biografia(03) (1960-1980)

Nel 1960 Federico Bellomi si trasferisce nel paese di Quaderni di Villafranca (VR). nella Chiesa parrocchiale di S. Matteo ha l'incarico di dipingere: il catino absidale, il lunotto sopra la porta d'ingresso, i soffitti.

Nonostante quello che è stato scritto, se lo consideriamo un lavoro unitario, è questo il lavoro di più ampie dimensioni di Bellomi. Dimensioni che si amplieranno ancora con l'aggiunta di altri due affreschi laterali nel 1984 e il totale rifacimento del catino absidale.

Questo catino doveva solo essere restaurato perché alcune infiltrazioni d'acqua dal soffitto lo avevano danneggiato. Una volta montata l'armatura, l'autore, senza alcun progetto o disegno preparatorio, lo rifece da cima a fondo, adattandolo alla sua poetica del momento. Sua aiutante durante il lavoro fu Elisabeth Villasanta.

Questa è la foto del catino del giugno 1960:

(cliccarci sopra per ingrandire l'immagine)

verso della foto con dedica alla madre:

Altra foto dell'epoca:

con annotazione sul retro di anonimo (forse don Angelo Marini):

ed ecco lo stesso catino dopo l'intervento del 1984:

Ecco la casa, sulla via principale del paese, dove il pittore abitava:

e l'interno della stessa con tutta la famiglia:

Il periodo di questo lavoro a Quaderni è ricco di episodi e di incontri.

Ecco qualche esempio, pescato da quei racconti che Federico sapeva recitare, intrattenendo e facendo ridere a crepapelle l'uditorio.

"Il curioso"

Succedeva che, durante la pausa pranzo, un parrocchiano particolarmente curioso si intrufolasse di nascosto in chiesa, salisse sull'armatura e osservasse lo stadio di avanzamento dei lavori. Poi andava a riferire agli amici del bar che il pittore era impazzito perché dipingeva le facce verdi, o blu, o dipingeva dei nudi incomprensibili, che i colori erano violentissimi e assurdi, o altre stranezze. Il paese è piccolo e le voci arrivano al parroco. Un giorno il parroco prende da parte il pittore e gli chiede chiarimenti.

Così Federico Bellomi spiega che il verde delle facce è il tradizionale proplasma in "verdaccio" che gli antichi mettevano per poi ottenere, attraverso le velature, l'incarnato finale: che ogni personaggio viene prima disegnato nudo, per avere la padronanza della sua struttura anatomica e poi vestito, come facevano gli antichi; che i colori violenti sono la preparazione al modellato e alle velature che arriveranno poi, ecc.

Il parroco viene rassicurato ma Bellomi dà ordine che a nessuno sia più consentito di salire sull'armatura fino alla fine del lavoro. Un conto è dire una cosa, un conto è ottenerla. Così il pittore si mette d'accordo con i due muratori di dare una bella lezione al curioso incompetente e chiacchierone. Un giorno, contanto sul fatto che il curioso avrebbe continuato le sue esplorazioni, fingono di uscire come al solito per la pausa pranzo, poi rientrano in chiesa dall'ingresso laterale non visti e salgono fino in cima all'armatura nascondendosi alla vista e rimanendo immobili in silenzio. Prima però, i muratori si erano portai un bel secchio pieno di acqua da rovesciare, al momento opportuno, in testa all'intruso. Questo era l'accordo. Ma i muratori, all'insaputa di Federico, ci aggiunsero un tocco personale: sciolsero nell'acqua una bella quantità di gesso di scagliola. Poi tutti si misero in attesa.

Il curioso entrò come al solito, vestito con giacca e cravatta e una cartellina di scartoffie sotto braccio. Circospetto e con le orecchie tese attraversò la chiesa e cominciò a salire per l'armatura. Quando si trovò al posto adatto i due muratori si mossero improvvisamente inscenando un finto litigio, "allora! arriva questo secchio o no? - vai a prendertelo testa di cavolo - a chi? - prendi, tira, molla!" e, ploff, il secchio viene abilmente rovesciato addosso all'intruso in quale eleva quelle che potremmo definire vibranti proteste ricche di irripetibili giaculatorie (Federico ne dava una imitazione irresistibile) ma viene semplicemente ignorato dai muratori che continuano il loro finto litigio.

Il vestito del tizio è rovinato per sempre e per sempre viene risolto il problema del curioso molesto.

