendola prodotta dalla cattiva politica, attualmente è potenziale causa di rischi e non lascia prevedere possibilità di unità solidale anche per mancanza di informazione corretta da parte di chi (tanti) dovrebbe farla. Anche noi "puri" andremo qualche volta in taxi, dal parrucchiere, al bar e capiremo non solo quanto la gente sta male perché il sistema è iniquo, ma che consapevolezza produce lo stare male. L'essere umano è fragile: se ha paura del futuro non pensa correttamente. Senza tener conto del M5S che con trentamila voti elettronici vuole impadronirsi delle istituzioni, pensiamo al consenso (anche di sinistra) di Salvini: in Italia, salvo qualche islamico che ammazza la moglie come gli italiani, non abbiamo avuto morti per terrorismo; in compenso abbiamo avuto lo scorso anno 58 morti per mafia. Di che cosa dovremmo avere paura?

Il problema è generale: esiste la globalizzazione - soprattutto, ahimè, finanziaria - e non culturale. Il futuro ci interpella su altre frontiere, perché il mondo sta correndo veloce e i nostri freni producono esiti perversi. Il fatto che si tratti di epochè può far paura, ma non è il caso di perdere coraggio e speranza o di affidarlo al Papa, sia pure Francesco. Meglio studiare e, se possibile, fare studiare: come diceva Bobbio, la differenza non è tra chi crede e chi non crede (non solo in dio), ma tra chi pensa e chi non pensa.

gennaio 2015