"Non è un problema: la prendo io"

In previsione di un possibile altro scherzo, Federico con i muratori, prende del gesso della giusta consistenza cremosa e lo fa colare su una tavola fino ad avere una perfetta imitazione di uno stronzo (di cane o umano) con tanto di pezzettino finale deposto sopra. Una volta asciugato il gesso lo dipinge in modo assolutamente indistinguibile da uno stronzo reale e, conoscendo la sua abilità nella copia dal vero, non ho dubbi che chiunque lo avrebbe creduto, vedendolo, assolutamente reale.

L'occasione si presenta dopo poco. In paese vive una coppia che "vuole darsi un tono" e in qualche modo decide che invitare il pittore e la consorte per una cena o un aperitivo potrebbe rappresentare un titolo di qualificazione del proprio salotto: un artista è un artista! Non capita tutti i giorni, e poi, viene dalla città!

Federico si veste a puntino (giacca, cravatta, ecc.), si mette in tasca il finto stronzo e poi improvvisa.

Soprattutto la signora ci tiene ad apparire così fine che più fine non si può, e il clima è quello estremamente formale e falsamente gentile che Federico detestava.

Così, ad un certo punto, non visto, depone lo stronzo per terra vicino alla porta di ingresso e, ultimo tocco improvvisato, gli versa sopra qualche sorso di vino bianco che aveva nel bicchiere.

Mentre la conversazione prosegue tra finezze iperboliche, lo sforzo di tutti di parlare in italiano, e battute senza sangue, Federico vede la signora sbiancare e balbettare qualcosa. Federico sta al gioco chiedendo se va tutto bene. "Oh, non avrei mai detto; gli ho sempre detto a mio marito che quella bestiaccia schifosa (il povero cagnolino senza colpa) deve stare fuori di casa... Mi scusi, che vergogna. E' meglio rimandare la cena..."

Federico finge di non capire e, nell'imbarazzo e nel trambusto si avvicinano all'ingresso.

A quel punto anche Federico si accorge del misfatto e, con la più angelica, gentile e cavalleresca delle voci, dice: "Ma se è solo per questo signora, non c'è problema: lo prendo io!" si china, raccoglie lo stronzo scuotendolo appena per togliere qualche goccia del vino, e se lo mette in tasca con il più convenzionale e naturale dei gesti.

"Volevo vedere se c'è una goccia"

Il padrone di della casa dove Federico abitava con la moglie Gabriella non doveva avere a disposizione molte distrazioni. Un pomeriggio, mentre Federico e Gabriella erano a letto, non credo per dormire, questo individuo appoggia una scala alla finestra della camera, che dava sulla corte promiscua, e appare ai due nel riquadro della finestra, probabilmente assai appagato dallo spettacolo che poteva vedere. Quando Federico e Gabriella se ne accorgono gli chiedono immediatamente cosa sta facendo e lui, tranquillo e pacifico come un professionista del dolce far niente, risponde: "me parea che ghe fosse 'na gossa che vien so dai copi... e vole darghe n'ocio" (mi sembrava che ci fosse una infiltrazione che viene giù dal tetto... e volevo controllare).

"il contatore duplex"

Lo stesso padrone di casa, che abitava nell'appartamento a fianco, si era già fatto notare per aver avuto, nonostante la sua aria da "bon da gnente" (incapace) la bella pensata di staccare i fili del suo impianto elettrico e di collegarli a quelli dell'impianto dell'appartamento abitato dal pittore. Federico e Gabriella, stupiti da una bolletta particolarmente cara, provano a spegnere tutto e vedono che il loro contatore continua a girare allegramente. Così, seguendo il filo, scoprono il collegamento illegale.

Ricordate? era l'epoca in cui ai lampadari si svitavano parte delle lampadine per risparmiare sulla corrente. Si avvitavano solo nelle occasioni importanti e solenni (ad esempio quando c'erano ospiti).

"i modelli in posa"

Molti dei personaggi che si vedono nelle pitture della chiesa di Quaderni sono ritratti di abitanti del paese di Quaderni. Ricordo solo il nome e il soprannome di uno di loro particolarmente caro a Federico e Gabriella: Paolo Magnaovi. Non ho la più pallida idea di quale fosse il suo cognome. Nome e soprannome bastavano e avanzavano. Queste persone erano felici e onorate di posare per il pittore e, per aver avuto l'onore di posare, gli portavano in omaggio bottiglioni di vino, cassette della verdura dei loro orti, uova delle loro galline, ecc. Esattamente il contrario di quello che si fa oggi comunemente pagando a ore i modelli. Alla fine della seduta di posa, che si svolgeva di sera, non mancava mai una cantata tutti assieme, con una provvidenziale chitarra portata da qualcuno, e una bevuta fra scherzi, battute e storie divertenti.

Nell'armadio dipinto da Federico, che ancora oggi possiedo, sono dipinti in quattro riquadri quattro teste di angioletti. Uno è il mio ritratto sputato. Il fatto è che fu dipinto da Federico alcuni mesi prima della mia nascita. Le battute dei "modelli" su come avevano fatto i miei genitori a fabbricare un figlio uguale a quello del ritratto "preventivo" devono aver allietato più di una serata.

"le damigiane rotte"

Nel cortile dietro casa c'erano, vicino al muro varie damigiane vuote.

Un giorno Federico e Gabriella si accorsero che erano tutte rotte e piene di sassi.

Così venne fuori che il mio gioco preferito, quando mi lasciavano solo a giocare in cortile in compagnia del cane "Tittari" consisteva nel lasciarci cadere dentro i sassi che trovavo per ascoltare il suono meraviglioso che ne usciva. Federico e Gabriella hanno sempre raccontato questa cosa aggiungendo che ciò spiegava perfettamente il mio interesse adulto per la musica.

"i sucoi de Quaderni"

Gli abitanti di Quaderni erano detti "sucoi" (cioè zucche) dagli abitanti dei paesi limitrofi. Un titolo bonariamente offensivo del quale gli abitanti di quaderni andavano comunque assolutamente fieri.

Un giorno, due aspiranti piloti che lavoravano nell'aeroporto di Villafranca, trovano il modo di sorvolare in elicottero la piazza del paese davanti alla chiesa e di mollare giù una enorme zucca che si sfracella al suolo.

Chi facesse oggi una cosa del genere finirebbe probabilmente in galera, allora era uno dei tanti modi per tessere quel meraviglioso tessuto di relazioni sociali che esiteva prima dell'avvento della televisione.

"la passeggiata serale"

Il dopocena primaverile ed estivo nel paese di Quaderni (una lunga via contornata da quasi tutte le case del comune) consisteva in una continua passeggiata avanti e indietro sulla via. Quello che preferivano non camminare si portavano la sedia fuori dalla porta di casa e si godevano il fresco serale scambiando fra loro e con i passanti saluti e battute.

"Avevano festeggiato il miliardo"

Federico raccontava sempre della anziana signora Belladelli che, pur avendo all'epoca già festeggiato "il miliardo" di guadagni con l'allevamento dei maiali, continuava imperterrita a lavorare nelle sue stalle dalla mattina alla sera. Lo diceva come per dire - nemmeno la prospettiva di guadagnare un miliardo mi farebbe fare questo lavoro.

"la polenta rapida"

Un giorno arrivò in paese un furgoncino con una sconvolgente novità: la polenta rapida Paf che era pronta in soli tre minuti di cottura (essendo ovviamente precotta). Oggi è una cosa che si trova in qualsiasi negozio di alimentari o supermercato, ma allora era una cosa mai vista.

La diffidenza istintiva di quegli anni contro ogni forma di industrializzazione portò qualcuno (forse lo stesso gestore del negozio di generi alimentari) a fare una tale campagna denigratoria nei confronti di questo prodotto che, per mesi o forse anni, nessuno ne comprò mai nel raggio di vari chilometri.

"Così vedremo i rappresentanti del partito liberale!"

Don Quattrina, il parroco di allora (1960) era un omone grande e grosso, dalla battuta pronta e dalle idee, anche politiche, ben chiare.

Una sera buona parte del paese si ritrova a a ballare per una qualche festa, o forse fu proprio la festa subito dopo l'inaugurazione dei lavori nella chiesa. Il parroco era ovviamente presente e, fra i ballerini, un noto rappresentante del partito liberale, che non doveva essere molto simpatico a don Quattrina.

Ad un certo punto la moglie del pittore, Gabriella, si accorge che questo rappresentante del partito liberale, con tanto di spilla del partito sul bavero della giacca, mentre sta ballando, sta perdendo i pantaloni, che forse non erano ben abbotonati. Fa notare la cosa a don Quattrina, il quale pronto risponde: "Bene. Così vedremo i rappresentanti del partito liberale!"

"Il signor Tucillo e la capra"

Il signor Tucillo era piccolo, calvo, magro e nervosissimo. Mentre parlava, con un accento del sud, agitava sempre nervosamente la mano, come una sorta di tic ininterrotto. Viveva con la moglie e senza figli in una casa con davanti un po' di orto, come tutti all'epoca, dove teneva anche una capra. Aprendo la porta di ingresso della casa ci si trovava in un lungo corridoio, con porte laterali che davano sulle varie stanze, in fondo al quale il signor Tucillo aveva collocato un grande specchio per dare, a chi entrava, l'illusione di una maggiore profondità.

Quello che il signor Tucillo non poteva prevedere fu che, un giorno che aveva lasciata spalancata la porta di ingresso, la capra avrebbe pigramente salito le scale e girato lo sguardo verso l'interno della casa.

Come la capra vide la propria immagine riflessa nello specchio partì a razzo, per incornare a morte l'intruso. Lo schianto mandò ovviamente in frantumi il grande specchio e il signor Tucillo, al colmo del furore e con un uragano di tic, prese un rasoio con la mano ancora più agitata del solito e decapitò con un sol colpo secco il povero animale.

"Apnea"

Una notte Federico si sveglia di soprassalto e con l'orecchio teso. Poi realizza che non sente più respirare il figlio Francesco. Si alza di colpo e lo trova nel suo lettino, rigido, già un po' cianotico e in completa apnea respiratoria. Lo solleva di colpo e lo prende a schiaffi.

Il figlio esplode a piangere e così gli salva la vita, per la prima volta.

Ecco lo studio per uno dei soffitti della chiesa di Quaderni:

Stranamente, non ho ritrovato nessun cartone e nessuno spolvero per le pitture di quaderni del 1960. Per il catino absidale è ovvio che sia così: la superficie concava del muro non permette di appoggiarci sopra alcunché per eseguire uno spolvero. Ma per i soffitti e, soprattutto, per il lunotto sopra la porta di ingresso, la cosa non mi torna. O Federico li ha bruciati in uno dei suoi momenti di pulizia, o sono finiti da qualche parte che io non so, o sono andati persi in qualche trasloco.

In ogni caso questi cartoni sono esistiti, come dimostra la seguente foto:

Nel 1963 Federico esegue una grande pala d'altare (cm. 270 x 550) per la chiesa dello Spirito Santo a Sottomarina di Chioggia.

Si trasferisce sul luogo per eseguire il lavoro nel freddissimo inverno del 1962-63.

Gabriella è incinta del secondo figlio, Paolo.

Abitano in un enorme palazzone appena costruito proprio di fronte al mare, il primo della selva di cemento che devasterà il litorale. Essendo costruito per il turismo estivo, non ha il riscaldamento.

Quando soffia la bora, pur chiudendo finestre e tapparelle, alla mattina, al centro della camera da letto, dove il vento si placa, si trova un mucchietto di sabbia con sulla punta un po' di brina.

Ecco una foto recente dell'opera:

Federico conserverà sempre sulla sua auto una immagine della pietà di Santa Maria della Navicella e racconterà sempre di questo frate che, in pieno inverno, con la bora e la neve arrivò con la sua topolino a portare un sacco di tela pieno di giocattoli al figlio del pittore.

Ma racconterà anche la storia di quello che vedeva nei due orti confinanti dietro casa nelle cui rispettive case abitavano, da un lato, un finanziere siciliano di Messina, e dall'altro un contrabbandiere chioggiotto. Nel pomeriggio la moglie del finanziere usciva nell'orto, così, a dare un'occhiata, dall'altra parte anche il contrabbandiere usciva e si avvicinavano indifferenti e quasi per caso al confine fra gli orti. Poi il contrabbandiere passava la merce (sigarette o simili) ed entrambi ritornavano alle proprie occupazioni. Il finanziere fece fare a Federico dei lavori di decorazione nella sua casa e lo ricompensò anche con un piccolo quadro, una crosta orribile, che però un giorno Federico provò a pulire.

Un'altra frase, udita da Federico mentre dipingeva in chiesa nel corso di un matrimonio era questa: "Vuoi tu Boscolo Valdo detto il Fiacca sposare a qui presente Boscolo Andreina detta Scagarella?"

[Chioggia rappresenta un caso demografico unico in Italia: l'elevatissimo tasso di omonimia tra i due cognomi principali, Boscolo e Tiozzo (più di diecimila residenti portano questi cognomi), ha indotto l'ufficializzazione nel registro dell'anagrafe dei detti, soprannomi popolari utilizzati in tutto il Veneto per distinguere i vari rami di una stessa famiglia. In ogni documento ufficiale, patente di guida e carta d'identità compresi, questi detti- alcuni dei quali molto bizzarri - vengono dunque inseriti a tutti gli effetti di legge, accompagnando la vita giuridica dell'interessato[.

Per fare alcuni esempi, dei Boscolo si distinguono, tra gli altri, i Forcola, i Bachetto, gli Anzoletti, i Gioachina, i Cegion, i Bariga; dei Tiozzo i Caenazzo, iFasiolo, i Napoli, i Campanaro, i Brasiola, i Pagio.]

Nell'inverno del 1963 la laguna era ghiacciata e gli abitanti andavano a pattinarci sopra. A Febbraio del 1963 il pittore e la moglie tornarono a Quaderni e Gabriella partorì il secondo figlio Paolo all'ospedale di Valeggio sul Mincio. Fu un parto lungo difficile e sofferto. Mancavano i dottori e, quando finalmente arrivarono, dissero che il bambino era già morto perché non sentivano più il cuore. Ma una vecchia levatrice disse che lei lo sentiva e si impuntò con i dottori. Alla fine il bambino nacque, nero per la mancanza di ossigeno, ma vivo, anche se per il rotto della cuffia.

Paolo restò molto in ospedale, e, per tutti i primi anni di vita, continuò ad avere sempre problemi di salute che lo costrinsero a tornarci periodicamente. Una esperienza che sicuramente lo segnò profondamente per tutto il resto della vita.

A sei anni disegnava ancora quasi esclusivamente ambulanze, dottori, barelle e infermieri inseguiti da file di topolini. Alla domanda "Perché i topi?" rispondeva: "perché i piedi degli infermieri puzzano da formaggio".

Nel 1964 la famiglia si trasferisce a Verona, in un appartamento in condominio che si affacciava su quella che oggi è Piazza Caduti (quartiere santa Lucia) ma che allora era semplicemente un campo incolto alla estrema periferia della città. Non ci sono foto di questo breve periodo ma solo qualche ricordo di vicini rumorosi, o simpatici o insopportabili. Il posto non è dei migliori. Anche il cane Tittari, sopravvissuto a tutti i viaggi e ai tuffi nella laguna gelata di Venezia, non regge la vita di appartamento e, da una delle sue abituali scorribande (che duravano a volte una settimana) non tornerà mai più.

Alla fine del 1964 la famiglia si trasferisce a Verona, in piazza Broilo n. 3, in un grande e meraviglioso appartamento al piano nobile di un palazzo cinquecentesco, appartenuto ai Conti Cerù e all'epoca di proprietà di della signora Pasqua di Bisceglie (nota produttrice di vino).

Ecco la casa in una foto di quegli anni con l'automobile e i figli davanti al portone d'ingresso:

Ecco alcune foto della famiglia del pittore scattate dal grande fotografo Pino dal Gal all'interno dello studio.

AL SEGUENTE LINK;

FOTO DI PINO DAL GAL

Oppure cliccare sulla foto qui sotto

Il pittore abiterà in questa casa fino al 1986 e il periodo dal 1965 al 1986 sarà di gran lunga il più fecondo, denso, avventuroso e bello di tutta la vita di questo artista e della sua famiglia.

Le opere realizzate saranno innumerevoli, con un picco veramente straordinario di lavoro e di produzione nel 1973.

IL PERIODO DI PIAZZA BROILO 3 (1964 -1986)

Il primo lavoro importante è la madonna che si intravede sullo sfondo di alcune fotografie precedenti. Fu dipinta (olio su tela) per la cappella del noviziato dell'Istituto don Calabria di Verona.

Il giorno che l'opera era pronta e sarebbero venuti i committenti per prenderla nel pomeriggio, io e mio fratello, demmo il nostro contributo, mentre Federico era assente, impugnando colori e pennelli e dipingendo allegramente la nostra parte in basso: fortunatamente l'unico punto raggiungibile data la nostra statura di bambini.

Quando Federico se ne accorse fece quasi un infarto. Ma velocissimo, pulì e restaurò in modo che per l'ora stabilita tutto fosse pronto, tranne che per il colore che "tardava ad asciugare".